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Autore: claossoul    10/07/2013    1 recensioni
Il brano e ispirato ad una frase:
"Copritele il volto. Ha gli occhi abbacinati, e morta giovane."
spero che vi piaccia, e solo la prima storia che pubblico.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo sola in casa, era tardi ormai, e non riuscivo a dormire sopraffatta dai troppi ricordi che rumorosi risuonavano nella mia mente stanca, perseguitata dalle parole, non mi davo pace.
Correvo spaventata nei lunghi e macabri corridoi della villa, avevo l'impressione che i vecchi e polverosi ritratti mi fissassero dritto nell'animo illuminati da maestosi candelabri d'argento grondanti di fitte cascare di cera ancora fumante, quasi fossero lacrime di di sofferenza.
Non sapevo più cosa fare, sembrava che più corressi e più impazzissi. In ogni stanza sentivo le voci che ormai da tempo mi perseguitavano, vedevo fiumi di sangue sgorgare dagli occhi delle vecchie e ingiallite statue di marmo, i camini ardere i ricordi felici facendo spazio alla sofferenza.
Ero ormai consapevole del fatto di avvertire cose che altri non avrebbero sentito,
"E morta ormai da ore" diceva il pianoforte, almeno così credevo nel mio più triste delirio al quale la mia mente era distante, fredda, sapeva che non era pazzia ma cruda realtà.
Così, cercando conforto, correvo attraverso il soggiorno tanto austero da non concedere pianti, ma solo false risate, correvo nell'atrio avvolto dai puri riflessi del grande lampadario di cristallo metteva in soggezione soltanto a guardarlo : ci si vedeva riflessi per migliaia di volte nella nostra natura più pura, impassibile alle tetre fantasie.
Certo la serra non era di conforto con quelle grandi vetrate dalle quali potevo sentire i fulmini, violenti e disumani, rimbombavano nella pioggia. I crisantemi piano piano diventavano neri ed in coro parevano dire
"Sangue più non hai,viva mai sarai" e tutto ciò mi spingeva nel baratro che al culmine della sua oscurità proiettava figure si vetri, figure piene di risate tanto fredde da gelare il sangue nelle vene.
Non capivo più nulla, tutto girava al suono della pioggia che batteva sui coppi marci, e lavava il sangue, il sangue che haime, allaga l'anima mia; così in preda al delirio che mi accompagnava da tenpo al quale non avevo imparato a convivere,  ma solo a rassegnarmi, presi la prima cosa che trovai, era freddo, freddo come il gesto che stavo per compiere, freddo come il cielo che stavo per raggiungere, freddo come il mio ultimo sospiro prima di togliermi l'oggetto delle mie visioni, ma solo lì capì che non erano gli occhi il mio problema, era la mia anima, la stessa anima che volò il un delicato canto che risuona ancora oggi in quelle tristi mura, il canto di che di questo mondo ha colto forse solo la nostra più grande compagnia, il canto di chi ha colto ed accolto la sofferenza
  
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