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Autore: Eryca    27/06/2013    3 recensioni
Succede ancora, a volte, che esco in balcone, nelle notti in cui il caldo sembra voler sciogliere ogni cosa, e osservo l’orizzonte sopra il mare blu.
Ed è in quelle notti – le notti infinite, le chiamavamo – che chiudo gli occhi.
Chiudo gli occhi e le sue mani sono su di me.
Chiudo gli occhi e bevo una birra insieme a Tom.
Chiudo gli occhi e sfreccio, sfreccio per le strade asfaltate.
Chiudo gli occhi e sono senza limiti.
Chiudo gli occhi e vivo.

***
1969.
Adam non è altro che un neo diplomato, quando La Dea Danzante gli appare davanti agli occhi come un'allucinazione. Il giovane ragazzo viene velocemente trascinato in un mondo stupefacente, fatto di poesie, musica e libertà, dove tutto è lecito e nulla è legge.
Mentre entra a far parte di un gruppo di strampalati ribelli, Adam si farà insegnare dalla sua Dea il significato delle parole vivere e amare.
Ed imparerà ad andare oltre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
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9.

Quando iniziai ad amarla

 

 

 

 

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Non ricordo di preciso quando iniziai ad amarla.

Forse avvenne subito, quella sera in cui la vidi danzare sul trampolino della piscina, o è possibile che quella fosse solo infatuazione, mentre l’amore si impossessò del mio animo a poco a poco, lentamente, posizionando i suoi mattoncini con cura.

Non so quando, ma successe.

Successe che l’amai così profondamente ed incondizionatamente che, a volte, fa male ripensare al modo in cui le donai me stesso. C’è questa emozione che si sprigiona in me ogni volta che ripenso a May e non posso fermarla, nemmeno dopo tutti questi anni. Ed è proprio il tempo che ha assassinato il mio sogno insieme  a lei, scorrendo silenzioso, in modo che io non mi rendessi conto di esso, per poi uccidermi, uccidermi quando mi sono accorto che non ce n’era più, di tempo.

Dolce è il ricordo dell’amore che le donai, forte e passionale. Dolce è il ricordo di lei e di quando mi svegliai, sdraiato su un marciapiede, la mattina dopo il nostro arrivo al Coo. Mi chiesi dove diavolo mi trovassi e perché mi fossi addormentato per terra, ma quando mi resi conto che accanto a me, la testa appoggiata alla mia spalla, riposava May, le mie preoccupazioni si dissolsero. Guardai il suo viso rilassato, priva della malizia che la caratterizzava, e mi sembrò più giovane di anni. Una bambina. Una bambina dolcissima.

Rimasi lì, sdraiato sulla ghiaia, per un lasso di tempo indefinito, lasciando che la mia mente si staccasse lentamente dal dormiveglia, senza metterle fretta. Poi, mi alzai con calma, spolverandomi i vestiti malridotti e cercando di domare il cespuglio del miei capelli.

La porta del Coo era chiusa e sulla vetrata principale era appeso un cartello che annunciava la chiusura del locale. Notai che la macchina era parcheggiata nello stesso posto in cui l’avevamo abbandonata la sera precedente, ma dentro, come elemento in più, stavano Tom, Kurt e Dean, stravaccati nello spazio angusto. In quel momento iniziai a sentire il disperato bisogno di una doccia e uno spazzolino, cose a cui non avevo minimamente pensato quando avevo deciso di partire con May. Accantonai quel desiderio, conscio che non si sarebbe avverato tanto in fretta, e guardai il mio aspetto nello specchietto dell’auto: i miei capelli erano sempre uguali, solamente molto più scompigliati, mentre invece le labbra erano un po’ screpolate, probabilmente a causa delle bravate della notte appena trascorsa. Ma fu quando guardai dentro ai miei occhi, che mi resi conto di avere davanti una persona così profondamente cambiata, da risultare quasi irriconoscibile: vi era una scintilla, in quel verde smeraldo, una scintilla così abbagliante da illuminare tutta la mia persona. Una scintilla di vita.

 

Morto vivente,

cuore spento,

occhi vuoti.

Poi

Sei arrivata tu, O Musa

E io ho iniziato a vivere.

 

Ricordo come rimasi scioccato nel vedere quanto ero mutato, quanto avessi preso consapevolezza di ciò che significava vivere, vivere per davvero, dando il massimo, abbandonandosi al piacere, perché non era vero che la vita era peccato e dolore, la vita era amore e gioia, gioia infinita. Gioia insieme alla mia Musa.

«Prima eri bello...» Sobbalzai, spaventato dall’improvviso arrivo di May, che mi aveva passato le braccia intorno al collo – dolce prigione – e mi parlava dolcemente, le labbra appoggiate al mio orecchio – brividi.

Mi fece voltare, in modo da poterla guardare in viso – bella, bella come era proibito, proibito il suo fascino. «...Adesso, lo vedi? Sei bellissimo.»

Mi baciò sulle labbra, senza lussuria, semplicemente trasmettendomi tutto il sentimento che sentiva nei miei confronti. E io lo percepii. Lo percepii così intensamente che venni scosso da mille tremiti, sentendo l’impulso di stringere quel suo corpo di sirena a me.

Prima eri bello, adesso sei bellissimo. Seppi con certezza che si riferiva al mio cambiamento interiore, al fatto che prima ero un bel ragazzo che sopravviveva facendo ciò la società gli imponeva, eseguendo gli ordini dei genitori e della madre, mentre ora ero bellissimo. Bellissimo e vivo.

«Inizio a capire il segreto della tua bellezza, allora.» Sorrisi, ammaliato dal suo riso, che già stava salutando un nuovo giorno, rendendo la mattinata migliore. È che non ce n’erano di risate come le sue, non era possibile trovare un'altra risata come la sua, così ridente che sembrava voler far fiorire ogni pianta, far crescere ogni frutto e far sbocciare la vita.

Lei era vita, ne sono sempre stato convinto e lo sarò sempre.

«Dovremmo fare colazione, non credi? Ho una certa fame.» Ero un giovane ragazzo che era abituato a mangiare dei pasti abbondati ed avevo bisogno di riempire lo stomaco.

«Perché non mi hai portato la colazione a letto, caro?» Sfoderò un accento british, imitando le coppie di sposati, tirando fuori un lato di sé buffo e divertente. Un altro lato di sé che non conoscevo. Dovevo scoprire ancora molto di May ed avevo tutta l’intenzione di farlo, aggiungendo ogni pezzo a quelli che già avevo, cercando di acquisire più informazioni possibili. Ridemmo un po’, prendendo in giro i nostri genitori, improvvisando balletti africani. Quando mi misi a fischiettare con le mani dietro la schiena, fingendo di essere uno di quei vecchietti che si vedono nel mio quartiere, la mia Musa scoppiò a ridere così fragorosamente che le vennero le lacrime agli occhi.

«Avete finito di fare casino? Cristo!» Kurt, però, sembrava non aver apprezzato il nostro spettacolino, al contrario di Tom e Dean che, appena svegli, ci osservavano divertiti. Comunque, visto che ormai eravamo tutti freschi di dormita e che il pub era chiuso, decidemmo di partire, in cerca di un posto dove mangiare qualcosa a basso prezzo. A causa della marijuana, l’automobile si riempì velocemente di fumo, così fummo costretti a continuare il viaggio con i finestrini aperti, mentre gli insulti del Motociclista facevano da sottofondo. Tom prese a suonare la chitarra e ci ritrovammo presto a cantare Can’t buy me love dei Beatles, condividendo le parole del gruppo: a noi non importava molto dei soldi, perché i soldi non potevano comprare l’amore.

Dopo qualche ora in strada, iniziammo ad intravedere una piccola cittadina, così ci immettemmo nelle vie principali, seguendo le indicazioni sui cartelli.

«Oh, ma certo! In questo buco di culo ci abita un mio amico!» esclamò Tom che, completamente stordito dalla cannabis, si era accorto solamente dopo una mezz’ora di ciò che stava succedendo. Così decidemmo di fare tappa da questo suo fantomatico amico, che nessuno sapeva conoscere e di cui tutti dubitavamo dell’esistenza. Ma, dopotutto, eravamo affamati e con pochi soldi in tasca, quindi ben disposti a mangiare a sbaffo.

A volte May abbandonava un momento il suo ossessivo guardar fuori dal finestrino e faceva aderire la sua coscia alla mia, per poi guardarmi teneramente e stamparmi un bacio fugace sulle labbra. Era così, tra di noi, non parlavamo anche per intere ore, semplicemente perché non avevamo nulla da dirci e non volevamo aprire la bocca solo per dire fesserie. Se interagivamo era perché lo volevamo.

«È questo palazzone, qua!» Tom indicò un edificio piuttosto malmesso, sviluppato in altezza piuttosto che in larghezza, con grondaie a vista e crepe lungo tutte le mura. Di certo non prometteva bene, ma d’altronde ci trovavamo in uno degli isolati più poveri della cittadina. Ancora non eravamo certi che Tom non stesse semplicemente delirando, per cui avanzammo con cautela, osservando scrupolosamente i campanelli.

«Non troverete il suo nome sul citofono.» Nel vedere i nostri sguardi interrogativi, Tom alzò gli occhi al cielo, prendendo a muovere le mani come se stesse scacciando via una mosca. «Ha problemi con la polizia.»

Non pronunciammo più parola, ma ci limitammo a seguire il nostro sballatissimo amico su per le scale del condominio, che sembravano essere infinite: continuavamo a salire, senza ma trovare una fine a quel supplizio. Ad un certo punto, Kurt sbraitò contro Tom, chiedendogli dove cazzo ci stesse portando. Comunque – strano, ma vero – arrivammo ad un pianerottolo nel quale vi era una sedia con sopra un vaso di fiori appassiti; sulla sinistra, invece, vi era una porta dipinta di un viola scuro, sulla quale era stato scritto con la vernice nera “Lo Sciamano”. Tom fece un inchino, come a dirci che il suo amico esisteva per davvero e non se lo era inventato, per poi prendere a bussare con forza alla porta.

Dopo alcuni minuti di attesa, l’imposta venne aperta e sentii una musica piuttosto rilassante arrivare dall’interno della casa, come una di quelle melodia indiane. Davanti a noi stava un uomo alto e dalla pelle abbronzata, che ci guardava con aria piuttosto scocciata.

«Juan!» Non appena l’uomo notò Tom sorrise calorosamente, aprendo le braccia invitando il ragazzo ad abbracciarlo, cosa che non si fece ripetere due volte. Era ormai evidente che, nonostante fosse completamente fatto, il nostro amico si ricordasse perfettamente l’indirizzo di quello strano tizio in camicione di lino ed infradito.

«Come mai sei tornato al nido, Tomito?» L’uomo parlò con estrema calma, come se dosasse le parole, mentre teneva le mani unite, quasi stesse pregando. I suoi occhi arrossati mi fecero rapidamente comprendere che l’odore forte che arrivava dall’interno dell’appartamento non era incenso.

«Io e i miei amici stiamo andando a Woodstock, sai, stanno organizzano qualcosa di grande lì, così abbiamo deciso di farci un salto.» Tom fece sembrare il nostro progetto come un’idea spuntata dal nulla ed in effetti era stato proprio qualcosa del genere per me, che mi ero fatto trascinare il quella folle esperienza all’improvviso. Per la prima volta in due giorni pensai ai miei genitori – mi ero completamente scordato di loro – e mi maledissi per non avergli ancora fatto ricevere mie notizie.  In ogni caso, le mie riflessioni vennero presto stroncato da Juan, che aprì di più la porta, invitandoci nella sua dimora.

Entrare in quella casa fu un’esperienza ultraterrena. Forse per via dei tappeti in stile orientale che fungevano da moquette, o magari a causa delle lampade a luce rossa che conferivano all’ambiente un aspetto illecito. L’odore di fumo era più forte che mai all’interno e, mentre seguivamo Juan tra i corridoi dell’appartamento, pensai di essere finito in un luogo magico e spirituale. C’era qualcosa di mistico, lì. Sulle pareti vi erano quadri pornografici di donne con le gambe aperte e la vagina alla mercé del pubblico, di uomini che facevano sesso con altri uomini e soggetti simili; i mobili sfoggiavano piccole statuette raffiguranti Buddha e l’incenso che mischiava andava a mischiarsi con il profumo di spinello, che le numerose persone presenti nell’alloggio stavano fumando.

L’idea di trovarmi nel fulcro di una sette indiana mi balenò nella mente, ma Tom si voltò e ci sorriso convinto ed eccitato, senza mai smettere di ascoltare rapito la voce di Juan, che ci aveva scortati fino ad un grosso salone dove gli ospiti consumavano chilom seduti su morbidi divanetti.

«Benvenuti nella mia umile dimora.» L’amico di Tom aprì le braccia in segno di accoglienza. Poi ci disse che, in quanto amici di Tom, dovevamo sentirci come a casa nostra e potevamo usufruire di tutto ciò che ci circondava.

Guardai May. May guardò Kurt. Kurt guardò Dean. Dean guardò Tom.

E da quel momento cominciò la festa.

Ripetemmo il nostro solito rituale fatto di alcol, droghe e musica ad alto volume. Ci lasciammo trasportare dall’odora dell’incenso, mentre il fumo della marijuana entrava nel cervello guidandoci verso luoghi mai esplorati. La musica sembrava volerti entrare dentro e, nonostante intorno vi fosse un caos incredibile, canticchiavo le canzoni che sentivo, barcollando per l’appartamento come un morto vivente. Nel corridoio, in un angolo semibuio, una coppia stava scopando senza preoccuparsi della gente che li osservava; ricordo che scoppiai a ridere di fronte a quella scena irreale, poi applaudii un po’ ed infine me ne andai, scocciato dal fatto che loro stessero facendo sesso ed io no.

Non saprei raccontarvi con precisione il resto della giornata, però è certo che intrattenni una conversazione filosofica insieme a Juan, mentre Dean mi intimava di lasciar perdere quelle stronzate e andare a provare il narghilè insieme a lui. Ad un certo punto, però, dovetti essermi ripreso, perché le memorie tornando piuttosto lucide e nitide: me ne stavo stordito su un divanetto, quando vidi la mia Musa alzarsi in piedi su un tavolino ed iniziare a danzare, donando uno spettacolo irripetibile all’intero alloggio. Muoveva quei fianchi in un modo maledettamente arrapante, mentre con la mano si accarezzava il corpo, senza mai smettere di guardare nei miei occhi.

 

Seducimi, o Musa

Seducimi ancora

E io ne morirò.

 

Allungò una mano verso di me e io la presi. Insieme. Salii su quel minuscolo tavolino che a stento riusciva a tenerci entrambi e presi a dimenarmi toccandole il corpo, fregandomene della gente che ci guardava eccitata, in attesa di altro. Io ero con lei. Con lei in quell’universo nostro, nostro e di nessun altro, in cui ci nascondevamo e ci proteggevamo dal mondo bastardo che non ci comprendeva.

«Vieni con me»

La sua voce un brivido nell’orecchio.

Scendemmo dal nostro palco improvvisato e, tenendomi per mano, mi portò nuovamente il quel labirinto di porte che era il corridoio. Non avevo ancora smaltito l’alcol e il fumo, percepivo solamente la mano della mia May e il suo profumo accanto al mio. Entrammo in una stanza vuota, arredata con un solo letto matrimoniale al centro e una lampada.
La mia Musa mi stregò con uno sguardo, prima di prendere a baciarmi dolcemente, come se il tempo non avesse alcuna importanza, come se l’unica cosa che avesse davvero un minimo di rilievo fosse la sua bocca sulla mia e che, quindi, meritasse cura. Mi levò la maglietta, sorridendomi, perché sapeva che avevo capito qual era il suo punto di arrivo, quella volta. Iniziavo a conoscerla abbastanza bene per poter sapere che ballare la eccitava da morire. Ed era per quel motivo che ci trovavamo soli in quella stanza.

La fermai un solo istante, mentre ormai eravamo già sdraiati sul grosso letto.

La fermai e la guardai.

Occhi negli occhi.

E ancora una volta lasciai che il mio animo annegasse in quel blu oceano, perché non aveva senso togliersi il piacere di scoprire cosa vi era dentro le sue iridi. Non mi sorrise, la mia Musa, ma scese a baciarmi il ventre, mentre il mio animo si era ormai risvegliato e il mio bisogno si faceva sentire. E io la sentivo. Così vicina.

E la baciai. Una volta, due volte, cento volte. La baciai in ogni parte del suo corpo, baciai le sue labbra, le sue spalle, i suoi seni, la sua pancia. Baciai la sua intimità e nel sentirla gemere sprofondai nell’oblio della passione, perché ero io, io e solo io ad averla fatta godere. Ero io che le stavo provocando piacere. E non ci fu più tempo per parlare, per pensare. Non c’era bisogno di parole inutili, sporche e corrette.

C’erano i suoi occhi.

C’erano i miei occhi.

E quello bastava.

Bastava per poter infine entrare dentro di lei e sentire le sue gambe stringermi la vita, mentre le sue mani mi infliggevano una dolce tortura, graffiandomi la schiena. E mi lasciai guidare da lei, muovendomi come un’onda del mare, inebriandomi del suo odore, del suo sapore. Godetti nel sentirmi finalmente dentro di lei, dentro il suo corpo, dentro la sua anima. Suo. Ero finalmente suo. Era lei ad aver penetrato me, non io. Mi accolse nel suo sesso con trasporto e io mi sentii a casa, come non lo ero stato mai, mai prima di allora, perché quello ero il mio posto, era lì dove io dovevo stare. Giusto.

Spinsi più forte, spinsi dentro di lei, spinsi con lei, spinsi per lei. Presi ad entrare ed uscire dal suo corpo freneticamente, sapendo che la fine era quasi giunta, non volendo che arrivasse, tentando di darle ancora, darle di più, darle tutto, tutto me stesso. E fu quando la sentii gemere rumorosamente, mentre toccava l’apice che compresi.

Compresi di amarla.

La seguii velocemente, abbandonandomi ad uno degli orgasmi migliori di tutta la mia vita.

Compresi di amarla.

Non ricordo di preciso quando iniziai ad amarla.

Forse avvenne subito, quella sera in cui la vidi danzare sul trampolino della piscina, o è possibile che quella fosse solo infatuazione, mentre l’amore si impossessò del mio animo a poco a poco, lentamente, posizionando i suoi mattoncini con cura.

Non so quando, ma successe.

 

 

*

 

Angolo Eryca

 

... I’m back!

In estremo ritardo, certo, ma sono tornata. Insomma, ormai avrete imparato a conoscermi e avrete capito che essere puntale non è proprio da me. Ma poi arrivo.

Tanto per iniziare: non uccidetemi per quella terribile scena rossa a cui vi ho dovuti sottoporre. Lo so che fa un po’ cacare i piccioni (?) però ci doveva essere e io ci ho messo del mio meglio. Spero comunque che un minimo di decenza io l’abbia mantenuta.

Anyway, se tutto va come previsto mancano due capitoli più l’Epilogo alla conclusione. Siamo quasi arrivati al capolinea, ragazzi.

Come sempre chiedo di lasciarmi un commentino se leggete, perché leggere i vostri pareri mi diverte, mi rilassa e mi da una gioia pazzesca. E ultimamente ho potuto leggerne pochi. Purtroppo.

Ah, sì! Che sbadata! Ci tengo a ringraziare di cuore tutte le 22 persone che hanno messo tra le seguite questa storia, le 12 che l’hanno inserita nelle preferite e le 5 che l’hanno messa tra le ricordate. Sarete anche in pochi, ma siete i miei amati lettori e io pubblico per voi.

Moi, je vous aime.

 

La vostra Eryca.

   
 
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