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Autore: Pozzione Polisucco    26/06/2013    8 recensioni
Lei: Valerie, due occhi azzurri, azzurri come il cielo infinito in un pomeriggio d’estate, azzurri coma la meraviglia fatta carne, azzurri come il mare più puro, azzurri come il cristallo più lucido.
Lui: Metthew, due occhi verdi, profondi, sensuali, ammalianti, brillanti, luccicanti, seducenti.
Lei: Lingua tagliente, una dura, con problemi in famiglia.
Lui: Lingua tagliente, uno duro, si prende ciò che vuole.
Riuscirà ad avere anche lei?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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Ciao a tuttii, chiedo ancora scusa per l'accaduto, ho preso un decisione, la storie è stata cancellata, non pensate male, non l'ho cancellata perchè sono stata scoperta, perchè io ho la coscienza a posto! Non ho rubato niente, non ho scritto niente che non fosse di mano mia, ho solamente chiesto aiuto a un account, che mi ha presa in giro. Chiaramente, le ho mandato un messaggio ma niente non mi risponde. Questa è nuova, il primo capitolo chi lo avrà già letto sicurmente noterà altri particolari e altri personaggi. I nomi sono diversi, come ho già detto il primo capitolo è uguale, come ho detto nelle spiegazioni dell'altra storia solo alcune parti. 

Ora vi lascio alla storia. 
Bacii la vostra Polisucco:))


Sono in mezzo al viale e guardo su, verso la casa. E’ color giallo zafferano, poggia su pali di legno, a tre metri da terra. Davanti, c’è una palma che ondeggia nel vento.
Sono le cinque di sera, mio padre è Torn, mio fratello, portano fuori gli ultimi scatoloni. Mio padre posa lo scatolone nel bagagliaio, ma come sempre mio fratello, né combina una delle sue. Fece scivolare lo scatolone, è il contenuto si sparse sul marciapiede.
“Vaffanculo” ecco vi presento la finezza in persona. Mio fratello Torn, diciannove anni, alto quasi un metro e novanta, biondo, occhi marroni chiari sfumati con il verde, che gira per il quartiere facendo occhiolini a ogni umano dotato di una quarta, è delle gambe chilometriche. 
“Moderai i termini, MonoNeurone” lo presi in giro, ridendo, lui mi rivolse uno sguardo truce, per poi farmi la linguaccia.
“Sta zitta Rompipalle” mi rimbeccò lui, ridendo.
Avevamo un rapporto abbastanza strano, in realtà sono molto legata a lui, siamo cresciuti insieme andando sempre perfettamente d'accordo e ogni volta che posso averlo intorno, sono al settimo cielo. Recuperato tutti gli oggetti sparsi sul marciapiede, lo caricò nel bagagliaio, col resto delle nostre cose.
“Ci siamo” dice nostro padre.
Io annuisco. Torn è io restiamo lì a guardare la casa, ascolto il vento che soffia tra le fronde delle palme.
“Questo posto mi mancherà” commentò il mio fratellone, portando un braccio intorno al mio collo.
“Anche a me”
Mio padre è già in macchina, pronto per partire.
“Ragazzi dai, dobbiamo andare”
Di nuovo, annuiamo. Mi mancherà questo posto, mi mancherà il sole, il caldo. Mi mancheranno i temporali spuntavano dal nulla, la quiete e il silenzio che regnano la mattina presto, prima che arrivino le rondini al mare. Mi mancherà lei. Chantal. La mia migliore amica, dai tempi degli asili.
Siamo state sempre unite, lei era la mia Coco, era il sopranome che le anfibia appena compiemmo sedici anni. Lei, iniziò a cambiare look, era sempre in tiro, sempre alla moda, sempre e dico sempre vestiti di Coco Chanel. Lei, che salutai il giorno prima, passammo una settimana insieme, a piangere. Non eravamo mai state lontane, scuola insieme, classe insieme, intervallo insieme, studiavamo insieme, vacanze d’estate, pasqua è Natale insieme. Facevamo tutto insieme. Ok, non esageriamo, non siamo mai andate in bagno insieme, no cavolo, lì voglio la mia privacy. Torn si era allontanato senza che me accorgessi, ed era già in macchina, nei seggiolini posteriori, con la testa appoggiata al finestrino e continuava a guardare la casa. Anche a lui mancherà Coco, non lo fa a vedere ma le mancherà. Si, quando stanno insieme, sono cane è gatto, sempre a punzecchiarsi,  avrei scommesso, che si sarebbero messi insieme.
“Dai Valerie, muoviti” mi richiamò mio padre.
Do un ultima occhiata alla casa, raggiungo la macchina, e mi siedo nei posti posteriori insieme a Torn. Mi avvicino a lui, e insieme guardiamo la casa rimpicciolirsi, finché papà non imbocca la strada principale, poi non la vediamo più.
E’ sabato. Mi chiedo che cosa stia succedendo alla festa senza di me, come sarà l’atmosfera in classe senza me. In classe mi chiamavano “la meglio” solo perché avevo sempre la battuta pronta a ogni tipo di argomento, non mi facevo mettere da nessuno i piedi in testa. Quando ieri li salutai a scuola, vidi la mia seconda famiglia piangere, e io insieme a loro. Ma, probabilmente tra qualche mese, o magari anche solo qualche settimana, nessuno di loro sentirà più la mia mancanza. Ma comunque, ci sentiremo su Facebook, Twitter, Skipey, ormai la tecnologia supera ogni distanza. Prima di metterci in strada, mio padre si ferma per fare il pieno, Torn ormai è nel suo mondo, un paio di cuffie, è quel MonoNeurone, si separa dalla realtà. Mentre mio padre armeggia con la pompa di benzina, io comincio a chiedermi in quale quartiere andremo a vivere. Mio padre rimonta a bordo. Ha comprato delle bibite, dei panini e due sacchetti di patatine. Ricordandosi che se ne avrebbe comprato uno, io e Torn avremmo litigato per tutto il viaggio. Si dirige verso l’autostrada che ci condurrà a nord.
“Dove siamo ridetti, pà?” chiedo curiosa.
Lui fa un sorriso malizioso, e mi rivolge uno sguardo dallo specchietto retrovisore. “Chelsea”
Prossima tappa, Chelsea. Sbarrò gli occhi incredula. Non è un mistero che Chelsea sia il quartiere più chic ed elegante di Londra, abitata da persone eleganti, e di buon portafoglio. Ah beh, io nemmeno quello avevo. “Pensi che Chelsea, sia un quartiere dove io e Torn, potremmo abitare tranquilli?” chiesi.
Mio padre fa una risata soffocata “Mica sono dei razzisti contro noi, di Brighton” scherzò.
Sorriso, è annuisco. Dopo trenta minuti, Torn , si sveglia. Come suo solito, un bacchetto di patatine non gli basta, quindi nostro padre sì e dovuto fermare in un’area di servizio, io e MonoNeurone siamo andati a mangiare, in tanto che c’ero, ne approfitto, ho bisogno di nutrimento, mio padre invece e fuori che fuma. Mentre mangiamo, un bel panino, Torn inizia a ridere. Appoggio il panino nel piatto, e mi pulisco il muso, pensando che stesse ridendo di me, lui però continua a ridere.
“Che hai da ridere?” chiedo, irritata.
Lui, sorride e mi indica due donne sedute qualche tavolo più in là. Poi, però l’occhio cade, su un uomo, sulla sessantina con una di loro porta una T-shirt bianca che dice in caratteri grandi in nero: SCAMBIO AUTO DA CORSA PER DONNA DI STRADA.
Faccio un risolino, e Torn iniziò di nuovo a ridere. Finimmo il panino, è tornammo in macchina.

                                                                                ****

Nostro padre guida per tutto il viaggio. Comprese le soste, Tonr dopo aver mangiato torna nel suo mondo, io passo quasi tutto il viaggio a sonnecchiare o a messaggiare con Coco. Invio l’ultimo messaggio, per poi alzare lo sguardo. Sono stanca di stare seduta. L’orologio del cruscotto segna le 8.20. Sbadiglio e mi stropiccio gli occhi. “Quando manca?”
“Siamo quasi arrivati” dice mio padre.
Faccio un risolino. “Siamo arrivati?” chiedo soffocando una risatina.
“Quasi Val” dice divertito.
“Ora?” chiedo divertita.
“Si” dice sorridendomi.
Mi s’illuminano gli occhi. “Davvero?”
“No” è scoppiò a ridere, seguito da me. Qualche minuto dopo vediamo un cartello che dice:

                                                                                      BENVENUTI A CHELSEA
                                                                                          159.000  ABITANTI


Sorriso. Finalmente, non né potevo più di stare seduta, mi faceva male il di dietro, per non essere volgari. Cercai di svegliare Torn, che stranamente si svegliò senza protestare.
“Che vuoi, RompiPalle?” chiese, togliendosi le cuffie.
“Siamo arrivati MonoNeurone” risposi sorridendo. Poi iniziano i negozi e le case, dal fascino ottocentesco e dalla fisionomia molto benestante.  I piccoli giardini antistanti sono attraversati da vialetti che conducono alla porta d’ingresso.
“Accidenti, credo di essere morto. Sono in paradiso” disse mio fratello, con occhi sognanti, mentre guardava fuori dal finestrino, facendomi sorridere. Mio fratello certe volte, sembra proprio un bambino.
Percorriamo altri quattro chilometri prima di svoltare a sinistra su una strada, infine la troviamo, nascosta dai fiori: una cassetta delle lettere in metallo arrugginito, con una scritta dipinta in nero su un lato che dice: 13 Street.Una macchina è parcheggiata, davanti alla casa, da ora, nostra.
“Di chi è quella macchina?” chiede Torn , indicando un SUV nero dietro cui abbiamo parcheggiato.
“Presumo che sia l’agente immobiliare” risponde nostro padre.
La casa è circondata da sagome di alberi. Scendo dalla macchina, mi stiracchio le gambe, e mi guardo intorno.
“Che ne pensi?” domanda Torn.
La casa è a due piani, con un rivestimento esterno di mattonelle rosse. Da qui, vediamo due finestre, tre gradini di marmo conducono a un piccolo patio con sedie. Il giardino è grande pieno di piante ben curate.
“Per una volta ti do ragione” dico.
Ci avviamo verso la casa, ma una donna mora e ben vestita, più o meno dall’età di mio padre, esce dalla porta. Indossa un tailleur e ha in mano un blocco per appunti e un raccoglitore. Porta un BlackBerry agganciato alla vita. Sorride. “Signor Miller?”
“Si” risponde mio padre. Che uomo da mille parole, certe volte mi fa così pena.
“Sono Arlene Gray, l’agente dell’Immobiliare Chelsea. Abbiamo parlato al telefono. Ho provato a chiamarla prima, ma sembrava che avesse il cellulare spento”
“Purtroppo la batteria si è scaricata per strada”
“Ah, che nervi quando fanno così” replica lei.
Ci viene incontro e stringe la mano a mio padre.
“Signorina Gray le ..” iniziò mio padre.
“Oh suvvia, non ho ottat’anni, può darci del tu, non crede?” lo interruppe lei.
“Oh, beh, anche lei Arlene.”
La signora sorrise, per poi posare lo sguardo su me e Torn.
“Beh, loro sono i miei figli, Torn e Valerie né manca una.” ci presentò.
“Wow. Che bei figli ha. Complimenti. Allora ragazzi come vi sembra Chelsea?” ci chiese.
“Una figata” sbottò mio fratello. Mi portai una mano sulla fronte, per disperazione, poteva essere più stupido?! No, non credo.
“Lo scusi, signora, alcune volte mio fratello si fa prendere troppo dall’entusiasmo” sorrisi. “Vero Torn?” posai lo sguardo su di lui.
“Oh, si scusi” si scusò lui.
“Non preoccupatevi, allora che scuola frequenterete?” ci domando sorridendo.
“Io farò l’ultimo anno di Beverly Hill School” disse fiero mio fratello.
“Beverly Hill School ha una forte reputazione, anche i mio nipote è all’ultimo anno” confessò la signora Gray.  “Tu Valerie, a che scuola andrai?”
“Oh, anch’io andrò a Beverly Hill School, devo fare il quarto anno” dissi fiera.
“Quarto anno?” disse euforica. “In tutta la scuola c’è solo una quarta, quindi è sicuro che sarai in classe che mia nipote”
“Dipende sempre dai corsi che segue” dico semplice.
Sorride è annuisce.
“Scusa Clark.” Si scuso con mio padre. “Torniamo a noi ecco a te il contratto”
Mentre mio padre, firma il contratto d’affitto, continuiamo a parlare con la signora. E’ molto calorosa, è gentile e chiaramente le piace chiacchierare. Mio padre le riconsegna il contratto, poi entriamo nella casa. Quasi tutti i mobili erano coperti da un lenzuolo bianchi. Quelli senza lenzuoli sono sepolti da uno strato di polvere. Ci sono quattro camere da letto, una cucina di dimensioni modeste, col pavimento in parquet, e due bagni. Il soggiorno è grande e si trova nella parte anteriore della costruzione. C’è un camino all’angolo. Io e Torn andiamo a vedere le camere al secondo piano, lui prende quella dove la sua visuale alla finestra è un parco giochi, ed è accanto al bagno. Io entro nella camera da letto, accanto a quella degli ospiti. Le pareti sono bianche, ci sono due letti nei lati, conoscendo mia sorella, non vorrà aver a che fare con la luce, quindi getto la borsa sul materasso vicino alla finestra.
“Ragazzi, venite a salutare Arlene” grida mio padre dal soggiorno.
Arlene è sulla soglia. Mi suggerisce di cercare suo figlio a scuola, così magari facciamo amicizia. Sperando che sia un tipo socievole. Saluta anche Torn, e se ne va.
Appena lei se ne va, cominciamo subito a scaricare tutti gli scatoloni.
“La mamma è Desiree, quando ci seguono?”
Torn sbuffa. “Senti, mi basti tu come Rompipalle non hai bisogno del sostegno della Rompicoglioni” disse annoiato.
Desiree è io siamo gemelle, siamo uguali, solo fisicamente, caratterialmente siamo diverse, io sono più socievole, ho la lingua tagliente, lei è più timida, ma se si affeziona a una persona difficile che riesca a starsene separata per settimane figuriamoci per mesi. Siamo inseparabili, è adoriamo intrometterci nella vita di Torn, per questo ci ha affibbiato questi sopranomi: Rompipalle è Rompicoglioni, all’età di tredici anni ci divertivamo a rovinargli tutti gli appuntamenti con le sue ragazze, era divertente vederlo gonfiare di rabbia nel momento in cui noi sbucavamo nel nulla quando lui le stava per baciare.
“Sta zitto MonoNeurone, non parlavo con te” dico secca, mentre mi sedevo insieme a lui sul divano a guardare la tv.
“Gne gne” ribatté lui divertito. Ma quanto sarà infantile?
Mio padre sbuca dalla cucina e si siede accanto a noi.
“Appena tua madre finisce il trasferimento di lavoro, Val” dice appoggiando la testa sul divano.
“Ma Desiree perderà la scuola” dico seria
“E’ brava a scuola, se la caverà a recuperare” mi fissa. “Poi ci sei tu ad aiutarla” sorride è mi fa l’occhiolino.
Vero, io e mia sorella ci aiutiamo per ogni cosa, siamo un’anima in due corpi. Ci vogliamo un bene indescrivibile.
“Pà, non c’è linea internet qui” si lamentò mio fratello, cercando linea con il cellulare.
“Oh suvvia, non siamo nemmeno arrivati, non avremmo accesso a Internet fino a domattina. Ma voi andrete a scuola”
“Se rimango, dovrò aiutarti a pulire la casa e a finire di mettere a posto gli scatoloni?” chiedo, sperando in una sua risposta negativa.
“Si sembra più che ovvio, Val” disse fiero.
“Beh, allora credo che sceglierò la scuola” dico sorridendo.
“Allora sarà meglio che andiate a dormire”
  
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