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Autore: _Coco    27/06/2013    3 recensioni
Maia la osservava, curiosa.
«Cosa c’è? Non vorrà mica distrarmi? »
La ragazza si avvicinò alla sua nemica e la fissò ancora.
«Madonna Maia» disse, con esitazione, guardando ancora a destra e a sinistra «Dov’è finito il Conte?»
Riario\Coco\Maia || Can you feel the love tonight? 
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Girolamo Riario, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Can you feel the love tonight? – Io l’avevo detto, che era un amore platonico

 
 







Alle  ragazze









«Madonna Coco, la trovo in splendida forma», sussurrò Girolamo Riario, mentre il suo famigliare sorriso storto faceva capolino sul viso. Agnese arrossì e, nel vano tentativo di nascondere un’emozione così inappropriata, si portò le mani al viso, imbarazzata.
«La prego di non mentire». rispose, allora, sempre con il volto nascosto.
Girolamo rise, piano, come se nessuno dovesse sentirlo. Poi si chinò leggermente verso la ragazza, che nel frattempo era ritornata al colore naturale, e si bagnò le labbra.
«Io credo che siate voi, Madonna, a mentire.»
Agnese si fermò di botto e lo guardò sconvolta.
«Come osa?» esclamò, facendosi di nuovo rossa ma di rabbia, stavolta, e profonda indignazione.
«Si offende per così poco, mia bella Madonna?»
La ragazza spalancò la bocca e balbettò, confusa e imbarazzata. Ancora e sempre per colpa di quell’uomo.
«Sta cercando di distrarmi con i complimenti?» chiese, piano e tremolante.
«Lei si farebbe distrarre da… me?» Girolamo ghignò, portando le mani dietro la schiena «Capisco.»
Agnese iniziò a sentirsi male, si sentiva le gambe deboli e le mani tremavano appena. E il cuore – oh, il cuore! – quello batteva più veloce del vento, come a voler scappare e, allo stesso tempo, come a voler rimanere. Insieme a quell’uomo. Insieme a Girolamo. Per sempre. La ragazza tossì appena, per scacciare quei molesti – e alquanto indecenti – pensieri, e tornò ad ammirare il Conte.
«Mi guardava l’altro giorno, Madonna?» le chiese questo, riacciuffando l’attenzione della donna.
«Dove eravamo entrambi, Messere?»
«Al mercato.»
Agnese rifletté a lungo e scavò nella memoria, finché sembrò venirle in mente qualcosa, allora prese un lungo respiro e lo guardò di sottecchi, colpevole.
«Ammetto che la colpa sia mia. Vi ho osservato a lungo ma, che Dio mi fulmini se mento, senza alcuna malizia!»
«Le credo, Madonna, le credo.» Girolamo la prese a braccetto, con grande sfacciataggine e le sussurrò «Crederei sempre a quello che le sue labbra, così belle e rosee, dicono.»
Agnese deglutì con gli occhi spalancati, mentre il giovane uomo si allontanava leggermente e si guardava intorno. Quando vide che erano soli, si decise a porgere la domande che entrambi stavano aspettando da tempo.
«Ora, Madonna Coco, vuole accompagnarmi per una breve passeggiata?»
«Per le strade di Forlì? Mi duole ferirla, Conte, ma la risposta sarà negativa. Le strade si son fatte pericolose. Ci sono brutte figure in giro.»
Girolamo si accigliò.
«Forse non si fida della mia persona, Madonna?»
Ella arrossì ancora e sospirò affranta.
«No, non vorrei mai, mai offendere un uomo illustre come voi, Conte! La difenderei sempre.»
Girolamo non smise di sorridere e mise su l’aria di uno che si stava proprio divertendo.
«Lo sa che non ho bisogno di essere difeso, vero?»
«Credo di averlo notato.»
Riario alzò il mento e ridacchiò.
«Lo so.» disse, divertito,
«Lo sa?»
«Certo, Madonna, in tutto quel tempo che ha passato a scrutarmi, qualcosa l’avrà capito.»
Agnese spalancò la bocca e le importò davvero poco di non assomigliare a un nobildonna di classe, poiché Riario, come era solito fare ogni volta, l’aveva spiazzata.
Anzi, Riario, l’aveva zittita.
Gli occhi spalancati fecero ridere ancora di più il malevolo Conte che adorava prenderla in giro; ella infatti non faceva che cascarci.
Agnese si rabbuiò.
«E’davvero, davvero ingiusto, Conte.» bisbigliò la ragazza, col capo chino e gli occhi lucidi. Girolamo la fissò, stranito, per poi riscuotersi, prendere la mano di Madonna Coco e baciargliela, nel vano tentativo di consolarla.
«Ma mia cara» disse, avvicinandosi alla bocca di Agnese «Non ho mai detto che mi abbiate recato fastidio».
Poco lontana, acquattata nella folla di Forlì, Madonna Maia li osservava. Stringeva tra le mani tremanti un piccolo mazzo di margherite appena acquistato al mercato e aveva avuto tutta l’intenzione di portarle al Conte quel pomeriggio, prima di vederlo in compagnia di un’altra ragazza.
Madonna Coco, per di più.
Verde d’invidia, lasciò cadere mazzolino e margherite e si avvicinò a passo spedito a una delle guardie disposte attorno alla piazza, la quale, vista arrivare Madonna da lontano, si guardò bene dal farsi trovare in piena pausa pranzo, mettendosi vigorosamente sull’attenti.
Madonna Maia non degnò il soldato di uno sguardo, andando dritta a recuperare lo stiletto che egli portava alla cintura.
«Scusate, buonuomo.», disse, dandogli già le spalle. «Ho un importante compito da svolgere per la sicurezza del Conte».
Il malcapitato non osò proferire parola, allungando semplicemente verso la spalla della ragazza per fermarla, ma ripensandoci prima.
In fondo, considerò, poteva sempre giustificarsi dicendo di essere stato derubato.
Lasciò quindi che Madonna Maia si allontanasse con aria malevola, avvicinandosi pericolosamente alla coppia che discorreva amabilmente poco più un là.
La ragazza emise un piccolo sbuffo soddisfatto, superando Madonna Coco e urtandola volontariamente, lasciando così cadere lo stiletto ai suoi piedi.
Si allontanò velocemente, mischiandosi alla folla del mercato di Forlì.
Quello voleva essere soltanto un avvertimento.
«Oh, guardi, Signor Conte», esclamò Agnese, piena di gioia ed euforia «Mi hanno regalato uno stiletto! Quella donna! Oh, che dono amorevole. Chissà come ha fatto a sapere che ne volevo uno da quando ero bambina».
La ragazza continuò a ridere e fu per poco che non si mise a saltellare, piena di contentezza. Non credeva esistessero ancora persone così gentili e altruiste nei confronti degli altri. In città, allora, c’era qualcuno che le voleva bene e che non le avrebbe mai e poi mai fatto del male.
Girolamo, tuttavia, mentre Agnese si perdeva in questi ingenui pensieri la guardava alquanto perplesso.
«Io non credo, Madonna, che quello sia un simbolo di pac-»
«Oh, Riario, che gioia!»
Vedendo il volto della ragazza, Riario si zittì.
Meglio felice che in lacrime.
Da dietro il muro della chiesa, intanto, Maia sbottava. Peggio per Madonna Coco, se non era stata in grado di recepire la sua dichiarazione di guerra.
La sua prossima mossa non sarebbe stata altrettanto docile e priva di conseguenze.
Abbassando il cappuccio del suo mantello color del cielo, la ragazza si mise a pensare.
Pensò, pensò fino a che le meningi non cominciarono a dolerle e la obbligarono a guardare dritto davanti a sé, dove un mediocre incantatore di serpenti scuciva alla folla qualche moneta per il suo spettacolo.
Si avvicinò quindi all’uomo, allungando la mano.
«Il serpente.», sentenziò, facendo tintinnare nel palmo una piccola quantità di monete d’argento. «Non voglio ripetermi.»
E fu così che Madonna Maia ottenne il suo primo animale di compagnia, una biscia nera – probabilmente innocua – dall’aspetto tutt’altro che docile che volle chiamare Ilde in onore della sua defunta zia.
Certa ormai che il suo piano non avesse nessuna possibilità di fallimento, si appostò accanto a una bancarella, lasciando l’animale libero di strisciare a terra.
«Laggiù.», disse, indicando la sorridente Madonna Coco. «Mordi, azzanna, stritola!»
Incredibilmente e quasi mossa dal volere divino, Ilde cominciò a strisciare con minacciosa convinzione verso la ragazza.
Madonna Maia sorrise.
Finalmente aveva capito a cosa servisse pregare San Francesco.
Nel frattempo, Agnese continuava a sorridere, con un fiore sotto il naso e il cuore che batteva. Mentre accarezzava uno dei petali, non poté non pensare a quanto gentile fosse stato il Conte, che adesso le camminava accanto e la sfiorava alla minima occasione. Sulle guance, sulle braccia, sulle labbra. Ovunque, sentiva il suo tocco.
Era così felice che non si accorse nemmeno dell’enorme biscia nera che veniva verso di lei, minacciosa ed enorme. Se l’avesse vista - e se si fosse anche solo una volta avvicina ad un libro sui rettili – avrebbe di certo saputo che quella non era una biscia qualsiasi ma ‘la più pericolosa e letale vipera’ dell’intero emisfero. Che paura, anche solo a guardarla!
Riario, che in ben altre occasioni sarebbe stato oltremodo attento a quello che aveva intorno, in quell’istante stava comprando delle succulenti mele per Agnese, a cui piacevano da impazzire, ed era troppo occupato a fare minacce ed a discutere inutilmente con il venditore.
«Per l’amor del cielo, io sono il Conte Girolamo Riario e voi dovete ascoltarmi!»
Come furono e come non furono le cose, fatto sta che Agnese era nei guai. Ancora persa nei suoi sogni fra le nuvole, la ragazza posò il fiore sul balcone e si mise a giocherellare con lo stiletto. Lo faceva saltare da una mano all’altra senza alcun tipo di preoccupazione. Le sue mani erano perfette e da quelle non sarebbe mai – MAI! – caduto. MAI.
Lei era troppo brava, troppo in gamba per fare questi errori da principiante!
Tutta presa dal passatempo, si mise addirittura a canticchiare.
Ilde, grande quanto un cane e lunga quanto un vestito, seguitava a strisciare imperterrita e silenziosa sotto i banconi del mercato, cercando di raggiungere la sua ingenua presa.
Passò sotto fruttivendoli, vasai e altra gente di assai poca importanza fino ad arrivare alla tanto agognata Agnese.
«Sei finita, idiota!» sembrò sibilare, eccitata. Pronta per mordere con tutte le sue energie, era proprio sotto la gonna della ragazza e quel Riario, quel Conte, era ancora distratto da un sempre più testardo fruttivendolo. Il momento era propizio. Aprì le fauci, preparò i denti aguzzi e … poi lo vide.
Era così bello, così elegante e perfetto! Un serpentello con i fiocchi, doveva ammettere. Senza alcun dubbio, abbandonò il suo tentato omicidio e corse – pardon, strisciò – dal suo amato che, poteva giurarci la pelle, le aveva fatto proprio un occhiolino.
Agnese, che come al solito non si era accorta di nulla e che stava ancora giocherellando con lo stiletto, notò con indifferenza quanto fosse strano vedere un serpente far le fusa ad un bastone.
Madonna Maia osservò tutta la scena con il grande istinto di riprendersi lo stiletto e infilzare personalmente Madonna Coco e la sua risata genuinamente logorroica.
Ma no, Madonna Coco certo si meritava ancora una possibilità di soccombere per mano di terzi e non di quella dolce fanciulla che, sotto sotto, era Madonna Maia. Insomma, erano gli altri, a renderla cattiva. In realtà non era né più né meno di un dolce ramoscello primaverile. Di rose. Con le spine. Velenose.
Decise quindi di scegliere un complice e la scelta cadde – per volere o per fortuna – sulla povera guardia a cui era stato sottratto il prezioso stiletto.
Corse a recuperare il buonuomo, senza chiedere chi o come, e lo trascinò con sé fino a un punto in cui la strada pendeva su una lieve discesa, ignorando le inutili lamentele che le arrivavano e le imprecazioni di chi, poco più in là, era appena stato morso da una biscia nera con una delusione in amore.
«Prenda questa corda, buonuomo!», ordinò Madonna Maia, il fuoco che ardeva negli occhi castani, una lieve risata di pregustata vittoria in gola. « E che la scocciatrice rotoli! »
Si posizionarono così, Madonna Maia da una parte, la sventurata guardia che ormai già immaginava la condanna a morte dall’altra, pronti a tirare la fune che avrebbe fatto fare alla coppia un capitombolo verso le campagne di Forlivesi.
«Sta bene, Madonna Coco?» chiese il Conte, sorridendo leggermente e portando un mano sotto il mento della ragazza «Non mi sembra in gran forma.»
Agnese, che di tutta risposta stava respirando più affannosamente e si portava in continuazione una mano al petto, rise piano e fece cenno di diniego.
«No, nulla di che, Conte Riario.»
La verità – verità che mai e poi mai e poi mai sarebbe fuoriuscita dalle sue labbra, tanto era imbarazzante – era che i colpi di calore e il battito accelerato e le farfalle nello stomaco si erano triplicati tanto quanto si era triplicata la vicinanza dell’uomo alla sua bocca.
Era così vicino che ne sentiva il respiro sulla pelle e, che volete?, il cuore della ragazza era troppo debole per resistere a cotanta emozione.
«Non sarà mia la colpa di un malessere così curioso, nevvero, Madonna Coco?» domandò Girolamo, ritornando a ghignare. Agnese deglutì e lo fissò, spaventata. Silenzio.
«No, certo che no! Come le salta in mente una così impudente domanda?» si decise a rispondere ma la sua voce era talmente tremolante che non ci avrebbe creduto nemmeno lei stessa.
Girolamo si avvicinò ancora e, di scatto, senza pensarci, Agnese fece un passo indietro. L’uomo continuò a imprigionarla e ad indurla a camminare all’indietro, senza pensare che poteva anche farsi male. Riario in quel momento pensava solo a divertirsi.
«La smetta, la prego, mi mette in ag- AHHHHHHHHHHH!» Non se n’era accorta ma qualcosa – qualcosa di indefinito – le si era messo d'intralcio, facendola inciampare all’indietro, verso il vuoto, verso la discesa.
Girolamo – che sicuramente non voleva un’ulteriore morte sulla coscienza – si aggrappò al vestito della donna. urlando qualcosa di vagamente simile a «Si tenga a me!»
Ruzzolarono per tutta la collina, senza fermarsi, in una massa indistinta di gambe, tuttavia Agnese non sentiva altro che le braccia gracili di Riario che la stringevano e il suo petto che la proteggeva.
E sentiva anche – oh, se le sentiva – le sue labbra troppo vicine alla sua fronte e poi ai suoi occhi e infine al suo naso.
Quando toccarono l’erba alla fine della collina, ogni distanza era stata annullata.
Mentre tutto ciò accadeva, Madonna Maia e la sfortunata guardia osservavano la scena dall’alto della collina, una con un’espressione di mero odio dipinta in volto, l’altra con uno strano ghigno di vendetta.
La ragazza non arrivò ad agguantarla in tempo, perché l’uomo in divisa si allontanò rapidamente e silenziosamente, mescolandosi ad altri suoi ben più possenti compagni.
Arrivata a quel punto, dunque, a Madonna Maia non restò che mostrarsi al nemico in tutta la sua – chiamiamola così – grazia.
Corse lungo tutto  il pendio della collina senza curarsi dell’eccessiva velocità che prendeva e, arrivata in prossimità della coppia, constatò che l’unico freno di cui disponeva era l’impatto diretto.
Planò quindi, letteralmente, sul povero Riario, che emise un gemito di dolore nel ricevere una massa non proprio indifferente in piena schiena, rotolando qualche passo più lontano dalle due ragazze.
Per niente provata dalla caduta, Madonna Maia fu subito pronta ad alzarsi e combattere, pronta a dare al suo Conte grande prova della sua temerarietà e intelligenza, anche se le due cose non combaciano.
«Alzatevi immediatamente, Madonna Coco!», gridò, feroce. «È tempo che le questioni vengano risolte come Dio – e qui rivolse una saccente occhiata a Riario, ancora piegato in due dal dolore – comanda».
Si schiarì la voce con fare teatrale.
«È tempo che sappiate, Madonna Coco, che io e il Conte Riario siamo profondamente innamorati, anche se lui non ne ha ancora idea. Capirete quindi che la vostra presenza qui non è necessaria né tantomeno gradita da Vossignoria il Conte. Quindi, per cortesia, lasciate Forlì quest’oggi e non fatevi mai più ritorno».
Si stupì di come, per tutto il discorso, riuscì a tenere un tono serio e assolutamente diplomatico, sebbene fosse in guardia con i pugni chiusi pronti ad attaccare.
Sorrise.
La tanto agognata maturità cominciava a farsi vedere, finalmente.
Agnese diventò talmente paonazza da sembrar pronta a esplodere, poi gettò uno sguardo infuocato alla donna, alla scocciatrice, e rimboccandosi le mani del vestito saltò addosso a Madonna Maia.
Le salì sulla schiena e le tirò con tutta la – poca – forza che possedeva i corti capelli marroni.
Per Madonna Maia fu troppo.
Furiosa, si buttò a terra, rotolando ancora un po’ giù per la collina, inevitabilmente ancorata ad Agnese.
«Madonna Coco, il Conte è mio!», gridava, mentre ella le tirava insistentemente i capelli. «Lasciatelo in pace!»
E ancora, si impadronì di un braccio della ragazza e lo morse, seppur con poca forza, all’altezza dell’avambraccio.
Agnese ringhiò ma non pronunciò neanche una gemito di dolore, seppur avesse le lacrime agli occhi.
«Col cavolo! Addio galanteria e buone maniere! Io la faccio fuori!» urlò, tirando ancor di più la presa e mollando al contempo un sonoro calcio alla schiena della nemica.  «Io e Riario siamo felici e innamorati!» biascicò con la faccia coperta dai capelli.
Madonna Maia gridò, ma non per il dolore. Il suo fu un grido di guerra, uno di quei gridi da ugonotto che si sentono soltanto nelle battaglie più sanguinarie.
Contorcendosi, si liberò dalla presa di Agnese e si avventò su di lei, cercando di graffiarle il volto.
«Io e il Conte siamo innamorati!», replicò, irata. «Voi siete soltanto un grumo di brutte maniere e sciatteria! »
«Non so se ha notato,» ansimò l'altra, scansando uno schiaffo «ma parla tanto di buone maniera quando è lei ad avermi attaccato!»
E dopo, Agnese, fece una delle cose più stupide – e forse più coraggiose – della sua intera vita. Prese un enorme respiro, mentre si apprestava ad asciugare un rivolo di sudore, e si lanciò verso Madonna Maia.
All’urlo bellicoso «PER RIARIO!» saltò e con disperazione si aggrappò al seno della sua nemica. Poi strinse.
Lacerata dal dolore, che comunque non fuoriuscì in alcun modo dalla bocca della ragazza, Madonna Maia si buttò di lato, riprendendo a rotolare giù per la collina sempre più veloce e trascinandosi dietro anche Agnese che, inerte, dovette arrendersi alla forza di gravità.
Ridendo maleficamente, Madonna Maia continuò a rotolare, fino a che anche il suo corpo non la implorò di smettere.
Allora frenò, buttandosi su un cespuglio, e si prese un minuto per riprendere fiato.
«Per quanto farete, Madonna Coco», ansimò, ormai coperta di lividi e graffi. «Voi non avrete mai il Conte!»
Entrambe si erano del tutto dimenticate del fatto che Girolamo Riario, più o meno intero, aveva assistito a tutta la scena.
«Vi sbagliate ancora!» disse, stremata, Coco. Aveva i capelli tutti scompigliati e sparati in ogni direzione, il suo sguardo era lucido – un po’ per dolore, un po’ per rabbia – e la sua bocca serrata in un ringhio «Siete voi che n- ASPETTA UN ATTIMO.»
Agnese si bloccò, sconvolta, guardandosi attorno, spaventata. Il suo labbro tremava e non faceva che tirare su con il naso, mentre una perplessa Madonna Maia la osservava, curiosa.
«Cosa c’è? Non vorrà mica distrarmi?»
La ragazza si avvicinò alla sua nemica e la fissò ancora.
«Madonna Maia» disse, con esitazione, guardando ancora a destra e a sinistra «Dov’è finito il Conte?»
Madonna Maia si guardò attorno a sua volta, non riuscendo a notare il contrasto che l’erba aveva con il tipico cupore dell’abbigliamento del Conte.
In preda al panico, la ragazza si tirò in qualche modo in piedi, aiutando, più per pietà che per collaborazione, Madonna Coco a fare lo stesso.
Fu in quel momento che qualcosa la colpì.
Non una pietra, non uno schiaffo, neanche uno stiletto, ma una risata cristallina con tipico accento milanese che schiacciò le due ragazze come un macigno schiaccerebbe un topolino.
La giovanissima, fortissima, bellissima, leggiadrissima e spietatissima Caterina Sforza, nemica di antiche date di Madonna Maia e Madonna Coco nella lotta per Riario, si era avvicinata con grazia, approfittando della lite e ora se ne stava tranquillamente andando a braccetto con un felice e composto Conte, allontanandosi da quella maledetta collina.
Agnese come al solito guardava altrove; era intenta a ripulirsi la gonna, nel caso avessero ritrovato il Conte, così da poter iniziare un lungo epiteto di insulti verso Madonna Maia sulla pulizia personale. Tuttavia, avendo ricevuta una forte gomitata sul fianco da quest’ultima e dopo aver esclamato un poco elegante «Ahia!», fu costretta ad alzare lo sguardo. «Ma quello…» balbettò, spalancando gli occhi.
Madonna Maia annuì con vigore.
«Ma quella…»
La nemica annuì di nuovo.
«Ah.» si arrese ad esclamare per poi, al diavolo le buone maniera, limitarsi a fissare con la bocca spalancata.
Madonna Maia sospirò, ma riuscì in qualche modo ad accettare la sconfitta con un lieve sorriso.
In fondo era una persona sportiva, lei.
Si voltò verso Agnese, alquanto più affranta e dispiaciuta.
Sospirando, estrasse dalle tasche del vestito – cioè, di ciò che ne era rimasto – un fazzoletto di stoffa, porgendoglielo con delicatezza.
«Io ve l’avevo detto », bofonchiò, mentre Agnese si soffiava il naso tra i singhiozzi. « Che questo era un amore platonico ».








 










Note: Cari lettori, lo so, lo so sembra una pazzia ma, vi giuro, che è successo realmente u.u Perché nessuno - e dico NESSUNO - può rubarci il nostro Conte. Nessuno, chiaro? Scritta, e inventata, durante due notti - scrivere di mattina era troppo facile - ma sopratutto durante gli orali della nostra qui presente Maia.

L'ìspirazione viene da qui:
http://www.youtube.com/watch?v=2zUrdB-oRFc
L'intera storia viene da qua: http://www3.varesenews.it/blog/pallacanestro-varese/wp-content/uploads/2011/10/cuore212.jpg

Tanto amore,
vostre,



Coco e Lechatvert





















  
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