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Autore: Chu    11/07/2013    4 recensioni
Raccolta eterogenea di one-shot ispirate dai prompt della Summer Klaine Week 2013.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Titolo: Così mi limito ad indietreggiare
Pairing: Klaine
Prompt: "What Would You Change?" dalla Summer Klaine Week 2013.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Romantico
Rating: PG
Avvertimenti: angst, cambio di PoV, slash.
Note: a fine storia. Per adesso: la citazione iniziale è dalla canzone Leaving New York degli R.E.M. così come la frase asteriscata all'interno della fanfic (il verso originale sarebbe: It's easier to leave than to be left behind). Il titolo invece è di una poesia di uno sconosciuto... Sono anni che cerco di capire da dove venga, ma non ho ancora risolto la questione XD se qualcuno lo sa mi contatti, VI PREGO!
Ah, non ho fatto in tempo a farlo betare, quindi per ora vi beccata la versione non betata e domani avrete la versione corretta e ripulita u_u


Così mi limito ad indietreggiare
 


In my future some shadows like glass
But carry your future,
Forget the past
But it's you,
It's what I feel.

(Leaving New York – R.E.M.)


Dopo aver detto ti amo alla linea morta del telefono, Blaine si sente irrequieto: sono giorni che avverte che la distanza fra lui e Kurt non è più solo fisica, ma che c’è anche qualcos’altro che è cambiato. Da quando Kurt è a New York, da quando ha iniziato a lavorare, tutto è diverso: non Kurt, che è sempre lui, entusiasta e iper-critico, ma soprattutto finalmente felice, non Blaine, che è sempre se stesso, mite e disponibile. È cambiato il loro rapporto; è cambiato per ragioni ovvie ed in una maniera che Blaine si aspettava – non vedersi tutti i giorni, non avere l’altro fisicamente accanto e sentirne la mancanza, ad ogni ora della giornata, erano tutte cose messe in conto. Ma c’è anche qualcos’altro, un nervosismo che gli corre lungo l’intero corpo, una sorta di corrente elettrica che gli fa avvertire un costante senso di vertigine.

Kurt è andato via e lui è rimasto indietro; Kurt ha il futuro, lui è ancora attaccato a quel presente che Kurt non vedeva l’ora di scrollarsi di dosso e che lui, senza Kurt, fa fatica ad affrontare. Kurt è un adulto, lui è ancora un adolescente: hanno problemi diversi, ritmi diversi, vite diverse.

Blaine si sente scivolare sempre di più verso quel buco nero che è Lima, Ohio, mentre vede Kurt avanzare verso le luce di New York, sempre più lontano, distratto da quella nuova vita, quasi unicamente concentrato su di essa. È qualcosa di spaventoso e frustrante, perché porta Blaine a domandarsi se c’è ancora spazio per lui.

Aspetta tutto il giorno per parlare di nuovo con Kurt ed anche quando sono faccia a faccia su Skype – ancora troppo distanti: lo schermo li rende virtualmente vicini e per assurdo fa avvertire meglio tutti i chilometri di lontananza che lo dividono da Kurt – non riesce a parlare.

Kurt non lo ascolta quando tenta di raccontargli la sua giornata; vorrebbe dirgli che la sua prima settimana da rappresentante d’istituto è andata bene e vorrebbe avere la sua opinione sulle idee che gli sono venute per portare avanti il mandato; vorrebbe raccontargli di tutto quello che sta succedendo nel Glee Club, vorrebbe dirgli mi manchi e ogni giorno guardo la sedia vuota accanto a me e mi sento un po’ fuori posto, e vorrebbe sentirsi dire frasi rassicuranti, ma non riesce a parlare, perché sa che Kurt non capirebbe.

Non lo biasima: sa che sta vivendo il suo sogno, nella città che ha sempre desiderato, lavorando per una persona che ha sempre idolatrato, ma… Ma lo sente sfuggirgli dalle dita. O forse è lui che fa un passo indietro ogni volta che Kurt ignora quello che dice con un sarai fantastico o un non preoccuparti.

“Blaine?”

La voce di Kurt gracchia dagli altoparlanti del suo portatile – ma non è sgradevole, la voce di Kurt non è mai sgradevole. Quando Blaine focalizza di nuovo la sua attenzione sullo schermo, Kurt lo fissa con un’espressione un po’ infastidita, sicuramente perché Blaine non lo stava ascoltando – e a lui viene da ridere, perché è ironico che sia Kurt ad arrabbiarsi.

“Non mi stavi ascoltando! Dov’eri finito?” gli chiede con un sospiro, ma sorride lo stesso.

Blaine tenta di ricambiare il sorriso, ma i muscoli del suo viso sembrano non rispondere e le parole che gli escono fuori dalla bocca non sono quelle che lui aveva deciso di dire.

“Mi spiace, so come ci si sente a non essere ascoltati…”

Kurt, a quelle parole, inclina la testa, curioso, perplesso, preoccupato. “Perché? Problemi nel Glee Club?”

Blaine quasi ride di nuovo, perché Kurt riesce davvero a non avere la più pallida idea delle cose, a volte, e lui vorrebbe che questa non fosse una di quelle volte in cui deve spiegare il problema al suo ragazzo, perché la causa del suo malessere è proprio lui.

“Nono, va tutto bene con il Glee Club,” risponde, dopo un momento di silenzio; poi guarda negli occhi Kurt, che sembra aperto e pronto ad ascoltarlo e forse, pensa, forse può parlare, forse può finalmente colmare quella distanza che non è più soltanto fisica. “A dire il vero, va tutto alla grande: c’è-”

Kurt sorride, dice grandioso, e poi ricomincia a parlare di qualsiasi sciocchezza stesse parlando un attimo prima.

Blaine non lo biasima, si ricorda, ma è troppo.

“Non m’interessa,” dice e stavolta Kurt si blocca, inclina la testa ed assume un’espressione incredula.

“Come?”

“Ho detto…” inizia Blaine, ma poi s’interrompe, sentendosi in colpa, ma solo per un attimo, perché la delusione ed il senso d’abbandono provati nei giorni precedenti sono troppo forti e crescono, crescono, crescono con il passare dei minuti, fino a trasformarsi in una bolla di rabbia e frustrazione, pronta a scoppiare da un momento all’altro. “Sono felice che tu stia vivendo il tuo sogno, nella città dei tuoi sogni, ma… è davvero necessario raccontarmi per filo e per segno com’era vestita una perfetta sconosciuta quando non mi hai nemmeno chiesto come sto?”

Kurt lo fissa a bocca aperta per qualche istante, la testa ancora inclinata, la posa rigida. “Io… non me n’ero reso conto.”

“Già, me ne sono accorto.” Blaine non vorrebbe avere un tono così amaro, così pieno d’accusa, ma non riesce a bloccarsi: sente la bolla continuare a tendersi e sa che è sul punto di scoppiare.

“Beh, non c’è bisogno di arrabbiarsi tanto ed essere così… scontrosi,” dice Kurt, incrociando le braccia e alzando il mento.

Tipico, pensa Blaine con amarezza: Kurt non accetta mai una critica, seppur minima, nemmeno da lui. Men che meno da lui, forse; nonostante il più delle volte Blaine abbia ragione e forse è proprio questo il motivo per cui Kurt non lo accetta: accettare significa ammettere d’aver sbagliato e Kurt Hummel non può sbagliare.

“Almeno in questo modo mi stai ascoltando,” biascica Blaine, ingoiando il nodo che gli ha stretto la gola: non può più tornare indietro ed il fatto che non voglia tornare indietro e rimangiarsi tutto lo preoccupa e lo elettrizza allo stesso tempo.

Kurt assottiglia gli occhi, che sullo schermo si trasformano in due fessure nere sul suo illuminato dal pc – pallido, quasi spettrale -, e rimane in silenzio per un momento solo. “Qual è il problema, Blaine?”

“Il problema, Kurt,” risponde lui, usando il suo nome come se fosse un’arma, un mezzo insulto, o forse solo perché vuole attirare la sua attenzione, ancora una volta, di più di quella che ha già. “Il problema è che sei… sei distante ed io sono qui, ancora in questo buco di città, ancora a scuola, e… Mi manchi e-”

“Ci sentiamo tutti i giorni! Non facciamo che stare attaccati al computer e al telefono!” ribatte Kurt, gli occhi larghi di incredulità e indignazione, come se Blaine stesse facendo dei capricci inutili e immotivati.

Blaine sente la bolla scoppiare: non è solo un’emozione, ma una sensazione fisica, come se qualcosa si sia improvvisamente piantata con forza nel suo petto. Immagina, in maniera molto vaga, un pensiero appena di sottofondo, che quella dev’essere la sensazione che si prova quando si viene colpiti con un pugno sullo sterno.

“Vuoi dire che io ti ascolto tutti i giorni,” dice con la voce bassa, stringendo i pugni nascosti sotto il tavolino.

Kurt sbuffa, roteando gli occhi e stringendo più forte le braccia al petto. “Sì, okay, ho capito, ma stai montando su una tragedia per una sciocchezza!”

“Kurt, non t’interessa più niente di me!” esclama Blaine, innervosito dal fatto che la sua voce sia rotta dalla frustrazione, dalla delusione; sente il cuore spezzarsi davanti all’ostinazione di Kurt e la cosa peggiore è che questo se da una parte lo fa sentire devastato, dall’altra parte, lì di fronte a lui, in quel momento, lo fa irritare, perché non capisce cosa stia succedendo.

Kurt lo guarda con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in un’espressione d’incredulità, come se non potesse credere alle sue parole. “Blaine, che diamine stai dicendo?”

Blaine si porta le mani sulla testa, schiacciando i pugni chiusi contro i capelli, ancora perfettamente ingellati appositamente per quella chiamata.

“Sto dicendo… Sto dicendo che va avanti da quando sei lì,” ammette alla fine, spossato, ma non meno rabbioso, confuso, ferito, deluso. “Quand’è stata l’ultima volta che mi hai chiesto come sto?”

Alla sua domanda, Kurt apre la bocca, pronto a rispondere, salvo poi accorgersi che non ha una risposta; Kurt non sa da quanto non gli fa quella domanda e Blaine, conto ogni aspettativa e logica, sente un piccolo moto di soddisfazione crescergli nel petto, solo per poi ferirlo ancora più profondamente.

“E… ti ricordi? Ho vinto le elezioni scolastiche e… quella sera non hai risposto al telefono.”

Sanno entrambi che è una bugia: Kurt non ha semplicemente non risposto. Kurt non ha accettato la chiamata e, per quanto abbia ripetuto che era perché stava lavorando, era importante, non poteva, Blaine non è sicuro di avergli perdonato il fatto di non averlo richiamato dopo, di avergli dovuto ricordare, il giorno successivo, che hey, c’erano le elezioni ieri, sai, ho vinto.

“Ti ho detto che stavo—”

Blaine non gli permette di finire la frase; non ha più un filtro e, per una volta, vuole essere lui a parlare, ignorando l’altro. “Non mi hai richiamato dopo. E sì, te ne sei dimenticato, e succede, lo so, ma il giorno dopo? Capisco che i miei stupidi problemi da studente di liceo non ti riguardano più…” – a quelle parole Kurt mormora un non è vero, ma Blaine non lo sente, non vuole sentirlo – “Ma riguardano me ed io, teoricamente, sono ancora il tuo ragazzo e dovrebbe interessarti ancora qualcosa di me.”

“M’interessa…” tenta di nuovo Kurt, ma è mortificato e confuso, e quando è in questo stato d’animo Blaine sa che la reazione immediatamente successiva è la rabbia. “Sono solo… Cerco di coinvolgerti nella mia vita! Cerco di non farti sentire… lasciato indietro.”

“Stranamente non ci riesci.”

“Cosa vuoi che faccia? Sono… ho tante cose da fare, sono impegnato, Blaine! Non puoi pretendere che non mi dimentichi di—”

“Di cosa? Di me?”

“No, non…” Kurt alza le braccia la cielo, frustrato, gemendo con irritazione. “Mi sembra di star parlando con un muro! Ti sei fissato su questa cosa, come un bambino che fa i capricci!”

Blaine ride di nuovo amaramente, alzando le mani in segno di resa. “Bene, allora, dall’alto della tua maturità, dimmi, Kurt: che cosa dovrei fare? Starmene zitto e buono e farti le feste quando mi dici bravo ragazzo, per poi tornartene alla tua meravigliosa nuova vita? Se è questo che vuoi, ti consiglio di prenderti un cane!”

“Beh, un cane almeno mi darebbe retta e la smetterebbe d’essere così lagnoso e appiccicoso!” sbotta Kurt, fissandolo con rabbia, la voce stridula per lo sforzo di trattenere… cosa? Lacrime? Irritazione? Non gli interessa.

Blaine non si scompone minimamente, nonostante sia profondamente ferito da quelle parole – sa di aver bisogno di attenzioni, e sentirselo dire in quel modo è una cosa che lo fa infuriare, perché lo fa sentire debole e pieno di vergogna. “Beh, scusami per volere che il mio ragazzo si interessi a me.”

Gli occhi di Kurt sembrano baluginare nel buio dello schermo e si fissano sui suoi con rabbia. “Non farmi fare la figura dello stronzo, Blaine, non… non me lo merito! Sei stato tu a volere che venissi qui, sei stato tu a dirmi che a Lima ero bloccato e non riuscivi a sopportare di vedermi infelice. Adesso cosa è cambiato? Adesso che sono felice, cosa è cambiato?”

Blaine non sa più che fare. Non ha più le forze per cercare di far ragionare Kurt – troppo vulnerabile e arrabbiato per riuscire davvero ad ascoltare -, non riesce più nemmeno ad essere arrabbiato. Sente solo un ronzio nelle orecchie e un sentimento vuoto corrergli nelle vene come un formicolio, un intorpidimento del suo intero corpo.

“Se non lo capisci è inutile discuterne…”dice, sconfitto e deluso.

Kurt lo fissa ancora alterato, ancora irritato da quella discussione ricca di accuse non troppo velate. “Non fare il passivo aggressivo, ora.”

Blaine scuote la testa. “Vado a dormire…”

“Blaine…” Il tono è perentorio, c’è un chiaro avvertimento nella voce di Kurt, ma lui decide di ignorarlo perché non serve a niente.

“Non ho più voglia di parlare.”

Kurt alza le mani, l’irritazione che gli deforma il viso in una smorfia. “Fai come ti pare!” esclama senza guardarlo, il capo voltato di lato, in maniera totalmente disinteressata. Eppure Blaine, per un attimo, pensa che quello sia il massimo picco dell’attenzione raggiunto in un mese di lontananza ed è solo perché stanno litigando e Kurt si è sentito accusato.

“Buonanotte,” biascica, ma non riceve risposta – non se ne aspettava una, in effetti – e spegne il collegamento.

***

Kurt conta le ore passate da quando Blaine ha chiuso la chiamata: vuole vedere quanto tempo ci metterà Blaine a richiamarlo e dargli delle spiegazioni.

O almeno è quello che si dice per le prime tre ore d’attesa. Quando si mette a letto – esattamente dopo tre ore, ventotto minuti e una manciata di secondi – Kurt è ancora più arrabbiato, perché Blaine non l’ha chiamato.

La mattina successiva, dopo dieci ore, diciassette minuti e qualche secondo dalla telefonata, Kurt accende il cellulare nella speranza – lo spera per Blaine, ovviamente – di trovare almeno un sms di scuse.

Ma la casella dei messaggi è vuota e non ci sono email, o messaggi privati su Facebook, niente di niente.

Kurt va a lavoro ancora irritato, ma man mano che le ore passano – dodici ore e tre minuti, quindici ore e quarantadue minuti – l’irritazione lascia il posto alla confusione e alla preoccupazione.

Non è mai successo da quando è a New York che Blaine non lo contattasse in qualche modo per più di un paio d’ore – e anche quella volta era stato solo perché aveva avuto un test a sorpresa – e la cosa lo fa sentire incerto: cosa vuol dire?

Una volta tornato a casa – dopo venti ore e un minuto – la confusione e la preoccupazione hanno lasciato spazio al panico: vuol dire che si sono lasciati? Vuol dire che Blaine non vuole più avere nulla a che fare con lui?

Rachel si accorge del suo malessere e lei e Finn, invece di uscire per andare a cena insieme, restano con lui per tutta la sera, cercando di capire cos’è successo e di farlo cenare, almeno un altro boccone, solo un’altra forchettata. Kurt ha lo stomaco chiuso da quella mattina, ma li accontenta, perché non vuole farli preoccupare.

Rachel gli dice che Blaine è stato molto egoista nell’avergli detto quelle cose; lui, del resto, sta vivendo la sua nuova vita a New York ed è normale che ogni tanto si dimentichi di chiedere al suo ragazzo come sta. E poi a Lima è sempre tutto uguale, cosa vuoi che succeda?

Kurt sarebbe stato d’accordo con lei, ventuno ore e trentacinque minuti prima, in quel momento di rabbia cieca; ma ha avuto tempo per pensarci tutto il giorno e si rende conto che Blaine aveva ragione. Non si ricorda nemmeno quanto tempo è passato dall’ultima volta che gli ha chiesto come sta ed ha effettivamente ascoltato la risposta.

Finn è silenzioso mentre Rachel parla e questo non sarebbe strano, se Kurt non si accorgesse che non è che sta tenendo fuori dalla sua testa il discorso, non sta pensando all’ultimo videogioco che ha giocato, o a cosa mangerà di lì a un paio di minuti; Finn è pensieroso e sta riflettendo su quella situazione.

“Finn?” domanda Kurt, mettendo fine al lungo monologo di Rachel. Il fratellastro non lo guarda, ma fa un verso di riconoscimento e Kurt lo fissa, sentendosi stanco e spossato, e sperando che lui possa dirgli qualcosa di diverso. Finn, per quanto non propriamente brillante e sveglio, è sempre riuscito in qualche modo a dargli una prospettiva diversa quando aveva un problema. “Cosa ne pensi?”

“È più facile andarsene che essere lasciati indietro*,” dice Finn con aria concentrata.

Rachel e Kurt si rivolgono un’occhiata perplessa, poi Kurt assottiglia gli occhi e guarda il fratellastro. “Non è una canzone degli R.E.M.?”

Finn annuisce, l’espressione ancora seria e pensosa, prima di voltarsi ad osservarli. “Però è vero…” Al silenzio che accoglie quell’affermazione, il ragazzo sbuffa, agitando le mani come per afferrare un concetto. “Quando Rachel è andata via ero… era tutto più difficile. E strano. Non nel modo divertente. Voi ve ne siete andati e per voi era facile…” Con un piccolo singulto, si interrompe – dev’essere stata un’occhiataccia di Rachel – e ritenta. “No, non più facile! È solo che siete dove volete essere, mentre io… e, beh, anche Blaine siamo rimasti indietro. È come se ci aveste abbandonati, e, sì, lo so che in stazione ti ci ho portato io, Rachel, ma voi siete andati avanti e noi no. E fa male.”

Kurt inizia a capire ciò che suo fratello sta disperatamente cercando di comunicare e, finalmente, la confusione si fa man mano meno fitta, come se le parole che Blaine gli ha detto il giorno prima – ormai ventidue ore, tre minuti e qualche secondo fa – stessero infine assumendo significato.

C’è silenzio intorno a lui, e quando Kurt se ne accorge decide di lasciare Rachel e Finn da soli, perché è evidente che hanno bisogno di parlare, tanto quanto Kurt ha bisogno di riflettere. Si ritira nella sua parte dell’appartamento, augurando la buonanotte ad entrambi e ringraziandoli – nessuno dei due gli risponde, ma Rachel gli dà un bacio sulla guancia e Finn gli sorride in quella maniera che è tutta per lui, che dice ti copro le spalle, fratellino – e, steso sul suo letto, riesce ad isolarsi dall’appartamento, a chiudere fuori i bisbigli di Rachel e Finn e a pensare alle parole del fratello.

È più facile andarsene che essere lasciati indietro.

Andarsene, pensa Kurt, non è stato facile per tanti motivi – lasciare suo padre, lasciare la sua famiglia, la sua casa, Blaine e anche lasciare Lima che, che lui volesse o meno, è stata la sua città per diciotto anni. Ha fatto male e, una volta salito sull’aereo, ha sentito qualcosa rompersi; non il legame con quel luogo e con quelle persone, ma qualcosa, forse delle immaginarie catene che lo tenevano bloccato a quel posto o forse qualcos’altro. L’ansia e la preoccupazione per quello che avrebbe trovato – o non trovato – a New York erano paralizzanti, è vero, ma l’entusiasmo e le aspettative per le mille strade che gli si aprivano davanti erano più forti.

Nella sua valigia, in fondo, Kurt aveva messo solo tutti i suoi sogni, lasciando le delusioni e le frustrazioni di Kurt Hummel, adolescente gay della bigotta Lima, lì, nella cantina di casa insieme agli scatoloni con le cose da buttare – e che suo padre non getterà mai via.

Ma per Blaine è stato diverso, adesso lo capisce. Blaine l’aveva incoraggiato ad andare via, l’aveva supportato e spinto su quell’aereo perché sapeva quanto fosse importante per Kurt; gli aveva sorriso fino all’ultimo momento, sempre positivo davanti a lui, ma quel che era successo quando Kurt gli aveva voltato le spalle è qualcosa che Kurt non sa, ma immagina.

Sa cosa vuol dire essere lasciati indietro e conosce l’abbandono nella sua forma più definitiva; non avrebbe dovuto far sentire Blaine abbandonato, non avrebbe dovuto farlo sentire poco interessante, non importante rispetto alla sua nuova vita. Perché la vita di Kurt a New York è stata divertente ed elettrizzante finché sapeva che, una volta tornato a casa, avrebbe raccontato tutto a Blaine – non solo per quello, ma anche per quello.

Si era lasciato prendere la mano da quella sensazione che gli faceva sentire la testa leggera ed aveva fallito il vero obiettivo di quei racconti: rendere Blaine partecipe, fargli capire che non importava quanto distante fosse da Kurt, lui avrebbe sempre continuato a pensarlo.

Kurt guarda l’orologio: l’appartamento è silenzioso e sono passate ventisei ore e cinquantasette minuti dall’ultima volta che ha sentito Blaine.

È tardi, ora, per chiamarlo, ma domani… domani…

***

Blaine sente il cellulare vibrare nella sua tasca e lo tira fuori aspettandosi un messaggio delirante di Tina o uno pieno di abbreviazioni incomprensibili da parte di Sam.

Sussulta quando vede che non si tratta né dell’una né dell’altro, ma che è Kurt.

Kurt lo sta chiamando e lui si sente senza fiato e tremante e corre fuori dalla mensa, via, lungo il corridoio, il più veloce possibile verso un posto appartato.

“Kurt!” risponde, quasi gridando, senza fiato per la corsa, ansioso di rispondere e terrorizzato dal fatto di non sapere che tono di voce avrà Kurt quando gli risponderà.

Kurt, però, non parla per qualche attimo e Blaine pensa, in un momento di panico, che abbia riagganciato perché Blaine non stava rispondendo e santo cielo, forse pensa che voglia fargli assaggiare la sua stessa medicina, ma no, no, Kurt è lì, sente il suo respiro.

“Kurt?”

“Mi dispiace.”

È tutto quello che dice e significa il mondo intero per Blaine, che prende un profondo respiro e sente come se quello sia il primo verso boccone d’aria dopo quasi due giorni di apnea.

Kurt continua a parlare dall’altra parte del telefono, spiega, si scusa, gli dispiace, non si giustifica, non è quello che sta facendo, ma devi capire, Blaine, ti prego.

Blaine capisce, comprende perfettamente ed è lì, pronto a perdonarlo, ma si ferma e prende un altro respiro.

“Blaine?”

La voce di Kurt è stanca, incerta, contrita, ma non trema ed è onesta. Quasi basterebbe, ma Blaine si sente ancora sospeso, si è avvicinato verso di lui invece che indietreggiare, ma manca ancora un passo e Kurt non può farne altri.

“Quando siamo andati nell’ufficio della signorina Pillsbury qualche mese fa, e ti ho detto che avevo paura della nuova vita che avresti avuto a New York,” dice, a voce bassa, come se stesse scambiando un segreto con Kurt. “Tu allora mi hai detto…”

“Ti ho detto che non mi avresti perso.”

Kurt lo dice con tono sicuro, pieno d’affetto e Blaine ricorda il modo in cui l’ha guardato in quel momento – gli occhi lucidi di lacrime e carichi d’amore. “L’hai detto,” sorride, consapevole che Kurt avvertirà quel sorriso nella sua voce.

“L’ho detto… E non mi hai perso, Blaine, lo giuro,” aggiunge con fermezza e urgenza, come se avesse paura che il messaggio non sia ancora arrivato e Blaine sta per dirgli che va bene, ha capito, lo sa, ma Kurt aggiunge, con la voce rotta dall’emozione: “Ma io stavo perdendo te… E non voglio che succeda.”

Blaine strabuzza gli occhi, sorpreso. Kurt forse non si è accorto di un sacco di cose e si è dimenticato di altrettante; ma in qualche modo, si è reso conto di questo e adesso sta cercando di mettere insieme i pezzi. Blaine sorride di nuovo, dice nemmeno io voglio che tu mi perda e poi ridono entrambi, piano, con le voci basse e tremanti, ma insieme.

Non sarà facile e ci saranno delle piccole ricadute, Blaine lo sa come lo sa Kurt, ma ci lavoreranno insieme e, prima o poi, andrà di nuovo tutto bene.

Fine

Note finali

Suppongo che la storia parli per sé, ma beh, alla domanda cosa cambieresti? la mia risposta è stata più o meno un: "Uhm, tipo rendere Blaine un personaggio non dico coerente con quello della II serie, ma quanto meno con quello della III?"
Perché tutti ci ricordiamo cosa dice a Kurt quando questi si sentiva messo da parte: "Allora parlami, ma non tradirmi." (traduzione approssimativa di una cosa che mi ricordo vagamente XD)
Appunto.
Blaine, bimbo mio... ;_;
  
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