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Autore: Zanna Harris    26/06/2013    26 recensioni
Estate 1945. La Seconda guerra mondiale sta per volgere al termine in via definitiva, ma tutto sembra essere rimasto immutato nella cittadina di Pasadena in California, dove la guerra è arrivata sempre e solo per radio.
Per Cindy, una ragazzina di diciassette anni estroversa e piena di ideali, che fino ad allora aveva conosciuto solo la genuinità della vita fuori dal centro, segna l'arrivo di uno sgradito individuo; un pilota premiato con la medaglia al valore per aver combattuto in solitario a Pearl Harbor. Il capitano Peter Jones è un uomo estremamente sicuro di sé e questo, a Cindy, non va proprio giù, non quando si presenta l'idea che possa diventare il futuro fidanzato di sua sorella maggiore. Non sa ancora quanto l'ingresso di quest'uomo nella sua vita da adolescente ribelle la cambierà drasticamente facendola crescere. Quanta vita può essere rinchiusa in un attimo.
"La guerra esiste ovunque, anche in amore, l'unico vantaggio che abbiamo, se sappiamo giocarci bene la carta, è il campo di battaglia".
Storia ambientata in più periodi, con tutti gli annessi e connessi di due decenni controversi che hanno fatto la storia. Troverete di tutto qui, non solo l'amore, non solo la guerra...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La luce calda del tramonto - Trilogia e non solo'
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Licenza Creative Commons
"La luce calda del tramonto" di Giovanna Costanzo è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.











Ogni riferimento alla realtà di  fatti e personaggi inventati da me, non facenti parte della verità storica, è puramente casuale. Questo è un romanzo storico verosimile e in quanto tale riprende eventi e personaggi storici reali uniti ad altri inventati da me. La trama non è stata presa, copiata, e opportunamente modificata, da altri romanzi simil genere. Ho scoperto "Il cavaliere d'inverno" grazie a questa storia, quindi se troverete citazioni a quel romanzo l'ho fatto esclusivamente per tributo e non per copia.


La storia è in fase di revisione e non escludo la possibilità di una eventuale pubblicazione futura.
Questa storia è e rimarrà per sempre parte di me e della mia anima, lo strumento con cui l'ho scritta. Qualsiasi tipo di plagio e/o riferimenti ad essa in altre, senza il consenso della sottoscritta, sarà severamente punito con la segnalazione di massa.




La storia ha partecipato agli Academy Awards EFPiniani 2014.
Ha ricevuto 9 nominations: miglior film, miglior regia, miglior documentario, miglior sceneggiatura originale, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior trucco e accionciatura, miglior sonoro, migliori costumi.

Aggiudicandosi l'Oscar per...



MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE

"L'anno scorso è toccato a Django Unchained, oggi a...

Žanna Aleksandrovna con "La luce calda del tramonto"
Per la trama elaborata e completa sotto ogni punto di vista, per l'interessante contesto storico affrontato con giudizio e perizia, per i personaggi lontani dallo stereotipo, ben costruiti e capaci di scavarsi una nicchia nel cuore del lettore.
Questa storia può essere riassunta con l'aggettivo completa, perché lo è sotto ogni punto di vista.
Una menzione meritano le articolate e splendide sottotrame che non fanno che darle più valore."


Questo premio va anche alle lettrici che non hanno mai smesso di credere in me e nelle mie potenzialità. Ho ancora molto da imparare, per ora mi sto solo allenando per affrontare un futuro in cui, spero, il mio sogno di diventare scrittrice/sceneggiatrice possa realizzarsi.
In ogni caso, se una lacrima vi solcherà la guancia come una lama e un sorriso si dipingerà sul vostro volto illuminandolo, io mi sentirò già realizzata.


Grazie per aver deciso di intraprendere questo magnifico viaggio insieme...

 






Questa storia è adatta a chi è debole di cuore, alla fine di tutto sarà più forte.













A me stessa,
ché un  frammento di me
è in ciascuno di voi

 










Parte Prima


§


 
§


Dalla Tua bocca usciranno le parole dei tulipani
e saranno i petali a tramutare i pensieri in gesti,
i battiti in brividi,
steli verso sera.
Ma non a cambiar l’intento, agile, fresco come di vento.
Non correrà il tempo, si placherà l’aria.
E staremo in quel silenzio bianco come un lenzuolo, stracciato ancora dalla nostra assenza.
Petali…
Dove l’eterno ha avuto luogo.
 
Walt Whitman, Petali, noi
 
 








La prima volta che ebbi l’onore di conoscere il capitano Jones fu in una giornata non particolarmente felice, una di quelle che cancelleresti dalla memoria solo per il semplice fatto che non ci sarebbe stato limite al peggio.
Benché il sole californiano splendesse alto, le furtive ghiandaie cinguettassero felici nel bosco e nonostante fosse il primo giorno delle tanto attese vacanze estive, mia sorella Mary aveva trovato comunque il modo per farmi sbottare dalla rabbia, senza alcuna pietà. Era sempre stata così, un DNA insopportabile.
Era più grande di me di soli due anni, ma pretendeva che io la trattassi come un’adulta, anche se, come testimoniava l’evento di quella mattina del 10 giugno, dimostrava di averne ancora cinque; aveva detto a nostra madre che ero andata da sola a cavalcare il vecchio Napoleone, allontanandomi più del dovuto.  Ovviamente una ragazzina di soli diciassette anni, e per di più di buona famiglia, non poteva permettersi di scorrazzare libera in sella ad un mustang di cinquecento chili. Dio solo sa cosa le sarebbe potuto capitare! E inoltre - Non sta bene! - come spesso affermava mia madre, ogni qual volta mi sorprendesse ad alzarmi la gonna per poter correre meglio, quando giocavo a rugby con mio fratello Tom. Così, anche quella volta, mi rifilò la stessa identica frase, dopo avermi fatto l’ennesima strigliata di capo sul portico davanti casa.
- Cynthia Veronika Harris! - odiavo quando mi chiamava così, odiavo il mio nome, e lei lo sapeva bene, non faceva altro che farmi innervosire di più, e anche questo lo sapeva bene.
- Quante volte devo ripeterti che non devi andare da sola in giro così! Neanche un’ amazzone… potresti ferirti con un ramo, cadere da cavallo ed essere calpestata in pieno volto! Rimarrebbe sfigurato a vita, Cindy! E nessun uomo prenderebbe in moglie una ragazza sfigurata! Vuoi rimanere zitella per sempre, forse? - a quell’ultima frase alzai gli occhi al cielo, annoiata da quella tiritera, ormai era diventato un disco rotto che ripeteva sempre la solita strofa del pentagramma, peccato non fosse una dolce sinfonia…
- Mamma, devi smetterla di preoccuparti così! Non sono più una bambina! So badare benissimo a me stessa e poi Napoleone è un cavallo affidabile. Non m’importa cosa dice la gente, quella avrebbe da ridire sempre e comunque, anche se andassi ad offrirmi come infermiera volontaria all’ospedale di guerra, ad assistere i nostri soldati. Io sono libera di decidere cosa fare della mia vita e... oh, sì, se questo significa essere rifiutata da ogni uomo, ben venga! Meglio esser sole a questo punto... - dissi quelle ultime parole entrando in casa come un tornado, spazzando via ogni dubbio sulla mia cocciutaggine, e sbattendo la porta dietro di me con mia madre ancora lì fuori, che magari cercava  ancora nella sua mente fatta di convenevoli e di regole da rispettare cosa ribattere, ma ovviamente non le uscì dalla bocca nient’altro che l’ennesima punizione. Con quel gesto improvviso, ma non sorprendente, attirai l’attenzione di mio padre che parlava con un uomo girato di spalle, alto e rigido come una quercia. Non mi sembrò inusuale, vedevo di continuo ufficiali dell'esercito entrare ed uscire da casa mia, soprattutto in quegli ultimi tempi, e non c'avrei badato molto senonché quell'uomo non l'avevo mai visto prima. Inevitabilmente ridestò la mia attenzione.
L'ospite era in alta uniforme e sotto il braccio destro stringeva un cappello dal quale capii dovesse appartenere all’Aeronautica americana. Era un uomo imponente, vicino ai trent’anni forse. Capelli biondi impomatati e spalle larghe, un po' come tutti gli uomini che si vedevano in giro. A primo acchitto sembrava non avesse nulla di particolare, somigliava a tanti altri che avevo incrociato di sfuggita per strada, prima che iniziasse la guerra (durante la guerra non c'erano uomini per strada), ma era incredibilmente più alto di mio padre e questo mi sorprese. Non avevo mai visto uomini più alti di lui.
Mi fissava da sopra la spalla, voltato a mezza.
Il viso glabro incorniciava alla perfezione due occhi azzurri come il ghiaccio. Due occhi profondi e penetranti, enigmatici oserei dire. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle iridi, tuttavia il mio cuore era tutt'altro che ammaliato. Sembrava un fantoccio senza emozioni, le labbra serrate e l’espressione di sufficienza che aveva assunto guardandomi mi fece innervosire ancora di più.
Che uomo altezzoso e arrogante saresti mai? Mi chiesi. Cos'hai da guardare, idiota!
Il mio litigio con la mamma li aveva interrotti da non so quale discorso, ma quasi sicuramente doveva trattarsi delle novità sul fronte di guerra. Non si parlava d’altro negli ultimi quattro anni, ma dato che ormai la Germania aveva dichiarato la sua resa da almeno un mese e, per così dire, il grosso era fatto, si discuteva (già prima del Rapporto Smyth) su come “riassettare le difese”, o su “come aiutare i Paesi che avevano ricevuto il colpo maggiore”, e sulle conseguenze delle due cosidette “bombe atomiche” che sarebbero dovute essere sganciate per far cessare quell’inferno, che ancora imperversava sul fronte del Pacifico, come estrama misura. Ovviamente quel dettaglio sarebbe dovuto essere un riservatissimo segreto militare, nessuno avrebbe dovuto sapere nulla del Progetto Manhattan, ma mio padre all'epoca ebbe una soffiata e a mia volta io lo sentii dire da lui a mia madre, una sera, origliando alla porta della loro camera da letto. A quei tempi erano solo congetture, informazioni poco chiare, qualcuno dei bassi ranghi ci scherzava su addirittura, senza sapere che davvero poi una catastrofe si sarebbe verificata. Chissà quanta potenza devono avere, poi, queste fantomatiche bombe, mi chiedevo. D’altronde, i giapponesi se l’erano cercata, non provavo molta pena per loro.
A diciassette anni di vita riuscivo ad indentificare l'infamia solo con lo straniero.
I due, notando la mia insistente presenza, si voltarono completamente con un’aria interrogativa, ma io mi limitai a lanciare un’occhiataccia fulminante prima di correre in camera mia, scalpitando rumorosamente i piedi sulle scale in mogano. La mia mente obnubilata dall'orgoglio ferito era diventata indifferente a tutto il resto.
Papà, nonostante la sua imponente presenza, era molto diverso da mia madre e, grazie a Dio, non si faceva tanti problemi per ogni stupidaggine. Malgrado fosse diventato già un uomo sulla cinquantina, la sua verve e attenzione avrebbero potuto tradire la scoperta di un elisir di lunga vita.
Reduce della Grande Guerra, era considerato un veterano per l'America e un fuggiasco politico per il suo Paese, ma a causa della tormentosa “cicatrice di guerra”, come la chiamava lui, non poté prendere parte anche a quella appena conclusasi. Anche se, sotto sotto, sarebbe partito lo stesso per fargliela vedere di nuovo a quei crucchi.
Mio padre era anche il mio eroe.
Non proferì parola, preferiva non immischiarsi nelle “questioni femminili” – Le donne, - diceva, - certe volte sono peggio di una granata, meglio non stargli attorno una volta innescate: potrebbero esplodere da un momento all’altro e fare una strage. - inutile aggiungere che però era quasi sempre dalla mia parte; quasi, ché a volte ne combinavo davvero di tutti i colori, e allora non sarebbe potuto sopragiungere nulla per scongiurarmi da una punizione. Né mio padre, né Cristo in persona se fosse sceso in terra.
Mio padre, anche in quel caso, non accennò nulla sull’accaduto, almeno non con me. Lui mi conosceva bene, sapeva benissimo che sua figlia preferiva restare da sola in casi del genere.
- Mia figlia, la più piccola… fa disperare sua madre peggio del nostro cane, povera donna!
- Bel caratterino però…
- Oh, beh, è pur sempre mia figlia, da qualcuno dovrà pur aver preso.
- Spero solo che non le spunti anche la barba, signore!
Li sentii ridere dal piano di sopra. La sua risata sovrastava quella di mio padre, tanto fosse profonda la sua voce.
Ero in camera mia che accarezzavo il nostro Sam, un cucciolone di pastore tedesco, l’unica creatuta di stirpe germanica che mio padre ammetteva in casa. Eravamo sdraiati sul letto, l'uno di fianco all'altra, e così un'altra regola di mia madre fu infranta. I cani non dovrebbero salire sui letti, sulle poltrone, sui divani, sui mobili, sulle sedie, su nulla che non concernesse un uso da bipedi… ormai avevo perso il conto dei divieti, erano diventatai troppi e dispotici alle volte, sicché poco m’importavano. Sam era il mio migliore amico e, checché se ne dicesse, esso era il mio quarto fratello.
Ritrovai la pace interiore guardando il soffitto immacolato sopra di me, quello che condividevo con l’altra mia sorella, Alexandra, la più grande. Lei era diversa da Mary, era molto più matura e gentile, spesso trovavo in lei una fidata consigliera, e confesso che l’avrei preferita anche come madre, ma mi accontentavo comunque di lei come la sorellona che si faceva rispattere con la gentilezza sicura e schietta. Purtroppo però, dacché mia sorella avesse raggiunto l’età giusta, avrebbe dovuto iniziare a pensare di mettere su famiglia con un uomo benestante e che, possibilmente, l’amasse anche. Il classico “buon partito”. Con tutte le probabilità, quell’uomo al piano di sotto, era un candidato alla sua mano. D'altronte, mi sarei stupita del contrario.
Mia sorella Alex era bella come il sole, dolce e sicura di sé, mentre io, beh, io non ero esattamente così attraente e carismatica; in realtà non ero una persona così sgradevole, insomma li avevo i corteggiatori, ma mia sorella, lei aveva qualcosa negli occhi che trasmetteva calore e sicurezza. Credevo che quando si sarebbe sistemata con una famiglia tutta sua, sarei impazzita in quella casa con la signora Harris e Mary. Fortuna che Tom non non era un pazzo isterico come loro.
 


- Alex! Cindy! Scendete, la cena è pronta! - mia madre aveva riacquistato di nuovo il buonumore, chissà perché, mi chiesi. - Stasera abbiamo un ospite con noi, il capitano Peter Jones, pilota ed eroe del nostro Paese!
Ed ecco il motivo di tanta eccitazione. Le sue parole erano così gonfie d’aria, proprio come un pallone aerostatico, per usare un eufemismo.
- Signora, la prego mi chiami Peter… non sono diverso da tutti gli altri miei compagni, abbiamo tutti servito il nostro Paese combattendo per le nostre famiglie, le nostre mogli…
"Oh, che finta modestia! sai dove pottresti mettertelo quello stupido berretto?" pensai.
- Certo, ma non è da tutti andare contro uno squadrone volante di nemici, da solo, per difendere quello che restava di Pearl Harbor! - enfatizzò il suo accento londinese mai perso su quel nome.
Mia madre continuava con i suoi elogi, cosa credeva? Di far colpo? Sembrava una di quelle ragazzine che correvano dietro a uomini che neanche le consideravano donne fatte.
- Ho solo svolto il mio dovere, tutto qui, ma la ringrazio, è un onore stare seduto al tavolo di fianco ad un vero eroe di guerra!
Quella conversazione mi stava facendo venire il voltastomaco, tant’è che diedi solo qualche morso alla bistecca e passai direttamente al dolce. Odiavo quando la gente usava convenevoli e recitava come si farebbe in un teatrino, aspettando gli applausi e i complimenti dagli altri.


A mio parere, anche oggi, non c’è nulla di più innaturale, ma si sa: dire sempre ciò che si pensa “non sta bene!”.


Se avessi avuto l’opportunità chissà quante gliene avrei dette a quel bell’imbusto, che si aggraziava mia madre e mio padre solo per poter portarsi via mia sorella. Ah, gli uomini! Sempre così sicuri di sé e sui loro discutibile mezzi di conquista.
- A proposito di mogli, - incalzò mia madre, - scommetto che ha fatto stare tremendamente in pensiero la sua fidanzata…
Forse mi stavo sbagliando, la signora Harris non avrebbe mai fatto un’affermazione del genere ad un possibile marito, di fatti un possibile marito come primo requisito non avrebbe dovuto avere già una fidanzata. Allora la domanda sul perché fosse lì sorse spontanea. Era per lavoro o altri interessi? Ad ogni modo, sperai vivamente rispondesse qualcosa come: - Sì, infatti… - la sua presenza mi stava già urtando troppo, non vedevo l'ora che se ne andasse via, a costo di sbatterlo fuori a calci.
"Sì, certo, interessante, è stato un piacere. A mai più rivederci!"
- Probabilmente se avessi avuto una donna ad aspettarmi sarebbe morta di ansia, su questo non avrei dubbi.
Purtroppo pareva che qualunque essere lassù non mi stesse affatto aiutando, ora mia madre aveva la strada spianata.
- Scusi, credevo che un bel giovanotto come lei fosse già sistemato. - mia madre parlava e ogni tanto guardava Alexandra, tentando di farle capire che doveva provarci; a mia sorella sembrava non dispiacere.
- In realtà non è la prima a dirmelo, sa'? Ma non mi reputo uno scapolo d’oro, tutt’altro, signora Harris. Vede, le donne che ho avuto sono scappate da me perché mi accusavano di essere troppo spericolato o troppo assente per i loro gusti.
Accidenti, Peter! Davvero, che sciupafemmine! Fu inevitabilmente la prima affermazione che mi giunse in mente, sempre più stufa e insofferente.
- Ma ciò non toglie che io stia cercando la donna giusta e, quando la troverò, la farò sentire la persona più felice su questa terra.
Notai che mentre parlava guardava mia sorella con un sorrisetto da sbruffone. Alexandra, rendendosi conto anche lei di quella sfrontata malizia, chinò la testa e sorrise timidamente. Che visione sdolcinata, la torta di mele di Ivette, la nostra governante di colore, non era già abbastanza dolce.
Mia sorella Mary e mia madre parevano due cagnolini scodinzolanti che avevano appena adocchiato una montagna d’ossa, pronta ad essere sgranocchiare tutta, così, da brave impiccione qual erano, colsero la palla al balzo senza farsi alcuno scrupolo.
- Forse dovreste tornare a farci visita più spesso! - civettò mia madre.
- Senz’altro! È stato un vero piacere, spero solo di non aver arrecato disturbo trattenendomi per la cena…
- Ma figurati, Peter! Un collega è sempre ben accetto nella nostra famiglia. - finì mio padre.
Il pilota sergente ufficiale dei miei stivali si riassestò il cappello in testa e, sorridente come una Pasqua, andò verso la sua scintillante auto nera.
Anche il modo in cui camminava mi dava sui nervi. Così spavaldo e impettito come un giovane galletto. E anche quel dettaglio si aggiunse all'interminabile lista immaginaria che avevo compilato quella sera sul suo conto, che partiva dal sorriso da mascalzone e finiva... no, non finiva.
Io e Tom ci guardammo e ridemmo sotto i baffi per l’assurdità di quelle due donne, e poi chi diceva che Alex fosse davvero interessata a lui? No, no di certo era il suo tipo, troppo perfetto e uguale a tutti gli altri. Non mi fidavo di lui, aveva l’aria da chi è convinto che la donna dovrebbe restare in casa a badare ai figli, quel genere d'uomo che avrebbe imposto il solito dispotismo da camerata anche con i figli e la stessa moglie. L'ufficiale in carriera e sotto le coperte.
Quell'uomo, il capitano Peter Jones, non lo conoscevo affatto, e non m'interessava neanche quale ruolo avesse ricoperto in guerra o quale medaglia avesse ricevuto, non mi fidavo. Decisi che non mi sarei presa alcuna briga affinché la nostra conoscenza potesse affinarsi, perché tra noi non vedevo come ci sarebbe potuta essere qualunque tipo di affinità. Lo detestavo a morte, questo era quanto, e molto probabilmente mi sarei fatta odiare a mia volta.
Cindy 

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