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Autore: Uni    01/07/2013    6 recensioni
[RedMoon — a Luca, dato che gli piace così tanto]
Gli umani si differenziano dalle macchine per la dote nel provare emozioni. Ma quando una macchina inizia a provarle, anzi, a riscoprirle e a capirne l'importanza nel loro significato più puro ed esplicito, chi tra i due generi è il più inanimato?
— Spesso i nostri sentimenti vengono ridotti a mere parole, quindi, vorresti scoprire l'importanza dei miei?
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bright, Fine, Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il veleno dell'inizio.
 
Chiunque voglia trovare la propria strada in questo mondo, deve cominciare ammettendo di non sapere dove si trova.
Stellan Skarsgard — Prof. Erik Selvig
 
«Corri, — diceva — corri o ti uccideranno » i suoi occhi azzurri erano terrorizzati: se non l'avessi protetta, di sicuro lui le avrebbe fatto male. Ma a lei non importava - avrebbe preferito morire -, voleva solo che io fossi in salvo. «Lei! Lei ti aiuterà di certo.» farneticava, nello stesso tempo, stringendo la mia mano, mi conduceva fuori da quel palazzo metallico e freddo: perfetto per una macchina come me. Non capivo cosa fosse quell'espressione sul suo volto. So solo che a quel tempo non riuscivo a capirla, nonostante Rein tentasse disperatamente di farmelo ricordare. Non appena arrivati al cancello secondario, mi diede una leggera spinta. Va, disse. Corri, aveva detto; quindi, correvo. Non sapevo dove stessi andando, ma correvo solo perché lei me lo aveva detto. Lei, che per me non aveva nessun valore - o almeno, era quello che pensavo allora -, mi aveva portato a disubbidire al mio padrone: lui che mi aveva creato. E per qualche ragione, forse per un semplice impulso come risposta alla sua agitazione, dovuta all'affetto che provava nei miei confronti, le obbedii. 
Ma quella sera lui aveva qualcosa di diverso. Voleva qualcosa che lei non poteva dargli: la ferì quasi mortalmente, e anche sapendo che stava facendo la cosa sbagliata, era pur sempre il mio padrone e non avrei dovuto disubbidire. Eppure, poiché mi prendevo cura di Rein, se fossi rimasto, lui mi avrebbe ucciso.
Mentre correvo, qualcuno stava sparando contro e diversi proiettili perforarono la mia pelle, causando il malfunzionamento di alcuni arti: non potevo correre molto veloce, ma nonostante tutto continuavo a farlo.
Non feci in tempo ad analizzare la situazione che la mia fuga finì, appena una lunga freccia in titanio puro, trafisse il mio reattore principale: quello che dagli esseri umani è comunemente chiamato “cuore” si stava fermando. Sentii il mio corpo cedere fino a quando il mio reattore smise di funzionare. La morte si era impossessata di me lasciando in quella strada, dove prima il mio corpo correva, un oggetto di ferro artificiale, ormai privo di vita. Ma no! Non era il momento adatto per morire, lo sentivo.
Una sagoma incappucciata si avvicinò a me correndo. Aprii a malapena un occhio, vedendo che la sagoma stava rigorosamente alzando il dito medio al mio padrone, che allora guardava la scena, serio, giacendo sulla sua poltrona di pelle nera. La sagoma voltò il viso verso di me e del suo volto buio e incappucciato, riuscii a scorgerne solo il dolce sorriso che mi rivolgeva. Poi null'altro.

D'un tratto mi svegliai, seppur non l'avessi calcolato. Io sarei dovuto essere morto. Aprendo un occhio alla volta, scrutai l'ambiente intorno a me: un letto, una finestra, un armadio, pareti bianche, lei. 
Lei era l'unica cosa che colorava quell'ambiente lucente, con i suoi capelli rossi. 
Era una ragazza esile, dalla carnagione chiara e dal vestito color confetto. Dormiva nella sedia vicino al letto: sembrava innocua e scatenò in me una reazione nuova - come se avessi voluto abbracciarla per sempre. A questa sensazione seguì un impulso: la mia mano si avvicinò al suo volto e ne accarezzò le gote. A quel contatto, lei aprì lentamente gli occhi e non appena si accorse del mio gesto e del fatto che fossi sveglio, si gettò in dietro come per difendersi, ma questo suo gesto fece in modo che la sedia si ribaltasse. Cadde per terra e con grande interesse mi precipitai ad aiutarla.
«Ahi, ahi. Ma ti pare questo il modo di svegliare una giovane indifesa?» protestò lei. «Io vi ho solo svegliato.» lei mi fissò truce e aggiunse un piccolo sbuffo. «Comunque, come ti senti?» la guardai stranito, nel tentativo di capire cosa significasse quella domanda. «Come... mi sento?» chiesi, mentre lei rialzava la sedia. «Sì, come te sent-» mi fissò per un istante per poi darsi una pacca in fronte. 
«Giusto! — ammise — tu sei un replicante! Ecco, volevo chiederti se ci fossero problemi con i tuoi macchinari, o con la scheda madre.» Dissi che avrei fatto subito una scannerizzazione allo scheletro, che non diede segni di anomalie. «Io sono Fine Akagami, qual è il tuo nome?» le risposi che mi chiamavo Shade.
«Hai aggiustato tu il mio reattore?» chiesi, lei con un grande sorriso fece "sì" con la testa. Questo causò in me una nuova sensazione, simile a quella precedente ma ora molto più forte. Anche questa volta ne conseguì un impulso: mi avvicinai tempestosamente a lei e... la abbracciai. Ricambiò il mio abbraccio e quasi malinconicamente chiese «sei un TZ34…vero?».
Mi allontanò di poco e mi sorrise: mi piaceva quel sorriso. «Come lo sai?» per un po’ non mi rispose, come se rispondendomi si sarebbe auto lesionata «Ho lavorato diversi anni nella costruzione di alcuni TZ33. Ma dimmi, lavori per Bright?» il suo tono non era come quello di prima: era serio, arrabbiato e nello stesso tempo nostalgico. «Non più. Lui ha fatto male a-.» m’interruppe sbarrando gli occhi. «Rein?» adesso i suoi occhi rossi avevano paura. «Sì. Lei mi ha detto di scappare.» confessai. «Capisco.»  il suo sguardo era vuoto, quasi paragonabile al mio, ma a differenza dei miei, i suoi occhi risplendevano ancora di una piccola luce. Ricordai che, nonostante fosse debole, avevo un debito nei suoi confronti e allora, inginocchiandomi a lei e prendendole la mano, pronunciai il giuramento «Nelle fredde e buie notti, nel caos del futuro, nell'armonia del presente, giuro di proteggerti e di rispettarti fino a quando non sarai tu stessa a volere il contrario». Rimase interdetta per un secondo e poi spalancò gli occhi «Ma-» provò a dire, ma la interruppi. «Per tutelare il mio onore, la prego di accettare.» e lei ancora sconvolta, emise un piccolo verso di approvazione.
Il mio reattore si surriscaldò. "scanner: nessuna anomalia"
Che cosa sarà mai questa piacevole sensazione?

Capitolo dedicato a Luca che è il mio rompiballe preferito, 
rieditato per l'ennesima volta, sperando che - con le vacanze estive - riesca finalmente ad aggiornare.
 
   
 
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