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Autore: Lothiriel_Indil    10/07/2013    1 recensioni
Matthew perse un battito e si trovò a trattenere il respiro nel riportare la mente a quegli avvenimenti. Il solo ricordare quel passato ormai lontano e l’abbandono avvenuto da parte del francese gli faceva provare un forte dolore al petto, di certo non provocato da un malessere fisico.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ennesimo meeting svolto nel caos più totale: Alfred che cercava di imporre le sue folli idee per porre fine a un qualche problema; Arthur che, come ogni volta, si mostrava contrario alle proposte dell’americano; Ludwig che cercava di tenere a bada Feliciano che diversamente avrebbe finito per oziare; e poi c’era lui… Gli altri lo avrebbero definito come un fantasma, un’ombra che se ne stava in disparte come se tutto quello che gli avveniva intorno non lo riguardasse, Matthew.
Il rappresentante canadese era seduto lontano dal resto della combriccola e, da bravo spettatore, osservava quello scenario ormai diventato monotono.
Kumajirou, come suo solito, si era sistemato al suo fianco e non mancava di chiedergli chi fosse. Ancora si domandava come facesse a non riconoscere la persona che gli procurava i viveri.
“Bonjour, Matthew!”, una voce raggiunse le orecchi del canadese che si stupì non poco per quell’evento fuori dall’ordinario. Mai qualcuno gli aveva rivolto la parola, o meglio dire che mai qualcuno si era accorto della sua presenza.
Voltandosi, il timido canadese, puntò gli occhi viola sul suo interlocutore, una persona che avrebbe riconosciuto tra mille.
“Francis…”, si limitò a pronunciare il nome del rappresentante francese che lo guardava a sua volta con la sua solita aria che gli dava un che di malizioso.
Da tempo, Matthew, non parlava con lui, non perché ce l’avesse con lui, sia chiaro, ma per il semplice fatto che non ne aveva avuto occasione, gli ultimi avvenimenti l’avevano portato a stare lontano da lui, come dagli altri in effetti.
“Comment ça va, mon amie?”
Le guance del timido biondo si dipinsero di una piacevole tonalità rossa. Aveva sempre adorato quell’accento che caratterizzava il più grande, da piccolo adorava ascoltarlo per ore proprio per questo dettaglio.
“Sto bene…”, pronunciando queste parole, Canada, distolse lo sguardo per fingere di dare attenzione all’orsetto bianco che in quel momento sembrava piuttosto affamato.
Si sentiva in difficoltà e in imbarazzo, non era abituato a parlare con le persone, tanto meno con le altre nazioni. Tranne per quanto riguardava suo fratello che qualche volta sembrava ricordarsi di lui.
Come reagire a tale avvenimento? Lui, l’inutile Canada, si trovava a parlare con una delle nazioni più importanti, proprio quella che un tempo gli aveva fatto da padre.
Matthew perse un battito e si trovò a trattenere il respiro nel riportare la mente a quegli avvenimenti. Il solo ricordare quel passato ormai lontano e l’abbandono avvenuto da parte del francese, gli faceva provare un forte dolore al petto, di certo non provocato da un malessere fisico.
“Qualcosa non va?”
Erano molte le cose che non andavano in quel momento, ma il canadese si limitò a scuotere il capo. Non gli sembrava il caso di rivelargli i pensieri, o meglio i ricordi, che gli rendevano difficile mantenere la calma.  Lui, la tranquillità fatta persona.
Scuotendo il capo, il biondo, gli rivolse un timido sorriso in modo da tranquillizzarlo:”E’ tutto ok”
E non poteva dire nemmeno il contrario, no? Il francese non aveva fatto nulla di male nei suoi confronti, era capitato tutto a causa sua.
Francis, che sembrava non essere tanto convinto per le sue parole, allungò una mano per posarla sul capo dell’altra nazione:”Andiamo a mangiare qualcosa?”
Un momento di silenzio aleggiò tra i due, il tempo che il canadese si concesse per dargli una risposta. Come rifiutare? Probabilmente sarebbe stata un’ottima occasione per riavvicinarsi, no?
Senza attendere oltre, e senza alcun timore, rispose:”Oui, Francis.”


Il sole era comparso in cielo solo da poche ore quando Matthew fu svegliato da alcuni indigeni e da un certo borbottare.
La prima cosa che notò fu l’assenza del suo fratellone, Alfred, ma gli adulti non gli diedero nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni, sembravano agitati.
Una delle donne lo accompagnò fuori dalla tenda borbottando qualcosa riguardo ad alcuni uomini mandati da una qualche divinità malvagia, uomini che lo avrebbero portato lontano.
Ma lui cosa poteva capirne? I suoi pensieri erano completamente rivolti verso il suo adorato fratellone, dove poteva essere andato? Lui avrebbe potuto difenderlo dagli uomini malvagi, no?
La tenda del capo tribù era più grande rispetto alle altre. Lui e Alfred spesso si intrufolavano al suo interno per poterla esplorare e per fingere di essere loro a ricoprire quel ruolo importante, senza sapere che rappresentavano qualcosa di molto più grande. Prima di entrarvi la donna si fermò per diversi secondi, momenti in cui lo osservò con compassione e indecisione, sembrava stesse combattendo con sé stessa per decidere sul da farsi, ma, prima che potesse raggiungere una decisione, una voce la richiamò dall’interno della tenda. Una voce sconosciuta al piccolo.
La donna, Ailen, si chinò sul bambino per posargli un dolce bacio sulla fronte, gesto che si sarebbe impresso nella giovane mente del biondo per l’eternità.
“Venez, Matthew…”, questa volta la voce sconosciuta si rivolse al piccolo che per la prima volta iniziò a provare un certo timore. Aveva la sensazione che da quel momento in poi le cose sarebbero cambiate completamente.
Il giovane Canada entrò nella tenda e sbarrò i suoi grandi occhi nel vedere la persona che si trovò di fronte: un adulto dai capelli dello stesso colore dei suoi, gli occhi azzurri come il mare immenso che circondava quelle terre e la pelle candida. Era diverso dalle persone che lo avevano circondato fino a quel momento.
“Bonjour, Matthew.”, pronunciò lo sconosciuto con la sua voce melodiosa e con quell’accento che il piccolo trovò divertente. Non sembrava cattivo, ma non capiva quello che gli diceva, parlava in una lingua diversa dalla sua.
“Non mi capisci, vero?”, domandò nuovamente l’adulto che sembrava trovarsi non poco in difficoltà in quella situazione. Sospirando, quindi, si avvicinò al più piccolo e si inginocchiò per raggiungere la sua altezza.
Matthew non si allontanò, sapeva che non aveva cattive intenzioni, ma decise comunque di stare attento.
“Je suis Francis, mon petit.”, mormorò con tono dolce puntandosi l’indice contro il petto.
Il bambino lo studiò a lungo, solo in un secondo momento portò la manina a posarsi su quella del più grande e un sorriso allegro prese ad aleggiare sul suo viso paffutello:”Francis.”


  
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