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Autore: Mirokia    29/06/2013    4 recensioni
«Che cazzo di poliziotto è lei? Come si permette di prendere per il culo la mia condizione?!» provò ad urlare, ma tutto ciò che gli usciva dalle labbra era un lamento simile a quello di un animale agonizzante. Il secondo agente nella stanza stava per intervenire, ma il primo lo fermò con la mano alzata senza distogliere lo sguardo dal ragazzo con gli occhi lucidi davanti a sé.
«Se vuoi dimostrarmi di non essere davvero pazzo, raccontami nei dettagli l’accaduto,» allacciò lo sguardo di Harry, che perse per primo quella sfida a suon di sguardi, e si lasciò andare sulla sedia prendendo a stropicciarsi quel terribile camice che portava addosso.
«Va bene, d’accordo,» acconsentì, per nulla convinto.
[Harry/Louis]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I still love him





 

Obbligatorio: http://www.youtube.com/watch?v=H_ZtY3h6nyQ







 

 

 





And I remember when I met him
it was so clear that he was the only one for me.
We both knew it,
right away.
And as the years went on,
things got more difficult,
we were faced with more challenges.
I begged him to stay,
try to remember what we had at the beginning.
He was charismatic,
magnetic,
electric,
and everybody knew it.
When he walked in, every woman’s head turned,
everyone stood up to talk to him.
He was like this hybrid,
this mix
of a man who couldn’t contain himself.
I always got the sense that
he became torn between being a good person and
missing out on all of the opportunities that life
could offer a man as  magnificent as him.
And in that way I… understood him.
And I loved him.
I loved him, I loved him, I loved him.
And I still love him.
I love him.

 

 

 

 

 

 

 

 

«Allora, Harry, come andiamo?»
Harry fece vagare gli occhi per la stanza, li rotolò all’indietro e sbuffò senza rispondere, i pollici che giravano tra loro.
«La tua storia ha già fatto il giro del mondo, lo sai?» rincarò quello, e Harry alzò nuovamente gli occhi al cielo e sbuffò per la seconda volta.
«Non me ne frega un cazzo di quello che succede nel mondo,» disse finalmente, la voce terribilmente bassa e roca, quasi avesse urlato per ore, o addirittura per giorni, e probabilmente  era proprio quello che aveva fatto.
«E a me non frega un cazzo di te, se vuoi saperlo».
«Non voglio saperlo».
«Ma questo è il mio lavoro, e ho bisogno di sapere esattamente cosa è successo l’altra notte,» continuò l’uomo vestito d’azzurro senza tenere minimamente conto del parere del cantante. «Sempre se sei in grado di articolare le parole,» aggiunse allungandosi leggermente su di lui, il tono di chi vuole essere bastardo dall’inizio alla fine. Harry alzò lo sguardo su di lui e lo guardò dall’alto in basso, disgustato, con la voglia di alzarsi e tirargli un cazzotto.
«Che cazzo di poliziotto è lei? Come si permette di prendere per il culo la mia condizione?!» provò ad urlare, ma tutto ciò che gli usciva dalle labbra era un lamento simile a quello di un animale agonizzante. Il secondo agente nella stanza stava per intervenire, ma il primo lo fermò con la mano alzata senza distogliere lo sguardo dal ragazzo con gli occhi lucidi davanti a sé.
«Se vuoi dimostrarmi di non essere davvero pazzo, raccontami nei dettagli l’accaduto,» allacciò lo sguardo di Harry, che perse per primo quella sfida a suon di sguardi, e si lasciò andare sulla sedia prendendo a stropicciarsi quel terribile camice che portava addosso.
«Va bene, d’accordo,» acconsentì, per nulla convinto, e si mise a fissare i propri piedi coperti da ciabatte per poi dare il via a un buon quarto d’ora di silenzio. L’agente non fece più niente per costringerlo a parlare, perché già sapeva che l’avrebbe fatto da sé di lì a poco.
«Mi ricordo quando ci siamo incontrati. Era già tutto così chiaro… era ovvio che lui sarebbe stata la mia persona speciale. Eravamo in sintonia perfetta, ci capivamo al volo, eravamo come fratelli, solo che a volte ci spingevamo troppo in là, e neanche ci passava per la testa l’idea che non potessimo farlo. Avrò raccontato questa storia mille volte,» borbottò Harry a testa bassa, il dito che faceva cerchi concentrici sulla propria gamba.
«Con questa faranno mille e uno,» sorrise l’altro, per niente sincero, ma Harry non aveva intenzione di guardarlo, quindi si limitò a sbuffare per l’ennesima volta.
«Ci volevamo davvero troppo bene. Il bene che si vogliono due fratelli o due amici non era neanche paragonabile a quello che provavamo noi due. O almeno, a quello che provavo io. Purtroppo non potevo aprirgli il cervello e vedere a cos’è che pensava».
«Purtroppo?»
Harry fece schioccare la lingua e respirò forte col naso.
«Io avevo sedici anni, ero facilmente influenzabile, e non m’ero ancora innamorato. Quella fu come una secchiata d’acqua fredda. E ne rimasi completamente inzuppato. Io stavo male stando bene. Nel senso che stavo tanto bene da stare male, perché avevo paura finisse, avevo paura che qualcuno potesse dirmi che tutto quello non andava bene, avevo paura che un giorno saremmo diventati famosi e non avremmo potuto più scambiarci bacetti innocenti a telecamere spente. Se ci ripenso, mi sento un coglione. Entravo in iperventilazione per un suo bacio sulla guancia, pensavo di poter svenire con una sua carezza sul collo, addirittura sentivo girare la testa se solo mi sorrideva. Ero completamente fottuto, cotto sino alle punte dei capelli, come un povero imbecille. E le mie paure diventarono realtà, come una favola al contrario,» un ciuffo di capelli gli penzolò davanti agli occhi e lui se lo tirò indietro in uno scatto nervoso. «Siamo diventati famosi, e mentre io mi ostinavo a stargli dietro come un fottuto cagnolino, lui cambiava ogni giorno atteggiamento, fino a diventare quasi un estraneo ai miei occhi. La fama ha cambiato tutto ciò che di bello c’era in lui. Eppure continuavamo a tirare avanti questa cosa, troppo forte perché si spezzasse in così poco tempo. Gli anni passavano, e le cose diventavano sempre più complicate, la vita sembrava proporci sfide che superavamo a fatica, con l’acqua alla gola, con la voglia di rinunciare, per la nostra stessa salute mentale. Litigavamo sempre più spesso la sera, e dopo essercene dette di tutti i colori, lui era il primo a scappare, e io finivo in ginocchio pregandolo di restare, di tentare di ricordare quello che avevamo all’inizio, quando ancora lui non usava prodotti per capelli e io mettevo per due giorni di seguito la stessa felpa. Lui diventava di giorno in giorno più carismatico, quasi magnetico, ma non era quel carisma che aveva fatto colpo su di me quel giorno in bagno quando ci stringemmo la mano e ci presentammo, negli occhi il nervoso e l’eccitazione dei principianti. Adesso, in qualunque stanza mettesse piede, attirava sguardi di donne e uomini, e orde di ragazze avrebbero venduto l’anima per scambiare una parola con lui. E non potevo che pensare a quando parlava solo con me, per tutto il giorno, per tutta la notte. Aveva occhi solo per me, nel mondo non sembrava esistere altra gente all’infuori di noi. Ci eravamo costruiti una sorta di bolla all’interno della quale succedevano cose che quelli all’esterno non potevano vedere. Invece adesso le nostre vite erano messe in vendita, erano sbandierate ai quattro venti, e lui non poteva fare altro che fingere un sorriso carismatico e stringere la mano della fidanzata scelta apposta per lui. Ho sempre avuto l’impressione che fosse combattuto tra lo stile di vita che tutti si aspettavano e che lo avrebbe reso una brava persona agli occhi del mondo e la vita che avrebbe voluto davvero vivere, ma che lo avrebbe allontanato da tutte le opportunità che avrebbero potuto offrire a un uomo come lui. E in un certo senso non potevo biasimarlo, perché per quanto volessi rimanere me stesso, anche io mi allontanavo inevitabilmente dall’Harry che ero ai tempi di X-factor. E non era dovuto tanto alla maturità quanto alla pressione che ogni giorno veniva esercitata su ognuno di noi, senza pietà. “Devi dire questa cosa, devi vestirti in questo modo, devi uscire con questa ragazza, adesso puoi andare in bagno, no adesso non puoi mangiare, stanotte dormirai due ore, oggi andrai a trovare la tua famiglia e metterai una foto su twitter, e assicurati di fare un paio di autografi, o la tua credibilità di celebrità gentile e disponibile andrà a farsi fottere”. Non ero sicuro neanche di poter respirare quando volevo. E’ estenuante, lei non può immaginarlo, signor agente, non può capire, non sa a cosa portano certe cose. Non sa niente riguardo la tortura psicologica a cui siamo stati sottoposti questi ultimi anni. Per questo in un certo senso lo comprendevo. Louis, intendo. E continuavo ad amarlo come un pazzo, nonostante tutto. L’ho amato così tanto, l’ho amato, e l’ho amato, e-»
«E poi?»
«E poi… l’ho buttato dalla finestra».
L’uomo, che da un po’ aveva preso posto su una sedia libera, scosse la testa sospirando.
«Quindi sei stato davvero tu, dopotutto. Perché l’hai fatto?»
Harry alzò di scatto il capo, gli occhi infuocati, i pugni tanto stretti che scricchiolavano.
«Perché? Ma mi ha ascoltato finora?! Si rende minimamente conto di quello che ho passato?!» gli ringhiò mostrando i denti, proprio come una bestia pronta ad attaccare.
«Vuoi dirmi che l’hai spinto giù dalla finestra perché non sopportavi più la tua vita?» riprovò il poliziotto, per niente impressionato dal comportamento del cantante.
«L’ho spinto giù perché io volevo ricominciare tutto daccapo, ma lui diceva che non era possibile. E che dovevo smetterla di fare il bambino, perché è impossibile riportare indietro il passato. Ma non l’ha detto gentilmente. Credo che sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Probabilmente ho sempre voluto farlo, ma solo la follia mi ha aiutato a muovermi».
«E’ per questo che ti hanno chiuso qua dentro, non credi?»
Harry tirò su col naso e abbassò nuovamente il capo sulle sue ciabatte, e fece una smorfia di dolore, come quelle dei bambini prima di scoppiare a piangere.
«Come mai volevi ucciderlo?»
«Non volevo!»
«Mi hai appena detto che hai sempre voluto farlo».
«Mi faceva stare male! Ho pensato tanto volte di detestarlo. Ma lo amo ancora. Io lo amo».
«Lo sai che l’hai ucciso, vero?»
«Lo amo. Ti ho detto che lo amo. Lo amo. Lo amo! Lo amo!»
Harry prese ad agitarsi sulla sedia, e quando il secondo agente tentò di calmarlo prendendolo dalle braccia, quello si divincolò violentemente e iniziò a sbattere i piedi per terra e a urlare con la voce che non c’era. Come probabilmente aveva fatto il giorno prima e quello ancora prima.
Smise di divincolarsi all’improvviso, si lasciò andare nelle braccia dell’agente e prese a piangere come un ragazzino, i singhiozzi tanto rumorosi da scuotere l’anima.
«Qui abbiamo finito. Credo sia tutto molto chiaro,» disse quindi il primo poliziotto alzandosi in piedi e sistemandosi le maniche della camicia. «Mi dispiace di averti costretto a raccontare tutta la storia, Harry,» si avvicinò per dare un buffetto al ragazzo, che adesso aveva anche smesso di piangere e se ne stava col mento abbandonato sul petto, perso in chissà quali pensieri. «Harry?» provò a chiamarlo ancora, ma quello non aveva intenzione di dare segni di sanità mentale.
«Harry Styles è impazzito, Louis Tomlinson è morto, e gli altri tre danno segni di cedimento a causa del dolore acuto. La celebrità viene, ti ammazza, e poi se ne va. Non è una delle storie più felici, non ti pare? Vieni, torniamo in commissariato».






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