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Autore: Timcampi    01/07/2013    2 recensioni
"Di fronte a lui, a dargli le spalle, vi era un manipolo di dodici soldati in armi: un vero plotone d'esecuzione.
Gettato su quella sedia scricchiolante, a impersonare alla perfezione la vecchia metafora dell'ubriaco morto, doveva esser parso non meno morto di tutti gli altri.
E poi lo vide, in un angolo remoto della locanda, barricato dietro il tavolo da biliardo che lo divideva dai fucilieri.
Enjolras."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oreste digiuno e Pilade ubriaco











A svegliarlo doveva essere stato il silenzio, si disse.

Per tutto il giorno, il frastuono della piccola battaglia che imperversava al piano di sotto, circoscritta a quel misero brandello di quella misera strada proprio a un passo dall'osteria, aveva cullato il suo sonno disturbato come lo scrosciare di un torrente lontano, popolandolo di sogni confusi dalle tinte sgargianti; poi, in un attimo, una raffica di colpi di fucile aveva messo a tacere ogni cosa, e l'osteria era piombata in un silenzio irreale, un silenzio carico d'ostilità, gravido di ferro e di cadaveri.

Era stato allora che Grantaire aveva aperto gli occhi, prima il destro e poi il sinistro. L'alcol del pericoloso guazzabuglio di assenzio, birra e acquavite gli appesantiva le palpebre, gl'intorpidiva i sensi e gli faceva formicolare le membra.

Si guardò intorno con fare assonnato e interrogativo, in preda a un orribile presentimento, asciugandosi con una manica la fronte coperta da una lieve patina di sudore e stropicciandosi energicamente gli occhi.

Non ebbe alcuna difficoltà a riacquistare del tutto la propria lucidità, alla vista di numerosi dei suoi soliti compagni d'avventure e sventure, di sogni e bevute, caduti come pedoni da una scacchiera ribaltata da un giocatore troppo impaziente, con le armi e le coccarde tricolori ancora strette al petto.

Di fronte a lui, a dargli le spalle, vi era un manipolo di dodici soldati in armi: un vero plotone d'esecuzione.

Gettato su quella sedia scricchiolante, a impersonare alla perfezione la vecchia metafora dell'ubriaco morto, doveva esser parso non meno morto di tutti gli altri.

E poi lo vide, in un angolo remoto della locanda, barricato dietro il tavolo da biliardo che lo divideva dai fucilieri.

Enjolras.

I suoi occhi alteri guardavano i soldati con tanto sprezzante orgoglio da parere in fiamme.

Non v'era traccia di paura nel suo volto disteso, nelle sue labbra lievemente ricurve, nella plasticità della sua figura stagliata contro la parete, in parte indorata dalla calda luce di un sole già rossastro, in parte sporca di sangue di compagni e di nemici.

Non vi era arma, né segnale di resa, nelle sue braccia serenamente conserte.

E mentre non v'era che tranquilla indifferenza nel cuore del rivoluzionario, l'anima di Grantaire vibrava. Vibrava come al ritmo d'un lontano rullo di tamburi.

Si sentì come investito da una carrozza in corsa.

Era bello, Enjolras.

Più bello che mai, in quel momento, in quel vistoso soprabito scarlatto, in quella sua immagine tanto superba che pareva volesse sfacciatamente dichiarare la propria invulnerabilità.

Apollo: ecco come lo chiamavano tutti, tra i banchi, le sottane e gli schiamazzi della locanda dove trascorrevano quasi ogni sera.

Trasudava un'invincibilità talmente splendente che pareva quasi potesse estendersi a tutti coloro che amava: e forse era per questo che in tanti l'avevano seguito nella sua folle rivoluzione, e ad essa avevano brindato con lui.

Ma la verità era che il bel dio dalle guance arrossate e dal volto più di virago che d'uomo non era immortale, e Grantaire si ritrovò a dire a se stesso che, in fondo, prima o poi avrebbe dovuto farci i conti.

Quando ami qualcuno che vive per combattere, non puoi aspettarti che torni sempre a casa.

Era stato lo stesso Enjolras a dirglielo, con il suo solito sorriso entusiasta stampato in volto, di fronte alla sua espressione adorante e disperata.

Puoi solo sperarlo. E pregare, se sei ancora in grado di credere che Dio sia con te.

Ma tutto ciò in cui Grantaire credeva, tutto ciò che desiderava era nel cuore di Enjolras, e c'era sempre, c'era ogni qualvolta lui lo cercasse. Era là che custodiva i propri sogni, le proprie speranze, le proprie preghiere; e quando Enjolras gli parlava, coperto della luce del mattino che filtrava attraverso le tende, vestito della fresca ombra dei salici, meraviglioso come un tiepido raggio di sole sceso tra le braccia d'un uomo di carne, lui sapeva ch'egli stava facendo altrettanto.

Grantaire dimenticò per un istante i fucilieri, dimenticò il sangue, i cadaveri, le armi, la lontana eco d'un rullo di tamburi, l'odiosa tinta vermiglia che macchiava quel mondo di guerra, e sorrise: anche quella sera, Enjolras era tornato a casa.

«Mirate» comandò una voce, riportandolo alla realtà.

Con uno scatto, Grantaire s'alzò in piedi. Allo stridente rumore che la sedia produsse strisciando contro il pavimento, gli sguardi di tutti i presenti s'appuntarono finalmente su di lui.

A giudicare dal modo in cui lo guardò, neppure Enjolras doveva aver fatto caso alla sua presenza. Dopo un istante di stupore, però, il suo sguardo si velò di tenerezza proprio come quando i loro occhi si rincontravano dopo molto tempo, e ogni traccia di rancore, di tristezza e di sconforto spariva da essi, ed Enjolras cessava di essere il condottiero del popolo, l'Adone dei poveri e il principe della rivoluzione, per divenire soltanto il condottiero, l'Adone e il principe di Grantaire.

«Viva la repubblica!» ridacchiò, e ciò che lui non vide ma che Enjolras potè vedere fu una luce meravigliosa, immensa, comparire nella sua sagoma sgraziata.

Era la luce della rivoluzione, la luce che scaturiva dalla torcia con cui Enjolras guidava le folle.

Questa volta, però, a prender fuoco ci fu solo Grantaire: quest'ultima rivoluzione era per loro, e per loro due soltanto.

«Ne faccio parte anch'io» aggiunse, attraversando la sala con passo deciso, facendosi strada attraverso i soldati sbigottiti e prendendo posto accanto al giovane, in piedi dinanzi ai fucili puntati.

«Prendetene pure due in un colpo solo» disse, per poi voltarsi e sussurrare un dolce «Permetti?» nell'orecchio di Enjolras.

Il giovane gli strinse la mano, intrecciando a una a una le proprie dita con le sue, e regalandogli il più bello dei sorrisi, tanto bello che non si stenterebbe a credere che l'avesse conservato per tutta la vita in un angolo delle labbra, gelosamente, soltanto per lui e per quel momento.

E quel sorriso era ancora là, quando la detonazione scoppiò.

 

E, a detta di chi li ritrovò, c'era rimasto.

 

   
 
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