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Autore: RoSyBlAcK    22/01/2008    3 recensioni
Quanto sottile è il confine tra amore e amicizia? Quanto è profonda la memoria? Quanto pesa un'incomprensione? Lei ha subito una delusione. Lui ha perso la sua migliore amica. Entrambi sono cresciuti. E fare una scelta non è mai stato così difficile, nè inevitabile. Una prova, spero di sapere che ne pensate. =)
Genere: Romantico, Triste, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breve tributo ad un amore mai andato a segno

Visto che non ho mai pubblicato qualcosa con personaggi miei, e che qualche giorno fa mi è capitato di scribacchiare questo… Ho deciso di provare a pubblicare. Al massimo non riceverò nessun commento… =P

È una prova di stile in cui lascio a voi l’immaginare nome e volto dei personaggi, e tento di delinearne solo l’identità riferita ad un momento della loro vita. Spero possiate apprezzare. Fatemi sapere… Commenti sempre più che graditi =P

Un abbraccio *

A te, che mi hai insegnato qualcosa.

Breve tributo ad un amore mai andato a segno.

Quando ero una ragazzina già m’immaginavo questa scena. È una scena immobile nella mia immaginazione di adolescente dal cuore infranto. Quando mi hai detto quell’unico, immobile e confuso “no”, subito ho saputo che dovevo chiuderti la porta in faccia per sempre: avevi ferito il mio ego e preso in giro i miei progetti, eppure questa scena ha subito preso a fluttuare dentro di me. Mi sono già vista a spiarti nell’ombra cullando dentro di me la certezza che non ero stata io a perderci, ma tu. Io avrei avuto la mia splendida vita e tu, malinconico e lontano, avresti potuto godere ancora di un mio sorriso –perdono, forse, chissà- mentre mi illuminavi con un ultimo bagliore della tua luce. Sapevo che questa scena, un giorno, avrebbe preso forma.

E ora sono seduta qui, accucciata nel mio sedile di velluto rosso. Lo accarezzo sistematicamente. Scuro. Chiaro. Scuro. Chiaro.

Due anziane signore chiacchierano sommessamente, apparentemente eccitate da questa serata per loro fuori dal comune. Io sono nervosa. Come se tu potessi davvero sentire la mia presenza nel tuo territorio dopo tanto tempo. E come se questo potesse essere un crimine. Eppure è così che mi sento: una criminale. Così me ne sto nascosta dietro la testa riccia di un signore seduto davanti a me. Tiene un braccio solido e ben stirato intorno alle spalle di una signora vaporosa e frivola che ride con accento straniero. Loro sono qui tanto per fare qualcosa di chic. A me il biglietto è costato due sabati di straordinari in libreria ma sono certa che ne valga la pena. Studierò di notte, mentre Anna, la mia coinquilina, continuerà a rimproverarmi che “se vai avanti così ti verranno due occhiaie immense, piccina”. Piccina, come se fossi più piccola di lei. O ingenua. O infantile. Lasciamo perdere. Ne sarà sicuramente valsa la pena. E poi è inutile essere così ansiosa ed agitata.

Non puoi sapere che sono qui. Non puoi saperlo, non lo saprai.

Sono entrata da sola e in silenzio, avvolta nel mio giubbotto di jeans strappato sul gomito e una minigonna di velluto a coste che cerca di essere leggermente consona a questo ambiente, ho legato i capelli in uno stretto chignon, quasi che più li strizzavo nell’elastico meno tu potrai percepire il loro colore e il loro profumo così come li hai conosciuti allora, nelle lunghe serate passate a sfiorarli, distante, per confondermi le idee e ferirmi di più. Non importa, quei momenti sono lontani e bruciati, nascosti da altri momenti. Non mi fa più male pensare che tu abbia giocato con i miei capelli e con me. Mi sento così inappropriata, probabilmente se mi vedessi rideresti di me. Rideresti del mio passo traballante su questi tacchi che non fanno per me, di questo trucco arrogante dedito a farmi sembrare matura e distante, rideresti delle mie dita che fremono sulla locandina dello spettacolo e sul velluto della poltrona. Rideresti di me.

Ma non puoi farlo, non puoi ridere, non puoi giudicarmi, non oggi. Oggi non sono la tua amica di un tempo. Oggi sono solo una spettatrice. Osserverò quello che sei diventato. Osserverò da lontano il tuo successo e poi, finalmente sparirò. Sparirai.

Strano –Ironico- il modo con cui le cose sdrucciolano via dalla nostra presa. Un tempo non sarei venuta qui come una ladra, una ladra venuta per rapinare un po’ della tua esistenza e prendersela per se. Un tempo sarei entrata con la testa alta, mi sarei seduta in un posto prenotato da te e alla fine dello spettacolo sarei scesa a baciarti le guance –un fremito, un po’ di passione, un po’ di sgomento- e saremmo andati con i tuoi nuovi amici a bere qualcosa di chic, qualcosa da musicisti. Le mie mani sarebbero state immobili e profumate, salde su un mazzo di fiori che ti avrei porso con riverenza. “Complimenti, sei stato bravissimo stasera”, avrei sussurrato, come se questa fosse stata una delle molte volte che ho potuto godere della tua bravura. Un tempo sarebbe andata così. Sarebbe andata così se le cose fossero andate diversamente.

E invece…

Il sipario si alza. Un brusio si accende nel teatro, e culmina in uno scroscio di mani concitate. Io resto immobile, con le mani ancorate ai manici della sedia come se potessi sprofondare in questo mare di rumori felici. Resto salda nella mia posizione, litigando con la testa riccia dell’uomo chic davanti a me. Cerco di vederti, ma sei così lontano. Lontano come, infondo, sei sempre stato. Anche l’applauso si spegne. Qualche ritardatario da ancora un battito, che risuona violento nell’improvviso silenzio. Come un pensiero, il mio pensiero. Ti avvicini al microfono e gli dai un colpetto con le dita. Fa uno suono divertente, come una pernacchia. Sorridi. Sorrido.

-Buonasera a tutti.

Mi sorprendo a ricordare ancora la tua voce, perfettamente nonostante siano passati anni dall’ultima volta che l’ho sentita. Anni dall’ultima nostra telefonata… Stavo sdraiata sul mio letto e tu mi bisbigliavi nell’orecchio parole che non sono mai più stata in grado di ripetere a nessuno, neppure a me stessa. Eppure non le ho scordate, non sono stata in grado di fare nemmeno questo.

-Sono felicissimo di vedere in quanti siete…- La tua sincerità, così velata ormai, rifugiata in una frase banale e scontata: dove ti ha portato il tempo, nascosto dietro frasi già fatte. –A nome mio e di tutti noi vorrei ringraziarvi e dirvi due parole sul concerto di questa sera…

Un altro applauso, più frammentato e docile. Sorridi.

-Il concerto di questa sera è un breve tributo a quegli amori che non sono mai andati a segno. Alcuni pezzi sono nostri, altri invece sono di altri famosi artisti del passato. Speriamo che possano essere tutti di vostro gradimento. Buona serata e buon ascolto!

La luce s’abbassa; s’abbassa. Si spegne. Solo voi siete illuminati, immobili su quel palco, cinque persone adulte con i loro strumenti raffinati. C’è un secondo di silenzio, immobile, colmo d’attesa. Un ultimo applauso d’incoraggiamento, denso d’aspettativa. Mi sembra quasi di poter scorgere un bagliore di gloria percorrervi e poi, quando tutto è già tornato immobile e inconsistente, quasi sperduto in una dimensione irreale, iniziate a suonare, insieme, passionali e docili, prepotenti, stregati e corrotti dalle norme musicali.
Non siete certo spettacolari, tuttavia non me ne intendo abbastanza di musica classica da potervi giudicare, e riesco quasi a percepire l’ammirazione di chi mi circonda nel sentirvi trasportare una folla intera attraverso i vostri amori disfatti e mai realizzati. Poi anche i tuoi compagni tacciono. E all’improvviso la scena è tutta tua. Riesco a vedere le tue guance arrossire appena, e per un secondo le tue dita tentennano, tremano. Come se stessi per sfiorare la donna della tua vita e all’ultimo ti mancasse il coraggio o la volontà per amarla completamente- ma è solo un secondo. Ti lanci. Le tue dita ora sono coraggiosi soldati in battaglia, e ogni sparo colpisce il bersaglio, ogni amante seduce la sua amata, ogni bacio raggiunge le labbra dell’altro: ogni nota suona perfetta e melodica, mi accarezza le guance e i capelli e le labbra. E ti sento accanto, più che mai. Ti sento ovunque, mentre la tua musica gentile immobilizza il mio cuore e il mio stomaco e si scusa, si scusa per avermi illusa, delusa, ferita. Si scusa per non avermi amata abbastanza, per non avermi amata affatto, per avermi amata troppo. Dagli occhi mi scivolano lacrime dolci e bollenti, che tracciano solchi d’argento sulle mie guance. Nessuno s’era mai commosso tanto a sentirti suonare, ne sono certa. Eppure tu, nemmeno oggi, hai occhi per vedere la mia passione, il mio coinvolgimento, per sentirmi accanto a te anche se tu non sai, o non puoi, starmi accanto. E continui- continuate- a suonare.

Mi trasporti su quella spiaggia pigra e bollente di sole estivo tramontato. Mi riporti tra le onde gelate e crudeli delle nostre estati bambine. Mi riporti alle tue mani bianche che non mi toccavano mai abbastanza. Mi riporti alle nostre chiacchierate senza capo né coda. Alle nostre differenze e alle nostre similitudini. Alle nostre bevute insieme, all’alcool e alle carezze rubate alla notte. Alle telefonate in piena notte e alle confidenze spezzate. Ai pianti, isterici e bagnati, deboli e afflitti. Ai sogni frammentati che mi hai rubato. Al tuo sorriso, al mio sorriso. Alla nostra infanzia, e adolescenza. Amicizia. Mi trascini tranquillamente attraverso quei momenti che pensavo immagazzinati ormai da tempo nel mio più profondo subconscio. E invece sono ancora lì. Le pizze. Le birre. I corteggiamenti, i segreti, le tue cotte, le mie cotte… E poi. Poi. Poi.

La distruzione di tutto per mano mia.

Come un castello di sabbia fragile e bellissimo, che distruggi con un solo colpo deciso, e poi smantelli con insistenza schiacciandolo con i piedi. E anche se hai cedimenti di un secondo nel ricordare quanto è stato bello costruirlo, quanto è stato bello viverlo, vai avanti a distruggerlo calcio dopo calcio. Questo mi hai scritto l’ultima volta che mi hai scritto. E poi mi hai chiesto: Perché l’hai fatto? Si può vivere senza l’amore. Ma come farò io a vivere senza la tua amicizia?

Ci sei riuscito, hai visto? Io sono riuscita a sopravvivere senza il tuo amore, tu senza la mia amicizia. Siamo cresciuti, maturati, diventati gli adulti che siamo ora, gli adulti che ora suonano e ascoltano questa musica.

Chissà se stai pensando a me.

Chissà se hai più pensato a me.

Chissà se dopo quel primo, apparente, dolore, hai più davvero sofferto come ho sofferto io. Chissà.

Forse questo tributo è un po’ anche per me. Un funerale in ritardo per la salma di quella vita che avremmo potuto vivere insieme. Sei tu l’assassino: buffo che sia proprio tu a celebrarlo.

Come farò io a vivere senza la tua amicizia?

Qualcosa però sono stata io ad ucciderlo. Un po’ è anche colpa mia, della mia frivola irrazionalità, del mio romanticismo gratuito, della mia innocenza corrotta…

Schiaffeggiami, ma finisci questo supplizio: Smetti di suonare, ti prego.

Vorrei alzarmi ma non ne ho la forza. Mi sento ancora stesa sul tuo letto ad occhi chiusi mentre tu ti eserciti per il tuo futuro di musicista e mi usi come tuo unico pubblico.

Chissà se ti manco.

Mi mancherai come non mi è mai mancato nulla. Già adesso il solo desiderio di riaverti indietro mi spezza il respiro, mi fa soffocare. L’importante comunque è che tu sappia almeno una cosa: in qualunque momento potrai tornare indietro. Questo non lo dimenticherai, vero? E quando penserai a me non penserai ad una brutta persona, vero? Quando penserai a me, cerca di pensare a qualcuno che sente la tua mancanza più che di qualunque altra cosa, e torna da me.

Mi piacerebbe sapere se queste parole valgono ancora per te. E proprio perché le ho imparate a memoria e sono state a volte l’unica consolazione in notti piovose e grigie, non potrei mai venire da te e chiederti se per te, con il senno del poi, hanno ancora un significato o no. Forse mi hai dimenticata del tutto, sono solo un ricordo sfumato, nonostante siamo stati così vicini, così vicini da sembrare quasi una stessa, sciocca, persona.

E poi improvvisamente, con un ultimo strascico di melodia, tutto s’arresta. Smettete di suonare e lentamente la sala viene avvolta, nuovamente, da un clima d’attesa. Il pubblico applaude. Voi vi portate a bordo palcoscenico e vi inchinate. Io continuo a non muovermi. Resto ferma con il viso rigato di lacrime e le guance rosse d’emozione. Poi la luce si riaccende e mi ritrovo scoperta, il viso bagnato e il mio dolore in una teca di cristallo che può essere guardato da chiunque. Mi asciugo in fretta gli occhi, mi avvolgo il collo e quel che posso del viso nella mia grande sciarpa rosso mattone e lascio che la folla mi inghiotta.

Finalmente aria. È gelata, entra nello strappo del giubbotto di jeans e mi ferisce la pelle. È una tetra giornata di fine ottobre, ma la pigrizia di vestirsi più invernale si è aggiunta alla desolazione di ammettere che l’estate è finita e con lei il tempo glorioso dei vestiti leggeri. Attraverso la strada e mi fermo sul marciapiede opposto. Una pioggia leggera inizia a cadere, si blocca tra le mie ciglia come un rimasuglio di lacrime cadute. Donne dai profumi costosi impigliati in altrettanto costosi cappotti si riversano ovunque, a braccetto con uomini vestiti bene e ben rasati. Io non centro nulla. Io, la mia crocchia che sta cedendo, il mio giubbotto bucato, la mia mini troppo mini, le mie calze pesanti e i miei stivali… Non centriamo. Sono l’unica con gli occhi ancora lucidi e le guance ancora chiazzate d’emozione.

E poi nella folla ti vedo. I tuoi occhi un tempo vibranti e instabili si bloccano nei miei. Ora sono fermi e stabili, la risata che ti muore sulle labbra è una risata sicura di se. Indossi una giacca elegante su pantaloni ben stirati, ma sotto quell’aria adulta e forte percepisco ancora la tua innocenza da bambino. I tuoi amici ti circondano e ti danno calorose pacche sulle spalle.

-Sei stato bravissimo, stasera.- Sussurro.

Mi guardi come se il mondo si fosse immobilizzato dentro di te. E quel tuo sguardo sottolinea il tempo che ci separa, lo spazio che ci separa. Tutto quello che c’è tra noi –La distanza e la vicinanza. Sulle labbra ti danza un ghigno, sei indeciso. Attraversare la strada e venire da me o voltare la testa e fingere di non avermi vista?

È con una grande, immensa, smisurata, fatica che anche io ti sorrido.

Sento la tentazione di tendere la mano verso di te, suggerirti di attraversare la strada e provare a sentire l’aroma di quella vita- la nostra vita- cui hai rinunciato.

Ma nel tuo essere così adulto, perfetto, forte, sicuro, capisco quello che hai cercato, goffamente, di spiegarmi quando eravamo solo ragazzini inesperti della vita.

Non potrei mai innamorarmi di te, benché lo faccia ogni volta che i tuoi occhi accarezzano i miei. Ogni tuo sorriso ad un altro, ogni tua idea sovversiva, ogni tuo gusto diverso, ogni tua frase spregiudicata, ogni tuo ricordo dolorosamente crudo… mi ferirebbe sapere che non ho le armi per difenderti da questo mondo. Fatico già abbastanza a difendere me stesso. Chiamalo egoismo, ma amare te sarebbe sacrificare il mio mondo. Sacrificare quel me stesso che dici di amare. Non c’è abbastanza spazio dentro di me per contenere tutto di te, tutto quello che ti rende così fantastica, così straordinaria… Sei al mondo la persona che preferisco. Ma ci deve essere qualcosa oltre a questo per costruire una storia che possa durare. E io non voglio essere un trentenne che va in chiesa la domenica mentre sua moglie a casa si prepara per andare a manifestare, capisci? Siamo come Romeo e Giulietta. Ma le nostre famiglie, scuole di pensiero, non ci uccideranno: ci trascineranno solo sulle due sponde diverse di uno stesso fiume. E nessun amore può essere così forte da creare un ponte che attraversi il fiume in piena delle tue differenze: che sono, insieme, la cosa che io più amo e più odio di te. Di noi.

Ti vedo avanzare verso il ciglio della strada, l’argine del nostro fiume. Ma capisco che se ti lancerai vi annegherai. Correrai verso di me e mi bacerai. Ma ci annienteremo a vicenda e affogheremo in un amore fatto di troppo e di troppo poco. Non voglio costruire nulla sulle macerie impolverate: non voglio costruire nulla che dovrò essere un giorno costretta a distruggere.

Ecco, finalmente abbiamo qualcosa in comune. Siamo cresciuti. Abbiamo rinunciato a questa cosa di noi due, che probabilmente ci avrebbe travolti, distruggendoci. E avevi ragione allora. Si può vivere senza l’amore, senza questo amore, ho potuto vivere. Ma avevi torto. Sei sopravvissuto anche senza la mia amicizia. E questo mi fa sentire meno colpevole perché, al di la di tutto, sono davvero affezionata a te e non vorrei ferirti in nessun modo.

Ti sorrido.

Mi volto.

Sparisco.

Sparisci.

Fine.

  
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