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Autore: Mary West    27/06/2013    7 recensioni
Un evento incredibile sconvolge la vita tranquilla di Tony Stark e lui si sentirà più solo e distrutto che mai proprio nel momento in cui il mondo ha bisogno di Iron Man più che mai prima d'ora. Un arrivo dal passato, un nuovo nemico da sconfiggere, amicizie indistruttibili e l'amore più puro fanno da sfondo all'avventura del secolo e tra litigi, notti insonni, travestimenti e bugie gli Avengers si riuniranno ancora.
Lei annuì e tornò ad accarezzargli la mascella, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi perfetti.
«Baciami» sussurrò adorante. «Tutta la notte.» Lui sorrise e la accontentò.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You'll find that life is still worthwhile, if you just smile'
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Capitolo XX
A-Friends




Era davvero molto presto quella mattina quando Tony si svegliò.  Il sole era sorto da pochi minuti e illuminava di un roseo candore il cielo ancora addormentato attorno a sé, colorando lievemente i batuffoli di nuvole che aleggiavano nella coltre di quell’azzurro rosato. Era ancora steso sull’orizzonte dell’oceano newyorkese e la Mela vagava ancora nel in un silenzioso stato sonnolento quando Tony aprì il primo occhio.
Appena sveglio, ebbe subito la chiara consapevolezza che fosse a stento l’alba. Stirò i muscoli delle gambe e si rigirò fra le coperte, sentendosi quasi a disagio in quel letto così grande, dopo tutte quelle notti trascorse tra divani e tappeti – sempre quando era riuscito a dormire, naturalmente. Quell’idea lo fece istintivamente sorridere e si segnò mentalmente di parlare con Bruce a proposito di qualcuno, quel giorno. Quel pensiero ebbe come effetto l’ampliamento di quel raggio luminoso sulle labbra e gli fece sbattere le palpebre sugli occhi assonnati con insolita vivacità.
Si rigirò ancora una volta sotto le lenzuola e si spostò su un lato della vita, cercando a tentoni con le braccia la vita di Pepper. Una volta che l’ebbe raggiunta, intrecciò le mani sui suoi fianchi e poggiò il viso sulla sua spalla, baciandole delicatamente la pelle sulla nuca e dietro l’orecchio. Pepper emise un buffo verso, che somigliava vagamente ad uno sbuffo d’esasperazione mescolato alla dolcezza di un sorriso, e respirò profondamente.
“Buongiorno.”
Tony sorrise, senza smettere di muovere le labbra, e rispose.
“Buongiorno.”
Pepper si mosse, senza districarsi dalla stretta, e si ritrovò con la fronte poggiata all’incavo del collo di Tony mentre il suo era ancora sotto la sua bocca.
“Non posso crederci che abbiamo dormito in un letto stanotte” disse e parlò con tanta ingenuità nella voce impastata e stanca che a Tony venne da ridere.
“Stavo pensando la stessa cosa” disse di rimando e la guardò divertito. Lei si accorse della sua attenzione e aprì un occhio per controllare.
“Non pensavo ci riuscissi” asserì stupita dopo qualche istante di silenzio. Tony aggrottò le sopracciglia, perplesso.
“A fare cosa?”
“A pensare.”
Un sorriso scettico gli incurvò le labbra e Pepper sbatté le palpebre con aria innocente, le iridi incredibilmente azzurre sul viso niveo e visibilmente assonnato.
“Ma che meraviglia” commentò a sua volta ironico. “E io non pensavo di aver sposato una donna così piena di arguzia e sarcasmo. Lo sai che certe volte mi ricordi Rogers?”
“Lo prenderò come un complimento” rispose lei e sorrise in un modo malizioso che trasformò il sorriso di Tony in un ghigno tirato. “Ora che siamo in confidenza, posso anche dirti che, quando mi ha baciato, ho sentito qualcosa, sai… alla bocca dello stomaco… come un uragano…”
“Non ti agitare” la rimbeccò subito Tony e le guance gli si tinsero di una vaga sfumatura color porpora, tinta ad una strana tonalità verdastra. “Era solo la nausea e forse i conati di vomito.”
Pepper notò quel colorito sul viso del marito e sorrise con più entusiasmo.
“Mah, non saprei” continuò fingendosi pensierosa. “Insomma, sarà pur vero che è alle prime armi, dopotutto, ma ha un non so che…”
“Non lo sa nessuno.”
“… di veramente speciale e virile, sai…”
“Ne dubito seriamente.”
Pepper si fermò e rimase divertita a guardare il risultato del suo innocuo scherzetto; Tony la fissava orgoglioso e deciso a non mostrare cedimenti nel suo comportamento da uomo e marito distaccato e moderno. Davanti a quell’espressione così incredibilmente da lui, a Pepper venne da ridere e incrociò le braccia dietro al suo collo, sfiorandogli il naso con il proprio e poi le labbra. Quando si allontanò dopo parecchi minuti, stava ancora sorridendo.
“Dovremmo alzarci” commentò stirando all’indietro i muscoli del collo. “È tardi.”
Tony, che stava cominciando ad apprezzare seriamente il tentativo di farsi perdonare della moglie, aggrottò le sopracciglia e lanciò un’occhiata perplessa all’orologio sul comodino, sul cui quadrante color gesso le lancette segnavano le sei passate da meno di una decina di minuti.
“Hai una visione della realtà completamente assurda” replicò con tono incredulo. “È l’alba.”
“Sì, ma dovremmo alzarci lo stesso” ribadì Pepper convinta, afferrando in un palmo il lembo di un lenzuolo per districarsene, gesto che Tony interpretò come un inizio del suo piano di fuga e, quindi, pessimo, “mica possiamo rimanere a poltrire tutto il giorno a letto.”
“A me sembra un’ottima idea ed una valida alternativa a qualsiasi noioso, tedioso, stancante e insopportabile altro piano tu abbia sicuramente in mente” fece Tony sbattendo le palpebre con un fare innocente che non ingannò Pepper neanche per un istante. “Che altro vorresti fare?”
Virginia sbatté a sua volta le palpebre e trattenne faticosamente l’impulso di roteare gli occhi al cielo e sbuffare esasperata.
“Ci sono milioni di cose da fare” riprese con voce zelante e Tony serrò la mascella per evitare ad un fiume d’imprecazioni di scorrere in un turbinio incredibilmente volgare dalle sue labbra, “e sono tutte estremamente urgenti.”
“Non vedo proprio niente di urgente” replicò prontamente e la sua abilità nel trasformare quella valanga di invettive ed esclamazioni poco cordiali in un’asserzione degna del miglior Valter Rossi lo spinsero ad un silenzioso, ma gratificante encomio di se stesso, “dopo che, recentemente, le abbiamo passate di tutti i colori, credo abbiamo il diritto di trascorrere una giornata in attività simili, piacevoli e redditizie.”
“Redditizie?” ripeté Pepper, storcendo le labbra in una smorfia incomprensiva. “E per chi?”
“Per noi, naturalmente” rispose Tony e la sua bocca si sciolse in un sorriso malizioso mentre allunga le braccia per avvolgere di nuovo il corpo della moglie. “Siamo stati invasi in casa da un’ondata di Lanzichenecchi che hanno distrutto le nostre abitudini, stravolto la nostra esistenza e fatto a pezzi metà mobilio, ci siamo infiltrati a feste poco raccomandabili, flirtato con criminali pazzi e pericolosi a livello inaudibili, sfrecciato in macchina per evitare rapimenti dopo esser fuggiti da altri rapimenti e poi siamo anche saltati in aria... insomma, un po’ di riposo dovrebbe esserci concesso, no?”
Pepper ascoltò con espressione divertita il chilometrico elenco scorso irrefrenabile dalle labbra del marito, intrecciando le mani attorno al suo collo, e dovette ammettere a se stessa che, detta così, la faccenda si prospettava molto più faticosa di quanto pensasse.
“Sei molto convincente, a volte, lo sai?” mormorò sorridendogli ad un soffio dalle guance. Tony accolse il gesto con entusiasmo e cominciò a muovere le mani sulla schiena di Pepper, disegnando con i polpastrelli caldi e ruvidi cerchi concentrici sulla sottile stoffa bianca. “Quindi restiamo qui.. a fare... ?”
“Assolutamente niente” concluse Tony compiaciuto. “Cioè” si affrettò ad aggiungere, “in realtà, nella mia testa, stavo pensando più ad uno di quei noiosissimi film che ti piacciono tanto, sai, quelli in bianco e nero colorati dopo o non colorati affatto con gli attori che si ricorda perfino Rogers, come Il Mago di Oz, Sette spose per sette fratelli o La finestra sul barile...”
“Sul cortile.”
“... e poi magari rimanere a letto tutta la giornata e riprendere un di po’ forze e poi, dopo, magari, se abbiamo ripreso bene le forze, rilassarsi in un altro genere di attività...”
“Mi sembra ingiudicabile, ordinato e totalmente inaspettato.”
“È un complimento? Un assenso? Lo interpreterò come un entrambi. Judy Garland o Grace Kelly?”
“Judy. Niente come un ballo con Ray Bolger potrà aiutarmi a rimettermi in forze... insieme ad una buona colazione.”
Tony annuì comprensivo e si sollevò tra le lenzuola, sorridendo soddisfatto.
“Andata. Adesso ci prepariamo una colazione da re e ce la godiamo a letto e dopo, magari, potremmo mangiare anche-...”
Prima che riuscisse a concludere quella frase in un modo che sarebbe stato di certo poco opportuno e anche molto fuori luogo, Pepper roteò gli occhi al cielo e si sollevò sulle ginocchia, sporgendosi con il volto per tappare la bocca di Tony con la propria.
“Mi piace quando fai la prepotente, splendore” le soffiò sulla bocca adorante. Pepper rivolse di nuovo gli occhi verso l’alto e lo spinse con i palmi aperti e tutte le dieci dita puntate sul petto all’indietro, precedendolo in cucina. Tony emise un verso indentificato con le labbra e lasciò che i suoi occhi la seguissero nel perfetto movimento delle gambe fino alla porta prima di imitarla.
“Sai, ormai non puoi più fare così” le disse una volta in cucina, afferrando due tazze dalla credenza.
“Così come?” fece Pepper, azionando a sua volta la macchinetta del caffè.
“L’insolente con me” specificò Tony e sembrava stranamente – e pericolosamente – entusiasta. “Sei mia moglie e ci sono doveri coniugali precisi...”
Pepper dovette cogliere il cuore del discorso nell’aria perché arrossì vagamente e lo interruppe prima che potesse dire precisamente in cosa consistessero quei “doveri coniugali”.
“Si stanno bruciando i toast.”
Tony volse appena un’occhiata al pane, perfettamente caldo al punto giusto, prima di sollevarlo dalla piastra e gettarlo in un piatto nel vassoio, ghignando compiaciuto.
“Bel tentativo.”
“Non so di che parli.”
“Ooh, lo sai benissimo” la blandì Tony, ancora più visibilmente soddisfatto “Acchiappa il Mago, lo Spaventapasseri ci aspetta. E devo anche continuare il mio discorso sui doveri della mo-...”
Dliiin dlon.
“... no.”
“Jarvis, chi è?”
Tony spalancò la bocca, incredulo, ma l’unico suono che ne uscì fu un verso inarticolato di indignato stupore.
“L’agente Romanoff dello S.H.I.E.L.D., signorina Potts. Dice che è piuttosto urgente.”
La potenziale interruzione della perfetta mattinata che aveva tanto accuratamente programmato a causa della presenza molesta dell’agente spionistico con cui andava meno d’accordo parve riscuotere Tony, il quale prese rumorosamente fiato prima di intervenire.
“Falla entrare.”
“No!” esclamò oltraggiato. “No, non se ne parla nemmeno. Jarvis, non osare permettere a quella-...”
“Buongiorno Stark.”
“... serpe.”
“Ciao Natasha” fece Pepper con un sorriso fugace, dopo aver lanciato uno sguardo di fuoco al marito. “Entra pure, stavamo per fare colazione... vuoi del caffè?”
Natasha varcò la soglia della torre, il volto incorniciato dai folti ricci scarlatti e senza increspature. Le labbra scure erano immobili, gli angoli lievemente arricciati verso l’alto e uno spesso plico di documenti stretto sotto il braccio.
“Molto gentile, grazie Virginia” replicò con voce incolore, una leggera incrinatura nel tono che Pepper, ormai abituata alla compagnia dei Vendicatori in casa come a quella di Jarvis, non mancò di cogliere. Tuttavia, preferì non farglielo notare; riempì una tazza con il caffè e gliela porse.
“Cosa ti porta da queste parti?” chiese sedendosi sul primo sgabello che trovò. Tony le rivolse uno sguardo incredulo.
“Niente di importante” rispose al posto di Natasha. “Sono sicuro che potrai tornare un’altra volta, non è vero? Bene, ciao Tatiana, salutaci James Bond.”
“Tony!” lo rimproverò Pepper stupita. “Non esagerare. Sono certa che Natasha non abbia deciso da sola di buttarsi giù dal letto per venire a trovarci all’alba e che non l’avrebbe fatto se non fosse per qualcosa di estremamente importante.”
“Infatti” riprese Natasha, allontanando il bordo della tazza dalle labbra perfettamente immacolate, “il direttore Fury vorrebbe che tu dessi un’occhiata a questi documenti, Stark” aggiunse porgendogli. Tony storse percettibilmente la bocca in una smorfia disgustata e non li afferrò. “Sono i file sul congegno.”
Virginia osservò con cura l’espressione scura della ragazza mentre afferrava il plico al posto del marito per poi porgerglieli a sua volta e scurò lo sguardo cristallino sopra l’orlo di porcellana, incuriosita dall’ombra che pervadeva le iridi chiare.
“Tony, perché non vai a darci un’occhiata nello studio?” disse dopo qualche istante. “E dopo cominci ad avviare il film, ok? Io arrivo tra poco.”
Tony prese i documenti con uno sbuffo e spalancò di nuovo la bocca, ulteriormente oltraggiato, ma Pepper abbassò un braccio e strinse due dita sul ventre, facendogli serrare i denti piccato.
“A dopo, allora” disse con voce stridula per poi uscire dalla stanza continuando a borbottare senza tregua, visibilmente impegnato nel tentativo di esercitare tutto il suo autocontrollo per reprimere l’istinto di urlare le sue imprecazioni.
Appena la sua sagoma fu scomparsa dalla sua visuale, Pepper riempì di nuovo le due tazze di caffè e ne porse una a Natasha, che continuava a mantenere lo sguardo fisso nel vuoto. Quando notò la mano della ragazza offrirle la ciotola, afferrò il manico e ne sorseggiò lentamente il contenuto. Virginia le concesse un altro minuto di silenzio prima di incalzare.
“Cos’è successo?” le chiese con pazienza. Sul viso che tanto era abituata a vedere serio e distaccato, ostinato e sicuro di sé, ombreggiava un’espressione incrinata dalla concentrazione più arcigna e un filo di rassegnazione che Pepper non avrebbe mai immaginato di scovare in quei tratti nivei.
“Niente” rispose Natasha tranquilla. Pepper sollevò un sopracciglio con fare scettico e allora l’altra dischiuse le labbra in un muto sospiro prima di confessare. Non che fosse nel suo genere lasciarsi andare ad ammissione segrete, ma, benché nascosto, c’era un lato molto umano in lei, forse ancora più grande che in tante altre persone, celato dietro maschere di biasimo ed indifferenze che davvero poche persone erano capaci di oltrepassare. Era una parte intensa, spontanea, racchiusa sotto facciate di distacco che era rimasta in silenzio per tanto tempo prima che tutta la sofferenza passata che l’aveva segregata in un angolo di quel corpo venisse scalfita da un sentimento ben più nobile e molto più caloroso e accogliente; eppure, proprio a causa di quel contatto inaspettato e totalmente sconosciuto, il risveglio faceva ancora più paura.
“Bruce” sospirò infine e la sua voce non era più incolore, distaccata o rigida, ma pregna di una seria amarezza che fece sbarrare gli occhi a Pepper, stupita.
Non che Virginia ci avesse prestato troppa attenzione nell’ultimo periodo, ma, anche in ospedale, per quanto fosse stata terribilmente e costantemente occupata con Tony, aveva notato come Natasha e Bruce avessero stretto un rapporto piuttosto, diciamo, buono e, dopo gli eventi del Flûte, non aveva più nutrito dubbi sulla natura della loro relazione.
“Mi ha mentito” aggiunse Natasha e una punta di amara irritazione increspò la sua voce frustrata. “E io l’ho scoperto.”
Ovviamente, pensò Pepper sorridendo debolmente. Rifletté che Bruce non era stato particolarmente scaltro in quell’occasione; sul serio pensava di riuscire a mentire a Natasha, sperando che lei, che delle bugie era la regina, non se ne accorgesse?
“In che modo?” chiese cercando di usare più tatto possibile.
“Ha incontrato Betty” rispose e riprese un’espressione così indifferente tutt’a un tratto che Pepper dovette faticare per trattenere l’impulso di allungare una mano per stringere la sua.
“La figlia di Ross?” domandò stupita.
“La conosci?!” chiese subito Natasha, sollevando finalmente il viso, stupefatta, per quanto naturalmente potesse esserlo.
“Non proprio” spiegò pronta Pepper. La conosceva, sì, ma di vista. Suo padre, il generale, era tra le conoscenze di Tony e lei aveva avuto più occasioni per parlare sia con lui che con la figlia. Non si era mai trattato di discussioni particolarmente eloquenti, ma aveva notato che quegli sguardi ammiccanti che la ragazza era solita rivolgere a Tony e che l’avevano sempre profondamente infastidita erano cessati con l’arrivo di quel cattivo umore del generale che, tutti sapevano, era causato dalla relazione che la fanciulla aveva allacciato con un dottore. “L’ho vista un paio di volte a delle feste” riprese noncurante. “Comunque, magari non te l’ha detto perché non è importante. Forse si sono incontrati per caso o per lavoro o magari voleva chiudere definitivamente con lei, ci hai pensato?”
Natasha annuì, più tranquilla, e parlò ancora.
“Be’, comunque, il problema è che si sono incontrati e lui non me l’ha detto. Non esigo che lui mi dica tutto quello che fa” aggiunse seria, “ma, insomma, perché mentirmi? Non sono un’adolescente, se voleva incontrare Betty, era ed è tuttora liberissimo di farlo, ma non capisco per quale motivo dirmi di avere un impegno con Stark se poi non è vero.”
Pepper sorrise debolmente e scosse il capo con fare comprensivo.
“Forse non voleva farti preoccupare o magari ha cambiato idea all’ultimo momento” tentò serafica, ma le parole suonavano anche a lei vuote e insensate.
Natasha diede un lungo sospiro e svuotò la tazza di caffè.
“Ora devo andare” aggiunse dopo qualche istante. “Ho del lavoro da fare. Salutami Stark e... grazie.”
Senza aspettare una risposta, girò su se stessa e raggiunse a passo svelto l’ascensore. Quando le porte metalliche si furono richiuse, Pepper sorrise ancora e posò le due tazze sul fondo del lavandino.
“Jarvis?”
“Sì, signorina Potts?”
“Tony è in camera?”
“Sì, signorina. Sta vedendo Il Mago di Oz e mi ha detto di comunicarle che non la farà entrare prima dell’incontro con l’Uomo di Latta.”
Pepper roteò gli occhi al cielo con una risata.
“Egocentrico.”
 

*

 
La casa di Phil Coulson era nota, in quanto proprietà del suddetto agente, per il suo ordine e la sua pulizia. Ogni singolo oggetto in quell’appartamento si trovava sempre al suo posto, perfettamente spolverato e sull’apposita mensola, che si trattasse di libri, vestiti o uno dei preziosi cimeli di Capitan America.
Eppure, quel pomeriggio di quel giorno grigio, c’era il caos.
La camera da letto di Phil era stata completamente messa a soqquadro: le cravatte più disparate ricoprivano le superfici dei mobili, scarpe di ogni sorta giacevano sul parquet impolverato e l’intero guardaroba del proprietario di casa era stato trasferito sul letto ancora da rifare. Phil, che se ne stava in piedi davanti a quello spettacolo indecoroso, osservava il tutto con espressione imperscrutabile.
Aspettava quel giorno da settimane, anzi da mesi, e si sentiva tutto un subbuglio.
Continuava a camminare per la stanza, in preda all’ansia, alla ricerca di qualcosa di adatto, ma più scartava i vestiti, più si rendeva conto che il problema non fosse l’abito. A quel pensiero, uno sbuffo d’impazienza gli sfuggì dalle labbra e chiuse gli occhi, scuotendo il capo con diniego.
Abbandonò un altro abito sul materasso e si avvicinò allo scaffale del guardaroba quando lo squillo del telefono ruppe il silenzio nel piccolo appartamento scombinato facendolo trasalire con violenza. Lasciò cadere la cravatta che aveva appena scovato sulla mensola in cui l’aveva pescata e superò due paia di scarpe per afferrare il cellulare. Senza neanche leggere il nome del mittente sul display, rispose.
“Pronto?”
“Phil?”
La voce spensierata di Pepper fu la solita ventata di allegria e Phil sorrise nonostante tutto.
“Come va? Già sei pronto?” gli chiese subito e, anche se non poteva vederla, Phil se la immaginava benissimo mentre camminava scalza per casa sorridendo divertita.
“No” rispose divertito a sua volta. “Sono disperato.”
“Sul serio?” chiese lei stupita. “Be’, allora vieni da me.”
Phil aggrottò la fronte, pensieroso.
“Non colgo il nesso logico” fece perplesso. Pepper sospirò profondamente dall’altra parte del telefono.
“Non c’è un nesso logico” spiegò lei allegra. “Ho voglia di parlare con te, nessun ragionamento. Allora, vieni o no?”
Phil pensò un minuto: vagò con gli occhi sul mare in tempesta che si era abbattuto sulla sua abitazione, vagliò attentamente tutte le ipotesi plausibili e colse con un sospiro affranto lo stomaco infiammato dai sensi di colpa e l’agitazione.
“Sto arrivando.”
Il tragitto dal suo appartamento alla Torre non prevedeva più di quindici minuti di viaggio ed esattamente ad un quarto d’ora dalla fine della telefonata Phil varcò la soglia della Stark Tower.
Quando fu entrato in salotto, la prima cosa che vide fu Pepper seduta a gambe incrociate sul divano, un sorriso luminoso sul volto libero dalla coda ramata sulla nuca e una luce affettuosa nelle iridi di cielo.
“Sei sempre puntuale come un orologio” lo blandì sporgendosi per schioccargli un bacio sulla guancia. Phil sentì il punto in cui le labbra di lei l’avevano toccato farsi appena più caldo. “Tutto bene?”
“Sì” rispose con prontezza lui, ricambiando il saluto e trattenendo a stento l’impulso di roteare gli occhi al cielo. “E tu? Come sta il tuo marito folle e senza speranza?”
Lei rise debolmente e scosse la testa, conducendolo verso il corridoio.
“Sta bene, è in ottima forma, dire. Ora, è in laboratorio con Bruce” aggiunse scrollando le spalle divertita, varcando con un saltello la soglia della camera da letto e dirigendosi verso la cabina armadio.
“Dobbiamo fare una sfilata di moda?”
Pepper finalmente si fermò; si girò su se stessa e gli rivolse un’occhiata perplessa, sbattendo le palpebre sulle iridi stupite.
“Dobbiamo trovarti un abito adatto” spiegò con naturalezza, aprendo lo scorrevole con un semplice gesto della mano. Le piccole dita sottili s’infilarono tra gli indumenti scuri, alla ricerca di un completo elegante fra quelli che Tony si era sempre rifiutato categoricamente di indossare che si intonasse all’occasione.
“Sei sicura che a tuo marito non dispiaccia?” le domandò, sedendosi alle sue spalle. “E poi non c’è bisogno.”
“Certo che c’è bisogno” replicò Pepper convinta, ignorando intenzionalmente il riferimento a Tony. “Pensavo ci tenessi.”
La stilettata era troppo acuta per essere tralasciata e Phil non trattenne un sospiro paziente.
“E infatti ci tengo” specificò con voce sicura, molto, “e questo non spiega il tuo tono gelido di condanna. Mi hai sempre incoraggiato, con Marilyn.”
“Questo prima di sapere la verità” riprese lei, continuando a dargli le spalle e osservando incredula una cravatta con la fantasia di Iron Man, appuntandosi mentalmente di farla sparire il prima possibile. “E se ti ho perdonato è stato solo perché ti voglio bene. Ma non posso credere che tu stia davvero facendo una cosa del genere” proseguì intestardita. “E non parlo solo di altre persone. Ferisci anche te stesso.”
“Pepper” ribadì lui con un sospiro, “ne abbiamo già parlato. È la cosa migliore per tutti.”
“No” replicò lei con prontezza. “È quella peggiore, per te, per lui e per lei. È terribile. Condanni non solo te stesso, ma altre due persone, alle quali tieni pure e anche parecchio, all’infelicità perpetua perché hai paura di affrontare la realtà.”
“No, perché lo dice il regolamento” fece Phil ostinato.
“Ti prego” sbuffò Pepper incredula. “Non è così e tu lo sai. Perdona la brutalità, ma proprio non riesco a vedere il mio migliore amico che si distrugge la vita per qualche timore su un sentimento.”
Bloccò improvvisamente le mani e sospirò a lungo, girandosi a guardarlo e raggiungendolo sul letto. Si sedette al suo fianco e gli strinse la mano con forza.
“Ma tu sei sicuro?” disse lei all’improvviso. Phil sollevò il volto e vide gli occhi luccicanti cerulei di Pepper fissarlo con dolce comprensione.
“Perché?” domandò. Le sue guance si accesero e si sentì irrimediabilmente stupido.
“Lo sai” rispose lei sempre con quel tono così maledettamente razionale, il che era del tutto insensato perché quello a cui alludeva era tutto tranne che razionale.
“Certo” bisbigliò Phil con un sospiro. “Sì. È giusto” insistette quando lei gli rivolse un’espressione scettica. “Non sarebbe giusto il contrario. Marilyn è una ragazza carina, simpatica, affettuosa...”
“Ma non è C-...”
“Non dirlo” la bloccò lui con i palmi aperti e tesi. “Pepper, sul serio: sarà meglio così, per tutti.”
“Fingere non è mai la cosa migliore, Phil, lo sai?” gli fece notare lei e un’ombra di malinconia le offuscava lo sguardo premuroso. “Non cambierà nulla.”
“Deve” ribatté lui convinto. “Vedrai. E poi” riprese con un sorriso affettuoso, “non mi è mai piaciuta una ragazza come Marylin. A lei tengo davvero tanto.”
“Tanto non è sempre sufficiente, Phil.”
Quella frase giunse all’orecchie di Phil come una freccia di ghiaccio, perforandogli il petto e i polmoni. Il dardo scese nel sangue e puntò dritto al cuore; la metafora lo fece sorridere debolmente e Pepper strinse la presa sulla sua mano.
“Non serve a niente sbottonarle il vestito, agente, se prima non le sbottoni il cuore. E mi dispiace deluderti, ma non è una cosa che puoi fare con chiunque, ma solamente con chi può sentirlo davvero e quello non lo scegli tu.”
Gli occhi dell’agente si tinsero di un luccichio malinconico mentre si posavano sul volto di Pepper e lei poggiava la testa sulla sua spalla. Fece scivolare l’altro braccio ad accarezzare quello di lei e avvolse il dorso niveo con il palmo che non era già a contatto con il suo sinistro e affondò una guancia sul suo capo, cullato dalla profumata carezza della chioma ramata.
Infine, chiuse gli occhi e avvertì il silenzio penetrargli nella testa in subbuglio un attimo prima che Tony entrasse.
Spalancò la porta distrattamente e i suoi occhi scrutarono perplessi la situazione che gli si presentava. Osservò stupito Phil, poi guardò scettico Pepper.
“E io ora cosa dovrei pensare?” chiese minaccioso. Pepper sorrise.
“Che me ne sono trovata un altro” rispose maliziosa. Lui strinse le labbra per non scoppiare a ridere.
“Hai cercato poco.”
La cravatta con le armature lo centrò sul naso.
 

*

 
L’alba era ancora lungi dal sorgere e il cielo era di un tenue cobalto tinto di sfumatura gialline e rosate, appena scostato dalla notte appena trascorsa, ma non ancora fresco del nuovo giorno.
Lontano dal quartiere di Broadway, ma non abbastanza perché dalla finestra principale non si scorgesse la sagoma maestosa della Stark Tower stagliarsi sul cielo d’ovatta colorato di fiordaliso e orchidea, in un piccolo appartamento al secondo piano, in un palazzo sulla Novantaseiesima, Phil era sveglio e stava pensando.
Camminava per la casa silenziosa Marylin e di lì a poche ore sarebbe spuntato il sole, ma a lui non interessava perché la luce non sarebbe arrivata più.  Era luminoso, sì, come il sole al tramonto; sì, perché quella era la fine di qualcosa, per poter essere l’inizio di Marylin. La sua luna stava sorgendo e Phil sapeva che quella notte aveva definitivamente detto addio al suo, di sole.
Si muoveva a passo veloce, lungo il corridoio, con indosso solo un asciugamano al punto vita, ignorando lo stato brado in cui si trovava il costosissimo completo scuro di Stark, che davvero poco aveva potuto contro l’assalto di Marylin e, al diavolo gli incubi, sì che le aveva fatto vedere il Paradiso. L’ennesimo sospiro gli sfuggì dalle labbra, incurvate in un sorriso debole, e tornò in camera da letto, raggiungendo di nuovo Marylin sotto le coperte e sperando di lasciarsi fuori quel mare di confusione che gli faceva girare la testa. Lei avvertì subito la presenza di Phil al suo fianco e si destò, baciandolo con dolcezza.
“Grazie” sussurrò ancora assonnata. Phil arrossì vistosamente, il ventre infiammato dai sensi di colpa. “Non ho mai pensato che avrei mai trovato davvero la persona giusta.”
Le guance di Phil avvamparono ulteriormente per il riferimento involontaria, ma una vaga traccia di malinconia gli bloccò la voce in gola e quando parlò avvertì lui stesso una piccola nota di desolazione nelle sue parole.
“Neanche io” replicò imbarazzato e ricambiò lento il bacio.
Chiuse gli occhi, stendendosi sotto le lenzuola stropicciate e Marilyn gli si rannicchiò contro, la testa su una spalla e le braccia a cingergli la vita in una presa morbida, ma decisa. I capelli biondi cadevano a riccioli sul petto scoperto di Phil e le labbra accarezzavano in teneri baci la pelle tesa, due dita a strofinare la clavicola opposta.
Phil la osservò addormentarsi su di lui mentre continuava a lambirgli i muscoli prominenti del torace e delle spalle e provò un moto di inconsolabile malinconia per quel gesto, quasi il giramento di testa gli stesse avvolgendo la mente. I sensi di colpa lo punsero con la forza di un elefante in fuga, colpendolo dolorosamente fisicamente e sentì il ventre contrarsi per la violenza di quella sensazione di inadeguatezza e incomprensione e non riusciva a capire perché.
Marilyn gli piaceva, anzi, di più, era la ragazza perfetta, giusta, quella che aveva sempre aspettato... e allora perché tutto gli sembrava così irrimediabilmente e indiscutibilmente sbagliato?
Era davvero possibile che perfino la persona giusta cessava di essere tale se si scopriva di non poter esistere con quella perfetta?
La testa prese a girargli tutt’a un tratto con tanta forza che Phil si lasciò cadere con la nuca sul cuscino, respirando profondamente. Aveva appena chiuso gli occhi, con la ferma intenzione di non muoversi per almeno le prossime due ore, prima di fuggire in ufficio, benché la prospettiva di quello che sarebbe successo lì lo terrorizzava a dir poco, quando il cellulare squillò.
Atterrito dall’ipotesi che potesse essere Stark, ansioso di avere un fresco resoconto della serata, Phil afferrò di scatto il telefono e, quando vi lesse il nome sul display, rimase piuttosto sorpreso.
“Pepper?” sussurrò stupito. “Che succede?”
“Phil?”
La voce della sua migliore amica appariva esitante e colma di agitazione.
“Mi dispiace disturbarti, ma ho bisogno di te.”
Il ritorno di Glanster, un nuovo attacco alieno, l’invasione della Terra a opera di crudeli esseri di grandi dimensioni dotati di corna appuntite: subito le più nere aspettative cominciarono a farsi strada nella mente di Phil e un’onda di ansia lo travolse.
“Natasha è scomparsa.”
Essendosi figurato una situazione in cui il mondo intero era in pericolo a causa delle manie di grandezza dell’ennesimo folle maniaco, Phil rimase sinceramente sconcertato di fronte a quell’affermazione.
“Natasha?” ripeté perplesso. “In che senso?”
Pepper sospirò profondamente e se Phil non avesse avuto quel mal di testa da primati forse avrebbe colto la sfumatura di biasimo e compassione in quel fruscio d’aria.
“Nessuno sa che fine abbia fatto, fino a cinque minuti fa, quando mi ha chiamata il barista del Poncho e mi ha detto che, secondo lui, è il caso che la vada a prendere. Solo che volevo chiederti se mi puoi accompagnare… se non è un disturbo per te, naturalmente…”
Sembrava davvero dispiaciuta e Phil subito le rispose, sorridendo. Lei l’avrebbe sentito lo stesso.
“Certo che non lo è” disse tranquillo e quasi fu felice di avere una scusa per sfuggire da quell’oceano di confusione. “Ci vediamo lì tra dieci minuti.”
La sentì sorridere al telefono a sua volta.
“Grazie, Phil.”
Prima che potesse chiudere, la sentì sospirare e attese la domanda che stava aspettando.
“Stai bene?”
Sorrise debolmente e non trattenne un sospiro affranto.
“Pensavo facesse meno male.”
Trascorse un altro istante di silenzio, poi Virginia parlò ancora.
“A tra poco.”
Phil chiuse il cellulare e si alzò cauto dal letto, cercando a tentoni quello che rimaneva della camicia e dei pantaloni che erano stati di Tony. La giacca era praticamente in brandelli, per cui decise di portarla al braccio. Si vestì nel miglior modo possibile che gli permetteva il contesto e fece per avvicinarsi alla porta quando la voce di Marilyn lo richiamò.
“Ci vediamo stasera?” chiese lei dolce. Phil sorrise tristemente e si chinò per baciarle le labbra. “C’è il concerto, potresti venire. Il violoncello è il tuo strumento preferito, dopotutto.”
Phil si chiese se il doppio senso fosse solo nella sua testa. E si chiese soprattutto perché aveva pensato ad un altro, violoncello; sempre ad arco.
“Non saprei” rispose garbato. “Forse sono di turno, ma ti faccio sapere. Ora devo andare.”
Uscì silenziosamente e corse quasi per le scale, cercando di fare il minor rumore possibile.
Le strade di New York, a quell’ora – erano le cinque del mattino?! Natasha le avrebbe prese di brutto – e Phil raggiunse il Poncho in meno di dieci minuti.
Entrò nel locale facilmente e si ritrovò in un’enorme sala illuminata solo da luci fioche e colorate, dove la musica risuonava a volume quasi inesistente e i pochi tavoli occupati erano in stato pietoso. Alcuni giovani reduci da una nottata di bagordi erano mezzi addormentati su alcuni divanetti in un angolo, con le gambe intrecciate e la sbornia pesante, i baristi erano impegnati nel riordinare la sala e una manciata di persone erano ancora sedute a sorseggiare bevande colorate e ingerire altre sostanze palesemente poco salubri.
Cercando di ignorare il proprio senso di responsabilità che gli imponeva di sequestrare tutta quella roba, cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di Natasha, con scarsi risultati. Era appena riuscito nell’intento di ottenere una ripota da un barista in stato confusionale che continuava a cantare a squarciagola alla domanda se aveva visto una ragazza rossa con una negazione quando Pepper entrò. Superò un gruppo di ragazzi del tutto andati all’ingresso del locale, senza fermarsi di fronte ai loro richiami animali, come sempre splendida e perfetta perfino alle cinque del mattino, e raggiunse Phil con agilità.
“Ciao” la salutò lui, cercando di sovrastare la voce di David Guetta che aveva cominciato a inneggiare il pubblico assente. “Come va?”
Pepper gli rivolse uno sguardo esasperato e rispose:
“Sono tornata alle due da una festa a cui Tony mi ha praticamente costretta ad andare perché era in onore di Rhodey e, appena sono riuscita ad addormentarmi, il barista mi ha telefonata. Ha il mio numero perché Tony era un assiduo frequentatore qualche anno fa e Natasha è venuta qui un paio di volte per questioni di lavoro. Sa che è mia amica e mi ha chiamata perché dice che è meglio che vada a casa” concluse pragmatica. Phil annuì e riprese a guardarsi intorno.
“Eccola.”
Seguì lo sguardo di Pepper e, quando vide dove puntava, scosse il capo con decisione: Natasha era seduta da sola ad un tavolo, lo sguardo glaciale offuscato dalla stanchezza e tra le mani un enorme bicchiere di quella che, a naso, sembrava vodka.
“Natasha” esclamò Pepper, sedendosi accanto a lei. “Stai bene?”
Natasha sollevò lo sguardo dall’orlo del boccale e scrutò il viso di Virginia con aria stanca.
“Che ci fai qui?” chiese assottigliando gli occhi. “Come siete arrivati?”
“Non ci pensare” intervenne Phil deciso. “Tu stai bene?”
“Sì” rispose lei con convinzione e Pepper annuì rassicurata.
“Non è ubriaca” aggiunse in risposta allo sguardo interrogatorio di Phil, “è solo un po’ stanca... perché sei qui?” chiese poi rivolta a Natasha. Lei arricciò le labbra in una smorfia seccata.
“Fury mi ha dato il compito di tenere d’occhio un tale” replicò storcendo il naso, “Joss Whedon.”
“Lo conosco” fece Phil comprensivo. “Ma come mai era qui, ieri sera?”
“Non sapevamo se fosse qui o da un’altra parte” replicò Natasha con un sospiro, “così hanno mandato me qui e Barton all’Huci.”
Pepper represse a stento un sorriso quando sentì l’amico trattenere rumorosamente il fiato alle sue spalle.
“E hai bevuto un po’ per passare il tempo.”
“Non sono ubriaca” ripeté gelida e Pepper annuì.
“Lo sappiamo” disse tranquilla, “ma adesso dobbiamo andare. Fury vorrà un rapporto.”
“E da quando a te interessa quello che vuole Fury?”
Phil colse lo sguardo di Virginia e tacque.
“Va bene, dove hai messo la macchina?”









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Seriamente, non so con quale coraggio mi presento qua, come si dice a Napoli, e mi sento davvero imbarazzatissima per l'imperdonabile ritardo con cui mi accingo a pubblicare questo maledetto ventesimo capitolo. So che è banale e ridicolo e anche molto retorico, ma tutto ciò che posso dire è che mi dispiace e che mi scuso infinitivamente. Prometto di non comportarmi così male mai più. 

Dunque, speriamo che questo capitolo, nonostante arrivi con anni luce di ritardo, sia almeno gradito. 
Ho passato gli ultimi tre giorni a leggerlo e correggerlo e rileggerlo e ricorreggerlo ancora e adesso non ne posso più. Lo affido a voi, in versione definitiva, e spero lo gradiate. ^^
La trama ormai è spianata - ci credo, siamo a quattro dal finale - e non dovrebbero esserci più tanti quesiti irrisolti. Ho inserito un po' più d'introspezione del previsto, spero che non annoi e spero anche di esser riuscita a mantenere tutti i personaggi IC. Inoltre, mi auguro che la rivelazione sul pairing slash non shocki o stressi chi non è sostenitore della coppia, nel cambiamento di fronte; chiariamo, io provo un sentimento di tenero fluff per la violoncellista, ma chi mi conosce sa con chi shippo Coulson e, ahimè, anche qui. *-* Spero sia tutto plausibile e sensato e basta con ciance, sto straparlando come Stark. Vi lascio le solite informazioni e fuggo via, non prima però, di aver ringraziato con tutto il cuore quelle quaranta meravigliose persone che seguono la storia e le altrettanto straordinarie trenta che la preferiscono/ricordano e le sei che hanno recensito la scorso capitolo - Kairy, Alley, LadyBlack, Maretta, Even e Missys; voglio scusarmi con loro in particolar modo per il ritardo e prometto che non succederà più. 

Cercherò di fare i salti mortali per aggiornare Giovedì prossimo, promesso!
E ora: 

[1]: Friends è una sitcom americana che narra le vicende di sei amici trentenni a New York; 
[2]: Il Mago di Oz, Sette spose per sette fratelli, La finestra sul cortile sono tutti film abbastanza vecchi - risalenti, rispettivamente, al 1939 il primo e al 1954 il secondo e il terzo. Judy Garland interpreta la protagonista - Dorothy Gale - ne Il Mago di Oz, accanto a Ray Bolger - Lo Spaventapasseri; l'Uomo di Latta è un terzo personaggio - e Grace Kelly è la co-protagonista femminile ne La finestra sul cortile accanto a James Stewart. E sì, li ho citati perché sono tra i miei film preferiti; 
[3]: Tatiana Romanova è un personaggio del film A 007, dalla Russia con amore ispirato all'omonimo libro di Ian Fleming. L'ho accostato a Natasha per l'identicità del cognome e l'identità di spia russa; è la principale Bond girl della storia; 
[4]: "L'importante non è sbottonarle il vestito, ma sbottonarle il cuore" è una citazione di Gossip Girl, della mia Queen B; 
[5]: l'allusione alla "persona giusta" da parte di Marilyn e Phil è, naturalmente, alla storia di Steve e Peggy *non ha niente a cui pensare*;
[6]: Joss Whedon è il regista di The Avengers e, *trattiene il fiato*, della serie americana Agents of S.H.I.E.L.D. che andrà in onda in Autunno con protagonista il mio Coulson *sprofonda in un mare di teneri aww*. 


Credo di non essermi persa nessun pezzo per strada. ^^ Un bacio a tutti e alla prossima!
Mary. 

PS. Scusate ancora. T.T'

   
 
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