La ricerca della felicità
“Se vuoi una cosa vai là e
prenditela...punto”
“Dai devo farcela ,devo farcela manca solo una faccia…
forza!”continuavo a stringere i denti, morsicandomi il labbro, mentre guardavo
disperatamente con la coda dell’occhio lo scorrere incessante dei dollari sul
piccolo schermo del taxi, con la certezza che non sarei mai riuscito a pagare
quei soldi.
“Eppure, d-dai…”le
mie mani sudaticce e tremolanti tentavano a tutti i costi di forzare quel
maledetto piccolo oggetto per trovare la soluzione in tempo. Furtivamente
lanciai uno sguardo all’orologio.
Capii che in pochi minuti saremmo arrivati a destinazione! Sbuffavo
nervosamente, reprimendo nel mio sguardo fisso sul cubo tutta la mia tensione ”….ecco ,l’ultima curva…”. Non potevo perdere le speranze ora. Sapevo che
potevo riuscirci.
“Nessuno ci riesce, è una cosa
impossibile”sollevava leggermente quasi compiaciuto la parte del labbro destro,
mentre si lucivada con la mano la sua bella cravatta firmata a righe
rosse. Ed io con quei pantaloni e quella giacca che avranno
avuto dieci anni se non più, cercavo di sfidare qualcosa, cercavo di ottenere
qualcosa per il bene mio, ma soprattutto di mio figlio Christofer.
“SI!” con un gesto deciso gli
porsi il cubo, completo in tutte le sue facce! Tirai un sospiro
di sollievo. Salutai il signor Jay Twistle,
che con la sua valigetta uscì dal taxi e mi diede una possibilità.
Non avrei mai pensato che un
semplice cubo, avrebbe potuto cambiare la mia vita. Fu da quel momento che
cominciai a vedere qualcosa oltre la vendita di quei scanner ossei…forse, un futuro? Si, un
futuro. Quella cosa che è data a tutti ma che non è apprezzata da nessuno fin
quando non si perde. Eppure non dovrebbe essere dato a tutti, un
futuro?insomma, nessuno dovrebbe pagare o dimostrare qualcosa per meritarselo.
Purtroppo non è così. In questa vita è molto sottile la differenza tra chi può
e chi non può…bè sono pochi quelli che possono
decidere,ed io purtroppo non sono stato tra questi.
Questa verità così maledettamente
fondata, mi si presentò davanti il giorno in cui io e Christofer fummo costretti a lasciare la nostra casa per
dormire in un bagno di una metropolitana, aspettando che ci fosse posto in
delle comunità d’accoglienza. Me ne stavo lì. Mi ero appena inventato uno
stupido gioco con il mio ultimo scanner, diventato all’occorrenza una macchina
del tempo che miracolosamente ha trasportato la fantasia di Christofer
tra i dinosauri.
“Forza, presto! Andiamo a ripararci lì, prima che ci
attacchino”vedevo sorridere Chris, mentre mi accertavo di aver chiuso la porta
del bagno. “Ecco qui
Chris, la nostra casa per questa notte”con un gesto feci scorrere
la sua attenzione su quell’ambiente come se fosse realmente una nuova abitazione:
nulla era accogliente, nulla poteva lontanamente ricordare il tepore di una
casa e soprattutto della famiglia; c’era solo sporco. Disperato cercavo nel migliore dei modi di unire pezzi di carta nel
pavimento che ci avrebbe alloggiato per un’intera notte. Feci sedere Christofer sopra le mie ginocchia, accarezzandogli
lentamente il viso fin quando i suoi occhi non si sarebbero persi nel sonno. I
suoi occhi erano l’unica cosa che potessero ancora darmi forza…Eravamo
lì, in uno squallido bagno.
Appoggiato alla parete, piangevo.
Sentivo le mie lacrime scendere giù,giù…forse era il cuore che voleva liberarsi dal dolore e
dalla fatica, dalla delusione e dalla rabbia di non aver dato a mio figlio la
vita che si meritava. Impugnavo il mio scanner e con i denti trafiggevo le
nocche dell’altra mano trattenendo i singhiozzi per non svegliarlo. Mentre le
lacrime sgorgavano mi chiedevo perché tutto questo.
La mattina seguente come prima
cosa ci avviammo verso la comunità che ci avrebbe
ospitato. Tenevo per mano Christofer che dal canto
suo sapeva ancora come sorridere. Sulle spalle aveva il suo solito zainetto,
saltellando sorrideva, guardando il cemento della strada con quei morbidi riccioletti arruffati sulla testa. Era lui il più forte con
quell’aria sbarazzina ed innocente. Voltammo l’angolo:
una coda interminabile era appostata lì per un letto e un po’ di cibo. Non
potevo permettere che mio figlio si ritrovasse a dormire un’altra notte in una
lurida metropolitana perciò mi feci di coraggio: afferrai la mano di Christofer e mi misi in coda. Quanto era assurdo vedere tra
quelle vie, macchine così lussuose sfoggiare la potenza di quei motori, mentre
un’ondata di smog e polvere ricopriva le nostre teste ancora pazientemente in
fila. Polvere!Come se fossimo degli oggetti vecchi, privi di qualsiasi utilizzo
dimenticati in un cassetto, rinchiusi nel buio di una società che non vuole
vedere, che non vuole dare la chiave per aprire nuove
opportunità a tutti.
Finalmente era il nostro turno.
“Visto Christofer, ora tocca a noi, per oggi possiamo
entrare”. Chris voltò il viso verso di me e mi riempì di speranza con un suo
piccolo sorriso, inarcando leggermente la fronte. Salimmo in camera: buia,
completamente buia. Era piccola con due letti, si
sentiva la puzza di chiuso e di vecchio, ma per lo meno non aveva il fetore del
bagno. Appoggiai lo scanner sul letto. Chris si era seduto lì: non sembrava
meravigliato, ne dispiaciuto. Forse era abituato a questo stile di vita. Forse
non si aspetterebbe altro da me; ma io gli farò cambiare idea, ne sono certo.
Erano solo le otto quando la luce dello stabile si spense
“E’ ora di andare a dormire!”
presi in collo Christofer e lo appoggiai sul letto.
Guardavo i suoi occhi e lui i miei, anche se in realtà si scorgevano a mala
pena i contorni dei nostri visi data la poca luce che
usciva dalla fessura della finestra. Un bacio e un forte abbraccio, poi quando
mi stavo per coricare mi prese di scatto la mano e
disse con aria imbronciata: “la luce tornerà?” non sapevo per certo se tornasse
ma sapevo che quei suoi occhi meritavano di brillare più di qualunque altro “si
certo, domani mattina, stai tranquillo” lo rasserenai toccandogli dolcemente
una guancia. “Papà?” quella vocina tremolante mi chiamava ancora. Mi voltai
verso di lui. “Sei un bravo papà…buona notte” mi
disse tirandosi su le coperte impolverate, mentre si stringeva forte a sé con
le sue piccole braccia poi si addormentò con un sorriso.
Io non avevo motivo di sentirmi fiero di me
stesso anzi…orgoglioso?orgoglioso
per cosa?Per non essere mai arrivato alla fine del mese con i soldi necessari
per comprare un pallone a Chris?Per dargli una nuova maglia, un nuovo
quaderno?Per vivere una vita serena? Per avere quello straccio di felicità che
potesse ancora mantenere una famiglia e mia moglie…In
quel momento pensai alla felicità. La dovevo ricercare, la dovevo
afferrare. Fu in quel momento che cominciai a pensare a Thomas Jefferson e alla
dichiarazione di indipendenza quando parlava del
diritto che avevamo alla vita, libertà e ricerca della felicità e ricordavo di
aver pensato: come sapeva di dover usare la parola 'ricerca' ? In fondo non
potevo fare altro che tentare di ottenere qualcosa di migliore di questa vita.
Così quel cubo mi dette la
possibilità, una delle poche possibilità della mia vita
di iniziare gli studi per diventare un broker. Il piccolo Chris mi seguiva, non
sapevo come facesse ma era sempre fiducioso nei miei
confronti, nonostante il tempo che dedicavo a lui era sempre meno. Ora c’erano
anche gli studi ad occuparmi, ma la mano di Chris mi
stringeva sempre. Dovevo farlo per lui, dovevo
diventare un broker per fargli raggiungere i suoi sogni!
Mi fermai attonito davanti
all’edificio che mi avrebbe permesso di studiare e conseguire un nuovo lavoro.
Lo guardavo. Ero sorpreso nel vedere tutta quella
gente che vi entrava; forse come sempre non c’era posto per me ma questa volta
le cose dovevano cambiare. Presi la mia vecchia valigetta e cominciai a
percorrere i primi gradini di quell’enorme palazzo, per poi con aria smarrita
chiedere informazioni. Il signore Jay Twistle mi aveva dato l’opportunità di studiare come
qualsiasi altra persona facoltosa di San Francisco, ed ora mi ritrovavo ad
aprire più teso che mai la porta dell’aula di lezione. Tante scrivanie. Tante
persone. Tanti libri da dover studiare. Solo un obiettivo. Il massimo dei voti
per conseguire il lavoro di broker. Ascoltavo attentamente tutte le lezioni,
niente mi sfuggiva, niente! Perché Chris doveva avere un’istruzione altrettanto
prestigiosa da grande. Lavoravo sodo, nonostante il
mio pensiero fosse costantemente rivolto al piccoletto che passava la maggior
parte del tempo a guardarmi, passeggiando per la piccola stanza o mettendosi a cavalcioni su quel letto scomodo.
Eppure giorno per giorno,
sembrava quasi che dentro l’aula lezione, l’insegnate
volesse a tutti costi farmi perdere la
concentrazione, con delle continue inutili commissioni, che mio malgrado dovevo
rispettare. Lo scrutavo da capo a piedi dal bordo della scrivania. Ero certo
che si sarebbe avvicinato a me per l’ennesima volta e con aria falsamente
cordiale mi impartisse qualche ordine.
“Ma signore, scusi
sto…” rispondevo attonito lasciando cadere la penna
di mano mentre venivo incitato a lasciare pure il foglio degli appunti. Non
sapevo cosa fare. Sapevo solo obbedire: cosa non da poco visto
che altrimenti sarei stato sbattuto fuori insieme al mio avvenire e
quello di mio figlio; ma sapevo bene che il suo subdolo intento era quello di
non farmi conseguire ciò che volevo. Restai chinato per ore sopra quei fogli di
carta: ricontrollai svariate volte gli appunti, ogni singola lettera, le
annotazioni ai margini…tutto pur di ottenere quel 100! Non 99 ma 100! Purtroppo per quanto non volessi crederci era uno stupido numero a decidere del mio destino e
non potevo mollare proprio ora.
Giorno e notte. Giorno e notte.
Pagine su pagine, fin quando il giorno dell’esame era
arrivato. Uscì dalla sala soddisfatto ma in ansia. Non
ero ben cosciente del fatto di aver sbagliato qualcosa o meno. Non volevo
consolarmi dicendomi di averci provato. Questa volta non potevo solo provare!
Dovevo aver preteso di più! Eppure non sapevo impormi la certezza di aver
conquistato il massimo, anche se senz’altro Christofer
non ne dubitava. Zaino in spalla e sorriso a trecentosessanta
gradi. Corse verso di me e mi diede un forte abbraccio. Sentivo
stringere il mio corpo dalle sue piccole mani, che volevano trasmettermi
coraggio. Il suo amore era tutto per me.
Passò del tempo. Era il giorno in
cui tutto poteva cambiare: i risultati dell’ esame erano
lì, in mano del signor Jay Twistle ad aspettarmi. Non
mi feci domande lungo la strada. Non volevo pensare alle conseguenze negative o
positive che fossero. Voltai lo sguardo verso Chris: seguiva con gli occhi la
linea dell’orizzonte cercando di scorgere oltre il via vai di persone
l’edificio. Fui convocato nell’ufficio dove Twistle e altri suoi colleghi se ne stavano lì ad
aspettarmi.
Un solo foglio era riverso sul
tavolo. Uno solo… Sentii il mio cuore palpitare più
che mai. La tensione era talmente tanta che l’aria era irrespirabile. La sua
mano si allungò verso di me:
“Complimenti Chris Gardner …sei
un broker ora!” mi fu consegnato il risultato. Lo fissai. Un uragano sembrava
scoppiare dentro di me. Afferrai tremolante il figlio. In realtà, non ne lessi
neanche una sola riga. Annuivo a Jay e agli altri. Non sapevo neanche perché!
Ero pervaso dall’emozione di quel momento. Gli occhi cominciavano a illucidirsi, la bocca continuava a muoversi ma non una sola
parola usciva dalle mie labbra. Il cuore era in uno stato di eccitazione tale
che sarebbe potuto scoppiare da un momento all’altro. Fissavo il vuoto o forse
il foglio, nulla mi sembrava reale. A mala pena riuscii a stringere la mia mano
a quella degli altri, continuavo solo a respirare incostantemente con gli occhi
rossi dalla trepidazione.
“Buona fortuna” mi dissero infine.
Chiusi la porta dell’ufficio, a
passi lenti mi diressi fuori. Presi quelle poche cose
che avevo lasciato sopra la scrivania, mentre continuavo a toccarmi la fronte.
Aprì la porta d’uscita e tra la folla mi misi a battere le mani.
In quel momento … tra la folla,
presi in minima parte coscienza di ciò che era accaduto…
Ora potevo essere fiero di me, ora potevo alzare la
testa e camminare tra gli altri…liberando un sorriso
tra le braccia di Christofer!
Questa parte
della mia vita, questa piccola parte della mia vita si
può chiamare Felicità!
Elizabeth9
Un film
come questo meritava una fan fiction! Spero solo che via sia piaciutaJ
aspetto i vostri commenti!