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Autore: DazedAndConfused    30/06/2013    3 recensioni
"Gli occhi di Eddie sono persi nel vuoto, persi come non lo erano da tempo… come forse non lo sono mai stati."
Fanfiction dedicata alle vittime della tragedia del Roskilde Festival, avvenuta il 30 giugno 2000.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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From that point on, we rethought everything.

 

— Stone Gossard

 

 

I didn't know if I wanted to play music anymore.

 

— Jeff Ament

 

 

I think we kind of quantify everything that's happened to us as pre "Roskilde" and after "Roskilde", and...

You know, if early on there was the birth or the beginning of "No", for us Roskilde was the beginning of

What?”,“What are we doing?”,“What do we do to assist the families?”, and “What have we become?” and “What do we...

What do we do to survive?

 

— Eddie Vedder



Bakvið skýjaból vaknar sól úr dvala

(Da dietro un vascello di nuvole, il Sole si sveglia dal letargo)

 

 

Gli occhi di Eddie sono persi nel vuoto, persi come non lo erano da tempo… come forse non lo sono mai stati.

La tragedia a cui ha appena assistito è qualcosa di talmente crudele da non poter essere descritta, e l’unica cosa che gli  riesce di fare in questo momento è soltanto starsene piegato su se stesso, le gambe molli e una mano tra i capelli, scuotendo ogni tanto la testa con incredulità.

Non riesce a far uscire alcuna parola dalle proprie labbra –non può- e i suoi occhi, che trentasei anni fa hanno rubato un po’ dell’oceano affinché potesse portarlo sempre con sé, ora non sono altro che dighe sul punto di straripare.

Piange, Eddie.

Piange perché sa che non potrà mai dimenticare i corpi ancora caldi sballottati dal fiume di persone ancora vive, corpi inconsapevolmente protagonisti di un crowd surfing che, ne è certo, presto inizierà ad odiare con tutto il cuore.

Piange perché di quei ragazzi non rimarranno altro che nomi e cognomi, qualche carta d’identità e il biglietto del festival, forse comprato con qualche sacrificio, e alle loro famiglie torneranno soltanto dei letti di legno, colmi di rabbia e lacrime, in cui i loro figli saranno costretti a dormire per l’eternità.

Piange perché forse lui quei nomi non li verrà mai a sapere.

 

Ég leita lífium stund ég stóð í stað (Cerco la vita per un istante – sto fermo in un posto)

Með von vin ég vinn upp smá tíma (Con la speranza che, come i miei amici, mi serva un po' di tempo)

Leita ágætis byrjun (Cerco la strada giusta)

 

Qualcuno degli addetti alla strumentazione gli appoggia una mano sulla spalla e Eddie di riflesso sussulta spaventato, scattando in piedi come una molla e precipitandosi dietro le quinte con il cuore in gola.

Non lo dirà mai a nessuno ma, per un attimo, su uno di quei volti esangui ha visto riflesso quello di suo padre, e l’idea di dover affrontare di nuovo tutto quanto, di doversi fare nuovamente carico di un fardello così grande, il solo pensiero di dover dare delle risposte a genitori che non potranno più rivedere i propri figli lo sommergono come un’onda arrivata a tradimento.

Boccheggia, Eddie.

Annaspa e si appoggia ad una parete, in preda ad una crisi di panico, serrando le palpebre per scacciar via le orribili immagini che continuano a scorrergli impietose davanti agli occhi.

Quando li riapre, scorge una figura avvicinarglisi barcollando, e gli ci vogliono giusto un paio di secondi per realizzare che quella chioma arancione appartiene a Jeff.

Ben presto questi si accorge della sua presenza, lo chiama per nome e accelera l’andatura, incespica nei propri passi e gli si piazza di fronte, e nei suoi occhi verdi Eddie intravede la stessa disperazione che lo ha scosso qualche minuto prima: non c’è bisogno che Jeff glielo dica, lui già sa che in mezzo a quella bolgia, in mezzo a quel mulinello di morte l’amico ha rivisto Andy.

È un istante e uno sta già stringendo l’altro, i capelli di Eddie che quasi s’intrecciano con fare scomposto intorno agli orecchini di Jeff, i singhiozzi sommessi e le lacrime cocenti che scivolano lungo le loro mascelle, per poi finire con l’unirsi tacitamente sulle magliette di entrambi.

I due si aggrappano l’uno all’altro, lasciandosi scivolare sul pavimento e permettendo alla caterva di emozioni che li sta opprimendo di fluire liberamente verso l’esterno.

Su quel suolo gelido, diventato improvvisamente tomba solo qualche metro più in là, il dolore di tutta Roskilde è anche il dolore di Ed e Jeff, due amici persi in una cortina di parole non dette e che in un velo di lacrime si sono finalmente ritrovati.

 

It's an art to live with pain, mix the light into grey

Lost nine friends we'll never know, thirteen years ago today

 

Sicuramente fa un certo effetto ritornare dopo tutti gli anni passati, e Eddie non sa spiegarsi bene perché abbiano scelto proprio il 2013 per farlo: forse è stata una coincidenza, forse sono le tredici lune in più che ognuno di loro ha sulla groppa… forse è semplicemente arrivato il momento.

Ciò non toglie il fatto che, dopo i messaggi di cordoglio, le manifestazioni di solidarietà, gli incontri con le famiglie delle vittime –per non parlare del circo di accuse, smentite e offese varie in cui sono stati precedentemente sballottati- era inevitabile che fare ritorno a Roskilde fosse l’ultima tessera da poggiare per poter completare il mosaico.

Eddie si guarda in giro e ne approfitta per osservare di nascosto quelli che, da più di vent’anni, sono i suoi compagni d’avventura.

Guarda Matt, quello che tecnicamente è l’ultimo acquisto della band, e si ritrova a pensare che sia rimasto sempre lo stesso; certo, qualche rughetta in più c’è e i pargoli che una volta dondolava sulle ginocchia ora si uniscono a lui per suonare ai concerti dei Soundgarden, ma in fondo Matt è ancora il ragazzo che, in quel famoso pomeriggio dell’ottobre 1990, poco prima di partire con Hunger Strike gli sorrise incoraggiante da dietro la batteria.

 

Mike gli sfila davanti in silenzio e ora Eddie si sta chiedendo di che colore avesse i capelli durante… sì, beh, insomma, avete capito. La verità è che Mike ha sempre avuto l’aria di un ragazzo in pace con l’universo, uno di quelli che si accontentano di poco, anche soltanto di essere un perfetto eremita dedito solo alla propria chitarra e alla musica… e all’alcool e alla droga, ma quelli per fortuna sono vizi di cui è riuscito a sbarazzarsi.

Ancora oggi Eddie si emoziona un sacco quando lo vede chiudere gli occhi durante uno dei suoi assolo, perché quando Mike suona si può chiaramente percepire il flusso di energia uscire dalle corde da lui pizzicate con maestria e scaraventarsi come un uragano lungo tutte le sue ossa.

A Eddie non importa se Mike abbia i capelli bordeaux, biondi o lunghi –adesso se li è pure tagliati come un sedicenne, tra parentesi- né quale tatuaggio abbia deciso dovrà essere il prossimo da fare… gli basta sapere che l’amico non ha mai perso la voglia di continuare a fare sua qualunque chitarra incroci sul proprio cammino e di poterlo avere ancora accanto a sé.

 

Ora lo sguardo è invece andato a finire su Stone, e Eddie non può fare a meno di sorridere tra sé e sé: tra lui e Mike, esteticamente parlando, non sa dire chi sia più cambiato.

E quanto stava sul cazzo a Stone, quando era appena arrivato a Seattle? L’amico non l’aveva mai ammesso –più tardi si era solo limitato a precisare di non averlo capito da subito, e il gesto era risultato più che apprezzato- ma Eddie lo aveva percepito dalle frecciatine che il chitarrista gli aveva scoccato in più di un’occasione.

Col senno di poi, il cantante aveva capito che a Stone divertiva il fatto di poter punzecchiare liberamente qualcuno più grande di lui, senza correre il rischio di ricevere qualche cazzotto come replica.

Infatti a quell’epoca Eddie era schifosamente timido: qualunque cosa era in grado di metterlo a disagio, estremamente in soggezione, perfino –soprattutto- il sarcasmo di Gossard.

(Poi, quando Ed aveva scoperto il suo secondo nome, era stato il suo turno di ridere, ma lì si stava decisamente andando fuori tema.)

Eddie è felice di essere riuscito ad aprirsi di più con Stone, ed è altrettanto soddisfatto della fiducia che l’amico gli ha accordato, rivelandosi per il ragazzo –ormai uomo- sensibile e brillante che in realtà è sempre stato.

Gli dispiace che sia stata proprio una sua canzone, la tormentata ma altrettanto delicata Daughter, a fungere da marcia funebre per quei nove poveri sfortunati.

 

L’ultimo ad essere sbirciato di sottecchi è quello che forse è riuscito a comprendere Eddie meglio di tutti, e lo ha iniziato a fare ancor prima d’incontrarlo di persona; la verità è che Eddie non riesce proprio ad immaginarsi gli ultimi vent’anni senza Jeff, è come se l’amico comparisse prepotentemente in tutte quelle che sono le polaroid racchiuse nell’archivio della sua memoria.

In Jeff i contrasti sono sempre riusciti ad albergare pacificamente: adorava andare sullo skate e giocare a basket ma non era una testa di cazzo come la maggior parte dei suoi coetanei che si cimentavano in quelle discipline, il punk era la sua vita ma si poteva dire la stessa cosa della pittura, e poi non era da tutti non scoppiare a ridere quando il nuovo cantante della tua band ti si presenta davanti per la prima volta regalandoti un collage che ha creato per non piombare a casa tua praticamente a mani vuote.

Inoltre quale contrasto migliore può esistere se non quello tra il suo fisico da atleta temprato e i lineamenti dolci che il suo volto assume quando si ritrova a sorridere?

(Poi, a volerla dire tutta: mica male per un neo-cinquantenne, no?)

Anche in questo momento Jeff riesce a percepire il filo invisibile che lo lega a Eddie e, con un impercettibile sorriso, sembra quasi riuscire a strattonarlo.

L’amico non può far altro che ricambiarlo e benedire l’abbraccio lancinante in cui si sono stretti quel maledetto 30 giugno 2000, gesto capace di farli sentire incredibilmente vivi, nonostante le mani opprimenti della Morte stessero imperversando fameliche intorno a loro.

 

Ég þakka þér þá von sem þú gafst mér (Ti ringrazio per la speranza che mi hai donato)

Ég þakka þér þá von (Ti ringrazio per la speranza)

 

Lo spiazzo è deserto, ma a Eddie sembra ancora di vedere le impalcature sopra il proprio capo, il fiume senza sosta di persone esultanti e le loro sagome farsi tremule come fantasmi di morte attraverso il velo di lacrime, ed è sicuro che anche Jeff, Stone, Mike e Matt stiano vedendo esattamente quel che i suoi occhi percepiscono in questo momento.

Non si dicono una parola e si abbracciano in silenzio, formando un cerchio intorno alle nove candele che hanno acceso e che ora stanno bruciando al vento, e Eddie giura di sentirsi piccolo piccolo fra le loro braccia, ma non è affatto una brutta sensazione… si sente a casa.

D’altronde, in quest’istante, da dietro un vascello di nuvole il Sole si sta svegliando dal letargo.

 

 

 

I think even since Roskilde in 2000, I think that made everybody get into a real unique perspective on where we were at and how fragile life is,

and I think ever since then, every once in a while, we’ll just say one to another, like,

“Can you believe it? Can you believe we’re still doing this?”

 

– Jeff Ament

 

 

 

 

Note autrice

Beh, da dove cominciare?

Sono agitatissima, non potete lontanamente immaginare quanto lo sia: amo i Pearl Jam e scrivere su di loro per me non può che essere un onore ma, allo stesso tempo, sono profondamente terrorizzata.

Ho una sorta di timore reverenziale nei confronti di questa band: ho paura di non riuscire a cogliere le dinamiche tra i componenti, le loro personalità… insomma, tutti gli ingredienti che permettono loro di essere uno dei gruppi più fantastici e veri di sempre.

C’è inoltre da aggiungere il fatto che, qui su EFP, la sezione a loro dedicata sia praticamente un tempio sacro: ci sono poche storie, ma sono una meglio dell’altra… credetemi, io mi sento veramente a disagio nel pubblicare ‘sta cazzatina x’D

Beh, che altro dire?

Questa fanfiction è ispirata alla tragedia che, il 30 giugno 2000, si consumò al Roskilde Festival: nove ragazzi morirono durante l’esibizione dei Pearl Jam, e i componenti della band da quel giorno cominciarono a chiedersi se fosse giusto o meno continuare a suonare.

Credo che le scene che il documentario Pearl Jam Twenty dedica a quest’avvenimento siano tra le più toccanti dell’intera pellicola: fate conto che pure mia madre s’è commossa nel vederle, e lei dei Pearl Jam non sa quasi nulla…

Coomunque!

-          Il titolo della mia fanfiction (v’ho pure messo sotto la traduzione, suvvia!) è un verso tratto da Hafssól, brano dei Sigur Rós.

-          La prima citazione (“Ég leita lífi...”) è tratta da Hjartað hamast (bamm bamm bamm), un’altra canzone della band islandese, così come sempre loro è il brano Svo Hljótt, che ho citato verso la fine della storia (“Ég þakka þér þá von sem þú gafst mér...”)

-          It's an art to live with pain, mix the light into grey/Lost nine friends we'll never know, thirteen years ago today”: versi tratti da Love Boat Captain dei Pearl Jam; scrissero questa canzone (assieme ad Arc e I Am Mine) riferendosi alla tragedia di Roskilde… credo che un po’ tutto Riot Act sia dedicato alle vittime di quel festival.
p.s. I versi originali erano “… lost nine friends we’ll never know, two years ago today”: quando viene eseguita ai concerti, Eddie cambia il numero degli anni trascorsi da quel maledetto giorno

 

Osservazioni sparse sulla fanfiction

-          Se non ricordo male, all’epoca dei fatti Jeff aveva quell’improbabile chioma arancione fluo (che però, ammettiamolo, a lui stava davvero bene!)

-          Andy è, ovviamente, il fantastico Andy Wood dei Mother Love Bone

-          “due amici persi in una cortina di parole non dette e che in un velo di lacrime si sono finalmente ritrovati.”: Se non ricordo male, il periodo in cui Eddie viaggiava separato dagli altri ragazzi e in cui c’era scarsa comunicazione tra i membri della band deve essere stato intorno al 1996-1997… l’ho posticipato un pochino, giusto per farlo combaciare con la trama della fanfiction :3

-          Il figlio di Matt Cameron ha veramente suonato con il padre durante qualche live dei Soundgarden

-          Il secondo nome di Stone è, per chi non lo sapesse, l’epico Carpenter :D

-          Gli stessi Eddie e Jeff in Pearl Jam Twenty ammettono di aver sviluppato una certa complicità sin dalle prime telefonate

-          La prima volta che Eddie è volato a Seattle aveva veramente composto un collage in aereo :’)

-          Le citazioni di Eddie, Stone e Jeff sono sempre tratte da Pearl Jam Twenty

 

Ho quasi finito i miei sproloqui, giuro! Volevo solo fare un’ultima cosa, ovvero lasciare spazio ad un piccolo angolo ringraziamenti:

-          Ringrazio mio fratello Daniel per l’avermi spinto ad ascoltare i Pearl Jam: se oggi conosco un sacco di musica è anche merito suo e dell’entusiasmo con cui riesce sempre a contagiarmi… Non è da tutti condividere certe chicche con la propria sorella rompiballe, quindi direi che il ringraziamento sia più che doveroso :’)

-          Ringrazio quella buon’anima di Selina che, da un bel po’ di mesetti a questa parte, sopporta i miei scleri vari sulle allegre band capellone di Seattle… e supporta i miei tentativi insani di scrivere su di loro, obviously :D Tanti Sean Kinney a te, dolcezza!

-          Ringrazio anche Lisa_Pan per essere stata gentilissima nei miei confronti e avermi spronato a mettermi in gioco in questa sezione: sono anche le tue storie ad avermi avvicinato ancor di più all’universo dei Pearl Jam, grazie!

-          Infine devo assolutamente ringraziare il mio guru, ovvero Angeline Farewell: sono sicura al 99% che lei non leggerà mai ‘sta cavolata, ma ci tenevo a dire che è lei l’autrice a cui m’ispiro di più. Già dal lontano giorno in cui ho letto la sua Buchi Neri ho capito che la mia vita non sarebbe più stata la stessa… grazie per averci regalato dei capolavori, questo sito non ne avrà mai abbastanza. E grazie per essere sempre riuscita a farmi emozionare… i tuoi scritti sono vita vera e propria.

 

YUP, CE L’HO FATTA.

Adesso vado a ritirarmi in un angolino, statemi bene e abbiate pietà! :’3

Bacioni,

 

Dazed;

   
 
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