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Autore: andra    09/07/2013    0 recensioni
La musica mi trapassa i timpani tanto è alta, ma non mi interessa neanche un po’, questo è il mio momento di pace personale.
Cuffie nelle orecchie e dita che premono i piccoli tasti neri leggermente sporchi, niente di speciale forse, ma è già qualcosa e a me basta.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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                               Nulla cambia mai



La musica mi trapassa i timpani tanto è alta, ma non mi interessa neanche un po’, questo è il mio momento di pace personale.

Cuffie nelle orecchie e dita che premono i piccoli tasti neri leggermente sporchi, niente di speciale forse, ma è già qualcosa e a me basta.

Le lettere compaiono veloci sullo schermo ma un rumore mi disturba, urla, non le sento distintamente perché sono coperte dalla musica e rinchiuse sotto quaranta centimetri di solaio, ma ci sono e io lo so.

Le ignoro, ho imparato a farlo anni fa ormai, ma probabilmente non è la mia giornata, queste mi inseguono fino al divano.

La puzza di birra mi infastidisce ma mi avverte della sua presenza, non che non l’avessi visto ma il mio cervello cercava di non registrarne l’ingresso nella stanza, ma il mio olfatto rende inutile il tentativo.

Abbasso appena gli occhi, le quindici e venti, non sono neanche le quattro del pomeriggio ed è già ubriaco, veramente patetico, ma infondo qui tutto lo è, pure io.

Cerco di ignorarlo ma appena tiro su lo sguardo si avvicina.

-Cosa c’hai da guardare tu?-

Non rispondo, ma non perché ho paura ma è la nausea a bloccarmi, quella che provo ogni volta che lo vedo e che mi si avvicina troppo.

Non lo degno della minima attenzione e lui si dirige in cucina, ma la sua voce mi raggiunge di nuovo disturbandomi.

-Tua madre mi ha buttato via 5 Beck’s, un vero spreco visto quanto costano, no?-

Effettivamente è un vero spreco, ma a lui non interessa veramente, tanto lui non si spacca la schiena ogni giorno da anni ormai, ci siete voi per questo.

Soffoco un conato di vomito, ma non faccio in tempo a finire di deglutire che lo vedo comparire con una nuova bottiglia, lo sguardo è chiaramente di vittoria.

-Fregata!-

Soffoco a fatica gli insulti che mi si sono affollati in bocca.

Mantieni la calma, ricordati la tua maschera. Nessuna crepa. Nessun dolore.

Lo ripeto nel mio cervello come un mantra, come se questo bastasse ed infondo è così, mi deve bastare, ho solo questo da anni, solo la mia ferrea volontà.

Lo vedo caracollare fuori dalla stanza e desidero ardentemente che scivoli dalle scale mentre scende rompendosi magari l'osso del collo, ma ovviamente arriva illeso fino a destinazione, come sempre le divinità celesti devono essere impegnate a fare qualcosa di più importante che ascoltare me.

Ricominciano le urla, lo stomaco mi si chiude e decido che è ora di fare due o tre commissioni.

Spengo il computer e mi lancio in camera.

Un paio di jeans, una canotta, portafoglio in tasca e mi avvio verso l’uscita ma una voce conosciuta mi blocca.

-Dove vai?-

-In cartoleria, compro il libro per i test d’ingresso-

Cerco di andarmene ma mi blocca di nuovo e io la raggiungo, mi porge una banconota da venti euro, la guardo senza capire.

-Lo sai che per i libri di scuola ci penso io a pagarli-

Annuisco, metto i soldi in tasca e la saluto.

Finalmente sono in strada, l’aria è calda e gli occhiali da sole non sono abbastanza forti da proteggere i miei occhi troppo sensibili.

Sbuffo continuando a camminare verso la mia meta, ormai la strada la so a memoria, le mie gambe vanno da sole nella direzione giusta, intanto la mia mente vaga.

Cerco di non pensare notando ogni dettaglio delle persone che incontro ma è tutto inutile, questo non basta a distrarmi, invece di diminuire il mio malessere aumenta.

Continui a dire che cambi vita ma sei sempre qui… Patetico!

Scrollo la testa cercando di scacciare i pensieri eppure questi continuano, mi torturano e mi logorano, il mondo mi sembra ostile, ma forse sono io a esserlo verso di lui e a tutto il male che mi fa ogni giorno.

Dopo un tempo interminabile arrivo davanti al negozio che mi interessa ed entro, ovviamente l’espressione afflitta e incazzosa è scomparsa da mio volto, sembro una persona normale.

Compro il libro ed esco senza perdermi in chiacchiere inutile, oggi la mia facciata è meno solida del solito e non voglio rischiare di scoppiare senza motivo.

Le crepe della mia maschera sono pericolose e vanno riparate in fretta, ne sono fin troppo consapevole, eppure non voglio.

Le mie gambe riprendono a camminare da sole e io non bado troppo alla direzione, più tempo ci metto meglio è, non voglio ritornare così presto nella mia lurida cella.

Le voce dei bambini mi distrae per un attimo, li guardo correre sull’erba felici e spensierati, sospiro, ripensando alla mia infanzia negata.

-Non puoi avercela per sempre con noi-

La voce di mia madre mi risuona nella mente e io inizio a ridere, i passanti mi guardano ma non mi interessa, cosa ne sanno loro di me.

Riprendo a camminare, non so neanche io per quanto tempo ma quando mi fermo sono davanti alla stazione ferroviaria.

La mia mente si sveglia per un attimo, come se un miracolo fosse accaduto davanti ai miei occhi, un’idea malsana mi passa per la testa.

Hai i soldi…Parti…Per sempre

I soldi li ho, sono quelli per cui ho sputato sangue, sono la mia sopravvivenza fuori da questo incubo, non posso spenderli in modo così incosciente.

Scarto quell’idea folle ma poi guardo il libro che ho tra le mani, il mio troppo teorico passaporto per un futuro decente... Ed ecco che la ragione decide di cedere all’istinto per una volta.

Entro, faccio una coda infinita ma alla fine arrivo allo sportello.

-Dove deve andare?-

-C'è un treno che parta entro mezz’ora e che porti il più lontano possibile da qui?-

-C’è un treno che tra dieci minuti parte per Bologna-

-Solo andata-

Non guardo neanche il costo, pago e mi dirigo al binario, il numero otto, mi viene da ridere ma evito, non vorrei che qualcuno chiamasse la croce verde pensando che sono seriamente fuori di testa.

Mi accomodo sul primo posto libero e guardo fuori dal finestrino, il treno parte pochi minuti dopo e il mio cervello grida.

Libertà! Libertà!

Lo zittisco immediatamente, non voglio illudermi, sarà solo la gita di un giorno o due, poi dovrò tornare, non posso far preoccupare troppo i miei familiari, o meglio, mia madre.

Mi ricordo solo in quel momento che lei mi aspetta per cena, quindi prendo svogliatamente il cellulare e la avverto che sto da un'amica a dormire.

Le ore passano incredibilmente veloci e io mi ritrovo in un posto sconosciuto senza sapere dove andare, ma non mi importa, sto bene per la prima volta nella mia vita.

Poi il cellulare squilla e io torno alla dura realtà, non guardo chi è, mi limito a rispondere.

-Compra della birra visto che sei fuori a cazzeggiare…Non ci provare… Zitta tu-

Riattacco senza dire nulla, le voci di quei due mi hanno fatto tornare la nausea e passare la voglia di tornare indietro, ma sfortunatamente non ho scelto.

Mi siedo e rimango a fissare il vuoto, la gente va a casa ma io rimango lì, non mi muovo, sembro in attesa di qualcosa ma in realtà sto solo passando il tempo.

Normalmente avrei cercato un motel da poco e un supermercato per comprare la cena, ma non per qualche motivo non ho forze, sono come un automa che aspetta un cambiamento di qualsiasi tipo in ciò che lo circonda.

Dovrei trovare un posto dove dormire ma non ho voglia di muovermi, voglio solo sprofondare qui e non dovermi più muovere.

-Ehi tu! La stazione sta chiudendo-

Lo guardo con sguardo vuoto, è un ragazzo poco più grande di me e indossa la divisa dei capotreno, non è brutto ma non sono in vena di conquiste.

Mi alzo senza parlare e mi avvio all’uscita, lo sento seguirmi.

-Non ti ho mai visto qui-

-Non sono di qui-

-E come mai qu allora?-

Sollevo le spalle, non lo so neanche io perché sono lì e di sicuro non ho voglia di stare a spiegargli chi sono e da dove vengo.

-Siamo loquaci-

-Già-

Cammino senza una direzione precisa, non conosco nulla di questa città quindi mi faccio guidare dal caso, magari trovo un posto dove dormire.

-Sai dove dormire?-

-Si-

-Menti-

-Già-

-Vieni da me-

Mi giro e lo guardo senza capire, poi capisco.

-Non vendo il culo caro-

-Mai pensato. Solo non me la sento di lasciarti per strada, non hai l’aria di un barbone-

-Cosa vuoi in cambio?-

La vita mi ha insegnato da tempo che nessuno fa nulla senza una ragione precisa e lui di sicuro non è diverso.

-Una cena insieme-

-Non ho soldi per offrire nulla-

-Pago io-

Non capisco se mi prende in giro, ma tanto non ho nulla di meglio da fare e accetto, lo seguo alla sua macchina e ci avviamo verso un piccolo ristorantino, me ne parla per tutto il tragitto e io fingo di ascoltare.

Quando arriviamo il proprietario lo saluta amichevolmente, segno che viene spesso, fortunato lui che ha soldi da buttare.

Mi siedo e ordino un semplice piatto di pasta, non ho fame e non sono in vena di essere particolarmente cordiale.

-Allora cosa ci fai qui?-

-Noia-

Lui mi sorride e scuote la testa, deve aver inteso il mio “fatti i cazzi tuoi” e decide di non indagare oltre, la cena passa tranquilla e silenziosa, solo il rumore delle posate sui piatti interrompa questa bolla di tranquillità.

Quando finiamo ci alziamo e lui salda il conto, lo guardo male istintivamente, odio avere debiti, ma lui si limita ad alzare le spalle e a farmi l’occhiolino.

Io proprio non lo capisco, ma tanto meglio, non ho soldi da spendere, il biglietto è già stato fin troppo costoso.

Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso casa sua, io non dico nulla, so di essere un’incosciente ma non posso farci nulla, non posso permettermi di rifiutare la sua ospitalità.

Il viaggio in macchina è silenzioso come la cena ma a lui non sembra dare troppo fastidio.

Si ferma davanti a una palazzina modesta, entra senza esitazioni e sale per tre piani, io lo seguo sempre senza dire niente, alla fine apre la porta mi invita ad entrare.

-Benvenuto nella mia reggia-

Un piccolo monolocale, nulla di speciale, ma è pulito ed accogliente e questo basta.

Mi accomodo su una sedia mentre lui recupera una bottiglia di gin, prende due bicchieri e si siede davanti a me.

-Io sono Mirco… mi dici almeno il tuo nome?-

-Nessuno-

-Interessante. Almeno ho scoperto che ti piace l’Iliade-

Sorrido istintivamente ma poi mi ricompongo e lui scoppia a ridere.

-Ma allora non sei uno zombie! Stavo perdendo le speranze-

Non so perché ma la sua battuta scadente mi fa rilassare e inizio a sorseggiare il liquido dal bicchiere che mi ha passato, brucia in gola ma non ci faccio caso, ne ho bisogno.

La serata inizia a trascorrere più piacevole e io inizio a parlare di me, lui mi parla del suo sogno di andare ad abitare in Russia, io gli parlo del mio test e lui mi narra dei suoi problemi sentimentali.

Finiamo di parlare che ormai è quasi mattina, la bottiglia è praticamente vuota e io non mi ricordo nulla tranne che sto bene lì con lui.

Mi alzo ma inciampo nella sedia vicina, lui mi prende al volo evitandomi una caduta poco piacevole.

Mi tiro su e mi trovo a pochi millimetri dal suo volto, non ci penso e lo bacio, lui non aspettava altro e risponde con forza.

 

 

 

 

Il treno è partito da poco e io guardo il mio libro, devo impegnarmi se voglio entrare all’università.

Sento un leggero rumore di passi e tiro appena su la testa.

-Biglietti-

Gli porgo il mio e sorrido, lui lo guarda e lo vidima.

-Mirko vieni! Guarda cosa mi ha scritto-

Un ultimo sguardo e poi passa avanti e io torno alla mia vita di sempre.

  
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