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Autore: pluviophilia    28/06/2013    18 recensioni
[STORIA SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO]
"Sei Giulietta, vero?" domandò.
"Juliet." ribattei seccata, non mi era mai piaciuto quel soprannome.
"Giulietta, in Shakespeare, finisce molto, molto male." continuò impertinente.
"Romeo anche peggio."
**
Improvvisamente sentii la presa sui miei fianchi stringersi ancora di più e un dolore acuto
perforarmi la colonna vertebrale, seguito da un bruciore dove era appoggiata la sua bocca.
Colpii il pavimento con un tonfo e non riuscii più a distinguere le figure intorno a me.

[Siete gentilmente pregate di non plagiare le mie idee; nuovo sovrannaturale.]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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You're bad for me I clearly get it, I don't see how something good could come from loving you.
 

-Juliet-

 

 
Rock my world into the sunlight
Make this dream the best I’ve ever known
Dirty dancing in the moonlight
Take me down like I’m a domino.

Continuai a cantare a squarciagola, l’iPod appoggiato sul mobiletto di legno, mentre l’acqua calda scorreva veloce sulla mia pelle, liberandomi dallo stress, dalle preoccupazioni e dalle tensioni della vita quotidiana. Era incredibile quanto una sola doccia potesse rimuovere tutte queste sensazioni negative, cullandomi sotto il getto tiepido.
Appoggiai la testa al muro, seguita poi lentamente dalla schiena, rabbrividendo per il contatto con la superficie fredda delle mattonelle.
La canzone finì; era ora di uscire, altrimenti sarei arrivata in ritardo.
Aprii l’anta di vetro e afferrai al volo l’accappatoio; come sempre avevo lasciato la finestra aperta e l’aria era gelida. Strofinai l’asciugamano bene sulle gambe, togliendo tutte le goccioline, e camminai in punta di piedi fino allo specchio. I capelli mi ricadevano dritti come spaghetti, tutti bagnati e appiccicati al viso, in un effetto alquanto spiacevole.
Afferrai un altro asciugamano e, a testa in giù, cominciai a strofinarli con forza. Quando non furono più grondanti d’acqua, presi il phon e partendo dalle punte li asciugai dolcemente.
Tenevo tanto ai miei capelli, non capivo come le altre ragazze rosse potessero tingerseli; insomma, eravamo una specie rara ormai, e invece alcune mie coetanee continuavano a comprare tinte biondo Barbie o nero Mortisia, quando avevano una chioma rosso tramonto stupenda.
Appoggiai il phon sul ripiano, lontano dalle chiazze d’acqua, e dapprima passai a pettinarmi. Decisi di lasciarli sciolti, con la riga al centro, insomma, mi sembravano adatti a una serata come quella. Passai velocemente la piastra, una sensazione che adoravo: i capelli ricadevano caldi sulle spalle, emanando un buon profumo, in quel caso di frutti esotici, esattamente com’era scritto sul flacone dello shampoo.
Finii di asciugarmi e indossai la biancheria pulita, raggiungendo Jade in camera. L’appartamento che dividevamo era piccolo, giusto qualche metro e fui da lei.
Era seduta a gambe incrociate sul letto, il mento appoggiato sul palmo della mano destra e lo sguardo fisso sull’armadio made in IKEA spalancato davanti a lei.
Era forse entrata in trance? Spaventata, sbirciai dentro al grande armadio che a stento conteneva tutti i vestiti della mia coinquilina. Non saltò fuori niente, notai solamente il solito disordine, abiti su abiti.
“J-jade va tutto bene...?” provai a chiederle.
Sbuffò. Ah, ecco, capii tutto.
“Cosa non trovi questa volta, dolcezza?” le domandai comprensiva. In questi momenti era molto fragile, bisognava starle vicini. Dopotutto ci sarebbe stata una festa, e doveva essere al massimo, apparire al massimo e dare il massimo. Se già per andare a scuola si svegliava mezz’ora prima di me, non immaginavo a che livello di crisi potesse essere arrivata adesso.
“Blu. Juliet, l’abito blu, quello che… - si soffermò - … blu. Hai presente? Quello svolazzante, quello bello…” perse il filo del discorso tornando a puntare gli occhi sull’armadio.
Esatto, stava cercando l’abito da indossare, quello che aveva comprato il giorno prima.
“Jade, allora... – iniziai con la tipica vocina rassicurante che si usa con i bambini - … quando l’hai comprato quel vestito?” le appoggiai una mano sulla spalla.
“Ieri.” mugugnò.
“Esatto, e cos’hai fatto quando sei arrivata a casa?” silenzio, mi fissò in attesa della risposta.
“Te lo dico io, ti sei buttata sul divano a mangiare popcorn, e il vestito…” lasciai in sospeso la frase.
“… l’ho lasciato nella busta all’ingresso!” saltò in piedi e corse di là euforica, rovistando dapprima intorno al divano, poi all’ingresso e infine in cucina.
“Eccolo!” sentii urlare. La vidi alzare il sacchetto in aria, manco fosse l'ultimo rimasto della prima giornata di saldi, e iniziò a cercare di staccare l’etichetta con i denti. Anche questo tipico da lei. Io senza forbici non ci riuscivo, era più forte di me.
Mi avvicinai al grande specchio che padroneggiava la stanza, la sua stanza fortunatamente. Nonostante l’appartamento non fosse troppo grande, eravamo riuscite ad ottenere due camere separate, con un bagno in comune. Era una grande fortuna perché, prima di tutto, avevamo entrambe decine e decine di abiti. In più, io amavo leggere, e beh… la mia stanza era tappezzata di poster e libri, erano ovunque.
Avevo una specie di letto-bunker, dove mi rifugiavo dopo le giornate più stancanti, dove mangiavo vagonate dei biscotti che cucinava Jade, e dove dormivo sonni profondi. Avevo appeso, l’anno prima, due tendine sottili, morbide e leggere, così, a volerlo, m’isolavo ancora di più.
Infilavo gli auricolari e… puff.
Via, mi teletrasportavo in un mondo tutto mio. Aspettate, no, non ero quel genere di persona. Non ero la più popolare della scuola, lo sapevo bene, ma avevo un sacco di amici ed era facile stringere un buon rapporto con me, anche se era altrettanto facile distruggerlo.
Amicizia? Sì, ma non tendevo a fidarmi troppo delle persone, degli estranei, non mi ispiravano nemmeno un po’.
Non ero il classico animale da festa, ma mi piacevano anche quelle, eccome se mi piacevano! E poi quella sera ci sarebbe stata una festa speciale, quella del mio migliore amico, quindi andava tutto per il meglio.
Jade, che era scomparsa dalla mia vista, riemerse perfettamente truccata e vestita.
Fece roteare la gonna come una bambina alle prese con il suo vestito da principessa. L'apparenza però poteva ingannare un osservatore poco accorto: Jade era di sicuro una delle persone più affidabili, sveglie e determinate che conoscessi.
“Ta-dan! Come sto?” chiese sorridendomi.
“Benissimo, veramente – ricambiai – mancano solo le scarpe.” le feci notare.
“Sì, metto quelle blu abbinate, o grigie come la giacca.” spiegò.
“No, no! – le sventolai l’indice davanti agli occhi – ho io qualcosa per te”.
Jade amava le mie scarpe, quelle che non prestavo mai a nessuno - lei esclusa. Ero molto gelosa delle mie collezioni, e avevo paura si rovinassero. Sfilai da dietro la schiena gli ankle-boots rossi lucidi incastonati di pietre, uno dei miei modelli preferiti.
“Oddio.” mi si avvicinò incredula.
“Oddio.” le sorrisi.
“Mi stai prestando un paio di scarpe?” le sfiorò sempre più sbalordita.
Annuii. Jade le afferrò con due dita, delicatamente.
“MI STAI PRESTANDO QUESTE SCARPE!” anche lei le amava.
“Sì, stasera devi stenderli tutti, fammi vedere come stai.”
Le infilò a velocità impressionante e afferrò borsetta e giacca, mentre io ero ancora svestita.
“Perfect.- ribadii alzando il pollice – Prendi le chiavi, faccio in un attimo.”
Volai in camera mia, infilando velocemente il vestito, fortunatamente senza zip. Indossai le scarpe, presi la borsa e la giacca di pelle, quasi uguale a quella della mia amica. Sembravo the-woman-in-black, altro che man. Era tutto, completamente nero, senza contare i dettagli dorati e le unghie rosse come le labbra.
“MIO DIO JULS.” esordì Jade quando entrai in salotto. Oh, mi ero dimenticata qualcosa. No, il trucco c’era, il resto pure. Che aveva da guardare?
“Stai benissimo!” sorrise.
“G-g-razie.” ricambiai imbarazzata. Tanto ero aperta e gentile con gli altri, tanto non accettavo i complimenti. Li odiavo, sotto c’era sempre ipocrisia e tanta, tanta falsità. Dopotutto però, Jade era probabilmente l’unica persona di cui mi fidavo ciecamente.
“Su, andiamo o arriveremo tardi.” uscimmo da casa, la discoteca non era tanto lontana, dovevamo camminare una manciata di minuti. Fortunatamente avevamo entrambe esperienza con i tacchi, altrimenti sarebbe stato un suicidio. Svoltammo, cambiando dalla via principale in una stradina più piccola, e girammo ancora un paio di volte. Senza contare che mi scontrai - giusto per cambiare - con un tipo, un tipo piuttosto strano, tatuato e pieno di piercing, che confabulò qualcosa e andò via innervosito, arrivammo senza alcun intoppo.
Il buttafuori, Charlie, oh, ormai eravamo grandissimi amici, ci salutò, senza controllare nemmeno che i nostri nomi fossero sulla lista, e ci fece accomodare.
Il corridoio era più chiassoso delle altre volte, la festa era già cominciata e qualche coppietta aveva cercato un luogo più appartato della pista da ballo.
Aprimmo la grande porta antincendio ed eccoci lì.
Un casino assurdo, gente da tutte le parti. Iniziammo a cercare il festeggiato sulle note di Sweat di Snoop Dogg e David Guetta, una canzone esplosiva, che mise a dura prova il mio autocontrollo.
Ma dovevo trovarlo, era pur sempre la sua festa, no? Dove poteva essere finito?
Non riuscii a distinguerlo tra i diversi gruppi che ballavano senza ritegno, agitando le braccia e muovendo i fianchi, così uscii da quella bolgia infernale e mi diressi verso la zona-poltrone, una sottospecie di priveè, se così si poteva chiamare, zona che poi era sommersa di regali.
Niente coppiette che amoreggiavano, solo un ammasso di pacchetti. 
“Ma dove cavolo sei finito…” sussurrai.
Sentii un indice picchiettarmi sulla spalla destra. Doveva essere il suo indice.
Niall!!” mi voltai spalancando le braccia per abbracciarlo. Nulla. Non c’era nessuno.
“Heylà, sono qui! Avevi detto che non ci cascavi più!” una voce mi fece girare.
Lo stritolai per bene “Sono troppo felice, ora. Lunedì in università facciamo i conti, festeggiato.”
Lo sentii sorridere “E questo outfit speciale è per me?” mi chiese facendo l’occhiolino.
“Ma cosa avete tu e Jade stasera? E’-è... un vestito normalissimo.” San Giuseppe, mi conosceva da cinque anni e non aveva ancora capito che mi dava fastidio ricevere complimenti. Non aveva speranze, quell’irlandese. Che poi, qualcuno mi doveva spiegare cosa ci faceva un irlandese a Londra, quando la sua terra d’origine è così verde e bella. La mente bacata dei suoi genitori era incredibile, io non avrei mai lasciato la campagna per la città. Ma gli affari erano affari, e il Signor Horan era un pezzo grosso. Beh, se non si fosse trasferito non l’avrei mai conosciuto, quindi, forse, in fondo, ma molto in fondo, era meglio così.
Gettai il mio regalo – dei pantaloni introvabili che voleva da molto e un piccolo album di nostre foto – in mezzo agli altri.
“Olè! - lo presi per mano – che la festa abbia inizio.”
Lo trascinai in mezzo alla folla, unendoci a un gruppetto di ragazzi della nostra età.
Iniziammo a ballare, di pari passo con gli altri, dimenandoci alla peggio. Alcune delle canzoni scelte erano improponibili, dubito seriamente le avesse volute Niall, infatti gli avevo trasmesso tutti i miei gusti musicali, e con la forza ero riuscita a fare un discreto lavoro. Partì, finalmente, Hangover di Taio Cruz, una bella canzone, anche se l'avrei scelta più per fine serata, quando le sbornie e le "ricadute" erano al culmine, ma non mi lamentai. Finita quella, e iniziando a sentire un po' di dolore ai piedi, cominciò Beauty And A Beat remixata alla peggio. Oh sì, ora Jade era soddisfatta.
Sarò ripetitiva, ma amavo totalmente quella canzone, era impossibile resisterle - Justin Bieber a parte. Quando arrivò il pezzo, quello fatidico "Body rock, girl i can feel your body rock eh-eh-eh" esclusa qualche troietta che sghignazzò strusciandosi contro lo sventurato accompagnatore, io e Niall scoppiammo a ridere, affiancandoci per non cadere. Ci ricordavamo bene quando, l'anno precedente, a una sottospecie di ballo scolastico, Jade aveva dato prova della sua brillante mente durante la visione di questo video.
Aveva sputacchiato il drink ridendo, così le avevo chiesto il perché, e aveva urlato indicando lo schermo "Vedi Bieber che si incula la Minaj e non ridi?!?!". Non era esattamente l'emblema della finezza, ma in fondo aveva ragione, e da allora, durante quella canzone, facevamo qualche secondo di silenzio per permettere a Jade di ascoltare il pezzo senza interferenze. Malefici, io e Niall, ma di sicuro più malvagia io. Finito anche quel brano e quello dopo, dire che ero a pezzi, tagliata a fettine da una motosega, era riduttivo. Niall decise, con la mia più totale approvazione, di aprire qualche regalo.
Mi stesi supina sul divano di velluto rosso, mentre nella sala echeggiava Bitch Better Have My Money di Rihanna. Era esilarante vedere l'irlandese aprire i regali, assumeva le espressioni più improponibili, dalla disapprovazione per le tre magliette uguali, allo stupore per il cappellino NY che voleva, allo shock per il film porno, che cercò di rifilarmi. Poco ma sicuro, colpa di quelli scemi dei suoi amici, che pensavo avessero la Master-gold-premium-card per YouPorn, a giudicare dal loro modo di parlare: non una frase, una sola frase, che non avesse un doppio senso.
Trovò qualche altro capo di vestiario, e giuro che se non fosse stato per la musica mi sarei addormentata, sdraiata su quella comoda, soffice, calda, imbottita e rilassante poltrona...
Niall prese in mano un pacchettino estremamente curato, e ne estrasse un bracciale sottile, che pareva prezioso.
"G-g-razie Juls, è... bellissimo, veramente." mi sorrise.
Usando quel briciolo di forza rimasta nel mio corpo, mi tirai su sistemando la gonna e mi avvicinai a Niall, prendendo il bracciale fra le mani. Due piccole lettere vi erano incise, una N, N di Niall supposi, e una J, che però non era la J di Juliet.
"No, guarda, non è mio, non te l'ho fatto io... " sussurrai, in fondo non volevo deluderlo, era davvero un bel bracciale.
"E allora di chi è?" mi domandò allacciandoselo aiutandosi con i denti e indice e pollice della sinistra.
"N-non lo so - scossi la testa - magari è la J di James: Niall James Horan..." tentai.
"Boh, non importa - alzò e abbassò le spalle - allora, cerchiamo il regalo della rossa... "
"Ti piacerà, biondo." sorrisi accasciandomi sul mucchio di regali, per fortuna, da quanto avevo visto, per la maggior parte vestiti.
Scartò la carta regalo che avvolgeva i pantaloni: era stata una grande botta di culo averli trovati. Stavo tornando da lavoro, sabato prima, ed eccoli lì, in bella vista, esposti in vetrina di un negozio di periferia. Presi al volo, un'occasione da non perdere, e perfino in saldo - meglio così perché non mi sarei potuta permettere di spendere troppo.
Per avere qualche spicciolo in più e comprarmi qualche abito carino, infatti, lavoravo in un piccolo negozietto. Ero pagata a ore, e mi permetteva di poterci andare quando avevo del tempo libero; i soldi che i miei m’inviavano per pagare l'affitto - fortunatamente non molto elevato - non mi sarebbero mai bastati per essere completamente autonoma, o almeno per come intendevo io questo concetto.
L'irlandese ripose i pantaloni con cura su una sedia - amavo questi suoi piccoli gesti - e aprì l'album, per poi iniziare a sfogliarlo dolcemente, pagina per pagina. Non lo avrei potuto giurare, ma penso che nel farlo gli sia scappata qualche lacrima, infatti quando puntò le sue iridi azzurre nelle mie le notai leggermente lucide.
"Grazie." sorrise dolcemente, giochicchiando con l'album di carta colorata fra le mani.
"Nulla, biondo - mi avvicinai per abbracciarlo - Ti voglio bene, buon compleanno." sussurrai sulla sua spalla.
Lo stritolai ancora un po', perdendo l'equilibrio un paio di volte, e rientrammo in pista a ritmo di Tik Tok. Tipica canzone da festa; al "put your hands up" si scatenava un coro di ragazzi, e riuscirsi a muovere tutti all'unisono, a centinaia, era una bellissima sensazione. Almeno finchè non cadevi a terra. Riuscii a scorgere Jade parlare con una mora, per poi notarci e raggiungerci.
"Eccovi! - un sorriso comparve sulla sua faccia, forse un po'sbronza, o come diceva lei 'allegra' - Vi ho cercato dappertutto in pista, ma poi ho lasciato perdere e mi sono unita ad altri. - si rivolse a Niall - Buon compleanno bellissimo!" si abbracciarono velocemente.
"Grazie Jade." ringraziò sulle prime note di... di... che canzone era quella? Oh, ecco. Timebomb di Kylie Minogue.
Quella canzone già altre volte aveva segnato il culmine delle feste, si scatenava sempre un macello, e i piedi mi facevano male, troppo male, così lasciai Niall e Jade e mi diressi verso il bancone dei cocktail, cercando di evitare morte certa per caduta dai tacchi.
Era semi deserto vista l'ora, e bevvi velocemente una... una... vodka, credo, volevo smettere di pensare per un attimo.
Poi ne ordinai un'altra, e non posso esserne proprio certa, ma non fu l'ultima della serata.
Mi rigirai verso la pista da ballo e appoggiai i gomiti al ripiano lucido del bar, non mi ero accorta ci fosse tutta questa gente, sembrava essersi duplicata da quando ero arrivata!
Niall era sì conosciuto, ma avrei giurato che non avesse mai visto prima metà delle persone in sala.

E fu in quel momento che mi trovai a riflettere, forse per effetto dell'alcool, che doveva essermi salito dallo stomaco al cervello, come evaporato per il calore eccessivo di quella stanza.
Pensai a quei momenti, a quegli attimi.
Spesso ci capita di dire che il tempo passa troppo piano, sopratutto se svolgiamo attività noiose o stancanti, e solo il giorno dopo ci accorgiamo di quanto, in verità, tutta la nostra vita sia passata velocemente, in un battito d'orologio. Attori, spazzini, insegnanti o biologi, cosa siamo noi per il mondo, per il pianeta? Nulla, solo un'altra forma di vita da ospitare per un periodo determinato. Dopo questo, basta, fine dei giochi. Sparisci per sempre, sarai rimpianto per qualche mese, ma alla fine tutti si dimenticheranno di te, le generazioni si susseguiranno e tu non sarai più nessuno, a meno di aver scoperto la cura per l'ultima malattia che affligge l'umanità.
La vita passava veloce, troppo veloce.
Dovevamo cogliere gli attimi, dobbiamo cogliere gli attimi che la vita ci propone, le diverse occasioni, non lasciarcele sfuggire come sabbia fra le dita.
Proprio come diceva Kylie "Fast, time is ticking so fast".
Oh Cielo, ma cosa mi mettevo a fare quelle riflessioni in discoteca, alla festa del mio migliore amico? Non ero nel mio letto bunker ad ascoltare musica da sala d'aspetto, ma in una sala gremita di gente.
Mi asciugai la fronte, doveva essere per forza colpa dei bicchieri di vodka, all'apparenza tanto innocenti, tanto simili ad acqua fresca, quanto in verità micidiali. Ecco, micidiali, intorpidivano tutti i sensi. Buttai la testa all'indietro, facendo scostare i capelli dal mio viso, rinfrescandolo, e lentamente la rialzai, inspirando ed espirando per ricominciare a pensare razionalmente.

E aprii gli occhi.
E fu allora che lo vidi.
 
 




















Salve vecchie mie. 
Eccomi qui, con questa nuova fic, la mia prima totalmente Oned. 
La vera vicenda si incomincerà a capire dal prossimo capitolo, 
questo é una sorta di prologo.
Vi ringrazio per aver letto, e in anticipo per le vostre recensioni o pareri.
Ah, ci saranno tutti e cinque i ragazzi, ma in ruoli molto differenti - e alcuni assolutamente OOC.
Alla prossima, 
ringrazio chiara_88 per il banner,
e Marianne_13 per la copertina facebook.

Joanne

 

Lei è Jade
Lei è Juliet.
 




“Juliet.” porsi la mano. “Bel nome.” rispose stringendola.
No, aspetta, era una domanda, avrebbe dovuto rispondere in maniera affermativa, dicendomi come si chiamava.
“E tu sei…?” chiesi vaga. “Da ora e per poco ancora, il tuo incubo peggiore.” si avvicinò pericolosamente a me.

   
 
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