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Autore: Marti Lestrange    09/07/2013    1 recensioni
OS dedicata ad Alice
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Per Alice
perchè te lo avevo promesso,
perchè ti ho fatto aspettare tanto,
perchè alla fine ho scritto questa storia, per te.




~Dall’altra parte del sole

 
 
 

“Sapevo che saresti stata troppo orgogliosa per tornare,
così ho deciso di venire a prenderti”.

- Gabriel Garcìa Màrquez

 
 
 
Ti guardo, le mani buttate nelle tasche di quei vecchi jeans strappati e lisi, la t-shirt bianca che odio, quel sorriso sghembo che è solo tuo – che mi era mancato.
Sono troppo orgogliosa per dirtelo: mi sei mancato tu. Mi è mancato tutto, dalle tue mani, al modo in cui mi sfioravi; dai tuoi occhi verdi spruzzati di riflessi di sole, al modo in cui mi facevi sentire – bella, speciale, unica. Viva.
 
 

*

 
 
~8 mesi prima
Sei entrato nella mia vita con il tuo solito trambusto. Sei sempre stato chiassoso, in fondo. Nemmeno mi hai chiesto il permesso. Mi hai travolta e sconvolta, senza “se” e senza “ma”. Senza parolone o fiori.
Dopo la mia mezza estate di studio furioso e disperato, Caroline e io partiamo per la Francia, e Parigi vale un’avventura – la ricerca del rischio, l’amore per l’arte, il lungo-Senna in bicicletta; le serate ai Jardin du Luxembourg, il succo alla rosa del Café de Flore, posare per un ritrattista a Montmartre.
E poi arrivi tu. Alexandre. Capelli castani schiariti dal sole, occhi verdi, mani sporche di vernice, e quel piccolo studio vicino al Moulin de la Galette.
 
«Dove sei stata tutto questo tempo? »
«Scusa se ci ho messo tanto. »
 
 

*

 
 
La prima volta che mi baci fuori piove. L’acqua batte sul tetto, si infiltra dalla crepa nella scala polverosa, gocciola sul pianerottolo della signora Mercier, e tu, come sempre, ti offri di aiutarla, prima che le tue mani mi spingano dentro casa e il tuo sorriso occupi le mie labbra.
Sento il tuo sapore, di menta, solvente e sole. Tu senti il mio. Assaporo le tue labbra, piano, senza fretta. Tu mordi le mie, assetato, invadente, vero. Non mi chiedi il permesso nemmeno questa volta, ed è come se fossimo nati per questo, per incontrarci e baciarci e viverci. È come se fossi nata per te, e tu per me.
 
 

*

 

La prima volta che facciamo l’amore fuori c’è una di quelle notti tipicamente estive da far battere i cuori e palpitare i sensi. Il cielo è scuro e limpido, punteggiato di stelle luminose come fari, lampioni nella notte infinita, lucciole perse nel mare nero di ombre.
Le cicale cantano, perse in qualche sprazzo di verde, e dalla tua finestra si intravede il Sacrè Cœur, bianco svettante contro il nero.
Prima mi baci, indugi sulle mie labbra, le sondi, tranquillo, e mi sussurri che per te sono il mondo, e che niente ha più importanza, e lo fai con quella tua voce speciale, limpida e lucida, vera, che mi fa vibrare come una corda tesa e il cui suono ha il vitale potere di calmarmi e far sparire ogni paura e ogni incubo.
Facciamo l’amore in modo tempestoso, nel tuo piccolo salotto, e tutto mi sembra assolutamente perfetto, nonostante quella latta di colore abbandonata in un angolo e la pila di vecchie riviste d’arte impolverate che tieni accatastate proprio accanto al divano.
Voglio te così come voglio ogni singolo e misero e irrilevante dettaglio della tua vita, perché capisco di amarti di quell’amore del quale scrivono i poeti, e sul quale si sono spesi carta, e sudore, e sangue. E cuore.
 
 

*

 
 
Tutto sembra finire con la morte dell’estate, quando Caroline e io dobbiamo tornare a casa. All’improvviso non mi capisci più. All’improvviso i miei progetti di studio a Yale diventano un ostacolo. All’improvviso io stessa non ti riconosco più, come quando mi dici che non sai cosa pensare, che non sai cosa fare. O cosa dire. Sei rimasto senza parole, come se l’estate te le avesse portate vie.
«Io ero disposto a lasciare tutto, per te »mi dici. «Lo studio, i miei progetti, Parigi, tutto quanto. Tu invece non hai mai, e dico mai, anche solo pensato a ciò che era giusto per me. Hai sempre e solo pensato a te stessa, a Yale, ai tuoi studi. Quello che voglio io non conta, per te? Sono così irrilevante? »
Adesso sono io che non so cosa dire. Sono io quella che non sa cosa fare.
Come sempre, faccio quello che so fare meglio: scappo via. Fuggo lontano, per non dover pensare e affrontare la situazione. Sono una codarda, è vero. Così facendo ti perderò per sempre, ma preferisco tacere che cercare di leggere dentro il casino che sento dentro – dentro il cuore, dentro la testa. Dentro tutto.
 
 

*

 
 
I giorni passano – lenti, inesorabili, immutabili.
Dopo l’estate, l’autunno e l’inverno, con i venti, la neve, le foglie morte, i cieli d’acciaio. Il freddo mi attanaglia le ossa, e il cuore è più piccolo, da quando non sei più con me, come se si fosse rinsecchito, secco e scricchiolante come le foglie cadute di un vecchio albero spoglio. Sento che rimpicciolisce, giorno dopo giorno, ora dopo ora, mentre la tua mancanza aumenta in modo proporzionale, e non mi lascia via d’uscita, in questo processo di morte interiore dal quale non c’è scampo.
Il mondo mi appare sbiadito, tetro, vuoto. Ogni risata maschile mi ricorda la tua, pur non essendo la tua, pur senza arrivare a toccare le stesse corde dell’anima. In ogni viso ritrovo un pezzo di te: gli occhi di un verde più sbiadito, quel filo di barba non curata, la sfumatura dei capelli, un mezzo sorriso e la tua camminata sicura. In ogni viso cerco il tuo – invano.
Mi sforzo di provare qualcosa – gioia, allegria, entusiasmo. Rabbia. Mi sforzo con tutta me stessa, ma tutto ciò che sento è la mancanza. Mancanza di te, di me con te, di noi insieme, degli attimi condivisi e le giornate trascorse a progettare sogni già infranti, impossibili chimere senza futuro, programmi folli per menti sconfinate e cuori impavidi.
Dov’è finito il mio coraggio? E i sogni? E la follia di un pomeriggio di fine agosto, quando abbiamo preso la tua vecchia macchina scassata e siamo scappati in Costa Azzurra, il vento tra i capelli e grida di libertà sulle labbra gonfie di baci?
Ho perso tutto, con te – il mio cuore, la mia anima, il sorriso. Me stessa.
 
 

*

 
 
«Sapevo che saresti stata troppo orgogliosa per tornare, così ho deciso di venire a prenderti. »
Sei lì, proprio lì, in piedi di fronte a me, dall’altra parte del sole. Sto seduta sull’erba, sul prato riscaldato dalla primavera, la schiena contro il tronco del mio albero preferito, un libro poggiato sulle ginocchia, i capelli raccolti in una treccia. Hai sempre adorato la mia treccia – e quella mattina ti ho pensato, mentre intrecciavo i miei capelli scuri. Ho pensato anche alle tue mani che li scioglievano, e ci passavano attraverso, e ho chiuso gli occhi, perché il dolore era troppo forte. La mancanza mi divorava.
E ora sei lì, e sei lì per me. Te ne stai in piedi, proprio come ti ricordavo, come se ci fossimo lasciati appena il giorno prima, e non otto mesi fa. Come se fossi uscito dal tuo studio: la maglietta bianca leggermente sbiadita, i jeans strappati e sporchi di pittura verde, i capelli spettinati, le vecchie Converse rosse e sporche, uno zaino in spalla. Ti sei fatto crescere la barba dall’ultima volta, sei ancora più bello, più tormentato, più te stesso. Ti guardo negli occhi e vi ritrovo tutto ciò che credevo perduto, tutti i sogni e le aspettative. Tutto l’amore - sconfinato e bello e folle.
Mi alzo, mi riassetto la gonna blu e mi appunto dietro l’orecchio un ciuffo ribelle scappato dalla treccia. Ti guardo – indugio. Tu invece non esiti a ridurre la distanza che ancora ci separa, a prendermi tra le braccia e baciarmi, baciarmi fino a perdere il fiato. Il battito del mio cuore erompe nel mio petto, potente e meraviglioso. Lo sento pulsare di nuovo, vivo e forte. Sento che, piano piano, comincia a gonfiarsi, gonfiarsi, gonfiarsi, fino a tornare rosso e palpitante, proprio come un tempo, proprio come allora.
«Sei venuto a prendermi »sussurro sulle tue labbra, mentre quel bacio sembra non finire mai.
«Alice »cominci, depositandomi un ultimo bacio sulle labbra. Mi guardi negli occhi. «Sono venuto per restare. Qui. Con te. »
Scuoto la testa. «Non è giusto. Hai lasciato tutto, per me. Anche Parigi. E Parigi è nostra. Soltanto nostra. »
«Sarei disposto a lasciare il mondo intero, per avere te. »
«Portami a casa, Alexandre »gli sussurro all’orecchio abbracciandolo. «Portami a casa. »
 
 

*

 
 
~2 mesi dopo
L’estate a Parigi è proprio come la ricordo. La Senna continua a scorrere placida, mentre la percorro in bicicletta, una baguette e dei fiori nel cestino e Alexandre che ride accanto a me. Montmartre è luminosa e profumata, e la casa che abbiamo affittato vicino allo studio ha dei vasi per i gerani alle piccole finestre e un giardino sul retro con un dondolo e un albero di albicocche. Il Sacrè Cœur continua a splendere sullo sfondo, mentre facciamo l’amore sul parquet antico, davanti alla finestra aperta, le tende bianche svolazzanti tutto intorno e una vecchia fisarmonica che suona di sotto. Il cielo è sempre blu, scuro e luminoso di stelle, mentre le stesse cicale cantano in qualche rado cespuglio in un piccolo parco cittadino. Riesco a scrivere il mio libro – quello che parla d’amore, di un amore semplice ma pazzo, di un amore potente e pulsante, che vive nel cuore e nel sangue, che vive in noi. Il nostro

   
 
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