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Autore: Schwarze Symphonie    05/07/2013    2 recensioni
Halle, 1946.
Un soldato russo, stabilitosi in Germania, si sofferma a riflettere sulla propria drammatica esistenza, e sul legame che per breve tempo instaurò con una ragazza tedesca conosciuta subito dopo la fine del conflitto mondiale.
Il racconto è essenzialmente un tracciato d'impressioni e pensieri non molto consueti che, sempre attraverso sfumature crepuscolari, vogliono esaltare l'anima ed i sentimenti nei loro aspetti più cupi e malinconici.
Le recensioni sono sempre gradite.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nokturna

 

 

 

Nel silenzio letale delle mie notti, nel dolore che provo quando piango pensando al nostro tempo trascorso insieme – al tempo che non possiamo più condividere – rivedo il nostro legame come se fosse qualcosa di tangibile ed a quel che resta di noi – gli sguardi rivolti al passato, le speranze mormorate segretamente, le sofferenze condivise - riesco a dare un nome: rimpianto.

 

 

 

    Halle, 31 ottobre 1946

Da qualche minuto aveva abbandonato il torpore del sonno senza neanche accorgersene.

Nikita fissava l’oscurità di quella stanza fredda, una stanza polverosa e triste che sembrava abitata da un fantasma che s’ostinasse a credersi vivo.

Si risvegliò anche dal dormiveglia ch’era divenuta la sua esistenza. Infatti, tutta la sua vita gl’era tornata alla mente d’improvviso, ed in modo chiaro, non più come una memoria dal significato perduto, staccatasi dalle parole. S’alzò dal letto, andò alla finestra; cos’era stata la sua vita dunque? Il silenzio della notte lo raggiunse e non gli diede risposta. Ora ch’era tornato cosciente gl’apparve, nitida e gelida, l’immagine di se stesso, e non lo stupiva ritrovarsi così com’era, ovvero sconfitto dalla vita, e questa volta per sempre. Non era neanche deluso.

Guardò dunque la strada sottostante; era arrivato lì a Halle come vincitore d’una guerra che non avrebbe voluto combattere, per tanti motivi.

Espose il volto al gelo di mezzanotte. Chissà dov’era Ludwige in questo momento…

L’ultimo tassello si ricongiunse al mosaico della sua presa di coscienza: da quando lei era scomparsa, aveva iniziato a viver separato dalla realtà, esiliato nella propria mente.

Tornando cosciente le aveva detto addio senza neanche accorgersene.

 

Perduto in queste riflessioni, non realizzò il peso di troppi ricordi rimasti sopiti nei fondali di quel passato che sin a poco prima aveva smesso d’appartenergli. Nella sua fanciullezza v’era ciò che l’aveva reso quel che era, l’origine di ventiquattro anni d’esistenza.

Non senza amarezza volse il pensiero alle umide giornate di Čjelyabinsk, la sua città.

Era cresciuto là, in totale solitudine, circondato da una famiglia troppo assoggettata al regime per preoccuparsi realmente di lui. Temeva tutti i suoi famigliari perché ai suoi occhi incarnavano quella società da lui definita malata. Inoltre, aveva sviluppato una forte repulsione per l’ideologia in cui era obbligato a credere.

 Visse sempre nel costante terrore di venir accusato d’esser ostile alle regole che scandivano la vita d’ogni cittadino sovietico e, non trovando nessuno cui aprir il proprio cuore, ripudiò quella vita che non sentiva sua, che gli sembrava solamente un’imposizione, e si rinchiuse in se stesso. Tuttavia mai il suo spirito divenne arido, anzi, divenne estremamente fragile e sensibile, e chi era così, sotto ad una simile dittatura, non poteva che morire ogni giorno.

Mentre il suo cuore andava alla deriva, scomparendo all’orizzonte dell’anima, Nikita si rammaricava comprendendo come la sua vita continuasse a scorrere così indipendente dalle sue aspirazioni e dalle sue speranze, e come lui non potesse far nulla a riguardo. I suoi pensieri erano costantemente affiancati dalla prospettiva che tutto il suo futuro sarebbe stato un fallimento ancor prima d’iniziare, e ciò riuscì ad accettarlo con sofferta rassegnazione.

Quando, al calar della notte, poteva restar solo con le proprie afflizioni, cercava disperatamente di ritrovare la propria individualità temendo che gli fosse stata portata via da un’altra giornata in cui non aveva fatto che spegnersi ed annullarsi, e di questa individualità ne accertava la sopravvivenza ponendosi delle domande: che cosa, di preciso, non riusciva a tollerare riguardo all’ideologia comunista? Su quali concezioni avrebbe basato il proprio codice morale, invece? Fu così che, inconsapevolmente ed a dispetto dell’indottrinamento assillante e subdolo del regime, iniziò a schierarsi dalla parte degl’ideali nazionalisti.

Con lo stesso impeto dettato dall’angoscia cercava d’ipotizzare come avrebbe potuto essere vivere un’esistenza in cui vi fosse anche solo un minimo sentore di speranza. Immaginava che se solo avesse avuto questa fortuna sarebbe stato un ragazzo ambizioso ed innamorato della vita. Avrebbe fatto l’impossibile per realizzarsi attraverso i propri sogni, fino a render ogni sua azione un’impresa che lo rispecchiasse. Contemplava questa ipotetica immagine di sé con la tristezza che si prova nel sognare una felicità meritata ma irraggiungibile, una luce che si spense senza aver mai splenduto. Pensava a quanto fosse meraviglioso combattere per un ideale scelto con convinzione, a quanto fosse splendido amare ed essere amati, donare e ricevere affetto, solidarietà, stima ed abnegazione. Poteva solamente immaginarlo, giacché nulla di tutto ciò gl’era concesso.

Nel tempo della sua fanciullezza era convinto che forse, un giorno, sarebbe stato capace di cambiare il destino del proprio Paese, che amava immensamente. Invece, col trascorrere degl’anni, il suo spirito sognatore venne soppresso dalla costante ed assoluta freddezza che lo circondava in sostituzione dell’amore, ed il suo coraggio annegò nelle gelide acque del senso d’impotenza generato dal crollo d’ogni fiducia nel futuro. Persuaso dall’evidenza dei fatti, comprese dunque d’esser perduto per sempre, proprio come la stessa Russia e tanti altri popoli. Doveva dunque subire le ingiurie d’un mondo così insensato nella sua crudeltà senza neanche pretendere un perché, ed andare avanti con la stessa rassegnata sopportazione che s’impiega nel trascinare un’esistenza rubata e forgiata da altri ancor prima dei suoi albori.

D’improvviso giunse la guerra.

Una generale agitazione si riversò ovunque negl’animi, talvolta generata dall’entusiasmo, talvolta dalla paura, o da un misto d’emozioni alle volte incongruenti. Una volta tanto, anche lo spirito di Nikita, così immune alla realtà, si riscosse, ma senza condividere i sentimenti comunemente diffusi: pensò che ora, inevitabilmente, avrebbe dovuto combattere, uccidere, e forse morire, per ciò che tanto odiava. Per la prima volta, anni di frustrazione e stoico annullamento divamparono in un impeto di ribellione nei confronti del destino. Nonostante questo, sapeva bene di non poter far nulla e quindi sorse in lui un’amara consolazione: forse, se davvero la felicità era per lui inarrivabile, questa guerra si sarebbe rivelata un’occasione fatale per trovare la pace. Un epilogo disonorevole, che però lo avrebbe reso libero.

Prima di partire per il fronte volse un ultimo sguardo al suo passato come per congedarsi da esso; rivide tutte le cose che aveva perduto prima di poterle assaporare, e rivide anche le notti trascorse piangendo e pregando, i suoi sogni perduti, la sua Patria devastata. Non aveva rimpianti per ciò che aveva fatto, ma per ciò che non aveva potuto fare.

Affrontò la guerra senza passione nel cuore, ed al termine d’ogni giorno cercava di convincersi che il domani gl’avrebbe portato l’eterno riposo. Quando il caso lo costringeva ad uccidere non provava orgoglio, solo vergogna. Molte volte si ritrovò ad assistere a svariati orrori e rischiò quasi d’impazzire. Eppure, se solamente gli fosse capitata la fortuna di poter combattere per un ideale da lui amato, avrebbe sopportato tutto con inesauribile ardimento ed eroismo.

Adesso, lui si trovava in quella stanza, in Germania, sopravvissuto. Nel rammentare il periodo bellico si rese conto che, in tutti quegl’anni, lui non era morto, e comunque non poteva essere neanche vivo, nemmeno ora che aveva abbandonato quello stato d’assenza spirituale ed emotiva ed aveva riconquistato il passato con tutti i suoi ricordi. Non era vivo, era semplicemente sopravvissuto alla guerra, all’infanzia, all’adolescenza, alla non-esistenza.

Una lieve brezza di nostalgica affezione avvolse il suo cuore gelido per un istante.

Rimembrava con immutata commozione alcuni soldati conosciuti allora, con cui ebbe modo di confidarsi durante occasionali incontri.

 Anche nella sua solitudine, la sua anima triste non riusciva a dimenticare nessuno di loro.

Si domandò quanti di essi fossero sopravvissuti, e quanti di essi, diversamente da lui, fossero caduti pur non desiderando la morte.

Per un attimo gli sembrò d’essere nuovamente tra loro, tante promesse d’eterna amicizia vennero rinnovate ed ebbe la rincuorante certezza che tutti, da qualche parte nel mondo o in Cielo,  si ricordassero di lui e dei fugaci momenti condivisi. Li avrebbe voluti accanto a sé ora, perché non riusciva più a sopportare il peso d’una vita troppo solitaria ed oltraggiata.

Avrebbe voluto commemorarli scrivendo un poema ove donar un miglior epilogo a tutti loro, ma non avrebbe trovato parole degne nella sua anima ormai più impalpabile della nebbia e prossima all’oblio.

Lasciò vagare lo sguardo tra le stelle, e consegnò ad esse i pensieri che non riusciva ad afferrare.

La notte appariva eterna e ghiacciata, ma Nikita non aveva sonno e non sentiva freddo; il mondo aveva smesso d’appartenergli e lui aveva smesso d’appartener al mondo.

 

Conobbe Ludwige non molto tempo dopo la fine della guerra. Nel momento in cui i loro sguardi s’incontrarono, Nikita comprese che la vita aveva ancora una possibilità da offrirgli.

Nel loro primo incontro ebbero il tempo di scambiarsi poche parole, ma tra loro si sviluppò all’istante quel misterioso legame che unisce gli spiriti affini. Nikita scorse in quella quindicenne un sentore di precoce maturità che sfociava in un disincanto quasi poetico, non freddo. Quando gli disse d’essere rimasta orfana e completamente sola, decise che l’avrebbe aiutata a sopravvivere, o meglio, si sarebbero aiutati vicendevolmente. Ludwige rimase impressionata da quel ragazzo che, per via dei suoi modi spontaneamente aristocratici, era così diverso dagl’altri occupanti. Non avrebbe saputo come definire la silenziosa disperazione radicata nei suoi occhi di smeraldo. Le sembrò che, per qualche funesta maledizione, dovesse pagare il prezzo della propria bellezza con una sofferenza altrettanto sconfinata.

Nikita, grazie al suo ruolo di vincitore, poté dunque proteggerla e garantirle la sopravvivenza. Tale assicurazione contro gli stenti del dopoguerra spettò anche a quasi tutte le altre donne, ma il loro rapporto non era simile a nessuno, essendo basato sulla reciproca comprensione. Non erano legati neanche da una relazione amorosa o dall’infatuazione, ma da una profonda simbiosi di natura trascendentale, che superava l’amicizia ed ogni altro sentimento. Sembrava che tutto il periodo di tempo successivo al loro casuale incontro servisse solamente a renderli sempre più indivisibili. Nikita non avrebbe mai sperato che la sua conoscenza quasi impeccabile del tedesco, lingua appresa da suo padre, che aveva un incarico come traduttore, gli sarebbe tornata così utile, e quando il dovere gli impediva di starle accanto i suoi pensieri erano interamente illuminati dall’attesa del momento in cui si sarebbero rivisti.

Spesso trascorrevano la notte abbracciati stretti, al buio, in assoluto silenzio, ma sapendo comunque che entrambi erano svegli. Talvolta piangevano. Altre volte, invece, si scambiavano solamente qualche affermazione mormorata, perché  tra loro non v’era bisogno di molte parole. Ascoltavano il vento, guardavano le luci provenienti dall’esterno, raramente scherzavano oppure fantasticavano su come sarebbe stato conoscersi da sempre, ma comunque parlavano a bassa voce, poiché i morti possono solamente sussurrare, quand’è notte.

Di giorno invece condividevano i propri ricordi, oppure parlavano di come avevano trascorso i momenti della giornata in cui non erano stati insieme. Una volta Nikita volle raccontarle tutta la propria storia: le parlò di Čjelyabinsk, dell’incomunicabilità in cui era cresciuto, della vita nella Russia sovietica, della non-esistenza, della caducità dei sogni, e delle brevi amicizie strette al fronte. Ludwige non dimostrò solamente di saperlo comprendere alla perfezione, ma anche di condividere con lui tutte le sue opinioni sull’esistenza, sulla guerra, e sui rapporti umani.

Così, venne fuori che anche Ludwige sentiva d’aver perduto tutto, e la causa della sua sofferenza non era dovuta soltanto al fatto che la guerra le avesse portato via le persone a lei care.

A differenza di Nikita, lei era cresciuta lontana dalle sofferenze e dalla freddezza che le aveva descritto, e ricordava il passato con nostalgia. Infatti l’inferno in cui si trovava ora era scaturito dalla fine di quel periodo idilliaco.

Tutte le speranze, tutte le gioie che avevano caratterizzato la sua vita fino a pochi anni prima, le apparivano ora come un mondo irreale, un’illusione esistita esclusivamente per lei, una visione effimera che, dopo il suo inevitabile, drammatico epilogo, l’aveva lasciata ad affrontare la realtà. Gran parte delle sue certezze erano crollate, il coraggio di vivere l’aveva abbandonata d’improvviso. Se quella era la realtà, dunque, lei non era adatta per vivere. Un’amara convinzione che anche Nikita conosceva perfettamente. Erano entrambi condannati.

Un’altra cosa che Ludwige non riusciva ad accettare era l’opprimente senso di sfiducia cosmica che l’affliggeva. Le sembrava che il corso inesorabile degl’eventi a lei ostili le avesse imposto una personalità che non era la sua eppure le apparteneva, e perciò iniziò a credere che chi vive senza sapersi riconoscere in ciò che è non ha futuro alcuno. Relegata dentro se stessa aveva cercato d’imparare ad andare avanti privata della cognizione del proprio essere, senza tuttavia ottenere nulla.

Neanche il proprio passato le restava più; la personalità forte e decisa che l’aveva sempre caratterizzata in precedenza si era opacizzata giorno dopo giorno, ed ora Ludwige non sapeva neanche più se ciò che era un tempo la rispecchiasse veramente o se, nel presente, la debolezza manifestatasi di fronte al mondo reale fosse la sua unica verità.

Confessò a Nikita che, vivendo in questa stasi emotiva, aveva compreso che, in un modo o nell’altro, finché ci si attiene a ciò che si è nel profondo, è impossibile sbagliarsi. Era consapevole del fatto che vi siano dei principi assoluti che non vanno violati, ma comunque affermava che ognuno è tale e basta, e che quindi, nel caso si desiderasse distaccarsi dal proprio codice individuale, a prescindere dalla motivazione e dallo scopo di tale decisione, si commette un errore insensato e ridicolo, poiché in fin dei conti non si può cambiare la propria entità interiore.

Nikita ascoltava con ammirazione le sue congetture, e spesso riusciva a ritrovare, all’ombra dei suoi sorrisi tristi, d’ogni sua parola, ed addirittura all’ombra delle sue lacrime, quel temperamento impetuoso che un tempo le era appartenuto, e ciò lo commuoveva. Soleva dirle che lei non era un’entità scomposta e confusa da un mondo tanto spietato quanto superficiale, ma bensì era una personalità concreta e solida, e la realtà era composta solamente da loro due e da tutta la gioia e la gloria che la vita aveva loro sottratto. In questa simbiosi riuscivano a vagare per le strade del proprio dolore rinunciando a cercare una via d’uscita senza che questa consapevolezza riuscisse a ferirli ulteriormente. Non erano riusciti a salvarsi, eppure erano felici.

In questa notte di memorie, solo, nella sua stanza, mentre contemplava il cielo di Halle, Nikita si ricordò di un dialogo avuto con Ludwige. Ne ricordava ogni parola, e ne percepiva ancora l’energia irresistibile che racchiudeva il suo significato.               

Ripensandoci non riusciva a credere d’esser stato capace di levarsi così in alto parlando d’un concetto così inafferrabile per un’anima perduta come lui.

 

Tutto quel che furono svanì con la fine dell’estate.

Il tempo, con tutti i suoi significati, agonizzava sepolto dalle rovine infuocate dal caldo degl’ultimi giorni d’agosto, che avvolgeva ogni strada in una luce remota che non raggiungeva i cuori delle persone, poiché anch’essa era stanca e sfiduciata. Una placidità malsana ed artificiosa sopiva per sempre ogni speranza senza promettere una vera pace, e tutto quel che esisteva scorreva vano e melanconico, immotivato e piangente. Questo era lo scenario d’un mondo decadente, un mondo dove non v’era speranza ma rassegnazione, non v’era parvenza alcuna di felicità, solo una vaga traccia che sapeva d’un lontano passato. Nonostante il silenzio onnipresente, la fine della guerra non aveva portato la pace, aveva semplicemente concluso un capitolo. La città era uno sconfinato santuario desueto e fatiscente, dove gl’ultimi resti di vita si palesavano in un vento di morte che non asciugava le lacrime, non portava via le nubi.

Nonostante tutto il paesaggio riusciva ancora ad acquisire una forte bellezza quando Ludwige e Nikita passeggiavano tra le rovine. Le loro anime irraggiavano quella particolare luce ultraterrena propria del confine tra vita e morte, quel bagliore finale che ricorda la tremula e fugace luce d’una candela che potrebbe spegnersi da un momento all’altro, alla fine d’una solenne cerimonia funebre. La luce che può esser trovata  esclusivamente nelle anime di cristallo che, tanto fragili quanto incantevoli, racchiudono in sé tutto l’universo. Quello che ancora era uno scenario di guerra, visto attraverso questo cristallo purissimo, appariva scomposto in mille frammenti, e quindi immenso, paradisiaco, una caleidoscopica dimensione colma di magnificenza. Benché la loro giovinezza fosse in piena fioritura i loro cuori erano già appassiti, ed era proprio questo che sanciva un contrasto struggente di meraviglia dolorosa, una drammatica esaltazione di splendore che coronava l’universo crepuscolare composto esclusivamente da loro due.

… Ma in quel pomeriggio assolato, nella polvere trasportata dall’aria, sembrava nascondersi un presagio di tragedia, silenzioso, come in agguato tra le macerie, tra i raggi di sole del vespro estivo, divenuto improvvisamente torvo seppur immutabile; presto si sarebbe compiuto il fato inesorabile e gelido che li avrebbe divisi, spezzando ogni equilibrio, ogni armonia della dimensione spirituale nella quale si erano rifugiati, tanto assorti nel loro legame inviolabile.

Camminavano senza proferire parola, ma ad un tratto Ludwige si fermo a contemplare il paesaggio intorno a loro, e poi spostò lo sguardo su Nikita e, in un mormorio appena udibile, gli disse che nessuno era ritornato vivo dalla guerra e che ogni nazione era stata distrutta. Al ragazzo parve che quella fatale sentenza fosse caduta dal cielo. Pietrificato dalla tacita disperazione furiosa che vedeva negl’occhi della fanciulla, non poté rispondere.

Giunse in fine l’ineluttabile notte.

Ludwige stava alla finestra, intenta a leggere un libro. L’odore della sera risaliva dalla strada, ed entrando si riversava nell’oscurità della stanza, in un mondo a parte. La gente passava, stanca, e qualche luce si rifletteva sulla strada bagnata da un temporale estivo, splendendo come in un sogno. La fine giunse d’improvviso, senza annunciarsi, strisciando silenziosamente fuori dal buio, preludio di una notte eterna, ma già il cuore di Nikita tremava, avendo inconsciamente presagito il suo arrivo.

Ludwige chiuse di scatto il libro e disse che mai lui avrebbe dovuto dimenticare quel che erano stati insieme. Nikita andò accanto a lei, ricambiò il suo sguardo vuoto, ma la sua anima non era più lì. Si sentiva morire. Lei gli sorrideva, ma il suo sorriso doveva celare una disperata battaglia contro una tempesta di lacrime. Lo guardava fisso negl’occhi, con uno sguardo quasi assente, velato di mortale rassegnazione. Gli disse che lei doveva andarsene molto lontano, ma la spiegazione che seguì questa frase, inspiegabilmente, non s’impresse nella memoria del ragazzo. Quel dialogo gli parve irreale, e mentre lei gli parlava, gli sembrava che lei se ne fosse già andata da molto tempo, e che si stessero dicendo addio in sogno, ed allo stesso tempo gli sembrava di perderla a poco a poco, come se ella stesse svanendo lentamente. Come se volesse donargli un’ultima memoria di sé, Ludwige gli disse di cercare la bellezza ovunque, anche nell’agonia dell’anima, poiché talvolta soffrire significa che non ci si è inchinati di fronte all’ingiustizia, e quindi doveva accettare quell’agonia che in certe situazioni è riservata alle anime nobili. Con la voce soffocata dal pianto ormai irrefrenabile, continuò esortandolo a non permettere mai a nulla di prosciugare le infinite sorgenti del suo spirito. In ultimo si congedò dicendogli che un giorno sarebbe risorto dalle ceneri dei sogni del passato, ed avrebbe compiuto un qualcosa di meraviglioso. Dunque se ne andò, perdendosi per le strade della propria esistenza sconfitta.

"Muori, se vuoi essere con ciò che stai cercando. Và dove è andato ciò che ha abbandonato la terra". (Adone - Percy Bysshe Shelley)

 

Appena ebbe riunito tutte le sue memorie, Nikita le fermò nella propria mente, guardandole come un nobile decaduto potrebbe fare con dei gioielli vetusti simboleggianti lo sfarzo d’una passata epoca di gloria. Il passato si era infranto alle sue spalle, quella notte, negandogli ogni riparo da un futuro inesistente.

Si disse che Ludwige se ne era andata per sempre, una delle tante cose che la corrente della vita aveva spazzato via. Dovunque fosse, avrebbe voluto raggiungerla immediatamente per chiederle il motivo della loro separazione, ed avrebbe voluto chiederle come avrebbero potuto fare per ricominciare tutto daccapo, e per cancellare tutto quel che aveva segnato la loro rovina…

Pensò poi che forse era riuscita a salvarsi. Magari adesso era felice ed un giorno sarebbe tornata da lui per condurlo via da tutto, per mostrargli questa inopinata felicità.

Ed allora perché non erano fuggiti insieme? E perché gli aveva fatto tutte quelle raccomandazioni?

Giunse così alla conclusione che nessuno dei due avrebbe avuto bisogno d’un avvenire, non dopo essersi rassegnati con tanta convinzione. 

Ricordava che, spesso, dopo aver passato qualche minuto senza dirsi nulla, si scambiavano dei sorrisi tristi ma che in un certo senso racchiudevano un sentore di serenità accompagnata dalla promessa che un giorno, in una vita ultraterrena, sarebbero stati finalmente felici. Là si sarebbero rivisti, ormai immemori di ogni delusione, d’ogni sogno irrealizzato. Sarebbe stato bello offrire tutto alla luce divina.

Pianse per la prima volta dopo tanto tempo. Tuttavia non erano lacrime di gioia quelle che ora gli rigavano le guance.  

Oltre la finestra, non un segno di vita, non un suono. Il paesaggio immobile sotto ai raggi di luna gli suggerì l’immagine d’una vita che, inerme, attendesse una catastrofe, e pensò che questo era ciò che restasse di lui. Per un istante ebbe paura, ma oramai ogni sensazione gli giungeva come un’eco lontana. Provava solamente una grande pena per i propri ventiquattro anni, e per i quindici di lei.

Nikita tornò a letto, pur presumendo che non avrebbe preso sonno. Le lacrime scorrevano incontrollabili, come sangue da una ferita del suo spirito non più vivo, una ferita che per quanto dolorosa non lo riguardava.

… E nonostante tutto, quel che erano stati splendeva nell’oscurità, da qualche parte, tra cielo e terra, al di là di ciò che non poteva più accadere e di ciò che non era accaduto.

        

 

 

 

 

                       

       

 

 

          

 

       

     

       In solenne memoria di…

 

  
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