CAP. 1 - Luna piena
Il volume della musica era
altissimo, Caterina si sentiva le orecchie trapanate, ma i suoni erano
distorti, lontani. La massa di giovani si muoveva indistintamente e la ragazza
seguiva i movimenti dei vicini, come trascinata da un’onda irrefrenabile.
Aveva un forte mal di testa e,
quando le luci diventavano psichedeliche, si sentiva sul punto di svenire.
Caterina non aveva più cognizione del tempo, forse era l’una, o le due, le tre:
di certo era tardi.
Era entrata verso le undici e
mezza e subito aveva piombato un drink. Poi un altro e un altro ancora fino a
perderne il conto. In quel momento era armata di una bevanda fortemente
alcolica di colore bluastro e aveva intenzione di finirsi anche quella,
nonostante si vedesse due mani traballanti con due bicchieri al posto di una
sola. Si stava portando il bicchiere alla bocca quando qualcuno la prese per il
braccio con cui doveva bere e se la trascinò dietro, portandola fuori dal
locale.
- Ehi! Lasciami finire di bere!-
disse Caterina biascicando le parole.
- Dobbiamo andare a casa prima che
tu ti faccia qualche altro ragazzo- rispose Rebecca, un’amica, incaricata di
rimanere abbastanza sveglia, e sobria, per portare fuori il gruppetto senza
perdite.
Rebecca recuperò anche gli altri
due, Federico e Gianluca, che erano alle prese con un buttafuori perché si
erano messi a fumare una paglia fuori dall’area fumatori.
Rebecca condusse il gruppo
lontano dalla discoteca, concentrandosi per evitare di perdere qualcuno per la
strada.
Percorsi cento metri, Caterina si
sentì improvvisamente male e perciò si dovette appoggiare al muro per non
cadere. Si portò le mani alla pancia, come se stesse per vomitare; il drink
però glielo aveva finito Gianluca appena usciti dalla discoteca. La ragazza
alzò la testa e volse lo sguardo alla luna piena, poi sgranò gli occhi.
Si sentì come trasportata in
un’altra dimensione e apprese molto dalla Luna. Vide fitte foreste ricoprire
ripide montagne, branchi di lupi che cacciavano prede con strategie differenti
ma efficienti, percepì l’odore di sangue che quei lupi avevano seguito per
raggiungere la vittima, ma anche il sapore del sangue e la soddisfazione
provata nel nutrirsi dell’animale tanto cercato. Udì anche i suoni della
foresta, gli ululati di trionfo dei predatori e il canto spaventato degli
uccelli in fuga. Comprese infine le leggi che regolavano la vita selvaggia,
come quella del più forte, che è senza paura perché non teme nessun altro ed è
proprio quello che regna. La Luna, prima di lasciarla andare, le suggerì un nome
nuovo, quello che avrebbe dovuto adottare al posto del precedente. Il nome era
Nykla.
La ragazza tornò bruscamente in
sé e a vederla avrebbe fatto paura perché era mezza chinata, con gli occhi
spiritati e lucidi che i suoi amici interpretarono come un effetto dell’alcol.
Nykla, però, non aveva più quel fastidioso mal di stomaco e il mal di testa
sembrava che le fosse passato. Anzi, adesso aveva una vista più stabile e
acuta, i suoni li sentiva meglio e il ronzio alle orecchie era passato, oltre
al fatto che il suo olfatto sembrava potenziato: migliaia di odori affollavano
il suo cervello, che stava per scoppiare a causa dell’arrivo impetuoso di tutte
quelle sensazioni. Nykla fiutò i sentimenti che animavano gli animi degli amici
e avvertì paura mista a preoccupazione.
- Cate, ma quanto hai bevuto? Ti
brillano gli occhi!- esclamò Federico, mezzo ubriaco.
- Parla lui! Guarda che ti ho visto
quando ti sei preso di nascosto due bicchieri di quella bibita che avevano
portato al tavolo, eh!- urlò Gianlu, che era completamente fuori di testa.
- Ma cosa? Non mi prendere in giro,
non ci provare neanche! Appena ti prendo...- rispose veemente Fede inseguendo
l’amico.
I due si allontanarono litigando
e Rebecca, non sapendo cosa fare, si rivolse a Nykla:
- Che cos’hai, Cate?-
Nylka non si sentiva per niente
bene, provava dolore alle ossa, le si erano contratti tutti i muscoli e aveva
il fiato mozzato.
- Io sto bene, non ti preoccupare
per me, recupera gli altri due e torna a casa.-
- Non ti posso lasciare sola, hai
bevuto come una spugna!- rispose preoccupata l’amica.
- Fai come ti ho detto!- gridò
Nykla, per quel che poteva.
Rebecca la guardò dubbiosa, ma,
notando uno strano bagliore nei suoi occhi, ubbidì.
Nykla si allontanò
precipitosamente, uscendo da Bardonecchia, paesino del Piemonte dove aveva
sempre abitato. Stava procedendo a stenti e, quando a un certo punto le mancò
il fiato, si appoggiò a terra con una mano e urlò. Provò un dolore lancinante
quando si sentì spaccare le ossa, per poi deformarsi a loro piacimento.
S’ingrossarono i muscoli, si ricoprì di un fitto pelo, si strapparono i vestiti
e le sua urla si trasformarono in latrati e guaiti. Le si deformò il viso e
avvertì che la spina dorsale le si era allungata fino a creare una coda.
S’impennò e ululò rabbiosa alla luna e scappò nella foresta.
Nykla correva furiosamente,
graffiandosi con rametti di arbusti del sottobosco. Quando un anziano signore
le si parò davanti con un fucile da caccia, lei, senza pensarci un secondo, gli
saltò addosso strappandogli il fucile con una zampata e lo morse a una spalla. Era
partito un colpo, ma l’aveva colpita solo di striscio, fortunatamente.
L’uomo cacciò un urlo e il suo
cane saltò addosso all’aggressore del padrone. Essendo un pastore tedesco, dava
del filo da torcere alla lupa, che però, essendo molto più grande di lui,
riuscì a cavarsela abbastanza bene. Il cane le azzannò un fianco e lei,
mollando la presa sul vecchio, afferrò il collo del cane e del sangue iniziò a
sgorgare dalla ferita. Il cane uggiolò ma serrò la mandibola, così Nykla fu
costretta ad addentare il muso dell’avversario e a strattonare per toglierselo
di dosso. Con questa mossa, però, il pastore tedesco strappò della pelle e del
pelo alla lupa, che ululò di dolore, lasciando la presa. Nykla, allora,
furente, si girò ringhiando verso il cane, che tentava di ritirarsi, ormai in
fin di vita, e gli saltò addosso, lo azzannò e, scuotendo la testa, lo percosse
fino a ucciderlo. Iniziò a sbranare la vittima, poi si ricordò dell’uomo che
nel frattempo, ferito e sanguinante, cercava di trascinarsi verso il fucile.
Nykla, rapida, lo aggredì e pose fine alla sua vita. Era molto affamata, così
divorò forsennatamente i due cadaveri, spargendo sangue e lasciando solo le
loro ossa.
Nykla, mossa da sentimenti
contrastanti, tra cui compassione, orrore e ripugnanza, generati dall’azione
appena compiuta, fuggì velocemente dalla scena del delitto. Dopo un chilometro
di corsa ininterrotta, la lupa iniziò a sentirsi stanca e indebolita dalla
lotta, anche perché aveva perso molto sangue da quella ferita al fianco.
Stremata, si accasciò a terra e svenne ritornando alla sua forma umana.