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Autore: Hayley Black    08/07/2013    0 recensioni
“Ho aspettato troppo. Ho aspettato una telefonata, un messaggio, anche su uno di quegli stupidi social network che ti piacciono tanto. Ho aspettato una risposta che non è mai arrivata.” Non si accorge, e non si accorgerà mai, che sta piangendo. Ma non ha volto e sta ticchettando via anche lei, gli sta sfuggendo dalle dita come il tempo, come la pioggia che continua a scendere sui tetti e su di loro e sulle strade che giorni, mesi, forse anni prima avevano percorso insieme.
“Io ho aspettato te.”

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Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E hanno altre strade da percorrere

 Alle nostre strade ancora da percorrere.

 

Pioggia.
Pioggia sulle case, pioggia sulle strade, pioggia sulle panchine accarezzate dal vento, pioggia sulle luci dei lampioni che sbiadiscono nella nebbia, pioggia sulle foglie secche incastrate nel tergicristalli di una macchina, pioggia sui giornali che volano via come rondini in inverno. Li vede scomparire nel cielo buio come il sogno marcito in un cassetto troppo stretto. 
La città è vuota – forse è marcita anche lei in un cassetto troppo stretto che sa di incubi e parole e mare e granita alla menta come quella che mangiavano passeggiando sulla banchina. Ci sono soltanto loro, fermi sul ciglio di una strada di cui non ricordano il nome e illuminati a malapena da un lampione che si accende a intermittenza. E c’è qualcosa nell’aria, qualcosa che sembra un groviglio di pensieri che si attorcigliano e si annodano come pellicola fotografica bruciata dalla luce del sole. Si ferma all’altezza del petto e pesa come un macigno.
Da qualche parte, un orologio batte la mezzanotte. E la pioggia continua a scendere.
“E’ troppo tardi,” dice lei. Non ha volto, nel freddo di febbraio, ma i suoi occhi sono una tempesta: gli sembra quasi di vedere le onde che si infrangono sugli scogli e si ritirano e ci riprovano ancora, senza fermarsi mai. 
“Per cosa?” chiede lui; non si aspetta una risposta. Il vento gli scompiglia i capelli bagnati, fa danzare le lacrime sulle sue guance – gli scivolano sul mento e cadono sull’asfalto e non riesce a capire se sono gocce di pioggia. Le avrebbe assaggiate. Avrebbe fatto un sacco di cose, se solo avesse potuto.
“Per noi.”
Forse sarebbe stato meglio non avere mai quella risposta. Sarebbe stato meglio lasciare in sospeso quella domanda, quelle due parole così facili da pronunciare ma così pesanti, pesanti come il groviglio di pensieri 
(ma forse sono parole)
che gli schiacciano il petto e gli tolgono il respiro. 
“Abbiamo corso troppo senza esserci mai cercati,” gli dice ancora. Quasi non riesce a sentire il suono della sua voce, soffocato dall’urlo della tempesta che infuria attorno a loro. 
“Per te abbiamo sprecato tempo?”
Un’altra domanda che sarebbe meglio lasciare senza risposta. Lui non crede che abbianosprecato tempo. Hanno sprecato lacrime, cuscini, silenzi, lettere scritte su fazzoletti di carta rubati in qualche bar, porte sbattute in faccia, baci, risate, abbracci. Il tempo è sempre rimasto lì, incastrato tra loro due come la tessera mancante di un puzzle, e ticchetta via, ticchetta via come l’orologio che da qualche parte segna le ore ed è tutto troppo veloce, troppo sbiadito, troppo confuso per essere afferrato con mani che tremano e non a causa del freddo. A causa di qualcos’altro che fa più paura. 
“Forse abbiamo solo sprecato noi stessi,” le risponde. “Abbiamo da correre ancora per un po’. Magari alla fine della corsa troveremo qualcosa.”
“Ho aspettato troppo. Ho aspettato una telefonata, un messaggio, anche su uno di quegli stupidi social network che ti piacciono tanto. Ho aspettato una risposta che non è mai arrivata.” Non si accorge, e non si accorgerà mai, che sta piangendo. Ma non ha volto e sta ticchettando via anche lei, gli sta sfuggendo dalle dita come il tempo, come la pioggia che continua a scendere sui tetti e su di loro e sulle strade che giorni, mesi, forse anni prima avevano percorso insieme. 
“Io ho aspettato te.”
A quelle parole, un sorriso le compare sul volto mascherato dal buio; il lampione si riaccende, illumina i capelli che le pendono ai lati del viso come nastri scuri. La distanza che li divideva si è accorciata, quasi scomparsa. 
“E’ una bella serata questa, non trovi?” la sua domanda resterà senza risposta. “Piove a dirotto.”
Sente una mano fredda intrecciarsi alla sua, come tante volte era successo in passato. 
Il groviglio di pensieri si allenta un po’, mentre qualcos’altro si annoda nella sua testa immersa nel caos. Saranno i ricordi che si riallacciano e si strizzano dall’acqua e soffiano via la polvere dagli scatoloni pieni di fotografie bruciate dal sole e sanno d’estate e granite alla menta e sente una risata che echeggia nell’aria immobile. 
La guarda. Le onde nei suoi occhi spumeggiano, si calmano. 
“Ti va di correre con me?”
La stretta alla sua mano diventa più forte. Anche quella è una domanda che rimarrà senza risposta. Si incamminano nella notte, mentre la pioggia continua a scendere – hanno capito di essere fuori luogo, lì. Hanno altre strade da percorrere.
E non tornarono più indietro.
 
 
 
NDA
Come ho scritto nel messaggio inviato alla giudicia assieme alla storia, non starò troppo tempo a sproloquiare sul significato nascosto che potrebbe avere questa storia, dato che non lo conosco anche io. L'ho praticamente scritta di getto, e come tutte le cose che scrivo di getto non ha bisogno di spiegazioni - non ne ha. Ho soltanto utilizzato i temi che mi piacciono di più - il tempo, che si ispira a Time dei Pink Floyd, ovvero la canzone del pacchetto che ho scelto, i viaggi che si interrompono e ripartono, e il nonsense che ormai è diventato parte integrante della mia vita. We all live in a nonsense submarine!
Beh, nient'altro da dire, aspetto con ansia i risultati e spero davvero tanto che vi sia piaciuta!
Hayley
   
 
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