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Autore: A q u i l e g i a    26/06/2013    0 recensioni
Fiordoropoli.
Quella che vede le vicissitudini di Ayden e Kim, due ragazzini della terza media, è una semplice scuola. 
Probabilmente è stato il destino ad unire questi due giovani. Forse accompagnato dalla fortuna e dal desiderio.
Insieme, accompagnati dagli amici di sempre, vivranno emozionanti avventure all'interno di una delle città più magiche ed affascinanti.
Rifacimento di una mia vecchia long. Spero, di cuore, che non l'abbiate letta. Faceva schifo.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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La terza fermata

 

 

«Ho detto di no!», disse amara una donna alta, bionda, con un grembiule legato alla vita. Dirglielo le costava più di quanto sua figlia potesse immaginare, ma non poteva fare altrimenti.

«Ma mamma! Ti prego, sarà solo per l’ammissione alle gare!», ribatté Kim, implorando la donna mentre questa tritava le cipolle.

«Kim, non pensare che sia io a non volerti prendere un Pokémon », rispose la madre, molto amareggiata. «Il problema sono e saranno sempre i soldi...».

«Ma l’iscrizione è gratuita!», tentò di ribattere la ragazza, impuntandosi.

«Ma da dove hai intenzione di prendere il tuo compagno? Dalla spazzatura?», rispose un po’ seccata.

«Però tu hai avuto il tuo primo Pokémon alla mia età!», obiettò seria la ragazza. «E Janice? Lei ha un Vulpix. E non lo ha preso per strada, glielo avete comprato voi!».

«Kim...», mormorò pentita Kenna mentre la figlia le voltava le spalle, rinchiudendosi in camera sua.

 

Erano passate due settimane dall’inizio della scuola e le iscrizioni al torneo stavano per concludersi. Kim, volendo partecipare, aveva continuato a fare pressioni su sua madre per tutto il tempo.

 

Kim si guardò intorno. La sua stanza era vuota; mancava qualcosa, o meglio, qualcuno.

La famiglia di Kim, gli Yasaga, non aveva mai avuto molti soldi. Tutti insieme vivevano in una casa nella periferia di Fiordoropoli, su Koryo Road. La zona, molto povera, era una degli aspetti più tristi della grande metropoli. Questa contava quasi cinque milioni di abitanti, pertanto era molto popolare e visitata. Vantava un storia secolare e numerose attrattive che incuriosivano turisti provenienti da ogni zona del mondo. Nessuno, però, visitava Koryo Road, né le altre zone come quella. Kim aveva sempre dovuto fingere, sin da quando si era trasferita. Sempre. Ormai era Chie Street il posto in cui tutti credevano vivesse. Nella sua vita non aveva mai potuto avere un’amicizia così forte da poter rompere quel muro di menzogne e aprire il suo cuore.

 La giovane, seduta sul letto, giocherellava con la sua collana. Le ricordava momenti felici. L’abbraccio di sua madre, le estati al mare e in montagna, sua nonna. Ma ormai quell’armonia era andata a farsi benedire.

«Mi manca Zafferanopoli», pensò cupa la ragazza. «Come vorrei tornare dov’eravamo», continuò a pensare, con gli occhi lucidi. «Mi manca la felicità», sussurrò a se stessa nel buio della stanza dalle persiane semichiuse.

 

Kim sentì improvvisamente aprire la porta. Si asciugò le lacrime e vide un Cleffa, quello di sua madre. Non sopportava vederla piangere. I Cleffa, si sa, hanno un animo dolce e gentile, e Py non era da meno.

 «Vieni, Py…», sollecitò Kim a bassa voce, col tono smorzato dalle lacrime.

Il piccoletto non se lo fece ripetere due volte e, come se volteggiasse nell’aria, si avvicinò alla ragazza saltandole in testa. Kim sorrise e cominciò a coccolare il Pokémon Stella come se non avesse altro amico al mondo.

 Malediceva il giorno in cui si era trasferita a Fiordoropoli, ma se non altro aveva trovato Py. Aveva sempre saputo che non le apparteneva e che il piccoletto amava con tutto il suo cuore Kenna, sua mamma, ma in fondo lo considerava suo.

 «Kim, la cena è pronta!», urlò la madre dalla cucina.

Kim prese in braccio Py e scese dal letto ancora un po’ giù di morale ma, appena chiuse la porta dietro di sé ed entrò in cucina, notò un uomo. Questo si girò di scatto. Aveva gli occhi di uno splendido color nocciola e il suo sguardo era uguale a quello di nessun altro. Kim non riuscì a mascherare la sua immensa felicità e con una gioia incontenibile mise giù Py, correndo ad abbracciare suo padre. L’uomo ricambiò, stringendola come mai prima di allora. La ragazza si lasciò scappare una lacrima dalla commozione.

«Papà...», disse lei con una felicità incontenibile. «Mi sei mancato da morire!».

 

Erano più di quattro anni che Kim non vedeva suo padre. Harris, così si chiamava, era stato impegnato al fronte per un periodo molto lungo e nella sua vita aveva visto le sue figlie esclusivamente nella prima infanzia.

 «Hai finito di combattere, papà?», continuò a chiedere Kim al padre, ancora incatenato alla figlia, che piangeva dalla gioia. L’uomo la guardò negli occhi e il suo sguardo si fece serio.

«No, piccola mia. Purtroppo non è ancora finita».

Kim venne colta da un brivido di tristezza che le percorse la schiena. In un attimo divenne furiosa. Non sapeva se ce l'avesse con il padre o con la guerra che logorava il mondo da tempo immemore. In un istante si staccò dal padre e con rabbia e precipitò fuori di casa, uscendo in strada.

 Non riusciva a crederci. Era furiosa, con tutto il mondo e l’universo. Come poteva non avere il diritto di stare con suo padre? Chi era quell’essere maligno, che la privava della gioia di avere una vita normale? Chi era ad impedirle di essere felice?

Queste domande la tormentavano. Era in preda ad una rabbia terribile che la fece perdere tra le strade della città. Eppure non le importava, non voleva tornare in quella casa. Non voleva più tornare a soffrire.

 

Sentiva il bisogno di sfogarsi, di poter piangere senza nascondere il viso in un cuscino e poter urlare, se solo lo avesse voluto. Aveva bisogno di un vero amico.

Si diresse verso la stazione metropolitana più vicina: voleva prendere il primo treno che le capitasse a tiro e scendere in un luogo qualsiasi, senza nemmeno dare un’occhiata alla mappa delle linee.

Senza nemmeno curarsi del biglietto, salì sulla carrozza senza pensare a niente.

Seconda fermata, poi a sinistra. Scendi. Terza fermata e poi prendi l’uscita.” «Non so dove arriverò, ma è la che devo andare!», pensò Kim mentre guardava assente fuori dal finestrino. Lo spettacolo era mozzafiato. Il vagone viaggiava sui binari come sospeso nell’aria: era come volare. Tutte le luci della città rendevano l’atmosfera particolare. I grattacieli, che costellavano il centro, davano un tocco di classe alla città. Nella sua mente ripeteva come un mantra il percorso da seguire e si ritrovò all’uscita della fantomatica “terza fermata”.

Non sapeva dove fosse, né tantomeno dove si stesse dirigendo. Ma non era a casa sua e questo le bastava.

Uscì dalla stazione. Sentì una lieve brezza accarezzarle il viso. Percorse il sentiero asfaltato che l’avrebbe condotta verso un nuovo, sconosciuto, destino. È vero, forse questo sfogo l’aveva allontanata semplicemente da casa, ma chissà cosa la stesse in quella strada.

 Kim lesse il cartello che indicava la via: “Takumi Road” .

Il nome tuonò nella sua mente, come se lo avesse già udito in precedenza. Forse alla televisione, eppure sapeva che non poteva essere così. Percorse la strada affollata di persone. Erano tutte dirette verso il centro e le sembrava di risalire un fiume controcorrente. In un breve istante i suoi occhi caddero sulla curiosa insegna di un locale “Strappa e non piangere”. «Penso si riferisca alla ceretta, ma se fosse mio il negozio, mi vergognerei!», pensò Kim trattenendo una risata. Poi capì perché l’insegna non le risultasse nuova. Non l’aveva mai vista, ma ne aveva sentito parlare. Non aveva neanche in mente chi fosse stato, ma sapeva solo che abitava là.

Attraversò in fretta la strada, schivando con agilità le macchine e procurandosi le imprecazioni degli autisti. Però lei non se ne curò: era più importante raggiungere l’altro lato della strada. Guardò il citofono dell’edificio sopra il centro estetico e lesse tutti i cognomi sui campanelli. Nessuno dei cognomi scritti le pareva familiare. Decise quindi di andare alla cieca. Ne premette uno a caso: se era destino avrebbe premuto quello giusto.

In un istante si rese conto di quanto fosse ridicola quella situazione. Incosapevolmente aveva ingigantito la cosa e aveva reputato quella sua breve fuga in città come una vera e propria evasione. Così si ritrovò a ripudiare la sua idea di correre verso il destino: era stata così sciocca.

Alzò il dito da uno dei campanelli su cui stava per premere. Si voltò e si sedette sul rialzo in marmo dell’edificio, portandosi la testa fra le mani.

 «Kim?», domandò una voce familiare. «Kim, sei proprio tu?».

La ragazza alzò lo sguardo voltandosi, convinta che fosse stata la sua immaginazione a parlare. Le lacrime le scendevano dagli occhi. Vide sfocata una figura maschile alta, bella.

 

«Kim, ma che...», continuò la voce.

La ragazza mise a fuoco e riconobbe Ayden davanti a sé. Non si era mai sentita così in imbarazzo. Non le era mai capitato di piangere di fronte ad una suo amica, figuriamoci davanti ad uno maschio! Però non ce la faceva più, ne aveva bisogno: cominciò a piangere e abbracciò con foga Ayden, facendolo indietreggiare per via del peso. Nel pianto Kim confessò tutto all’amico: di dove abitasse, del perché non avesse un Pokémon, del perché mentisse. Ayden si sentì commosso. La guardò negli occhi e, come se fosse un’amica di vecchia data, la invitò ad entrare. Kim si sentì tremendamente in imbarazzo di fronte alla persona sul quale aveva riversato anni di sentimenti repressi, ma nello stesso tempo si sentiva come se avesse impedito ad una bomba ad orologeria di esplodere nel suo cuore.

 

Ayden le offrì una cioccolata e si sedette accanto a lei sul divano.

«E i tuoi non ci sono?», domandò innocentemente Kim al ragazzo che stava per prendere il telecomando della televisione.

«No, sono andati a Violapoli per far visita a mio zio Chad. Forse è un bene che io non sia andato con loro, no?», insinuò lui, guardandola con un sorriso. La ragazza annuì dolcemente e cominciò a bere con una velocità impressionante la cioccolata.

 «Sì... Io la bevo così!» rispose sorridendo Kim notando l’espressione sconvolta di Ayden. «So di sembrare un po’ troppo altezzosa, ma è solo apparenza, fidati!».

 Ayden sorrise. «I tuoi saranno preoccupati...».

«Sì, hai ragione. Prima, però, voglio andare a fare una passeggiata notturna» , affermò la ragazza, indicando al ragazzo che s’erano fatte le undici.

Ayden allora annuì e le aprì la porta per uscire.

 

I dodici rintocchi dell’orologio segnarono l’arrivo della mezzanotte.

«Non credi sia ora di rincasare?», domandò Ayden alla ragazza.

«Forse. Ormai c’è poca gente in strada e i negozi che mi interessano sono chiusi...», rispose lei un po’ malinconica.

«Beh, ma il sexy-shop è aperto ventiquattro ore su ventiquattro! Siamo davvero fortunati!», scherzò Ayden ammiccando.

Kim, in tutta risposta, rise, dando un'amichevole gomitata all'amico.

 

D’un tratto però, in una silenziosa via del centro solitamente poco frequentata nelle ore notturne, un gemito simile ad un lamento si fece strada nell’ombra.

«Hai sentito?», domandò Kim sottovoce.

«In queste vie può succedere di tutto, non puoi neanche immaginarlo...», ribatté lui.

«No. Sono sicura che si tratti di un Pokémon. Sembra in pericolo! Ne sono certa!», obiettò allarmata.

Si addentrò nelle tenebre e sentì i lamenti intensificarsi, diventare sempre più forti e violenti, prima di essere smorzati da un rumore ancora più assordante.

 Kim ed Ayden si guardarono per un istante. Il ragazzo capì immediatamente la situazione e sibilò: «Bracconieri!».
 


 Nido delle aquile

Beh, a causa di numerosi problemi legati alla scuola, allo studio, al tempo e altre morbosità, non mi sarà permesso di aggiornare, almeno per un po' di tempo. Ahimè così è la vita, che devo farci, io? Ringrazio di cuore la cara e vecchia (ora vedi che mi picchia (?)) Class, sempre buona e paziente con me ♥

Dunque mi dileguo, sperando di poter portare a termine questa long :)

 

BaiBai!

-Saku-

  
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