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Autore: _Noodle    28/06/2013    5 recensioni
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima. Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
Enjolras travolto da un nuovo sentimento e un amore nato tra fiori e inganni.
Coppie: EnjolrasxGrantaire; JeanxEponine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disfatto.
Distrutto.
Disperato.
Era in balia del sentimento più aggressivo in cui si fosse mai imbattuto: l’amore.
Non si trattava di amore per gli ideali, per la patria o per il diritto, ma di amore fisico, umano, tangibile. L’uccello che si fa atterrare dal rospo? Inaudito; eppure quella volta Enjolras era affogato nell’acqua stagnante e torbida della palude delle emozioni e il disperato bisogno di uscirne non gli dava pace: aveva smesso di mangiare, di dormire, di parlare. La sua eloquenza e la sua capacità persuasiva, che facevano invidia a quelle dei grandi oratori del passato, si erano assopite e sembrava che non volessero più destarsi.
“Certi tipi di rivoluzione non sono pronto ad affrontarli”, si ripeteva continuamente con le mani nei capelli e le lacrime negli occhi e la vergogna, parola dopo parola, lo inglobava e lo annullava.
Lui, che era sempre stato così fermo e così convinto di ciò che il cuore gli suggeriva, ora si ritrovava a desiderare che la luce ferisse la sua mente e che scacciasse quel sentimento che per lui rappresentava l’oscurità. In quel momento la passione per la politica e quella per le leggi non erano niente, non suscitavano in Enjolras alcun fremito, come invece avevano sempre fatto.
Lui, che ignorava quell’essere chiamato “la donna”, adesso era desideroso più che mai di addentrarsi nel labirinto senza via d’uscita chiamato “l’uomo”. Riteneva che fosse sbagliato e strano, che fosse da codardi e da rammolliti abbassarsi a tali fantasticherie, ma non poteva fare a meno di pensarci.
L’amore era riuscito a renderlo più brutto. Le lacrime avevano scavato occhiaie profonde e violacee intorno ai suoi occhi dannatamente angelici, il poco cibo che mangiava aveva fatto sì che i suoi denti, solitamente bianchi e perfetti, s’ingiallissero e le dolci rughe che incorniciavano il suo sorriso si erano fatte più profonde (forse perchè di nascosto sorrideva più spesso quando pensava a lui). Si guardava allo specchio e rabbrividiva. Era ancora capace di essere terribile?
Apollo era stato deriso da Eros e sedotto da Bacco.
“Continuerai ad amarmi quando non sarò più giovane e bello?” gli chiedeva in silenzio senza ottenere mai una risposta. 
“Domani è amore!” aveva urlato ai suoi uomini pensando all’amore come fratellanza, rispetto, libertà: perchè adesso pensava a questo sentimento come un qualcosa di strettamente carnale e di vivo?
Al Musain appariva distratto e privo di convinzione. Lì, al Cafè, aveva assaporato le sue bugie e conosciuto le sue idee molli e le aveva odiate, ma chissà perchè quell’odio così radicato ad un tratto si era trasformato in interesse. Che fosse assuefatto dall’alcol? Che si fosse ubriacato anche lui per via indiretta? Che si fosse ubriacato delle sue parole e della sua risata ironica?
Quando faceva irruzione nel Musain, Enjolras ritornava improvvisamente se stesso, per non sfigurare davanti a lui, ma dentro bruciava di desiderio e talvolta il suo corpo lo manifestava quando per sbaglio si sfioravano camminando. Finalmente, dopo ventidue anni, aveva dato un nome a questa strana magia che mandava l’anima in fiamme: ma non la voleva accettare. Perchè? Forse perchè se l’altro non avesse ricambiato il sentimento o avesse cambiato opinione su di lui, come era giusto che uno scettico facesse, Enjolras non avrebbe potuto sopportarlo.
C’erano rivoluzioni che non era in grado di affrontare: una di queste era Grantaire.
 
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima: la camicia di lino bianca, la cravatta nera lucida, la cintura rossa e i pantaloni, dello stesso colore della cravatta. Gli stivali restavano abbandonati sul pavimento di legno, la giacca rossa scivolava dalla scrivania.
Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. La camera in cui si trovava non era la sua, le lenzuola non erano pure e candide come quelle del suo letto, ma giallastre e ruvide. La scrivania su cui era appoggiata la sua giacca era invasa da bottiglie di vino vuote. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
 
Con un alito tremendo gli sussurrò all’orecchio: << Bonjour mon am… >> Grantaire s’interruppe senza completare la frase.
Enjolras, ripresosi dallo svenimento improvviso, si era alzato freneticamente spalancando gli occhi come se avesse appena visto un fantasma. Senza proferire parola era corso via abbandonando Grantaire nella stanza. Aveva sceso le scale a piedi nudi, barcollando e sbattendo sulle pareti; la sua altezza non lo rendeva fiero (inaspettatamente dal solito), ma ridicolo, poiché sembrava un gigante intrappolato in una casetta di marzapane.
Grantaire rimase seduto a terra sorridente. “Mi lascerà mai finire di parlare?” pensava.
“Credeva forse che gli volessi dire ‘bonjour mon amour’? E’ curioso il fatto che ‘ami’ e ‘amour’ abbiano le prime due lettere in comune”.
Ancora più curioso, in effetti, era il fatto che Grantaire pensasse che Enjolras avesse inteso quella parola come “amour” e non come “ami”. Leggevano l’uno nella mente dell’altro senza volerlo (o forse sì). Si alzò in piedi e con accurata lentezza ripose la giacca del suo amico nell’armadio, in modo che non si rovinasse. Riusciva a sentire il suo odore impregnato su di essa, un odore forte e sfacciato che lo faceva sospirare ogni volta. Sorprendentemente sobrio, si affacciò alla finestra e lo vide mentre fuggiva disperato. Scosse la testa meravigliandosi ancora una volta di quanto quel ragazzo potesse essere intrepido e indifeso allo stesso tempo.
Enjolras, svoltato l’angolo nella via che lo avrebbe ricondotto a casa, correva come avrebbe corso uno zoppo, con le gambe doloranti e gli occhi offuscati dall’intollerabile e dopo pochi metri s’imbattè in Jean Prouvaire, che con aria spensierata teneva in mano una margherita.
<< Enjolras che ci fai qui fuori in questo stato? Dove sono i tuoi stivali? >> chiese con tono preoccupato.
Il biondo si ricordò solo in quel momento di essere a piedi nudi nel centro di Parigi.
<< Diamine... >> sussurrò rimproverando se stesso di non essere stato abbastanza accorto.
<< Che cosa? Enjolras che hai combinato? >>
<< Non lo so Jean. Non ricordo assolutamente nulla di quello che mi è successo. Mi sono ritrovato stamattina tra le lenzuola del letto di… >> la sua voce si trasformò in sibilo e il suo sguardo cominciò a vagare distratto nell’aria. Jean non l’aveva mai visto così piccolo e impaurito. In quel momento non avresti pensato che fosse il fervente testimone della Rivoluzione francese, eppure c’era qualcosa nel suo sguardo che lasciava trasparire una certa fierezza, purtroppo ferita.
<< Se mi segui fino a casa te lo spiego. >>
Prouvaire fece cenno di sì con la testa e Enjolras lo strattonò con forza prendendogli il braccio. Abbassando lo sguardo verso la sua mano vide la margherita e benché si trovasse in un particolare stato d’incoscienza non poté fare a meno di domandargli: << Perchè hai con te una margherita? >>
<< Me l’ha donata una ragazza. Si chiama Eponine. La conosci? >>
<< No. >>
E continuarono. 
Dopo che arrivarono a casa di Enjolras e  dopo che quest’ultimo si cambiò, si sedettero al tavolo e con un certo tremore,  Apollo cominciò a raccontare all’amico la sua strana esperienza.
<< Stamattina mi sono ritrovato tra le lenzuola del letto di Grantaire. >> Enjolras arrossì, probabilmente era l’influenza di Jean.
Quest’ultimo spalancò gli occhi accennando un lieve sorriso. Tutti al Musain sapevano di quanto Grantaire ammirasse Enjolras, ma non avrebbe mai pensato che questa ammirazione potesse raggiungere un tale sviluppo.
Enjolras lo guardava confuso.
<< Non ricordi assolutamente niente di quello che ti è successo dopo essere uscito dal Cafè? >>
<< Assolutamente niente. Ricordo solo che me ne stavo tornando tranquillamente a casa e che Grantaire era rimasto ad ubriacarsi lì dentro come suo solito. >>
Jean fece una smorfia e si portò la mano destra al mento per pensare. Effettivamente era la verità e lui stesso non riusciva a spiegarsi l’accaduto.
<< Enjolras >> riprese il poeta << parla con sincerità. Tutti abbiamo notato dello strano rapporto che c’è tra te e Grantaire. >>
Enjolras sbatté il pugno sul tavolo e si avvicinò con il volto a Jean esclamando con estrema fermezza: << Tra me e quello scettico ubriacone c’è solo intolleranza. Sai benissimo che le sue idee senza spina dorsale mi danno il voltastomaco >>.
Enjolras si sentiva un verme. Come poteva mentire a se stesso in quel modo?
Mentre pronunciava le parole “scettico ubriacone”, aveva stretto il pugno e contratto i muscoli del braccio, cercando di stroncare l’impulso di accarezzarsi lo stomaco in fiamme: Eros aveva liberato le farfalle.
<< Va bene Enjolras, perdonami, non volevo essere inopportuno. >>
Il biondo si alzò dalla sedia e diresse verso il letto, sotto il quale aveva un altro paio di scarpe.
<< Sai Jean >> disse mentre le infilava << non capisco perchè Grantaire debba continuare a dire di credere in me. >>
<< E perchè tu continui a dire di credere nella repubblica? >>
Enjolras non trovò da ribattere.
<< E’ uno scettico con un unico credo e questo credo sei tu. Cerca di non rimproverarlo sempre, provate a trovare un punto d’incontro. >>
<< Io e lui un punto d’incontro? Mai. >> Era dispiaciuto di ciò.
Jean sospirò alzando lo sguardo.  Enjolras si mise a sedere sul letto e sempre con un aspetto assorto e indifeso domandò a Jean: << E tu? Chi è questa Eponine? >>
<< Una ragazza lentigginosa e scarna. Sicuramente non ha di che mangiare, poverina. Però sa scrivere. L’ho incontrata al Luxembourg, chissà che ci faceva lì. >>
<< E perchè la margherita? >>
Jean ridacchiò passandosi una mano tra i capelli. I suoi occhi si stavano riempiendo di stelle.
 
Era andata pressappoco così.
Jean se ne stava seduto su una panchina a scrivere una delle sue solite poesie, quando ad un tratto, mentre stava per mettere un punto al verso, qualcuno parlò alle sue spalle.
<< Anche io scrivo. >>
Jean si girò di scatto, ma senza spaventarsi. Vide davanti a se una cerbiatta selvaggia, con gli occhi soli e curiosi, che desiderava soltanto farsi degli amici: lo capì dal fatto che teneva le braccia distese lungo il corpo con le mani aperte, quasi volesse dire “Ehi sono qui”.
<< Davvero? E che cosa scrivete? >> Le aveva chiesto con aria di sfida.
<< Scrivo messaggi di qualunque tipo. Sono di poche parole, dopo un po’ mi perdo. E voi monsieur? Voi che cosa scrivete? >>
<< Poesie. >> E si grattò la testa come tutte le volte che parlava di sé.
<< Mon dieu! Un poeta! Di che cosa trattano le vostre poesie? >>
<< Di sole, di occhi, di musica, di fiori… >>
<< Vi piacciono i fiori? Tenete con voi questa margherita >> e la tirò fuori dalla tasca lacera del vestito << l’ho trovata sul ciglio della strada. È così bella, non fatela morire. >>
Jean sorrise imbarazzato.
<< La conserverò mademoiselle… >>
<< Eponine. >>
Si guardarono un attimo negli occhi, giocando a chi avrebbe retto di più lo sguardo.
<< Ora, se non vi dispiace, ho delle faccende da sbrigare. Spero d’incontrarvi di nuovo mademoiselle. >>
<< Lo spero anche io monsieur… >>
<< Jean. Jean Prouvaire. >>
E se ne andò. Eponine giunse alla conclusione che un uomo che si prendeva cura dei fiori si sarebbe sicuramente preso cura di una donna e quindi, mentre lo guardava andare via, sorrise, terribilmente, ma sorrise.
 
Enjolras era restato impassibile per tutto il racconto di Jean. Era mai possibile che due persone entrassero in sintonia parlando di fiori e che lui non riuscisse neanche più a pensare a Grantaire? Si sentiva umiliato e stupido. Accennò un sorriso per far capire al suo amico che era stato attento e poi chinò il capo, immergendo le mani nei capelli biondi.
<< Enjolras cos’hai sul collo? >> Jean gli si avvicinò. Enjolras si toccò delicatamente, provando fastidio.
<< E’ un graffio. Piuttosto lungo, ma non molto profondo. >>
Enjolras corse a guardarsi allo specchio. Si limitò a guardare Jean sempre più spaventato e a dirgli: << Pensi che… >>
Immaginava le mani di Grantaire sul suo collo e sulla sua schiena che scendevano sporche e corrotte. Un brivido lo attraversò, facendolo tremare.
Jean scosse la testa dicendogli che andava tutto bene, dal momento che lo vedeva disperato.
Questo sentimento era per Enjolras peggio di una guerra. Nessuna carabina avrebbe potuto sparare ad Eros. Era condannato?
 
 
 
Eccomi qua, popolo di EFP! Questa è la prima fanfiction che pubblico e spero che vi sia piaciuta (: La coppia EnjolrasxGrantaire è quella che amo di più in assoluto * ringrazia Hugo per averli inventati * e anche quella JeanxEponine non mi dispiace, ho voluto creare qualcosa di nuovo, che si discostasse un po’ dai soliti canoni.
Ho scritto questo capitolo ascoltando due canzoni, che mi hanno conferito l’ispirazione: la prima è “Young and beautiful” di Lana Del Rey e la seconda “La gigantesca scritta Coop” de Le luci della centrale elettrica (da cui ho preso spunto per la frase “ Con un alito tremendo gli sussurrò all’orecchio ‘Bonjour mon am…’ ”). Sarei felice di ricevere delle recensioni per capire se il mio modo di scrivere è accettabile, visto che la scrittura, per me, è una grande passione.
Ci si rivede al prossimo capitolo! Grazie per avere letto :3
  
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