30/06/2013
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A volte le parole escono dalle labbra nel peggiore dei modi.
Si ammassano tra loro sulla lingua, scivolano mischiate tra i denti ed escono alla luce del sole con significati che non li appartengono.
-Sei un idiota!!!!-
-Zitta strega: fatti gli affari tuoi-
Lei si zittisce, mordendosi le labbra fino a ferirsele mentre stringe con forza la benda al braccio ferito dello spadaccino.
Perché? Perché non capisce?
Non si rende conto del rischio che ha corso? Non capisce che, gettandosi nella mischia senza valutando tutti i rischi, stava per rimetterci la vita?
-Sei un incosciente senza cervello: un deficiente…-
-La pianti?!? Non voglio sentire la tua stupida voce da ragazzina farmi la paternale su dei piagnistei infantili…-
-Come osi, cretino: abbi almeno la decenza di tener chiusa quella tua lurida bocca!!!-
Stringe le labbra in una smorfia incarognita, distogliendo lo sguardo nero da quello al vetriolo della navigatrice.
Mocciosa.
Ecco cos’è: una mocciosa.
Una stupida mocciosa che non capisce che, se si è fatto affettare dai marine, è stato solo per difenderla, per proteggerla da quei dannati cani, perché loro stessero a dovuta distanza da lei, tenendo ben lontane le loro luride mani.
Perchè? Perchè non capisce?
-Sono solo dei graffi…- sbotta, fissando la rossa prendere altro disinfettante e colorargli la pelle bronzea e tagliata di un viola antisettico.
-Graffi che ti faranno venire il tetano se non vengono ben disinfettati…- lo rimbecca, fulminandolo con lo sguardo.
Non capisce, non capisce.
Non capisce che lei non può lasciarlo così, ferito e sanguinate, senza prendesi cura di lui, senza occuparsi della sua salute.
Non capisce.
-È tardi: dovresti già essere a letto. Lascia stare e va a dormire-
-Sappi che sarei già a letto se tu collaborassi e ti facessi medicare senza protestare…-
-Se ti scoccia tanto, molla tutto e chiama Chopper: è più lucido di te e non rischierà di diluirmi il sangue con il disinfettante-
Non capisce, non capisce.
Non capisce che lo vede quanto è stanca, che ha notato i suoi movimenti più lenti e imprecisi, che deve risposarsi e recuperare l’energie perse nello scontro.
Non capisce.
-Ah è così!!!- getta a terra il flacone d’alcol, bagnando il pavimento–Ti da fastidio che sia io ad occuparmi di te?!? Cos’è? Non vuoi che una mocciosa ti stia accanto quando stai male?!? Ti do fastidio così tanto?-
-Sai cosa mi da fastidio?- ringhia, alzando la voce-Mi da fastidio sentirti urlare isterica, mi da fastidio vederti agitata e tremante con un ago in mano mentre mi ricuci, mi da fastidio dover discutere con te a quest’ora tarda-
È così difficile?
È così difficile dire “Voglio starti vicino”?
È così difficile dirgli che vuoi stargli vicino, vuoi prenderti cura di lui, vuoi sorreggerlo mentre è ferito?
-Sei un idiota-
-E tu una mocciosa-
È così difficile?
È così difficile dire “Voglio che tu vada a riposare”?
È così difficile dirle che vuoi vederla in forze, riposata ed energica, vuoi che vada a letto a dormire, vuoi vederla sana e forte?
Nami si morde un labbro, frenando quelle dure parole così difficili da pronunciare, così acidamente mischiate sul suo palato, come una marea di mare e notte.
-Vuoi che chiami Chopper?-sussurra in fine, cedendo al desiderio di vederlo in salute, e celando ancora una volta quello di stargli accanto.
Zoro la fissa, la studia dritta davanti a lui, mentre tiene gli occhi bassi al flacone riverso ai suoi piedi.
-… va a riposare…-soffia, incatenando la voglia di stringerla tra le braccia, bloccarla lì con lui nella stanza, arrendendosi al desiderio di lasciarla andare a riposare.
La rossa alza lo sguardo, lo cerca, lo fissa.
No, non mandarmi via.
-Io… io…-
Ma le parole si increspano tra loro di nuovo, inciampano, cadono, scivolano, frenando la lingua nel proferire.
Voglio restare qui, con te.
È questo tutto ciò che vorrebbe dirgli, ma non ci riesce.
Le parole non escono dalla bocca.
-Nami…-
La chiama piano, usando le poche parole che si salvano dalla valanga di caos e strafalcioni che si ammassano sul palato, impedendogli di emettere alcun suono.
Resta, resta qui, con me.
È tutto ciò che vuole, ma non riesce a dirlo.
E cosa si può fare quando le parole non escono, quando i verbi s’incartano tra le corde vocali, quando i desideri non si traducono in frasi?
Cosa si fa, quando la voce non riesce a seguire i voleri della propria anima?
Piano, lenta, raccoglie da terra l’alcol, tornando a bagnare una garza di disinfettante mentre si siede alla sua destra, riprendendo a medicarlo sul braccio.
Niente parole, ora, solo gesti.
Gli accarezza il bicipite graffiato, alternando al passaggio del disinfettante dei leggeri baci, dati a fior di labbra.
Che restino pure mute, quelle labbra, ora servono ad altro.
Lento, piano, posa il capo verde contro il suo ramato, strusciando piano la fronte sulla sua, accarezzandola dolcemente.
Le parole ora non servono, bastano i gesti.
Le alza il viso con la punta delle dita, alzandolo tremante, rigato di lacrime, e le posa la bocca sulla sua, baciandola piano.
Non deve più aprirsi inutilmente quella bocca, ora deve solo chiudersi su quella di lei.
-Resto qui…-lo bacia, circondandogli il viso leggermente ferito.
Voglio restare qui, con te.
-Resta qui…-annuisce, baciandola sulle labbra rosse e carnose.
Voglio che tu resti qui, con me.
Altre parole non servono, tra loro.
Le parole non servono a loro.
Le parole non servono.