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Autore: Cali F Jones    26/06/2013    1 recensioni
È sempre stata questa la tortura dell'artista. Amare ciò che non potrà mai essere raggiunto.
Una breve one-shot sull'amore irrealizzabile di un artista.
{UsUk - con un piccolo accenno di FrUk.}
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per Amaretta,
in realtà avrei voluto fare una cosa più carina e scriverti questa fanfiction su carta e mandartela a casa per posta, ma tra operazione e madre rompimaroni non ho avuto il tempo di fartelo entro mercoledì scorso. Lo so, è un po' una cagata, porta pazienza, l'ho scritta in dieci minuti. È solo che ultimamente sei sempre giù di morale ed agitata per la maturità e mi dispiace un sacco sentirti così abbattuta, soprattutto sapendo quanto effettivamente ti impegni e quanto poco i tuoi sforzi vengano ripagati. Ecco, tutto questo per dirti di tenere duro un altro po', poi è finita e dall'anno prossimo finalmente farai quello che ti piace veramente. E non preoccuparti troppo per questa cavolo di maturità, so che ne uscirai bene e, se così non sarà, non ti abbattere, vedrai che facendo quello che ti piace avrai modo di riscattarti e far vedere a tutti quanto vali. I voti non fanno la persona, non andare in paranoia per questo, perché, davvero, non ne vale la pena.
Forza e coraggio, Amaretta. Io credo in te e lo sai che quando hai bisogno puoi sempre contare su di me, anche solo per sfogarti.
Spero che questa storiella ti piaccia e ti tiri un po' su di morale.
Ti voglio bene ♥
Cali.


The Painter – Il Pittore

 

La pioggia batteva insistentemente contro i vetri dell'abitazione. Le gocce d'acqua scivolavano lungo la superficie liscia, lasciando dietro di sé una sottile scia di condensa che si andava a fermare quando incontrava gli infissi delle finestre.
Arthur sospirò, richiudendosi la porta alle spalle. Si tolse le eleganti scarpe di camoscio nell'ingresso, prima di passarsi una mano tra i capelli madidi di pioggia. Appese il suo impermeabile di Burberry alla gruccia e si avviò al piano superiore, intenzionato a cambiarsi gli abiti bagnati.
Indossò una semplice camicia bianca e un paio di pantaloni neri, ormai vecchi e logori di qualche anno. Scese nuovamente in salotto e tutto ciò che fece non era altro che parte della sua routine quotidiana: si preparò un tè caldo che sorseggiò con la dovuta calma, sfogliando il quotidiano locale e perdendosi, di tanto in tanto, ad osservare il panorama fuori dalla finestra.
Il cielo era plumbeo e un lieve foschia rendeva vaghi i contorni e indefinite le forme. Arthur sospirò ancora una volta.
Mise la tazza ormai vuota nel lavabo e si avviò nel suo studio.
«Alfred, sono tornato.»
La sua voce, stranamente briosa, risuonò nel corridoio vuoto. Aprì la porta dello studio e lì lo vide.
«Sapevo di trovarti qui, come al solito.»
Sorrise all'affascinante figura seduta in poltrona, intenta a leggere un libro che riportava in rilievo sulla copertina il titolo “Macbeth”.
«Non avrei mai detto che fossi un tipo da Shakespeare, sai? Ti ho sempre immaginato come un americano rozzo e stupido che legge solo fumetti. Stai cercando di farmi ricredere?»
Dall'altro non arrivò alcuna risposta. Rimaneva lì, assorto nella sua lettura, come se nemmeno la fine del mondo avesse potuto distrarlo o comunque interrompere quel flusso di pensieri ed emozioni che, come un fiume in piena, una lettura così profonda poteva provocare nella sua mente apparentemente semplice.
Arthur si rimboccò le maniche fino al gomito, prese la tavolozza e, una volta sedutosi di fronte alla tela, iniziò a tracciare con maestria e finezza delle sottili linee di colore che andavano a definire e dare forma a quella piccola opera d'arte.
«Oggi Francis mi ha chiesto di uscire con lui. Hai presente Francis, no? Quello dell'ufficio contabilità. Certe volte è insopportabile quel tipo, ma credo che gli darò questa soddisfazione. Così almeno la smetterà di insistere e darmi sui nervi. Tu che ne pensi? Ho fatto bene ad accettare?»
Così dicendo, aiutandosi con un avambraccio, ma senza posare né pennello né tavolozza, si scostò, con un gesto di stizza e uno sbuffo scocciato, i capelli dalla fronte. Alfred non rispose. Sollevò appena lo sguardo.
Il pennello scivolava sulla tela, con infinita lentezza, come gocce di pioggia sul vetro. Quello sguardo che Alfred non aveva si delineò, pennellata dopo pennellata, rivolto ad Arthur. Ed una sottile linea rosata si sollevò appena, verso le gote un po' tirate. Lo sguardo non più diretto sul libro, un lieve sorriso ad increspargli le labbra.
Era così bello, così vivo. I suoi capelli color del grano, i suoi occhi azzurri come il cielo limpido. Sembrava il figlio di Madre Natura. Più vero e ricco di colori di tutto il grigiore che dominava costantemente la vita del suo creatore. E lo guardava. Oh, lo guardava come se al mondo non avesse desiderato altro che lui.
Ed Arthur si perdeva in quel sorriso, in quello sguardo, lo incrociava in ogni istante e, talvolta, allungava una mano per sfiorare quel viso, percepire la delicatezza della pelle dell'altro sulla punta delle proprie dita. Poi queste, inevitabilmente, incontravano la tela e gli occhi smeraldini dell'inglese si riempivano di lacrime. Avrebbe dato la vita per essere trascinato nel mondo del suo immaginario, lontano da quella tetra e grigia realtà, insieme a quel ragazzo a cui aveva dato vita e a cui aveva legato imprescindibilmente la propria.
È sempre stata questa la tortura dell'artista. Amare ciò che non potrà mai essere raggiunto.

  
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