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Autore: HisLovelyVoice    26/06/2013    3 recensioni
Un battito.
Ho bisogno di un battito.
Ho bisogno di un battito del mio cuore per provare a me stessa che sono viva.
Ma questo battito non lo sento. Dentro sono morta davvero. Sono solo un involucro di pelle senza anima che si trascina avanti tutti i giorni da ormai un mese. Uno schifoso mese che avrei preferito passare con la mia famiglia.
Credo che ormai non ci sia nulla da fare. Non penso che ritroverò mai la felicità. [...]
«Come ti chiami?» Mi chiede inclinando la testa da un lato.
«A cosa ti serve sapere il mio nome se domani lo avrai già dimenticato, insieme al nostro incontro?» Domando seria.
«Non ti dimenticherò facilmente. Sei impressa nella mia mente da ieri.»
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STORIA SOSPESA PER MOTIVI PERSONALI. SCUSATE.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Caro diario,
oggi si ricomincia.
Si ricomincia con gli insulti.
Si ricomincia con le umiliazioni.
Si ricomincia con i sorrisi finti.
Si ricomincia con le bugie.
Si ricomincia con i “sto bene” quando in realtà sto sanguinando dentro e fuori.
Si ricomincia con i numerosi braccialetti per coprire i tagli.
Si ricomincia con i pianti improvvisi nascosti in classe.
Si ricomincia con la musica nelle orecchie ogni istante libero.
Si ricomincia con i compagni che ti etichettano in base all’aspetto.
Si ricomincia tutto.

 
Mi alzo dalla sedia, infilo dentro lo zaino il diario e sono pronta fisicamente per andare a scuola. Esatto, fisicamente. Psicologicamente ancora no, e non credo che lo sarò mai. La scuola è un luogo dove i ragazzi non si fanno scrupoli ad insultare e a umiliare ragazzi come me. Ragazzi problematici, asociali, “sfigati”, stranieri o semplici non si troveranno mai bene a scuola.
Mi guardo allo specchio e devo ammettere che forse avrei potuto fare di meglio. Indosso una maglietta nera a mezze maniche dei Metallica e un paio di pantaloni di pelle. Ma sinceramente non mi importa più di tanto. L’importante è andare a scuola e sopravvivere.
Prendo un respiro profondo e indosso un sorriso finto. Perfetto, sono pronta. Scendo le scale e arrivo in cucina dove mia nonna sta facendo le parole crociate.
«Buongiorno nonna.» La saluto fingendomi allegra. Lei alza lo sguardo e mi sorride.
«Buongiorno Eleanor. Pronta per il primo giorno di scuola?» Mi chiede dolcemente. Annuisco, anche se in realtà non lo penso. «Sai, anche David va a scuola dove vai te, potreste andare insieme.» Sbarro gli occhi. Non solo dovrò vederlo a casa, ma anche a scuola! Non ce la posso fare, questo è poco ma sicuro. Cerco di inventare una scusa, non voglio andare a scuola con quell’acido.
«Emmm… ieri mi ha detto che di solito esce presto la mattina per… per andare a correre…? Si, per andare a correre!» Dico annuendo, per dare più enfasi alla mia bugia. Mia nonna alza un sopracciglio.
«Tesoro, non sai mentire.»
Certo, io non so mentire.
Allora come mai non hai mai scoperto che mi taglio?
Come mai sei sicura che stia bene?
Come mai pensi che ieri sia andata in giro con David?
Come mai pensi che oggi sono pronta per andare a scuola?
Questo vorrei dirle, ma non posso.
«Hai ragione nonna. Non è vero che va a correre. Però lui ieri mi ha detto va con i suoi amici, e mi sentirei furi posto.» Dico cercando di farle cambiare idea.
«E perché non me lo hai detto subito?» Chiede lei dolcemente.
Perché anche questa è una bugia.
«Non lo so, scusa.»
«Ti accompagno io?» Si offre, ma scuoto la testa.
«No, tranquilla. So dove è la scuola, ci vado a piedi.» Dico sistemando meglio la tracolla.
«Va bene. Buon primo giorno di scuola.»
«Grazie. Ci vediamo a pranzo.» E così dicendo esco di casa e finalmente mi sento libera. Avrei voglia di urlare, di liberarmi del peso che ho nel cuore. Ma penso mi prenderebbero per una matta, e quindi è meglio di no. Prendo un respiro profondo e mi incammino verso scuola.
Arrivo velocemente vicino al cancello. Vorrei entrare, ma è ancora chiuso, così mi appoggio a un muretto chiudendo gli occhi.
«Ma allora mi perseguiti!» Esclama una voce. Sobbalzo, il cuore mi sta battendo all’impazzata. Apro gli occhi e vedo David.
«Che vuoi?» Chiedo acida.
«Cosa voglio io? Cosa vuoi tu! Perché ti sei trasferita qua da tua nonna? Perché vieni alla mia scuola? Perché non mi lasci in pace?» Domanda esasperato avvicinandosi.
«Sentimi un po’ idiota! Uno, non sai nulla di me. Due, la scuola non è tua. Tre, io vado dove mi pare, non mi metterò ad ascoltare un deficiente come te!» Esclamo puntandogli il dito conto.
Lui scoppia a ridere insieme a tutti i suoi amici.
«Sei solo una piccola mocciosa.» Dice prima di allontanarsi seguito dai suoi cagnolini.
Bene, non sono ancora entrata a scuola e già la giornata si sta rilevando uno schifo.
Prendo un respiro profondo e mi rendo conto che posso entrare. Così metto un piede davanti all’altro ed arrivo all’ingresso. I ragazzi spingono per entrare, come se dentro ci fosse un tesoro. Io tranquillamente mi dirigo alla bacheca e cerco la mia classe. Scopro che il quarto A è al piano terra.
Mi incammino verso la classe e, con mio grande orrore, scopro di essere capitata con David.
«Non è possibile!» Esclamo, e tutti quanti si girano verso di me. Anche David mi guarda e sbarra gli occhi.
«Smettila di perseguitarmi!» Dice lui alterato. Sbatto gli occhi sconcertata.
«Lo vuoi capire che non ti sto perseguitando?» Quasi urlo. «Io non ti sopporto, pensi che venga volentieri qui in classe tua? E poi non sei il centro del mondo, non ruota tutto intorno a te.» Dico posando lo zaino sopra un banco singolo vuoto. Poi mi siedo sulla sedia, pronta per iniziare il mio primo giorno di scuola. O meglio, il mio primo giorno di prigione.
Le lezioni passano più lente che mai, e scopro di dover recuperare molte cose che nella mia scuola non avevo fatto, soprattutto riguardo inglese.
«Potresti chiedere aiuto a qualche compagno.» Propone il professore. «Qui ci sono molti ragazzi particolarmente intelligenti.»
«Ma non conosco nessuno, non mi sembra il caso di disturbarli.» Cerco di dire, ma qualcuno mi interrompe.
«Non è vero che non conosce nessuno, conosce David.»
Okay, io ammazzo chiunque abbia parlato. Mi giro e vedo un ragazzo dai capelli neri con dei lineamenti orientali sorridere.
Vi prego, tenetemi, oppure lo strozzo.
«Bene, allora potrete lavorare insieme.» Dice il professore soddisfatto di avermi condannato a morte.
«Professore, ma io non lo conosco bene, ci siamo conosciuti ieri.» Provo a dire.
«Professò, ha ragione lei.» Concorda David, e per la prima volta siamo d’accordo su qualcosa.
«Non voglio obiezioni, lavorerete insieme.» Dice, e il mondo mi crolla addosso. Non ce la posso fare.
Vi prego, venitemi a salvare da questo incubo, non voglio lavorare con quell’essere.
Sospiro. Ormai il professore ha deciso e non possiamo replicare.
Durante la ricreazione vado vicino al ragazzo orientale.
«Non so cosa ti sia venuto in mente, ma giuro che questa me la paghi.» Sibilo a denti stretti. Lui sorride beffardo, e avrei solo voglia di prenderlo a pugni.
Scuoto la testa e mi avvicino a David.
«Io non voglio lavorare con te.» Esordisco. Lui mi guarda con un sopracciglio alzato.
«Perché, secondo te io si?» Chiede acido. Lo fulmino con uno sguardo.
«Dimmi ciò che avete fatto l’anno scorso e faccio da sola.» Dico semplicemente.
«Sai, lo farei anche, ma quello stronzo ci ha sentiti e riferirebbe tutto al professore.» Dice indicando il ragazzo orientale che continua a ridere.
«Io quello lo strozzo.» Borbotto stringendo i pugni. «Quindi che si fa?» Chiedo sperando che trovi una soluzione.
«Semplice. O vengo io da te, o tu da me.»
Sbarro gli occhi. Ho sentito bene? Io non lavorerò mai con lui.
«Oh, no. Ti ho già detto che non voglio lavorare con te!» Esclamo. David sbuffa.
«Senti, tu non conosci né Jin, né il professore.» Dice abbassando la voce «Jin è un secchione del cazzo. Un leccaculo assurdo che riferisce sempre tutto ai professori. Il professore di inglese sembra simpatico, ma non lo è. Quello alla prima opportunità ti mette un impreparato. E non mi meraviglierei se ci mettesse un due solo perché non abbiamo lavorato insieme. Quindi facciamo come ho detto io.» Conclude.
Sospiro. Beh, da come ha descritto Jin e il professore, penso non mi convenga provare a ribattere.
«Vieni a casa mia oggi pomeriggio alle quattro?» Propongo un po’ schifata. Lui annuisce.
«Va bene.» E dopo aver detto questo si allontana con i suoi amici.
Torno al mio posto, tiro fuori dallo zaino il mio mp3 e inizio ad ascoltare un po’ di musica.
Nessuno mi disturba e gliene sono grata. Parlare è l’ultima cosa che voglio.
Finita la ricreazione sono costretta a togliere le cuffiette.
Entra una professoressa molto alta mora con un sorriso molto affettuoso. Mi guarda e capisce che sono nuova.
«Oh, tu devi essere Eleanor.» Esordisce senza smettere di sorridere. Annuisco. «Bene, io sono la professoressa Bennett, insegno matematica e fisica.»
Un colpo al cuore.
Probabilmente ha smesso di battere per un istante.
Matematica e fisica, le materie che insegnava mia madre a scuola.
Le mani iniziano a tremare e gli occhi diventano lucidi, iniziando a pizzicare. Devo resistere, mi ripeto, ma non ci riesco. Sono troppo debole.
«P-posso andare al bagno?» Domando con la voce spezzata. La professoressa nota le mie mani e i miei occhi lucidi e mi lascia il permesso di uscire.
Mi fiondo fuori dalla porta e mi appoggio alla parete per riprendere fiato. Non riesco a stare calma, il respiro diventa affannato e mi accascio a terra. Delle lacrime iniziano a rigarmi il volto e non faccio nulla per impedirglielo, le avevo trattenute troppo a lungo.
La mia vita fa schifo.
Perché va tutto male?
Perché ora sto anche in classe con quell’essere spregevole comunemente chiamato David?
Perché la fortuna non gira mai dalla mia parte?
L’unica cosa che voglio ora è abbracciare Taylor. O meglio, il ragazzo che si fa chiamare da me Taylor. Lui mi capisce, anche se ci conosciamo da un giorno siamo più legati di chiunque altro: il suo passato è il mio presente.
Voglio parlargli di tutti i miei problemi, delle mie insicurezze, delle mie paure. Voglio essere stretta e cullata dalle sue braccia forti. Voglio che mi dica tranquilla, andrà tutto bene. Lui può dirlo, dopotutto riuscito ad uscire dalla fossa in cui era caduto.
Penso che oggi andrò nel bosco. Sicuramente lui sarà lì, così parleremo. Vorrei poter stare sempre con lui.
Mi asciugo le lacrime e mi alzo in piedi, pronta, più o meno, a rientrare. Appena apro la porta la professoressa mi guarda.
«Tutto okay?» Chiede preoccupata. Annuisco e ritorno al mio posto. «Bene, allora riprendiamo la lezione.» Okay, devo resistere solo un’ora. Posso farcela. Devo farcela.




HEI! :D
spero vi sia piaciuto il capitolo
non so che altro dire .-.
vi faccio solo una richiesta: se non vi piace la storia per favore, ditemelo, così vedo di toglierla c:
beh, altrimenti alla prossima! :)
un bacio
Giulia xxx

  
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