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Autore: Agapanto Blu    25/06/2013    9 recensioni
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.
Quando Mathieu decide di rivelare al padre la sua omosessualità spera in un aiuto per risolvere la confusione e la paura nella sua testa, nonostante i suoi non ci siano mai stati per lui. L'ultima cosa che il ragazzo si aspetta è di essere cacciato per questo e iscritto alla Chess Academy, una scuola maschile molto esclusiva in Inghilterra.
Ma è qui che arriva il peggio, perché nella scuola esistono due soli colori, o bianco o nero, e le vie di mezzo vengono brutalmente soppresse.
Mathieu non vuole questo, non vuole essere un sovversivo e non vuole lottare, certo non vuole l'oppressione che sente addosso e spesso pensa di chinare la testa e smettere di resistere.
Sarebbe facile, quindi perché non farlo? Semplice: perché gli occhi di Gregory, ragazzo spigliato e decisamente ribelle, sono troppo azzurri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Scolastico
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Prologo

"Chess Academy" fu la prima cosa che vidi della mi nuova ‘scuola’. Era una scritta grande, con le lettere alternate in bianco e nero, messa a semicerchio sopra il cancello d’entrata. La scuola era circondata da un muretto di mattoni di circa un metro sopra cui stava una recinzione di ferro battuto alta altri due, per un totale di tre metri di barriera; all’interno di tutto questo, vi era un giardino enorme dall’erba accuratamente tagliata ma con pochi alberi e al centro di tutto stava l’edificio vero e proprio. L’Accademia degli Scacchi era molto simile ad un enorme castello in stile vittoriano: la facciata era bianca e il tetto nero, c’era una torretta al centro della parete posteriore e da davanti si vedeva la sua punta, l’edificio si sviluppava su cinque piani e non potei fare a meno di chiedermi a che cosa servisse tutto quello spazio in una scuola privata dal limitato numero di studenti visto che costava un occhio della testa ed era prettamente maschile.
Ecco, quest’ultimo fatto mi inquietava. Considerato il motivo principale per cui venivo spedito in collegio a quattrocentosessantacinque miglia da casa in un altro stato e oltre il mare, mi sembrava un po’ una contraddizione.
Sentii gli occhi pizzicare al ricordo delle urla di mio padre ma cercai di costringermi a non piangere. Avevo sperato in una reazione diversa, questo è sicuro, ma le mie suppliche non avevano piegato nessuno prima e non l’avrebbero fatto adesso.
“Alfred?” chiamai, piano, con la voce un po’ spezzata dal pianto trattenuto.
L’autista si voltò appena e nello specchietto retrovisore vidi bene la sua espressione dispiaciuta.
“Signorino, io non posso…” disse subito, immaginando che volessi chiedergli di riportarmi a casa, ma io scossi la testa, sorridendo mesto.
“Non è questo.” mormorai, rassicurandolo perché già sapevo che non dipendeva da lui ma che comunque aveva già tentato di convincere i miei, “Solo… Che scusa hanno usato?”
Da quando sono nato, credo che l’unico ad avermi voluto bene per davvero sia stato proprio Alfred, lui era venuto dall’Inghilterra apposta perché mia madre voleva avere un maggiordomo di nome Alfred nella sua villa a Parigi. I miei non avevano avuto tempo per me: mio padre era troppo occupato con gli affari e mia madre con gli amanti. Alfred mi aveva cresciuto ed era l’unico ad avermi accompagnato dalla capitale di Francia ad un’Accademia inglese sperduta nel nulla oltre la città di Exeter, nel sud-ovest dell’isola.
Alfred mi lanciò un’occhiata mesta dallo specchietto ma ripeté a pappagallo le bugie dei miei.
“Lei, signorino, è in viaggio per una scuola esclusiva per ragazzi particolarmente dotati di capacità intellettive” in una sottospecie di monastero/riformatorio per figli di papà dove vengono mollati ragazzi troppo vivaci per la buona società o semplicemente troppo d’impaccio a genitori sempre in giro “ma loro non hanno potuto accompagnarla perché sua madre ha un delicato incontro di beneficenza” l’ultimo amante che si è trovata ossia il banchiere del club del golf “mentre suo padre ha un meeting importante.” ecco, questa forse è vera.
Annuii, tornando a guardare fuori e stringendomi appena nella giacca dell’uniforme. Camicia bianca con cravatta nera, pantaloni e scarpe nere e fazzoletto bianco nel taschino della giacca nera che portava sul petto una piccola scacchiera cui sopra era ricamato il numero della classe che avrei frequentato.
Bianco e nero, bianco e nero: solo questo esisteva lì, niente vie di mezzo. O eri uno o eri l’altro, e se non volevi esserlo ti ci trasformavano lo stesso.
Mi passai una mano sul viso per essere certo di non aver pianto, ci mancava ancora quello, poi mi raddrizzai perché ormai eravamo arrivati.
Scesi dalla macchina cercando di dare una rapida occhiata in giro e notai alcuni ragazzi accanto al portone di ingresso. Erano quasi tutti per conto loro, solo alcuni camminavano accanto in coppia, e tutti erano vestiti con l’uniforme e avevano i capelli tagliati corti; molti mi fissarono per un attimo prima di voltarsi ed andarsene, con espressione quasi annoiata, e la mia depressione aumentò vertiginosamente.
Avvicinandomi all’entrata mentre Alfred scaricava la macchina, alzai gli occhi sulle finestre del primo piano e intravidi un ragazzo fissarmi attraverso il vetro. I capelli, ovviamente corti, erano castani e anche gli occhi parevano scuri ma a differenza degli altri non sembrava annoiato e non distolse lo sguardo quando mi vide. Mi guardava più con…preoccupazione? possibile?
Scossi la testa, non aveva senso, ma tornai a guardarlo proprio nell’istante in cui un altro ragazzo compariva alla finestra. Questo era diversissimo: aveva gli occhi chiari e la divisa, sì, ma la cosa che attirò la mia attenzione fu che, a differenza di tutti gli altri, aveva i capelli lunghi fino alle spalle e legati in una coda di cavallo dietro la testa.
Vidi chiaramente il moro indicarmi con la testa e il biondo annuire, entrambi facendosi cupi in volto. Si scambiarono un’occhiata.
“Signorino?”
Sobbalzai sentendomi chiamare da Alfred e mi voltai verso di lui che mi porse le mie valige poiché non gli era permesso entrare nell’edificio. Annuii e ci salutammo rapidamente, per non farmi arrivare in ritardo.
“Le auguro tutta la fortuna possibile, signorino.” mi disse piano.
Sorrisi, mesto.
“Grazie di tutto, Alfred.” sussurrai staccandomi dall’abbraccio.
Osservai l’auto fare retromarcia e poi mi voltai verso la scuola. Prima di entrare, però, lanciai un’occhiata verso l’alto: il moro non c’era più ma il biondino sì e continuava a fissarmi come se fossi stato la promessa vittima di un film horror.





Premettendo che non ho idea di come sarà questo racconto, ci tenevo a dirvi un paio di cose.
Innanzitutto, grazie a chiunque sia qui a leggere, è molto importante per me. In secondo luogo, questa storia per me è meno importante di altre due che sto pubblicando, non per la trama che mi sta molto a cuore ma per una questione di tempo, è semplicemente arrivata dopo. Non me la sento di dirvi che sarò regolare negli aggiornamenti, non ne sono sicura, e perciò prendete pure con le pinze la scadenza di pubblicazione: un capitolo ogni due settimane, ma il Lunedì (quindi il prossimo sarebbe l'8 luglio).
Non so, è una storia strana cui voglio bene senza un motivo particolare ed è la mia prima Yaoi.
A proposito di questo, la storia è segnalata sia come Yaoi sia come Shoen-ai, non è una contraddizione e con il procedere della storia capirete perché.
Grazie mille a tutti.
A presto!
Agapanto Blu

  
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