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Autore: White Dreamer    02/07/2013    8 recensioni
"Nii san" sarebbe stata la prima parola del suo otouto.
Com’era stato suo il primo sorriso – a due settimane di vita.
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Il maggiore che viene bistrattato e il minore che se la ride (tutto nella norma).
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Di Uchiha e domande scomode'
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Note importanti : Non l’ho mai precisato, perciò vi informo adesso (meglio tardi che mai) ; )
In questa raccolta i due fratelli hanno circa cinque anni di differenza.
Mi sono documentata. Kishimoto non è particolarmente preciso a riguardo, ma sono quelli all’incirca.
 
 





Nii san sarebbe stata la prima parola del suo otouto.
 
Com’era stato suo il primo sorriso – a due settimane di vita.
Se lo ricordava bene.

Lo stava guardando dormire quando aveva aperto gli occhi. Lo sguardo, ancora di un grigio azzurro, si era illuminato. Le labbra si era incurvate, cantilenando lunghi gorgheggi.
Lui in risposta aveva allungato un dito, emozionato. La mano minuscola che l’aveva stretto era perfetta.
Rammentava l’episodio perché quello era stato il momento che era diventato fratello maggiore. Prima era solo un bambino che aveva un bizzarro esserino urlante nella camera di fianco alla sua.
 
Era stato il solo inoltre ad assistere ai primi passi del fratello.
Da seduto, si era alzato e senza sforzo aveva camminato verso di lui, distante pochi metri. Le braccia tese – un chiaro invito a prenderlo in braccio – non furono ignorate. Lo aveva stretto a se, commosso.
Non avrebbe potuto fargli un regalo più bello.
Fino a quel momento.
 
Perché Sasuke non aveva ancora parlato. Trilli e canti erano all’ordine del giorno, ma non si era ancora espresso a parole.
Fugaku si lamentava che un bambino di un anno avrebbe già dovuto comunicare senza problemi – perché gli Uchiha si distinguono sempre.
Mikoto lo incitava ad ogni ora del giorno e lui la ignorava bellamente, tornando ai suoi giocattoli.
 
Itachi non aveva fretta.
Certo, una parte di lui non vedeva l’ora che la sua vocina lo chiamasse, per giocare insieme.

Per ora si accontentava di stare al suo fianco e godersi i suoi sorrisi – una tecnica che, insieme alla madre, era l’unico a possedere, e che diventava contagiosa quando era nei paraggi.
 
Si, poteva aspettare. Bisognava solo essere pazienti.
 

 
 

Un noioso imprevisto si abbatté sulle loro vite.
 
La casa era in gran fermento. Quel pomeriggio sarebbe arrivata la zia Saori - avrebbe pernottato da loro qualche giorno.
 
Sbuffò contrariato. Aveva incontrato quella donna solo in poche occasioni e, sebbene fosse un bambino calmo e comprensivo, quella signora non la poteva proprio sopportare.
Era la moglie di un lontano cugino del padre, ed era terribilmente prolissa.
Per non parlare del suo peso forma, non che gli importasse granché, ma quando ti abbracciava la sensazione di soffocamento era destabilizzante.
 
Arrivò puntuale come un orologio svizzero e trovò tutta la famiglia ad accoglierla.
 
Itachi aveva nascosto il suo muso lungo, preferendo un’espressione neutra.
Dopo i soliti convenevoli – con l’inevitabile abbraccio stritolante – si erano diretti in sala, sedendosi sul tatami.
Sasuke, in braccio alla madre, contemplava silenziosa la straniera, che non aveva smesso un attimo di vezzeggiarlo.
Itachi era tentato di infilargli un tizzone in gola - quella si stava prendendo troppe confidenze.
 
 
Fu allora che il piccolo di casa alzò il braccino e indicò la donna. “Gona – gaona”.
Mikoto cinguettò emozionata, insieme alla zia.
 
 
C’era stato il rischio dell’apertura completa della mascella. Perché, santo cielo, non era giusto.
Lui che passava la maggior parte del tempo al suo fianco, non meritava forse la sua prima parola? Perfino se era senza senso compiuto.
 
Il suo umore nero non lo abbandonò fino a sera.
Sasuke stava testando la nuova parola in mille versioni diverse. Giona, Glona, Gosa. Sempre puntando il ditino verso l’ospite, per poi battere le mani e gorgheggiare spensierato.
Lei ovviamente aveva sfruttato l’intera situazione a suo vantaggio, cianciando sulle sue abilità pedagogiche, sperimentate sui suoi stessi figli.
La madre la ascoltava elettrizzata e anche Fugaku sembrava interessato.
 
Nevrastenico, chiese di alzarsi. Si avvicinò al pargolo che, circondato da costruzioni colorate, non lo degnò.
Si sedette, incrociando le gambe.
“Otouto, sappi che è stato un colpo basso”. La pulce stava sbattendo un cubo giallo a terra.
Con aria innocente gli sorrise e indicò la tavolata “Gollona”. Si portò il balocco tra i denti, masticandolo interessato.
“No, non devi mettere le cose in bocca, lo sai”. Gli abbassò la mano.
 
Il cucciolo piegò la testa, sfarfallando le ciglia.
A volte aveva la sensazione che capisse tutto quello che gli diceva e anche di più, ma per qualche oscura ragione facesse il finto tonto.
Sospirò. “Almeno cerca di dirla bene, stiamo diventando matti a comprendere il tuo linguaggio cifrato”.
Lui annuì “Gogolona”. Tornò al suo affare giallo, rigirandolo tra le mani.
"Se non mi chiami nii san puoi scordarti di giocare in camera mia per i prossimi cinque anni, come minimo”.
Lui si fece attento e parve nicchiare sulla proposta, poi arricciò il naso e sorridendo tornò al suo lavoro.

Mugugnò depresso.
 

 


Il soggiorno della strega era terminato - grazie a Dio.
Non poteva che esserne sollevato, lo stava indisponendo non poco.
Sasuke in sua presenza ripeteva a macchinetta La Fantomatica Parola. Nessuno aveva capito che intendesse.
 

I suoi genitori la stavano salutando quando lo scricciolo, lasciando il suo fianco, gattonò verso Mikoto, che lo prese in braccio amorevole.
Saori disse “A presto tesorino mio”. E lui rispose candidamente “Ao glassona”.
 
Il gelo che seguì fu inevitabile.


 
Dopo mille scuse gli adulti lasciarono andare la donna, sconvolta quanto loro.
Il marmocchio, non comprendendo la situazione – o fingendo di non capirla – continuò a sventolare la manina in segno di saluto, felice come una Pasqua, finché la figura sparì alla vista.
Il padre borbottando si ritirò nel suo studio e Mikoto seguita a ruota dal primogenito, si diresse in cucina.
 
Stava trattenendo una risata da minuti ormai. Suo fratello era un genio.
Infondo poteva perdonarlo per non avere esaudito il suo desiderio. La faccia frastornata dell’antipatica non aveva prezzo.






Quella sera avevano cenato presto e Mikoto aveva già portato in camera Sasuke.
Prima che si addormentasse, voleva congratularsi con lui – capiva fin troppo bene quando qualcuno gli faceva i complimenti.
Si mise il pigiama in tutta fretta, lavandosi i denti al volo. Corse nella camera di fianco, sgambettando a piedi nudi.

Era già nel box. Stava tirando le orecchie al coniglio di pezza, regalatogli un mese prima da Fugaku medesimo.
Un gesto talmente bizzarro – e paterno – da risultare assurdo.
 
Lo chiamò, avvicinandosi.
Smise di torturare la bestiola e trillando felice si alzò in piedi, attaccandosi alla sbarra orizzontale.

Ci arrivò a fatica, ma riuscì ad accarezzare la testolina del piccolo. I capelli erano ancora molto fini e delicati, per questo faceva sempre molto attenzione – lui sapeva fare il fratello maggiore.
 
Il pargolo rise musicale. Una reazione insolita.
Alzò un sopracciglio”Che c’è di tanto divertente?”. Quel microbo non sapeva neanche da che parte cominciava il rispetto.
Uffo”. Si mise una mano sulla bocca, per interrompere i cinguettii “Ei buffo”.
 
Deglutì a vuoto.
Oh, questa poi. Assottigliò gli occhi, provando a essere minaccioso. “Ti diverte così tanto tenermi sulle spine?”.
Si risedette sul giaciglio, abbracciando il pupazzo “Si”.
 
 


E Itachi, se ne andò a letto. Il diritto di essere depresso era sacrosanto,  ma chissà perchè non lo era.
Sorrideva - come uno scemo. Era stato Sasuke a insegnarglielo.
 
Fu la mattina dopo che guardandosi allo specchio vide lo sbaffo di dentifricio lungo la guancia. Bofonchiò. Un aspetto poco Uchiha, sicuramente.
 

 


Nii san fu la sesta parola di Sasuke.

Essere sorpassato da cuscino, pomodoro e sasso, non fu una bella sensazione - ma sarebbe stato peggio se per chiamarlo avesse utilizzato il suo nome, Itachi.
L’idea era inconcepibile.
 
 
Perché lui era il suo nii san e Sasuke era il suo otouto.
Semplice.
 
 
 
 
 



Angolo Autrice
Tornata a stressarvi con la raccolta dei nostri due beniamini.
Qui Sask’è è proprio un topolino, ma ho esaltato lo stesso il suo carattere pepato – come potevo non farlo? ^^
Come al solito sono scettica sul finale.
Sarei felice –felice (doppiamente felice) di avere un vostro parere


  
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