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Autore: Pwhore    08/07/2013    3 recensioni
Un viaggio nel mondo di Andy dopo il rilascio di Set The World On Fire.
'Nei suoi sogni Andy non era così. Era il ragazzo timido e audace che era prima, quand'era ancora un impiegato e aveva appena trovato il coraggio d'incidere un disco coi suoi amici, ed era felice. Niente album mal fatti sbranati dalla critica, niente afterhours disumani con impegni all'alba del giorno dopo, niente ragazzine urlanti che lo pregavano di portar via la loro verginità, niente tour stremanti che duravano mesi e appena finiti lasciavano una sensazione di nulla in corpo; niente di niente. Solo lavoro, amici, musica e ogni tanto qualche birra, senza sbronze, straordinari e situazioni a dir poco imbarazzanti: una vita normale, qualunque, che però lo soddisfaceva e lo faceva sentire amato; sensazione che adesso faticava a trovare. Quando ti amano tutti, come fai a sapere chi ti ama davvero? L'Andy del sogno correva lungo un prato coi suoi amici e rideva, rideva come non mai, senza notare nuvole all'orizzonte e senza che ci fossero preoccupazioni a gravargli sul cuore; [...] l'Andy della realtà sobbalzò e aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi catapultato nella chiassosa e complicata Los Angeles.'
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andy Biersack, Ashley Purdy, Cristian Coma, Jinxx, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Andy prima di Wretched&Divine Andy alzò gli occhi verso il soffitto. Si trovava in un'enorme camera d'albergo di Los Angeles, devastata da cima a fondo da una festa cominciata la sera precedente e finita a un'ora indefinita tra le due e le cinque del mattino, dopo che il cantante aveva perso la lucidità ed era collassato sul tappeto leopardato nel bagno; e qualche ora dopo avrebbe dovuto presentarsi a una signin’ session con alcuni dei suoi fan internazionali più vivaci. Si alzò a fatica, reggendosi con una mano al bordo della vasca e massaggiandosi l'altra sulla tempia martellante. Quanto aveva bevuto la sera prima? Aveva perso il conto dei drink dopo poco tempo, sebbene avesse provato a trattenersi e mantenersi non proprio sobrio ma neanche completamente perso, per non sembrare un totale disastro il giorno dopo. Non ci era riuscito poi così bene, constatò guardandosi allo specchio e storcendo la bocca di lato alla vista del suo viso pallido oltre ogni dire, messo in risalto dalle occhiaie e da un rivolo di matita colata sulla guancia destra. Si strofinò il pugno sull'occhio e si lavò velocemente la faccia con dell'acqua fredda, poi barcollò fuori dalla stanza senza asciugarsi e strizzò gli occhi davanti al salotto, dove nessuno dei suoi amici si trovava e una dozzina di persone dormiva in giacigli rimediati all'ultimo secondo – chi per terra, chi sul divano, chi sul tappeto; c'era perfino un ragazzo crollato sotto il tavolo –; scavalcò tre ragazze e si appoggiò di peso al bancone, sopraffatto da un attacco di nausea.
L'aveva fatto ancora, aveva partecipato di nuovo a una festa di gente semi-sconosciuta il giorno prima di un appuntamento importante, proprio quando la sua presenza era richiesta maggiormente, sia dai fan che dal resto della band. D'altra parte lo sapeva, che alcuni dei loro cosiddetti fan li seguivano solo perché il suo bel faccino finiva spesso sui giornali e che se ne strafregavano della musica, però c'erano anche quei fan che con le loro note c'erano cresciuti e che li consideravano come una seconda famiglia, come lui a suo tempo aveva fatto con Mötley Crüe e Alkaline Trio, ed era per loro che continuava a provare a mantenersi pulito e dignitoso, anche se poi finiva inevitabilmente con l'imbucarsi o il venir invitato a party e afterhours che di dignitoso avevano ben poco, e si sentiva in colpa come un cane a sapere che non riusciva proprio ad evitarlo. Non avrebbe chiesto aiuto alla band per una cosa del genere – sapeva ancora gestire la sua vita in maniera pressoché decente e non aveva contratto alcuna dipendenza di alcun tipo, se non forse quest'abitudine autodistruttiva di divertirsi fino a crollare – ma sapeva che loro non erano completamente d'accordo con quel che faceva, che avrebbero preferito che si prendesse un po' più cura di sé stesso e che magari si prendesse qualche giorno di vera pausa, a casa dei suoi genitori o comunque lontano se non dal successo dalle tentazioni, ma semplicemente non ci riusciva. Il loro ultimo disco andava abbastanza bene, i fan lo apprezzavano e si erano complimentati molto per la copertina e alcuni testi, alcuni avevano perfino tatuato sul loro corpo i loro nomi e la data di uscita dell'album; ma non era soddisfatto, sentiva un gusto metallico in bocca che gli sembrava di scacciare solo con il sapore dell'alcol e talvolta della droga. Ma no, non lo scacciava, ne era consapevole; si limitava a coprirlo, nasconderlo alle sue papille gustative distraendole con qualcosa di più concreto e inebriante e stordendole con un fumo amico, che le accarezzava e stuzzicava finché non si concentravano interamente su di lui, dimenticandosi il gusto amaro dell'insoddisfazione. La verità è che quell'album lo lasciava indifferente, come se non fosse neanche suo: non era quello che voleva creare, non era quello che si aspettava, semplicemente non era. Si limitava a esistere, a segnare un altro passo sul percorso della band, ma concretamente non significava nulla: le melodie potevano essere carine, sì, ma ascoltando tutto il disco di seguito le basi sembravano tutte uguali; e per quanto potesse essersi impegnato nel comporre i testi alla fine quelli erano sempre meno profondi e ben esposti di quelli che aveva in mente quando aveva preso in mano la matita e si era messo a buttarne giù la linea generale, un paio di mesi prima. Certo, era stato un periodo frenetico e l'album aveva praticamente preso vita da solo, ma un altro mese per rifinirlo avrebbero potuto prenderselo, in fondo i fan non si sarebbero arrabbiati per un ulteriore miglioramento; e poi avrebbero dovuto sottoporlo ad altre persone, oltre che a loro stessi e al loro manager, che per quanto potesse intendersene dopo tutto quel tempo passato a lavorarci su non avrebbe potuto dire in nessun modo che non lo convinceva, avrebbe avuto troppa paura di ferirli. Gli era grato per quella dimostrazione di tatto e affetto, ma ora che il disco era uscito e il vorticante periodo di stesura era passato, riusciva a rendersi conto da solo delle imperfezioni e dei difetti che il suo – il loro – «bambino» aveva e che avrebbero potuto tranquillamente essere evitate se solo avesse avuto la pazienza di aspettare un altro paio di settimane prima di fare quel regalo ai fan; e spesso si malediceva per non essersi portato il disco dietro quand'era andato a casa dei genitori, per riposarsi dopo quelle settimane d'inferno e tornare un po' coi piedi per terra, perché sarebbero bastati un po' di giorni lontano dal lavoro per ascoltarlo in maniera completamente diversa e rendersi conto delle sue contraddizioni. I fan non si erano lamentati nel modo più assoluto, avevano accolto l'album nelle loro case come una madre accoglie il proprio bambino dopo migliaia di tentativi falliti di fecondazione in vitro, e si erano anzi complimentati con loro come mai prima, perché si erano buttati in un'impresa mai affrontata in precedenza ed avevano creato pezzi in cui ci si ritrovava facilmente e sempre molto orecchiabili, checché ne dicesse Andy, e perché erano comunque cresciuti, a dispetto di quanto ne pensasse il frontman. Perché bisogna dirlo, agli altri l'album piaceva, e anche se non l'avrebbero definito il loro preferito ne andavano comunque parecchio fieri; erano consapevoli dell'astio che il cantante provava nei suoi confronti ma non riuscivano a dargli ragione fino in fondo: okay, magari non era il disco perfetto, ma c'era davvero pochissima gente al mondo che potesse vantarsi di aver prodotto qualcosa di perfetto, quindi perché prendersela così? Loro si accontentavano di esser migliorati come persone e come musicisti, di aver creato qualcosa di buono dal nulla, di aver trasformato la loro negatività in qualcosa di positivo, di aver soddisfatto i fan e le loro famiglie, e semplicemente amavano andare in tour e vedere la felicità sui volti degli altri, che le canzoni fossero perfette o meno; quindi per loro era molto più facile accettare le critiche e buttarle velocemente nel dimenticatoio, come se non fossero mai esistite. Per Andy invece era diverso: era lui il promoter, il creatore, la mente dietro la quale tutto aveva cominciato a prender vita; era lui che aveva scritto i testi e le melodie principali, era lui che aveva pensato al booklet, era lui che aveva tirato fuori l'idea generale e che si era applicato con costanza affinché tutti facessero la loro parte; era lui che aveva messo sé stesso dentro l'album più di tutti, fino a diventare parte portante dell'album stesso. Aveva messo l'anima nel progetto fin dal primo giorno e vederlo così smembrato dai critici lo lacerava dentro, soprattutto perché sapeva che alcune delle loro frecciatine erano fondate su argomenti validi e che non avrebbe potuto smontarle in un quattro e quattr'otto come invece facevano gli altri: era consapevole di aver sbagliato in più di un punto e gli rodeva, gli rodeva da morire; ma gli rodeva ancora di più che gli altri non se ne rendessero conto. Possibile che non si prendessero una quarantina di minuti per ascoltare in tutta calma l'album, mettendo da parte orgoglio e sentimenti e concentrandosi davvero sugli arrangiamenti, sui testi e sul risultato d'insieme? Per Andy era qualcosa d'impensabile, era semplicemente assurdo credere che non lo facessero, ma allora perché sembravano comunque così soddisfatti, così felici dei loro errori, dopo aver visto quanti ne avevano fatti? Ad Andy non piaceva come si erano messe le cose ed era difficile non notarlo, e si chiedeva perché fosse l'unico caduto in quel turbine di delusione, amarezza e insoddisfazione. Attribuiva la cosa allo scarso interesse dei suoi compagni di band per i passi falsi appena fatti, ma sapeva che non era così: a loro importava eccome, solo che sapevano metabolizzare le cose negative e buttarle fuori sotto forma di sorrisi, quindi non prendevano neanche in considerazione di comportarsi come lui e prenderla sul personale al punto di cadere anche loro nel suo turbine autodistruttivo. Andy li stimava per quello, ma sapendolo non si sentiva meglio in alcun modo, anzi.
Rimase accasciato sul bancone un altro po', finché l'attacco non passò e la stanza smise di girare, e si appoggiò con la schiena al muro, recuperando un po' di forze prima di lanciarsi giù dalla porta e prendere un taxi. Mosse qualche passo incerto e ondeggiò, così tornò al suo posto. ''Devo mangiare qualcosa" pensò, e aggrappandosi al bancone scivolò fino in cucina. Aprì la credenza, si guardò alle spalle per controllare che tutti dormissero e ne tirò fuori un paio di zollette di zucchero, che si fece scivolare nella tasca; cercò qualcosa che potesse aiutarlo a svegliarsi e lo sguardo gli cadde casualmente sull'orologio: mezzogiorno e un quarto, non aveva tempo per farsi un caffè. Mugugnò, afferrò una manciata di biscotti e uscì dall'appartamento, chiudendosi la porta alle spalle il più delicatamente possibile; entrò in ascensore e barcollò nella hall, senza salutare gli uscieri e togliendosi le briciole di biscotto dalle labbra. Appena si ritrovò in strada una sinfonia di rumori assordanti lo accolse, costringendolo a stringersi le mani sulle orecchie e gemere per il dolore, ma in un modo o nell'altro riuscì a chiamare un taxi. Al sicuro dal caos del mondo esterno, Andy diede l'indirizzo al tassista e si accoccolò contro il finestrino, socchiudendo gli occhi per poter dormire qualche secondo di più. Il tassista 
– si chiamava Kent, a quanto diceva la licenza appesa in bella vista avrebbe voluto fare un po' di conversazione con quel suo ospite fuori dal comune, ma quando mise il gomito sul sedile e fece per voltarsi si rese conto che sarebbe stato un viaggio a dir poco silenzioso. Ingranò la marcia e accese la radio.
Nei suoi sogni Andy non era così. Era il ragazzo timido e audace che era prima, quand'era ancora un impiegato e aveva appena trovato il coraggio d'incidere un disco coi suoi amici, ed era felice. Niente album mal fatti sbranati dalla critica, niente afterhours disumani con impegni all'alba del giorno dopo, niente ragazzine urlanti che lo pregavano di portar via la loro verginità, niente tour stremanti che duravano mesi e appena finiti lasciavano una sensazione di nulla in corpo; niente di niente. Solo lavoro, amici, musica e ogni tanto qualche birra, senza sbronze, straordinari e situazioni a dir poco imbarazzanti: una vita normale, qualunque, che però lo soddisfaceva e lo faceva sentire amato; sensazione che adesso faticava a trovare. Quando ti amano tutti, come fai a sapere chi ti ama davvero? L'Andy del sogno correva lungo un prato coi suoi amici e rideva, rideva come non mai, senza notare nuvole all'orizzonte e senza che ci fossero preoccupazioni a gravargli sul cuore; correva spensierato, felice, come se non avesse altro motivo d'esistere se non quello, e ogni volta che si fermava a riprender fiato si sentiva la persona più fortunata del mondo.
L'Andy della realtà sobbalzò e aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi catapultato nella chiassosa e complicata Los Angeles, dove un motociclista aveva appena tagliato la strada al suo taxi, che era stato costretto a frenare all'improvviso e prendersi un bello spavento. Il tassista gridò qualcosa contro il ragazzotto riguardo la sua imprudenza e la sua stupidità; ma quello era ormai scomparso, come la possibilità per Andy di dormire un altro po'. Sospirò fra sé e sé e fece scorrere lo sguardo sul finestrino, ricevendo in cambio in parte la città e in parte la sua immagine riflessa. Storse la bocca e si fece passare una mano tra i capelli, la rasatura che gli pungeva le dita. Li aveva tagliati tempo prima, visto che si era rotto di venir preferito agli altri perché 
«ommioddio quanto sei cucciolo, ti prego fatti abbracciare, ispiri troooppo amore!»; e per un certo senso aveva funzionato, visto che molte ragazzine, schifate dal suo nuovo taglio e dal sound della band che si erano finalmente ritrovate a fronteggiare se n'erano andate e li avevano lasciati in pace; ma quando quelle erano scomparse si erano materializzate quelle fan di Skrillex, che pensavano ci fosse un rapporto tra il loro amato idolo e il cantante tutto vestiti stracciati e trucco appariscente. Una volta capito che no, non c'erano legami di alcuni tipo tra loro, e che i due generi che facevano erano completamente diversi, se li erano lasciati alle spalle sbuffando, deluse, che erano solo dei copioni e non avevano neanche abbastanza fantasia per crearsi un taglio di capelli tutto loro, invece di copiare quello di gente famosa e con talento. Ad Andy i commenti erano rimbalzati completamente; a lui i capelli piacevano e chissenefrega se li aveva così anche qualcun altro, in fondo al mondo c'erano centinaia di migliaia di persone con le stesse scarpe, figurati quante ce ne sarebbero state con lo stesso taglio, se solo le avessero contate. Girò lo sguardo verso l'autista e notò sollevato che era riuscito a calmarsi e riassumere la stessa aria paciosa di prima, come se niente fosse successo, ma all'improvviso si sentì in colpa: perché il tassista riusciva a mettere da parte le cose fastidiose della sua vita e lui no? Si morse il labbro. Era davvero così stupido, lui, per non rendersi conto di quanto fosse facile mettere ordine tra i propri sentimenti e riuscire a trarre il meglio da ogni giornata? Stava passando un periodaccio, è vero, ma c'era sempre riuscito anche lui, perché ora non era capace di mettere tre pensieri positivi riguardo al suo «lavoro» uno dietro l'altro? Era il suo sogno, aveva scelto lui di proseguire per quella strada, quindi perché ora si sentiva così sbagliato, così fuori posto, così... non-abbastanza? Fu tentato di abbassare il finestrino e sputare, invece mangiò un altro biscotto e calmò i crampi che gli avevano attanagliato lo stomaco da almeno un'ora, riempiendo il silenzio che aleggiava nella vettura. Si sentiva stupido, in fondo che stava facendo per cambiare le cose che non andavano nella sua vita? Posò il biscotto, agguantò il telefono e chiamò i ragazzi.


Mezz'ora dopo era seduto al banchetto con i suoi amici, un sorriso esagerato stampato sul volto e il trucco appena sistemato da una professionista, e firmava autografi ai ragazzi che trovavano il coraggio di sorpassare la glacialità dei suoi occhi per venire a parlargli. Lui si comportava gentilmente, li trattava con tatto e affetto, come se fossero amici di vecchia data, e scherzava ogni volta che gliene si presentava l'occasione; ma qualcuno si accorgeva che non stava bene e gli dava qualcosa di suo come per dire 
«ecco, tieni, ci sono io qui per te», e il frontman si sentiva in debito, perché avrebbe dovuto essere lui quello forte, lo scoglio contro cui abbattere le proprie paure, l'antidoto a tutti i loro guai. Sorrideva e li ringraziava, ma dentro si sentiva male, perché non era nemmeno capace di far stare meglio chi dipendeva da loro e dalla loro musica, e la cosa lo faceva sentire piccolo come non mai, come se in tutti quegli anni non avesse imparato niente di niente, come se avesse buttato al vento gli insegnamenti che lui stesso aveva dato loro. Deglutì. Non riusciva a sopportare che tutti quei ragazzi gli dicessero che gli aveva salvato la vita, che se non ci fosse stato lui ora sarebbero morti, che se lui non avesse intrapreso questa carriera la cronaca nera avrebbe avuto qualcosa in più di cui parlare; perché non si riteneva all'altezza del suo compito, non in quel periodo, non in quelle condizioni, non lui. Amava i suoi fan e amava la musica, come amava i suoi migliori amici e i loro caratteri contrastanti, ma c'era qualcosa che non funzionava più; un meccanismo dentro di lui si era inceppato e non riusciva in nessun modo a riaggiustarlo, per quanto ci provasse, e scontrarsi con la realtà non lo aiutava affatto, anzi. Sprofondava ancora di più dentro il suo guscio, si convinceva ancora di più che indossare una maschera ed essere quello di cui la gente aveva più bisogno fosse la cosa più giusta da fare, e quando si rendeva conto che la cosa lo distruggeva dentro non poteva che sentirsi inadatto a tutto, anche ad aiutare gli altri. Non era sicuro che i suoi amici se ne fossero accorti – sicuramente avevano capito che qualcosa non andava in lui, ma probabilmente non avevano immaginato che si stesse avvicinando così tanto al limite e che stesse passando un periodo così di merda, altrimenti sarebbero già accorsi in suo aiuto e avrebbero mandato a farsi fottere il suo diritto di aiutarsi da solo –, ma non aveva alcuna intenzione di prenderli per le spalle e dirgli che aveva paura, cazzo, ne aveva da morire, e che senza il loro appoggio non... Non.... Già, non cosa? Non lo sapeva neanche lui, e la cosa lo paralizzava; non riusciva a pensarci senza sentirsi smarrito, completamente fuori posto, in balia del mondo esterno, ed era consapevole di ciò che il mondo esterno fosse capace di fare a chiunque si mostrasse fragile. Aveva visto quel film mille volte: i pianti di aiuto, le grida, la paura, l'enorme desiderio di trovare qualcuno disposto ad ascoltarti, la voglia di farti valere e il terrore di dover sentire un paio di occhi soffermarsi sulla tua pelle; tutte cose che aveva letto negli occhi dei suoi fan e che si era già trovato a fronteggiare, sebbene in quantità molto ridotte, e che non avrebbe voluto provare mai più. Sospirò. Agli occhi degli altri era forte, certo, ma fino a quando avrebbe resistito?
Una ragazza bionda 
– 'mi chiamo Abbie' si era presentata imbarazzatamente, porgendogli un diario traboccante di foto, articoli e pezzi di canzoni – lo squadrò, perdendosi per una decina di secondi nei suoi occhi, che più che essere uno specchio dell'anima che custodivano sembravano acque ghiacciate in cui annaspare senza possibilità di essere aiutati, e si morse il labbro. Riavuto indietro il quaderno con un sorriso e un 'ciao Abbie, grazie per essere venuta' fece per andarsene, poi esitò e tornò indietro, scoprendosi velocemente i polsi. Andy sobbalzò alla vista dei tagli e il suo sguardo sgomento faticò a rimanere focalizzato su di loro, mentre si mordeva le labbra e un paio di brividi gli scuotevano il corpo, come a rammentargli che non doveva andare così, che poteva ancora farcela, che per lui c'era ancora una speranza. You're not alone, we'll brave this storm. Let's face today, you're not alone – sussurrò la ragazza, guardandolo con aria decisa e deglutendo quasi impercettibilmente. – Non sei solo Andy. Io ci sono. Noi ci siamo. Ci saremo sempre – disse, con un tono abbastanza alto affinché lui potesse sentirla ma che non fece girare gli altri a guardarli, e abbozzò un sorriso con un angolo della bocca. – Non finire come me. Puoi fare una scelta, ma fa in modo che sia quella giusta –. Gli lanciò un ultimo sguardo, più per cercare d'infondergli l'immensa fiducia che aveva in lui che per altro, e scappò via, facendosi finalmente notare con un aggrottamento di fronti da parte degli altri membri della band. 'Ma che caaazz....?' sembrarono dire le loro facce confuse, prima di tornare a firmare autografi e sorridere ad altri fan, di nuovo presi dal loro lavoro. Andy annaspò per un respiro, il battito cardiaco accelerato e una sensazione di devastazione addosso, e deglutì ripetutamente, tentando di riprendere controllo di se stesso. Non era la prima volta che vedeva dei polsi tagliati, ma era la prima volta che l'idea che avrebbe potuto finire così anche lui l'aveva sfiorato; e la cosa l'aveva terrorizzato come non mai, al punto che neppure il trucco riuscì a far sembrare il suo pallore intenzionale. Tremante, si alzò dal tavolo e andò a rifugiarsi in bagno. Si spruzzò dell'acqua addosso e si aggrappò con le mani al bordo del lavandino, alzando lo sguardo per studiare il suo riflesso nello specchio sporco. Se possibile sembrava ancora più distrutto di com'era poche ore prima, anche se il trucco era stato sistemato e i capelli allisciati alla bell'e meglio, e la cosa lo spaventò. Si passò una mano umida sul volto e si stropicciò gli occhi, spargendo il nero sui palmi e sulle guance, e si sentì crollare, nonostante non avesse la minima intenzione di piangere. Si guardò un'altra volta e sussultò, mordendosi le labbra e costringendosi a non distogliere lo sguardo dalla figura esile e tremante che gli veniva proiettata davanti. Aveva bisogno di aiuto.


Un paio di giorni dopo, Andy si svegliò di soprassalto all'interno del bus che usavano quando andavano in tour, con addosso la sensazione che qualcosa fosse fuori posto. Scivolò fuori dalla cuccetta e tese le orecchie, ma tutto sembrava avvolto da una calma rilassata, rotta ogni tanto dal sospiro soddisfatto di Ashley, che la sera prima aveva fatto conquiste e ora riviveva la serata in sogno, eliminando le parti per lui prive d'interesse e rivedendo più volte quelle che invece si erano rivelate un successone. Avanzò di qualche passo e urtò uno spigolo, facendosi scappare un suono di disappunto. Improvvisamente un paio di 'cazzo, qualcuno si è svegliato; andiamocene, presto' si levò dal retro del bus e uno scalpiccio di piedi prese vita, mentre il cantante collegava le due cose e si lanciava fuori dalla vettura, per trovare solo il vuoto e la luce traballante di un lampione ad accoglierlo. Non c'era nessuno ma poteva sentire nell'aria che qualcuno c'era stato, anche se non aveva la minima idea di chi, e la cosa lo fece sentire a disagio, quasi avessero rischiato qualcosa. Fece per rientrare nel bus quando vide una bomboletta a terra, accompagnata da un rotolo di carta igienica ancora intonso, e si avvicinò per raccoglierli. Girandosi di nuovo verso la vettura lo vide, e le parole lo colpirono come un pugno nello stomaco, lasciandolo spaesato per un attimo. 'Andy è uno stronzo'. La delusione e il senso di stupore fecero presto spazio alla rabbia e il ragazzo tirò il rotolo contro il tourbus, urlando.
– Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo; vaffanculo! – Si prese il volto fra le mani e le ginocchia gli cedettero, facendolo crollare su sé stesso in mezzo alla terra. Si coprì gli occhi con le dita, le lacrime che si facevano strada attraverso le palpebre strette ermeticamente, e rimase in ginocchio, tremante, per la manciata di secondi che ci misero gli altri a correre fuori dal mezzo e venirgli incontro. – Andy! – esclamò Ashley, saltando giù dal bus e correndogli incontro, stringendolo con le braccia. Alzò velocemente lo sguardo per incontrare il graffito e deglutì, stordito e svuotato quanto l'amico, e lo serrò più forte nella sua stretta, mordendosi le labbra. Andy strinse i denti e percepì l'abbraccio, senza però rispondervi per la prima decina di secondi; poi scattò all'improvviso e spinse il viso contro il petto dell'altro, lasciandosi accarezzare, senza smettere di tremare per un istante. C.C. ringhiò tra sé e sé e si allontanò di corsa portandosi dietro Jake, per cercare di vedere se chiunque avesse lasciato lì quella scritta fosse ancora nei dintorni, e, in caso l'avessero trovato, per riempirlo di botte; mentre Jinxx deglutì e guardò con aria spaurita il bassista, senza la minima idea di cosa fare. Quello gli indicò il tourbus e Jinxx annuì, rientrando per prendere una coperta e dell'acqua per lavar via la scritta prima che altre persone la vedessero, lasciandoli soli per un po'. Andy tirò su col naso, stringendo le labbra per trattenere dentro i gemiti, e deglutì più volte, aggrappandosi alle mani dell'amico, che gli accarezzava la schiena e gli sussurrava dolcemente all'orecchio, cercando di calmarlo. – Ash – sussurrò dopo un po', alzando gli occhi, la bocca impastata dalla delusione, – faccio davvero così schifo? –. Il bassista ricambiò lo sguardo, accarezzandogli lentamente i capelli. – No, Andy, neanche un po'. Sei la persona più bella che conosca – rispose, pacato. – Allora perché mi capitano queste cose? Perché la gente mi odia? – domandò quasi impercettibilmente, deglutendo. Ashley percepì la sua paura e il suo smarrimento e si sentì invadere dall'affetto. – La gente sbaglia, Andy. Pensa di sapere tutto di te quando in realtà non ha capito proprio niente, e crede di essere nella posizione per giudicare tutto e tutti. Si sbaglia. Nessuno può giudicarti se non te stesso, lo sai. E visto che non sei nello stato di poterlo fare lucidamente, te lo posso tranquillamente dire io chi sei: il ragazzo più sincero, profondo e altruista che abbia mai conosciuto e che mai conoscerò, quello che ogni sera dà il massimo di sé sul palco e fuori; quello che quando ne ha la possibilità non prende mai l'ultima bottiglia di birra, quello che prima di entrare in bagno bussa per evitare di causare situazioni imbarazzanti; quello che pensa sempre agli altri e mai a sé stesso, ma che tutte quelle cose belle che dice e fa le fa perché ci crede davvero; quello che quando sorride lo fa perché lo sente, non perché deve. Quello che qualunque cosa succeda è sempre pronto a farci sentir meglio, quello che piuttosto che commettere qualcosa di brutto si taglierebbe un dito, quello che non fa, è. Sei il mio migliore amico e l'angelo custode di un'infinità di gente, l'orgoglio dei tuoi genitori e di chiunque ti abbia visto crescere, e sei quello che ha reso davvero possibile tutto questo. Senza di te non saremmo mai andati da nessuna parte, Andy, spero che tu lo sappia – mormorò, sorridendo lievemente. Andy tacque e il bassista sospirò, ricominciando a parlare. – Quando abbiamo cominciato questa band, non avrei mai pensato di poter arrivare anche solo lontanamente vicino a dove siamo ora, e pensavo che non ci saremmo mai fatti conoscere, che non avremmo mai inciso un album, che ci avrebbero presi in giro e trattati nel peggior modo possibile. Avevo gettato la spugna quasi ancor prima di cominciare, ma poi sei arrivato tu e mi hai letto nel pensiero; mi hai preso per mano, mi hai guardato negli occhi, mi hai sorriso e mi hai fatto cambiare idea su tutto. Hai dissipato ogni mio dubbio e mi hai riempito di una speranza che non avevo mai provato prima, e per la prima volta in vita mia mi hai fatto sentire come se ciò che facessi fosse davvero la cosa giusta, come se fossi finalmente sulla strada fatta apposta per me. Quel giorno sono tornato a casa e al posto di addormentarmi tra le angosce, ho sorriso. Ho sorriso e ho pensato a te, a che ragazzo speciale avessi incontrato, e ho giurato a me stesso di fare tutto ciò che fosse in mio potere per non farti mai, mai, mai piangere, e da quel giorno ho visto ogni cosa con una luce diversa. Migliore. Mi rendo conto di non aver fatto poi un ottimo lavoro, ma per quello che mi riguarda chi ha scritto quella stronzata non ti ha mai guardato attraverso i miei occhi e non si è mai reso conto di che persona meravigliosa e piena di pregi tu sia, perché basta sentirti parlare per tre secondi per capire che sei davvero il salvatore che tutti stavamo aspettando, e non un altro impostore. Non so chi abbia scritto quella cosa e perché - è ovvio che anche tu abbia le tue debolezze e i tuoi cali di gentilezza e che quindi tu abbia potuto trattare duramente qualcuno -, ma se davvero si fosse soffermato su di te si sarebbe conto della stupidaggine che stava per fare e avrebbe cambiato idea. Sei un ragazzo meraviglioso, Andy, non è colpa tua se certa gente preferisce mentirsi piuttosto che ammetterlo –. Andy deglutì un'altra volta ma sorrise e, mordendosi le labbra, lanciò uno sguardo grato all'amico.  Ash? Credo che dovresti scriverli tu i testi, te la cavi molto meglio di me con le parole . Ashley ridacchiò tra sé e sé e scosse la testa, senza smettere di allisciargli i capelli. – Di niente, Andy – ribatté, stringendogli dolcemente la testa al petto. Rimasero in silenzio un paio di minuti, l'unico suono percepibile quello del lampione scricchiolante e dei loro respiri, e il bassista si ritrovò a pensare che no, non se lo meritava affatto, e che sì, c'era rimasto malissimo, e che forse non c'era niente di davvero concreto che potesse fare per aiutarlo, se non rimanere lì ad abbracciarlo e accarezzargli i capelli. Jinxx riemerse silenziosamente con una spugna e cominciò a strofinare via il graffito, alzandosi sulle punte dei piedi per raggiungere i punti più alti, e Andy rimase tra le braccia dell'amico a tremare, fissando il vuoto con occhi vitrei e assenti, il sorriso nuovamente scomparso dal viso scarno. Ashley si voltò e Jinxx ricambiò lo sguardo preoccupato, serrando le labbra e cercando di darsi una mossa a pulire tutto, ma nessuno dei due aprì bocca per spezzare il silenzio. Quando il chitarrista tornò dentro a prendere un'altra secchiata d'acqua, Andy irrigidì i muscoli e prese un respiro, deglutendo. – Ash, io ho bisogno di aiuto –. Alzò gli occhi verso l'amico. – Non posso farcela – sussurrò con voce rotta, le lacrime di nuovo nascoste dietro agli occhi azzurri. Ashley si sentì stringere il cuore. – Ehi, Andy, io sono qui. Davvero. Per ogni cosa, io ci sono. Lo supereremo assieme, okay? Io e te. Come ai vecchi tempi –. Il cantante annuì, senza sapere se ci credesse davvero, e appoggiò il capo sul braccio dell'altro. Ci credeva. Doveva crederci.


– Andy, ti muovi? Abbiamo appuntamento con gli altri tra venti minuti, se usciamo ora arriviamo in ritardo di solo dieci. Forza, alza il culo, principessa! – esclamò Ashley dalla stanza accanto, saltellando in giro contorcendosi su sé stesso nel vano tentativo di infilarsi le scarpe più velocemente di quanto facesse normalmente. Andy sorrise sotto i baffi e non rispose all'urlo, finendo di scrivere il racconto che aveva cominciato qualche ora prima. Piegò il foglio e si alzò dalla scrivania, dirigendosi verso la libreria dove teneva le cartelline con le sue storie, le sue poesie e i suoi disegni; li guardò un attimo e sorrise. Ashley apparve allo stipite della porta, il portafogli in bocca e la giacca mezzo infilata, e si fermò ad aspettarlo, addolcendosi improvvisamente. – Sei pronto? – ridomandò con più calma, senza mettere piede nella stanza. – Sì, metto questo a posto e... – posò lo sguardo sul foglio ripiegato e abbozzò un sorriso, sentendosi improvvisamente pronto ad affrontare la giornata. Se lo infilò in tasca e superò Ashley, che finì di infilarsi la giacca e lo seguì con uno sguardo confuso. – Su, andiamo, non vorrai arrivare in ritardo? – lo incalzò il ragazzo, afferrando le chiavi e uscendo dalla porta senza fermarsi per un secondo. Ashley corrugò le sopracciglia e si affrettò a corrergli appresso, senza capire, ma dopo aver percorso qualche metro decise di lasciar perdere, l'importante era che il suo amico fosse felice. Scesero le scale in silenzio, trotterellando giù per gli scalini, e Ashley notò con sollievo che il frontman non era solo di un umore raggiante, ma che riusciva a trasformare tutto quello attorno a lui in qualcosa di buono, per quanto scuro fosse all'inizio; e fu tentato nuovamente dal chiedergli cosa gli fosse successo di così bello, ma stavolta ciò che lo fermò fu il fatto che i segreti, quando positivi, gli piacevano e che non avrebbe mai voluto forzarlo a parlare di qualsiasi cosa, figuriamoci una così vitale; così si limitò a sorridere e lo sorpassò, venendo presto avvolto dal caos dell'ora di punta.

Una ventina di minuti dopo erano seduti sui divanetti della hall dell'hotel dove risiedevano Jinxx e Jake, un paio di bottigliette d'acqua ghiacciata e di bicchieri di plastica sul tavolino davanti a loro, e chiacchieravano amabilmente dei loro progetti e di come stessero andando le canzoni su cui stavano lavorando da un po'
– niente pressioni, niente 'come possiamo migliorarci?', solo una chiacchierata fra amici su una cosa che ritenevano andare per il meglio, per quanto fosse prematuro dirlo. Andy si sporse in avanti, stappò una bottiglietta e si portò il bicchiere alle labbra, poi colse un momento di silenzio e tirò fuori il pezzo di carta dalla tasca. – C'è una cosa che vorrei che leggeste – disse, aprendo il foglio e lisciandolo velocemente con la mano, poi tornò a posare lo sguardo sui compagni. – Non è il testo di una canzone, ma è un progetto su cui sto lavorando da un po' e mi piacerebbe se mi diceste cosa ne pensate veramente, in tutta sincerità –. Si sporse e passò il foglio ad Ashley, che si alzò e si sedette ai piedi di C.C., in modo che potessero tutti leggere nello stesso momento. Si scambiarono delle occhiate insicure, poi Ashley si unì agli altri e s'immerse nel testo, mentre il frontman lasciava vagare lo sguardo sui volti di tutti, alla ricerca del minimo segno d'indecisione da parte loro. Per i successivi cinque minuti non riuscì a trovarne, poi Ashley abbassò il foglio e lo guardò, gli occhi scuri sgranati al massimo, annuì quasi impercettibilmente un paio di volte e deglutì, e l'unica cosa che gli sembrò il caso di dire fu 'woah'. Andy annaspò per un appiglio in quegli occhi tumultuosi, ma pochi secondi dopo un enorme sorriso prese vita sulle labbra del bassista e il suo cuore ebbe un tuffo. Uno era andato, mancavano gli altri tre. – Porca miseria, è una cazzo di figata – esordì C.C. appena lo pensò, come se si fosse reso conto che il suo intervento era necessario, – dico davvero, è il miglior racconto breve che tu abbia mai scritto, è grandioso –. Andy sorrise rincuorato e Jinxx subentrò, rincarando la dose di complimenti. – Questa storia starebbe benissimo dietro a un album – commentò invece Jake, prendendo il foglio dalle mani del bassista e tornando a dargli un'occhiata, – potremmo tirarne fuori qualcosa di davvero stupefacente –. I compagni annuirono con convinzione e Andy colse la palla al balzo. – Sono felice di vedere che la pensate come me, perché stamattina ho chiamato il produttore e l'ho licenziato –. Bam, la bomba era lanciata. – Tu hai fatto cosa?! – esclamò Jinxx rendendosi portavoce dell'incredulità degli altri, Andy deglutì. – Fammi spiegare – disse alzando le mani, pregandolo con gli occhi. – E le canzoni su cui stavamo lavorando? Stavamo andando alla grande, che diavolo ti passa per la testa? – scoppiò C.C., senza provare a nascondere un moto di rabbia, – seriamente Biersack, noi ti amiamo e ti supportiamo, ma non ci sei solo tu in questa band, che cazzo ti frulla nel cervello, si può sapere? Cazzo –. Buttò la schiena contro il divano dopo aver imprecato, si prese il viso fra le dita e un secondo dopo le spostò su un ginocchio con uno sbuffo seccato, distogliendo lo sguardo. Jake non aveva detto nulla, ma la sua faccia era un sinonimo di 'non avvicinarti o ti stacco la testa a morsi', e la sua espressione gelava il sangue nelle vene al cantante, che si volse verso Ashley conscio che fosse la sua ultima speranza. Per sua fortuna lo trovò a occhi sgranati ma desideroso di capire, e lo ringraziò con un sorriso accennato. Ashley annuì lievemente, frastornato dalla notizia; Andy prese un respiro e guardò in faccia i compagni. – Sentite, so quanto siate fieri di queste cinque canzoni e credetemi, piacciono da morire anche a me, ma sono proprio come la gente si aspetta che sia il nostro seguito. Sono belle, hanno ritmo, è divertente suonarle, ma sembrano delle b-side per Set The World On Fire, non delle canzoni composte per un nuovo album. Ognuna di loro ha carattere, un bel testo, un ritmo incalzante, una melodia più che orecchiabile, ma non sono niente di speciale, e potremmo appunto rilasciarle come bonus track o qualcosa del genere, ma non sono adatte a un nuovo album – mormorò, arcuando le sopracciglia, – non volevo farvi un torto, ma se suoniamo sempre allo stesso modo che senso ha essere i Black Veil Brides? Abbiamo sempre detto di essere una band in continua evoluzione, ma se fossimo rimasti con lui non avremmo fatto altro che creare un sequel uguale al predecessore; non sarebbe stato buono. Non l'ho fatto solo per un raptus di onnipotenza, ma per il bene stesso dell'album –. C.C. lo guardò di rimando. – E cosa ti dice che con lui non saremmo potuti migliorare? Sarebbe bastato prendere una direzione diversa, dire 'guarda, non vogliamo fare un disco come quello vecchio, dobbiamo un po' cambiar le carte in tavola e vedere come va' e chi lo sa, magari sarebbe pure uscito fuori un capolavoro –. Lo sguardo di Jake urlava a tutti che per lui Andy aveva sbagliato, e il frontman ebbe un istante di puro terrore. – Non credo sarebbe stato così facile – intervenne Ashley all'improvviso – se uno ha lavorato in un certo modo tutta la sua vita, non si può pretendere che di punto in bianco cambi. Gli ci sarebbe voluto del tempo, e probabilmente avrebbe trovato un modo per rinnovarsi a spese del nostro album, quindi alla fine meglio così. Ha ragione Andy, non ha senso continuare ad essere un gruppo se non vogliamo rischiare e correre a rotta di collo lungo nuove strade, alla fine potrebbe essere l'opportunità della nostra vita e se non ci buttiamo non lo sapremo mai. Sono d'accordo nel dire che avrebbe dovuto avvertirci, ma è inutile piangere sul latte versato andando a prendere altro latte, bisogna asciugare la macchia e impedirle di mandare a puttane il pavimento –. Guardò C.C., che nel frattempo aveva un po' abbassato la cresta, e poi Jake, silenzioso ma meno contrariato. – Forse le modalità con cui le cose sono avvenute non sono le più perfette, ma quella che ne è venuta fuori potrebbe diventare l'avventura più grande di sempre, e non cogliere la palla al balzo sarebbe da scemi, non credete? Anzi, prima di far qualsiasi cosa andrei a conoscere il nuovo produttore che ha trovato Andy, poi dopo decideremo se scuoiarlo o portarlo in trionfo. Che dite? –. C.C. sbuffò dal divano, ma lasciata da parte la rabbia doveva ammettere che si stava comportando come un bambino. Jake annuì e Jinxx seguì il suo esempio, ancora impegnato a digerire la notizia; e da qualche parte la bella giornata di Andy rinacque.
– Gran bella cosa il dialogo
– commentò vivacemente Purdy, mentre Christian reprimeva un sorrisetto. Andy riempì il silenzio dopo il bassista e tirò fuori il cellulare dalla tasca, accendendolo. – Abbiamo cominciato a lavorare su qualche traccia, la settimana scorsa, e da quando l'ho incontrato ho capito che è lui l'uomo fatto apposta per noi. In ogni caso, abbiamo una registrazione che lo prova quindi sì, er, ecco qua –. Una manciata di secondi dopo le note avevano invaso la hall, dove la gente si spostava troppo freneticamente per far caso al gruppo, e i cinque ragazzi avevano abbassato ciascuno la propria guardia per lasciare che le note invadessero anche la loro anima, prima scetticamente e poi con entusiasmo sempre maggiore. La voce roca di Andy riempiva ogni spazio nella sala, gli strumenti creavano un'atmosfera mai percepita prima, e nonostante il criticismo orgoglioso con cui era partito, C.C. finì col restare a bocca aperta, totalmente spiazzato. 'Woah' riuscì a spiccicare nello sbalordimento generale. L'ascolto non era durato più di una trentina di secondi, ma l'effetto era stato così intenso che gli era sembrato che il cellulare avesse riprodotto la traccia all'infinito, e non una singola volta. Andy fermò l'inizio del brano successivo, una delle sue canzoni preferite dei Misfits, e incrociò lo sguardo dei suoi amici, il cuore bloccato in gola. – Allora? – mormorò flebilmente. Le sue parole ruppero la cortina che li aveva avvolti e i ragazzi si voltarono verso di lui, mentre un sorriso si propagava pian piano sul viso di tutti. – Abbiamo il nostro produttore – disse C.C., e un paio di secondi dopo il buon'umore aveva riaffermato il controllo sul gruppo, più entusiasta che mai. Andy sorrise sinceramente e li abbracciò uno dopo l'altro, riservando l'abbraccio più sentito ad Ash, che ricambiò con un 'lascia stare, non ho fatto niente di che; è stata la canzone a conquistarli', anche se poi non si tirò indietro e lo strinse con forza. Quando Andy sciolse l'abbraccio Jinxx gli chiese di rimettere su il pezzo, e dopo più o meno venti secondi commentò con un sorriso 'certo che avete proprio bisogno di un buon chitarrista per sistemare questa parte'. Andy rise, e per la prima volta da tanto tempo si rese conto che le cose avevano davvero cominciato ad andare per il verso giusto. Rimise il pezzo da capo, e mentre i suoi compagni ridevano e scherzavano, canticchiando tra di loro un possibile continuo della canzone, pensò che forse non era l'eroe di nessuno, ma poteva essere il suo. Spostò i braccialetti e si guardò il polso, le vene evidenziate dalla sua finezza, e nella penombra sorrise. Pulito e scarno, come avrebbe dovuto essere. Rimise a posto i braccialetti e guardò i suoi amici, fulminati dagli sguardi degli impiegati per il casino che stavano facendo. Sentì la mano di Ashley posarglisi sulla spalla e sorrise, senza voltarsi. – Fearless, fight until we die. I am broken, the wretched and divine – mormorò sottovoce. Forse era vero, forse era davvero uno stronzo; ma non avrebbe lasciato perdere così facilmente. Fece qualche passo in avanti, spense la registrazione e sotto gli occhi di tutti esclamò 'forza Brides, tutti in studio!'. Jinxx si alzò e gli diede il cinque, stringendogli la mano, e sulle labbra degli altri si dipinse un sorriso deciso. I due chitarristi precedettero tutti, entusiasti, e C.C. aspettò i due amici davanti alla porta, l'avambraccio appoggiato al vetro appena lucidato. – Ricordami di non dubitare mai di te – abbozzò radiosamente una scusa, e Andy sorrise, rispondendo attivamente al pugnetto. Poteva anche essere lo stronzo più stronzo di tutti, ma finché fosse riuscito a far sentir bene le persone attorno a lui non si sarebbe lasciato inghiottire dal suo lato autodistruttivo, mai e poi mai. Si passò le dita sulla nuca e incontrò i capelli, lunghi e corvini; se li attorcigliò attorno al polso e poi li lasciò andare, sospirando duramente. – Avete delle forbici? –. Se dovevano cambiare, l'avrebbe fatto anche lui, a partire da quello che i suoi finti fan amavano di più. Afferrò le forbici che gli aveva passato Jinxx e tagliò la ciocca con un colpo secco, rigirandosela fra le dita per una manciata di secondi prima di alzare lo sguardo e incrontrare quello degli altri. Lasciò ciondolare il braccio lungo la gamba e schiuse le dita, lasciando che il vento si portasse via l'onda corvina, e quando in mano non rimase più niente fu chiaro a tutti che una nuova era era iniziata e che non sarebbero più potuti tornare indietro. Andy restituì le forbici a un Jinxx senza parole e si avviò lungo il marciapiede, lasciandosi la band alle spalle. Alzò lo sguardo al cielo e sorrise alle nuvole che gli sfrecciavano sopra, sospinte verso l'alto dal vento. – A world of hate awaits - we are the Wild Ones, they all look the same. Our time has come – sussurrò. Quando abbassò gli occhi i ragazzi erano al suo fianco e gli sorridevano, uniti. Tirò un sospiro di sollievo e chiuse le palpebre. Forse non ci voleva poi così tanto a salvarlo. Forse aveva solo bisogno che i Wild Ones uscissero allo scoperto. Ricambiò il sorriso e ricominciarono a camminare, spediti. Le parole gli si stavano affollando in mente come non succedeva da tempo, e in quell'istante realizzò che un braccio era già fuori dal buco e che ormai non ci sarebbe voluto molto perché lo seguisse anche il resto di sé. Con quel pensiero fra le mani, tirò fuori il cellulare e chiamò Feldmann. Sarebbe andato tutto bene.



Angolo dell'autrice: Mi sto abituando a questo spazietto, che figata haha. Volevo solo dire che a parte la location della hall, il taglio di capelli e il meet & greet, tutto quello che succede è reale
e ricostruito attraverso le interviste che sono riuscita a trovare in giro – Andy era davvero in bilico e in preda a queste feste autodistruttive, qualche coglione gli ha davvero scritto che è uno stronzo sul tourbus e ha davvero licenziato il vecchio produttore senza dire nulla agli altri. Se vi sembra una fine un po' brusca avete ragione, ma non sono riuscita a trovare nient'altro e ho preferito attenermi a quello che sapevo essere vero piuttosto che inventarmi qualcosa di sana pianta. E niente, tutto qua, mi sono sentita molto americana a fare tutte ste ricerche e bho, niente, spero che vi piaccia. Ciao c:
   
 
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