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Autore: GurenSuzuki    10/07/2013    2 recensioni
"Il fatto che Mana fosse come un foglio di carta bianco lo spaventava da morire."
Quando fuoco e carta si amavano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuoco e carta


Il fatto che Mana fosse come un foglio di carta bianco lo spaventava da morire. Perché lui era uno scrittore, e del vuoto aveva una paura dannata. Aveva letto da qualche parte che il terrore da pagina bianca equivaleva al soffrire di vertigini. Insomma era terribilmente spaventato dalle aspettative, dall’incertezza, perché poteva anche fallire ogni volta che accostava la penna. E accostare la penna a Mana equivaleva a venire fagocitati da quei suoi splendidi occhi neri d’ossidiana e da quelle labbra da puttana, tanto rosse e frementi da richiamare il colore delle carni bollenti nell’orgasmo. Il suo primo orgasmo con Mana era stato qualcosa di soverchiante e ancora oggi non saprebbe scriverne, di un tale colpo all’anima. Perché scrivere è un po’ come morire, far morire le esperienze per renderle parole, parole da cucire come un filo di perle, una dopo l’altra, srotolate in una strada infinita come l’orizzonte bagnato dal mare. Al mare le onde ruggivano, coprendo il suono della semi-acustica, e Mana, con quell’aria snob e un po’ altezzosa, si levava stizzoso i capelli dal viso con un soffio, o una mano bianca come carta. La carta sfrigolava, quando l’accostavi al fuoco, e lui bruciò quello spartito come fosse il demonio, recitando una preghiera che odorava di rinuncia, si era fatto tanto schifo da piangere. Il pianto di Mana non l’ha mai visto, ma l’ha sentito. La notte, il tour bus spento, i gemiti dai letti vicini, Mana mordeva le coperte soffocando parole che di sensuale avevano l’arricciarsi della fronte spaziosa, come colto in un’attività illecita. Gackt gli si era accostato una di quelle notti bagnate, rendendole ancor più desolate, perché l’unico modo che aveva per consolarlo era ficcargli la mano nel pigiama e strofinare il palmo aperto sulla carne morbida, finché non s’induriva e allora le lacrime si spegnevano. Dice di non averlo mai visto piangere perché in quei rendez-vous Mana era di schiena, quella schiena bella come una scultura coperta d’avorio di Canova, gliela mordeva così il dolore copriva il dolore e lui poteva distrarsi e non rischiare di strozzarsi con gemiti e pianto. 
Il pianto seguiva a certi lividi, lividi dell’anima che si concretizzavano in grosse macchie sulle braccia, che però non avevano la forma di uno spigolo, quanto di una mano. Cinque dita fanno un rumore che si impiglia alle orecchie, e pare di sentirlo anche quando dormiamo, tanto che il cuore freme di terrore e di rabbia. La rabbia modella le persone, come un blocco di creta, o di plastilina colorata. Dopo le brucia, le corrompe col fuoco su cui lo spartito sfrigola e poi si accartoccia e poi muore e poi diventa cenere e poi c’è un coltello nel petto, e chi lo sa come c’è finito. Dio, chi ce l’ha ficcato? Però si sveglia Mana, in un lago di sudore, ed è un sogno, non ha ucciso nessuno. Però hanno ucciso lui, una volta, quando un ragazzo occhi finti capelli tinti ha chiamato, due volte, quando l’ha accolto con un sorriso al bar della stazione, tre volte, quando ha iniziato a volerlo cercare ma a trattenersi, perché erano fuoco e carta che non voleva bruciare, tre volte, quando gli ha fatto quel pompino nel bagno dell’hotel a Hong Kong e ha ingoiato anche se non voleva deglutendo il suo amore al gusto di sale, quattro volte, quando l’ha baciato come se non ci fosse altro al mondo che labbra e lingua e i denti che feriscono, cinque volte, quando Gackt l’ha abbandonato perché lui l’ha cacciato, sei volte, perché non ha lottato, nessuno dei due l’ha fatto, troppo orgogliosi per rendersi conto che il fuoco si era spento e la carta si era stracciata, ogni volta, quando ha ingoiato i ti amo e i sorrisi, e non abbastanza volte, vedendo il sorriso di Gackt affievolirsi ogni giorno di più, credendo di non essere ricambiato.
Alla fine però non è ancora morto, ma attende quella perfida puttana come una vecchia amica che l’ha tradito, arrivando troppo tardi e dimenticandosi di lui, una madre che abbandona il suo neonato nell’immondizia. Quella vecchia perfida puttana, magari arriva un po’ più in fretta, se solo la chiama.

Piccola nota.
Ripetizioni e html poco evidente sono scelte volute.

   
 
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