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Autore: Ita rb    29/06/2013    4 recensioni
[Ukoku/Komyo]
Il suo sguardo era fisso, le labbra serrate e fragili, simili al profilo di cristallo di una Nike abbandonata da tempo oltre le coltri nascenti di una civiltà perduta. Solo osservandolo potevano essere tangibili i movimenti tenui della giugulare, mentre questa si agitava nel silenzio con angoscia crescente.
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Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Komyo Sanzo, Ukoku Sanzo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, questa è la mia seconda fan fiction che vede come protagonista Ukoku e denota un’inclinazione verso la Ukoku/Komyo nonostante io non ne sia affatto avvezza. Dopo irrimediabili ore passate a fissare il nulla, però, mi sono resa conto che in momenti come questi, la mia vita sa assumere le sembianze di quella del primo citato; così, senza pensarci due volte, ho deciso di continuare a scrivere ciò che già avevo iniziato, terminandolo alle quattro del mattino – no, prima che voi lo pensiate, non sono affatto pazza e non sono rimasta sveglia solo per scrivere questa storia, bensì a causa delle medicine che prendo per i miei problemi di salute (detto da me che, generalmente, ronfavo alla grande a quest’ora, è buffo ammettere di non aver sonno).
Partendo col presupposto che questo è un ennesimo esperimento, so benissimo che a molti di voi non piacerà *cofcof* ma io gradirei ardentemente delle critiche negative con fini costruttivi, perché mi annoia (sì, l’ho detto) rimanere placidamente in attesa del niente senza possibilità di migliorarmi ulteriormente (no, giuro che non è megalomania, ma solo manie di perfezione che, purtroppo, non riesco a tenere a bada). Sono la prima a criticare ogni lavoro che propongo, e dopo aver detto ciò vi presento l’ennesimo scozzo testo inerente all’eccelsa opera della Minekura – e se volete saperlo sì: prima o poi le farò un piccolo santuario in camera per osannare le sue sacrosante perle infuse tra le pagine di Saiyuki.
Ho scritto interamente questa storia basandomi sul concetto di nero e bianco, che è un po’ il fondamento di ogni antitesi per eccellenza; solo che in questo caso, gli haiku sulla destra saranno il mio punto di luce su fondo monocromatico in contrasto. Da dove mi è venuta la terribile brillante idea? Facile, dalle pagine del manga stesse. Citazioni come quelle che ho inserito, trovo che siano molto affini al concetto che volevo trasmettere, perciò provate a vederle come interruzioni di un fil muto (?)
Altra piccola precisazione: nella narrazione sarà spesso visibile una moltitudine di salti temporali, questo anche a causa dell’introspezione che, aimè, non sono in grado di togliere da nessuna fan fiction, neppure la pwp più efferata. Non ci sono scene hard esplicite tra queste righe, perciò, nonostante io sia dedita a temi erotici e splatter, per una volta (non la prima, temo) vi toccherà sorbirvi qualcosa di semplicemente soft. D’un tratto, poi, vi sarà l’estraniazione dal contesto delle citazioni del manga della Minekura, laddove comincio a gingillarmi con miei risvolti, ossia quelli che avevo prefissato all’inizio, scrivendo la prima parte – ebbene, sappiate che dovrebbe intendersi, a ogni modo questa si ricollega alla prima e a tutte le altre sotto un velo vagamente anomalo – del quale non darò dettagli aggiuntivi onde evitare ulteriori spoiler; ma sono pronta a farlo nelle risposte alle recensioni, qualora qualcuno facesse riferimento alla confusione.
La dedico a Nahash, perché ha accettato di cosplayare al Romics con la sottoscritta, infine – perciò spero che le piaccia, perché le avevo promesso un piccolo regalino Ukoku/Komyo.
Credo di aver finito con le premesse questa volta, così vi lascio alla canzone che mi ha ispirata lungo il tragitto corposo della stesura:

 

Ita rb

 
Il suo sguardo era fisso, le labbra serrate e fragili, simili al profilo di cristallo di una Nike abbandonata da tempo oltre le coltri nascenti di una civiltà perduta. Solo osservandolo potevano essere tangibili i movimenti tenui della giugulare, mentre questa si agitava nel silenzio con angoscia crescente. Improvvisamente aveva perduto la voce e tutte le risposte che sarebbe stato in grado di dare si erano come affievolite; arrochite nel crepuscolo che irradiava sinistre ombre sulla sua figura contraddittoria.
Se solo fosse stato in grado di definirlo in qualche modo, probabilmente non avrebbe trovato termini migliori di quelli che sembravano istillare il dubbio in ogni uomo; eppure, la sua figura pragmatica era sufficiente a placare una qualsivoglia considerazione che non provenisse dalla sua gola. Chiunque si sarebbe sbagliato sul suo conto, lui stesso non era mai stato capace di associarlo a una figura meno volubile della luna stessa, dopo tutto.

 

Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.1

 
Nonostante fossero passati molti anni dall’ultima volta che il suo sguardo aveva osato posarsi sulla sua figura, doveva ammettere che non fosse cambiato per nulla, poiché continuava a mantenere quella parvenza quasi infantile oltre la maschera ignava che portava sul volto. Nel silenzio della notte aveva saputo attendere che i suoi passi divenissero nulla, scorgendo la figura lontana, eppure vicina, che tanto suscitava in lui quella sorta di nostalgia; si era avvicinato come se nulla fosse, sperando in un qualche guizzo emotivo, ma nessuno slancio emozionale era comparso sulla sua fronte liscia – era sempre un ricordo, mentre si sedeva scompostamente al suo fianco, e nessuno lo avrebbe privato della malia di una similitudine.
La sua voce era limpida, sconfinava in luoghi che non aveva neppure sognato, oltre la coltre di noncuranza: quella macchia densa chiamata noia. Cercando d’ignorare la presenza tanto ricercata, innalzando lo sguardo verso il cielo, poteva solo aspettare che le nubi calassero sul suo splendore senza intaccarlo; irradiandosi in tanti raggi soffusi al di là del manto nostalgico.

 

L'allodola
canta per tutto il giorno,
ed il giorno non è lungo abbastanza.2

 
Scostandosi un poco, sarebbe stato in grado di afferrare il suo polso con la stessa intensità con cui le sue dita si erano posate sul suo solo qualche anno prima; eppure, nonostante avesse questa strana consapevolezza nel petto, il cuore batteva all’impazzata, come se fosse sul punto di esplodere per la troppa attesa. Ukoku aveva imparato a rimanere fermo solo per scrutare il prossimo, e sebbene i suoi occhi color della pece non potessero stagliarsi sulla figura al suo fianco, non poteva che percepirne ogni più piccolo movimento.
Sembrava un uccello in gabbia e al pari di Godai Sanzo, suo predecessore, sapeva suggere l’olezzo della morte in lontananza, presagendone i confini – o forse no, doveva esserci un motivo più plausibile di quello; nessun uomo era in grado di scorgere il profilo dell’oscura signora prima che questa bussasse alla porta senza preavviso.

 

Addormentato sul cavallo
scorgo, tra sogno e alba,
la luna lontana e il fumo del tè.3

 
«A breve compirà sette anni.» gelosia. Parole che non avevano forma, come tutte le altre, si unirono a quell’ammasso futile che componeva la realtà, disgregandola appena senza tangere colui che, con sguardo vacuo, attendeva il momento di porre fine a quel silenzio. Come questa, numerose altre frasi si susseguirono, una dopo l’altra, e l’ilarità lasciò il passo alla febbrile stretta della notte.
Se solo si fosse mosso verso di lui, infrangendo la barriera che lo separava dal resto del mondo, probabilmente avrebbe compreso quanto una simile presenza avesse dissolto l’eterno; ma continuando ad adagiarsi in quella molla costante che angosciava le sue giornate con monotonia, Ukoku non aveva la benché minima voglia di spingersi un po’ oltre quella realizzazione forzata – a lui bastava semplicemente osservare il riflesso del sole mediante la lucente superficie della luna, poiché questa sapeva divorare ogni cosa, perfino le tenebre.

 

Languore d'inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.4

 
«Forse, tu saresti disposto a uccidermi.» aveva mormorato nella penombra e, probabilmente, sarebbe stato in grado di ripetere quelle parole una seconda volta, nonostante conoscesse bene la risposta delle sapienti labbra dell’altro. Non era affatto il tipo da sporcarsi a quel modo, ma nell’ipocrisia del suo sguardo, ben altre colpe venivano amalgamate senza proferire parola – ne era certo, mentre quell’immobile brezza aveva cominciato a squittirgli nell’anima fino a gorgogliare fuori come in un sussurro.
Mosse appena il volto, sollevando il mento e brillando a sua volta, nonostante fosse il fautore dell’oscurità stessa – in fin dei conti era così concentrato nella sua spasmodica ricerca di verità, che non sarebbe stato in grado di comprenderla neppure se l’avesse avuta sotto il naso come in quel momento; esattamente nel fulcro dell’universo, laddove nulla sapeva decidere delle sorti di niente, tutto si completava in difetto, ribaltandosi tra il negativo e il positivo di una scia confusionaria.

 

Monti lontani
negli occhi riverberan
delle libellule.5

 
Era solo bramosia quella che percepiva oltre lo sforzo, mentre la sua nuca premeva a forza contro il palmo della mano ferrea; lo sguardo di fuoco, sorpreso tanto quanto se avesse scorto il vero volto di un Dio malevolo, era perso nel suo che, dopo tutto, non sapeva trovare altro appiglio se non quello che le sue labbra stavano divorando con astio e possesso.
«Persino i grilli hanno smesso di cantare.» aveva detto solo qualche istante prima, riferendosi alla sua presenza improvvisa; ma in quel momento, ogni riflessione era come spenta, sopita nel voluttuoso amplesso del vuoto.
Le sue dita stringevano la stoffa della veste sacra come se avessero potuto in qualche modo privarlo della stessa, ma non era la medesima intenzione a far fremere i muscoli al di là delle ampie maniche pallide, bensì qualcosa di diverso che non riusciva a comprendere. Seppur avesse assorbito ogni esperienza di vita, reputandola noiosa, il giovane Ken’yu aveva saputo evolversi in qualcosa di ben peggiore del bozzolo che era stato un tempo. Non era cattiveria, neppure sadismo, meno che mai noia; paradossalmente desiderava ottenere ciò che tanto a lungo aveva anelato nel soffio dell’incoscienza.

 

Fredda più della neve
è sui capelli bianchi
in inverno la luna.6

 
«Potresti uccidermi.» aveva sussurrato appena, come se stesse consigliando al suo steso cruccio di lasciarsi offendere senza replicare, sentendo il fremito di quel respiro sulle labbra umide di piacere. Sotto un cielo privo di stelle, laddove nessuno sarebbe stato in grado di ergersi a spettatore, ancor più distante dagli occhi del suo pupillo, Ukoku fu in grado di vederlo fremere dinanzi a sé, spodestando la mitigata immaginazione a discapito della realtà vigente.
«Credo di aver già risposto a questa domanda.» le sue parole, vagamente accompagnate da un rossore diffuso sulle gote, sembrarono attraversare il tempo, scivolando nelle orecchie altrui con forza, premendovi contro come se nulla fosse. Per la seconda volta, quel fallimento aveva assunto le colorazioni più tenui e grottesche che fosse stato in grado di dare al contesto; eppure, quella vicinanza opprimente, non accennava a diminuire.
«No, non l’hai fatto.» era quello il problema, in fondo, poiché quell’uomo sapeva solo stare nel mezzo di una verità che non era in grado di dare al prossimo se non a denti stretti: doveva aver imparato a convivere con quel modo di fare sin dall’infanzia, non c’era dubbio in merito, poiché troppo radicato; però non era affatto il modo più facile per mettere a tacere l’insistenza di Ukoku. «Quelle labbra mi hanno negato un appiglio, per poi battezzarmi con questo nome.»
«Ukoku.» era così pesante quel fischio sordo, mentre la presenza si faceva più opprimente e sgorgava come un fiotto caldo dalla carotide recisa di un nemico senza volto – ma quel nemico aveva un nome e tale era lo stesso con cui l’aveva condannato; nessuno sarebbe stato più oscuro di Ukoku, se non Ukoku stesso. «Quel giorno ebbi come l’impressione che stessi piangendo7.» a quelle parole fu solo in grado di vacillare, mentre gli occhiali si spingevano in avanti, sfidando la gravità e sostando ancora sulla punta del suo naso parvero rimanere in bilico oltre il mormorio di quell’uomo.
«Non avrei dovuto averne motivo, giusto?» un ghigno leggero, forse ammaliante, ma terribilmente malinconico, mentre si allontanava dal suo viso solo per sentirne la mancanza poco dopo. Si era spinto tanto oltre solo per sfiorare il candore della luna, ma questa non faceva che rifuggire oltre la coltre di nubi che oscurava il cielo notturno – e la notte non sarebbe durata tanto a lungo; lui sarebbe dovuto andar via così come si era palesato: senza battere ciglio.
«Si tratta solo di un’impressione.» no, non lo era affatto, ma nessuno dei due fece in modo che questa potesse o meno venir confutata. Ukoku abbassò il capo, lasciando che i ciuffi corvini ballonzolassero di fronte ai suoi occhi assenti, scrutando il terriccio e sperando che una qualche formica si spingesse tanto oltre d’avvicinarsi a lui; in quei momenti, quando l’inutilità opprimeva il suo petto e la disfatta sembrava tanto vicina da fargli male, aveva un’incredibile voglia di annullare ogni cosa. Serrò la mandibola, scrutando l’aria e soppesando quella verità: persino i grilli avevano smesso di cantare al suo arrivo; tutto taceva, immobile, contro quel presagio dissoluto che si agitava nello stomaco.
«Solo un’impressione.» di nuovo, forse con più trasporto di prima, ma probabilmente con altrettanto dolore, riuscì a sfiorare quelle labbra. «Quando questa terra, sulla quale va calando il tramonto, intonerà un canto di tristezza, serbando l'ultima luce8» erano così calde e così ritrosi, quei petali inviolabili e distanti che sapevano solo sentenziare sulla vita altrui. Non era dunque lui il più disprezzabile dei due: Komyo Sanzo sapeva batterlo pur non facendo nulla, pur restando immobile dinanzi al bagliore che lui stesso emanava come se nulla fosse, accecandolo. «racconterò di un'eternità che sparge i semi della felicità…9»

 

Senza nome,
l'erbaccia cresce in fretta
lungo il fiume.10


«… del tuo futuro che così tanto amavi.11» le labbra si mossero appena, in silenzio, lasciando che quelle parole raggiungessero solo le orecchie dei morti; allorché si riscosse nel freddo abbraccio della notte, laddove non v’era nessuno se non se stesso a rimpiangere un tempo che forse non aveva neppure avuto luogo. La realtà e l’immaginazione, tanto confuse, sapevano solo spalleggiarsi a vicenda, dopo tutto.
 

Alzo il capo e vedo
me coricato
nel freddo.12

 

 
1 Haiku di Masahide.
2 Haiku di Basho.
3 Haiku di Basho.
4 Haiku di Basho.
5 Haiku di Issa.
6 Haiku di Kikaku.
7 Il nome di Ukoku fu scelto da Komyo sulla base di una riflessione simile, poiché dopo aver ucciso il suo predecessore, al seguito del gracchiare di un corvo, questo ebbe come l’impressione che Ken’Yu stesse piangendo; da qui il suo nome di monaco Sanzo: “Corvo piangente”.
8 Citazione di “Hanamori no Oka” (La collina del guardiano dei fiori): Saigo no hikari o oshimi-nagara/kureyuku daichi ga yasashii koe de/kanashimi o utau toki.
9 Citazione di “Hanomori no Oka” (La collina del guardiano dei fiori): Yorokobi no tane o maku/eien o katarimashoo.
10 Haiku di Buson.
11 Citazione di “Hanamori no Oka” (La collina del guardiano dei fiori): Anata no ai shita mirai o.
12 Haiku di Chora.
   
 
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