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Autore: miss potter    24/06/2013    5 recensioni
"Bisogna avere un pò di caos dentro per partorire una stella danzante." (1)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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EPILOGO
 









Semplicemente, non riparlammo più della Svizzera, degli intrichi internazionali, dei reduci depressi e, soprattutto, di James Moriarty.
Semplicemente, Mycroft non si fece più di tanto sentire, se non per ricordare a Sherlock eventi ed anniversari che quest’ultimo puntualmente confermava e all’ultimo disdiceva tanto per godere della così divertente espressione stupita di mio fratello che ancora ci spera. Parole sue.
Semplicemente, ci lasciammo questa storia alle spalle, insieme a tutte le sue ombre di passaggio, lasciando che i servizi segreti, dai quali Sherlock senziente si era sollevato, spulciassero, indagassero, inseguissero, stanassero gli ultimi rimasugli della fitta ragnatela del criminale che avevamo danneggiato alle cascate di Reichenbach e di cui, ahimè, si sarebbe ricordato per ancora molto, molto tempo insieme alle prodezze del sociopatico che gioca a fare il detective e delle strane tendenze masochiste del dottorino di quartiere con quello strano disturbo psicosomatico miracolosamente curato dal suddetto individuo.
Ma non noi. Non sarebbe più stata la nostra battaglia.
Semplicemente, saremmo maturati, invecchiando all’ombra di ordinari omicidi e ricattatori, delle querce e dei pioppi dei parchi, dei neon della metropolitana e dei take-away.
Prendemmo in affitto questo appartamentino dismesso ed economico, dopo che la padrona di casa di Baker Street morì, per… evadere dalla noia, secondo il mio collega. La verità, o almeno quella a cui mi piace credere, è che ne abbia sofferto, molto, più di quanto temessi che potesse soffrire per qualcosa, o qualcuno.
Accadde semplicemente che anche Sherlock crebbe, e con lui l’empatia per chi dimostrava di volergli bene disinteressatamente.
Accadde semplicemente di vederlo diventare umano, non fragile, ma di carne e cuore, finalmente, e occhi brillanti, più del solito, verso le cose del mondo. E se qualcuno mi chiede se questi venti anni assieme siano valsi l’attesa, beh, sì. Ci possono giurare.

“Jawn…” sussurrò sul mio petto ieri mattina alle prime luci dell’alba che gli rischiaravano il capo ingarbugliato, l’unica parte del suo corpo che le lenzuola non gli coprivano.
Gli dà sempre così fastidio quando glieli faccio notare, i primi capelli grigi intorno alle tempie, perché per me è più facile, borbotta stizzito, io che ce li ho chiari già di mio.
È un testone, e non capisce che per me rimane sempre affascinante anche con qualche ruga in più e un paio di diottrie in meno.
La settimana scorsa l’ho convinto a portare le lenti a contatto, essendosi categoricamente rifiutato di mettere gli occhiali da vista nonostante la mia sfuriata dopo essersi quasi fatto uccidere da un taxi che non aveva visto arrivare.
“Jaawn…”
Ma dove volevo andare con questa voce che mi solleticava un orecchio e ci colava dentro tutto il suo affetto?
Sei proprio patetico, John Watson, sì, lo sei.
“Dimmi, signor Holmes” risposi, accarezzandogli piano la testa.
“Api.”
“Che?
Sbuffò spazientito mugugnando qualcosa su quanto odi ripetersi, di comprarmi un apparecchio acustico, bla bla bla.
Aveva la voce rotta dal sonno e le labbra secche, le stesse che mi strusciava sul torso nudo in combutta con la punta del naso.
“Insetti, Jawn. A righe nere e gialle. Ali e deliziose antennine pelose. Se infastidite pungono…”
“Amore, so cosa sono le api. Mi domandavo solo cosa c’entrino in questo momento.”
“Voglio allevare api.”
Abbandonai pesantemente la testa sul cuscino sospirando, e rabbrividii sotto la stretta sempre più koalesca di Sherlock che, evidentemente, ancora con un piede nel mondo dei sogni stava scambiando il mio corpo per un ramo d’eucalipto.
Allargai le gambe per accoglierlo meglio su di me, sperando che si mettesse comodo e sprofondasse nel sonno dimenticandosi di questa nuova idea dell’apicoltura tanto bizzarra almeno quanto quella di volersi esibire al Bolshoi prima di morire e di adottare un cucciolo di orango a distanza.
“Jawn.”
“Hm?”
“Cosa ne pensi?”
“Riguardo?”
“Api, Jawn.”
“Ah, quelle. Beh, non hai mai avuto bisogno del mio consenso per fare le cose, giusto?”
Sollevò repentinamente la testa spalancandomi un arcobaleno di tutte le tonalità possibili di cobalto addosso, come un bambino a cui la madre dà il permesso di tenere un cane.
“Posso davvero?”
Annuii ridendo di gusto e sprofondai la mano che tenevo appoggiata sulla sua testa i quei suoi boccoli infiniti, ancora folti dopo tutti questi anni, lisciandone l’indomita natura.
“Grazie grazie grazie!” esclamò tutt’a un tratto eccitatissimo, sporgendosi ed avventandosi sulle mie labbra già in posizione per ricevere il giusto ringraziamento che, alla fine, si stava rivelando niente più che un “deludente” bacio a stampo.
Fece il gesto di alzarsi da letto ma riuscii a bloccarlo appena in tempo prima che mi sgusciasse dalle braccia, atterrandolo di schiena sul materasso e bloccandolo lì col mio peso.
“Jawn, lasciami! Devo contattare i fornitori, fare ricerche su internet…”
Lo zittii tuffandomi nuovamente su quella inesauribile fonte di parole che avrebbe fatto ammattire anche i santi, aiutandomi con le dita di una mano che si andarono ad attorcigliare assieme ai ricci della nuca per aumentare la profondità della mia esplorazione, mentre all’altra lasciai campo libero su una coscia.
“E sentiamo, genietto, dove avresti intenzione di posizionare le arnie? Non in bagno accanto alla colonia di mantidi religiose, voglio sperare” sussurrai, lambendogli poi il labbro superiore – la mia morte – con la punta della lingua.
“Casa Holmes nel sud del Sussex sarà perfetta, miscredente che non sei altro” rispose, restituendomi le giuste attenzioni di cui non mi sarei mai stancato.
Ribaltò la situazione posizionandosi a cavalcioni sopra di me, avvolgendoci nel nostro tepore umido e profumato d’amore che sono le nostre lenzuola e sorrise come uno bambino al Luna Park mentre cavalca la sua giostra preferita.
“Trasferimento all’orizzonte?” riuscii a dire prima che si gettasse a capofitto sul mio collo, facendolo più suo di quanto non fosse già. “Londra cadrebbe senza Sherlock Holmes.”
“Londra starà benissimo” mugolò, soffermandosi con un accenno di denti sul mio pomo d’Adamo. “E poi è solo un esperimento, una variabile alla monotonia. Potrei anche tornare indietro.”
“Ed io dovrei seguirti in tutta questa follia?”
Lo sentii sorridere sulla pelle sottile poco sopra la mia clavicola, circa all’altezza della cicatrice.
“Tu non sei un esperimento. Tu sei la mia costante,” disse baciandola, in un gesto che per noi, per me, avrebbe sempre significato più di una notte d’amore “e sarei perso senza il mio conduttore di luce.”
Risi basso, sollevandogli per un istante il mento così da avvicinargli appena un poco il viso al mio ed appoggiargli le labbra su un orecchio.
“Ruffiano…”
“Mmh, e mi adori per questo…”
“Dio, sì.”
Un timido raggio di sole si fece spazio, prepotente, da un fessura della tapparella andandosi ad infrangere sul petto del mio compagno, rivelando la cartina geografica di cicatrici, oramai quasi invisibili, che determinarono quella che iniziò come una sfida e finì per rivelarsi il preludio per un’eccitante vita insieme, fatta di cose buone, altre di meno buone, ma comunque importanti e sempre nuove.
“Ti amo.”
Appunto.
“Come dici?”
Venti anni. Venti, lunghissimi anni.
“Ti amo, John. Ti amo, ti amo, ti amo. E questo non mi stancherò mai di ripeterlo.”
Dopo un momento di profonda catatonia, lo strinsi a me più forte che potei, immergendo il viso nello spazio tra il collo aggraziato e una spalla, le braccia incatenate al suo dorso ampio, le gambe ai suoi fianchi, non più così spigolosi, l’anima incollata al suo petto dove avrebbe per sempre trovato il proprio rifugio ideale, il proprio nido.

Il mio nome è John Hamish Watson e, giunto alla veneranda età di cinquant’anni e qualche giorno, ieri mattina mi trovai abbracciato all’unica e sola ragione del mio cuore, pelle nuda contro pelle nuda, nella nostra camera da letto del nostro appartamento di quarta categoria, situato alla periferia di Londra, così come questa mattina, così come domani e dopodomani e per sempre, fino a che in uno di noi ci sarà ancora vita.
E sì. Ne è valsa decisamente la pena. 










The End.

 

  
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