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Autore: Neal C_    11/07/2013    4 recensioni
[AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI_ l'autrice chiede perdono per le lunghe attese! T.T ]
Nel 1989 aveva diciassette anni, viveva in un posto sperduto della California, Rodeo, vicino Berkeley e “frequentava” gli Sweet Children e i ragazzi della Squatter House tra la West 7th e Peralta Street.
Adesso, nel 2004, ne ha trentaquattro di anni, è felicemente sposata con il solito marito scansafatiche fissato con la musica, ha due figli, e la maggiore è la tipica adolescente piena di pretese, con le stesse manie del padre.
È sempre lei, Virginia Foster, ma gli Sweet Children non esistono più, sono diventati i Green Day e sono il nuovo successo dell’anno.
Tutte le radio trasmettono “American Idiot” o “Boulevard of Broken Dreams” e, purtroppo per Virgin, anche quella di camera di sua figlia.
Un piccolo seguito di “Pinole Valley 1989-1990” che continuava a frullarmi in testa.
Enjoy!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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Sorprese


[POV Alice]


Qualche anno fa mia madre, borbottando come suo solito, mi aveva caldamente raccomandato di non rivolgermi mai a Zia Jenny, qualunque cosa dovessi chiedere, se non in caso di emergenza, in caso di straordinaria emergenza.  Quanto avrei voluto ascoltarla!
Non potevo farcela da sola ad organizzare un pranzo per quindici persone.
 Ero terribilmente demoralizzata all’idea che tutto poteva andare a puttane e non volevo assolutamente annullare.
È la mia grande occasione per conoscere i Green Day, avevo pensato,  deve funzionare!
O comunque la farò funzionare io.
Insomma, per farla breve, mi serviva un alleato potente e papà non solo non era in grado ma non era nemmeno in casa anche se sarebbe dovuto rientrare ieri sera.
Come niente si sarà andato a sbronzare con i suoi studenti e colleghi da qualche parte, intenti ad ascoltare un po’ di musica da pianobar. Non gli ho nemmeno lasciato un messaggio per avvertirlo del casino che ho combinato.
Papà è decisamente assente e non sarebbe capace di organizzare nemmeno un vassoio di tartine, figuriamoci un pranzo per quindici persone.
Allora ho chiamato Jenny.
Era in officina e trafficava con un tubo di scappamento di una vecchia Audi, e mi ha subito passato Nicole.  Mi sono sentita più tranquilla;  in fondo Nicki è il tipo remissivo, gentile, mai audace, una grande ascoltatrice e molto più saggia della Zia Jenny.
Proprio ora aveva deciso di vivere una vita spericolata?!
E io, trovandola un’idea geniale ho subito pensato di accettare.

“Potremmo organizzarlo da me!”
“Da te?”
“Beh, al mio piccolo agriturismo, a sud di West Hollywood.
Qualche strada più avanti rispetto a V Sunset Boulevard.”
“Praticamente vicino casa!”
“Già.  Al pranzo ci pensa il mio servizio di catering, il posto lo preparo io e…”
“Cosa?”
“Senti, Jenny mi sta facendo strani segni…”
“Quali segni? Pronto?! Nicki?! ”
“Nicki, amore, molla il telefo…ecco…
  Lys, è un problema se invito qualcuno?
Mi è venuta un’idea.”
“Non lo so, Zia…”
“Non ti preoccupare cocchina, lascia fare a Zia. Ho tutto già in mente, devo fare qualche telefonata ed è fatta. Ultima cosa: hai il numero di telefono di Billie?”
“Chi? Cioè, si!”
“Mandalo via messaggio. Stasera ti chiamo e ti faccio sapere.
Ciao.”

Mi ha sbattuto il telefono in faccia, fin troppo frettolosamente.
A quel punto avrei dovuto sospettare qualcosa, ma io, da brava idiota, mi sono rilassata pensando alla fortuna che mi era capitata visto che così tutti i problemi di organizzazione se li era accollati Jenny e sono andata serenamente a vedermi un film con mamma, un thriller che passano in tv tratto da Grisham, forse.
Checché ne dica mia madre io non ho affatto le sue manie di controllo.
Io non mi agito per un nonnulla.  Perché dovrei?
Era tutto assolutamente sotto controllo.
Stamani poi mi sono svegliata alle sei del mattino, agitata come non mai.
Ho tentato di riaddormentarmi per un’ora buona, ho bighellonato in giro, acceso la tv, cercato lo jogurt in frigo ma era finito, dato la pappa al gatto della vicina (quella donna bisbetica lo lascia morire di stenti, è così carino!) , osservato l’orologio ossessivamente fino alle nove del mattino.
Ho avuto un’illuminazione mentre facevo la terza mano di solitario, totalmente rincoglionita.
Cazzo! Zia Jenny non mi aveva fatto sapere più niente!
Ho tentato di rintracciarla sul cellulare ma era irraggiungibile e così anche Nicki.
Non so nulla. Se ha organizzato tutto a dovere, se ha fatto la spia con mamma, se ha dato appuntamento a Billie, lo ha rapito e adesso sono su un isola del Pacifico a spassarsela alle mie spalle. Sto per andare nel panico.
Improvvisamente  compare sulla soglia della cucina Charlie, mezza assonnata, con i capelli dritti in testa, e l’andatura dondolante.  Il sonno più che riposarla sembra ridurla come una strega, tutta sfatta e con le occhiaie.
“Mbuondgioornmoo…”
Biascica qualcosa ma io non ci faccio caso, mentre metto il caffè sul fuoco e giro il fornelletto a gas. Ci metterà un po’ a cuocere, dovremmo cambiare cucina. Mai che la mamma si decida a fare una spesa che valga la pena di fare.
Poi suona la porta e per poco non mi prendo un infarto.
Chi diavolo sarà alle dieci meno un quarto di mattina?!
Mi sono lanciata verso la porta, mentre Charlie si ritraeva terrorizzata,  facendo un salto indietro per non essere travolta dalla mia furia.
Ho spalancato l’uscio con gli occhi sbarrati come in una scena da film horror e ho visto comparirmi davanti un tizio in jeans e maglietta, con un cappellino da baseball che mi fissava decisamente stranito, con un grosso pacco di carta in mano.
Ho salutato imbarazzata e lui ha annuito perplesso, avrà risposto al saluto o forse non avrà capito neanche una sillaba di quel che ho detto.
Si è schiarito la voce, facendo un passo avanti e tendendomi il pacco con un sorriso amichevole buttato lì, all’ultimo momento. Stringeva le labbra in maniera un po’ equivoca come se si stesse trattenendo a stento dal ridere.
“Avete ordinato una torta alla ricotta?”
“Cosa?”
“C’è in casa la Signora Foster?”
“No”
“Questa è la torta che aveva ordinato ieri nel pomeriggio.”
“Oh, grazie.”
“Tutto pagato.”
Ho afferrato la torta e stupidamente ho fatto un cenno a Charlie perché me la prendesse di mano e la appoggiasse in cucina. E stranamente ha inteso tutto così sono rimasta a fissare il tizio fuori alla porta, mister cappellino da baseball,  sui vent’anni, un neo che fa tanto chich sul mento e i capelli medio corti con un ciuffo tenuto alla ben e meglio con il gel o che so io.
Quello che non si leva dalla porta di casa mia, CHE DEVO FARE?!?!
“Aehm… scusa ma… che vuoi?”
Mi sento tremendamente stupida ma non ho un minuto da perdere. Sono già le dieci e mia madre, o Zia Jenny, o Billie, o chiunque altro potrebbero arrivare da un momento all’altro.
Quello sbuffa scocciato e incredulo come se fossi all’oscuro di un dettaglio fondamentale.
“La mancia, scema.”
LA MANCIA?!?!?! Devo dargli anche la mancia?! Non ho parole. Ma quanto sono sfacciati da uno a dieci i facchini qui a Los Angeles?!
Arrossisco come una ragazzina al suo primo appuntamento o come una ragazzina che ha appena fatto una figura di merda colossale, per essere più precisi.
Bofonchio qualcosa e richiamo Charlie ma stavolta non capisce. Peccato, mi ci stavo quasi abituando. Da stamattina è di quanto più simile ad un cane abbia mai avuto, almeno fino ad ora.
Gli sibilo un “stai con lui” e mi fiondo in camera ad attingere dal mio borsellino di pelle.
Mi dico che un dollaro andrà bene anche se in realtà non ne ho idea.
Lui lo intasca senza fare tante domande, con una smorfia e mi confida con un sorrisetto irritante
“tu sei tutta matta”
“Grazie tante”
Gli sbatto la porta in faccia e vorrei tanto rimettermi a letto, sparire e non pensare più a niente.
Poi sento un ribollire e un improvviso rumore di schizzo. La cucina è un disastro, il caffè è per terra, sulle pareti, sugli armadietti, sui fornelli, dovunque!
Spengo il fornello rabbiosa e afferro una spugna, per poco non mi scotto contro il metallo della macchinetta, mezza rovesciata sul ripiano di marmo. Che casino.
Poi la porta, quell’odioso campanello che suona come il cinguettio di un canarino.
Lascio andare la spugna nel lavandino, grondante di sapone marsiglia e acqua tiepida e mi precipito ad aprire.
“Buongiorno carina!”
Oddio no… dimmi che non è vero.
La vicina, una vecchiettina innocua che ha seppellito quattro mariti e ha chiesto gli alimenti ad altri due, con quattro o cinque figli dispersi per il mondo, mi sta fissando con i suoi fondi di bottiglia spessi come il copertone di una jeep.
Potrei morire.
“Amorino, uccellino,  ciccina, piccolina, come va? Quanto tempo eh, canarino?”
“Buongiorno, Mrs Phinnigans”
“Delfinetta di zia, ho finito lo zucchero!”
“Si certo, arriva.”
Ritorno con il nostro imbarazzante barattolo a forma di zuppa Campbell.
Questo di sicuro lo ha scelto mio padre.
“Ecco a lei…”
“Cucciolottina, angiolotta, piccipiiicci, ho finito anche la farina!”
Mi inchiodo sul posto con un sospiro. Devo stare calma.
Improvviso uno dei miei migliori sorrisi a trentadue denti (e farei bene a godermelo perché tra poco mi toccherà portare l’apparecchio, orrore) e annuisco con tranquillità, simulata con la freddezza di un’attrice di Hollywood.
“Certo che si, un attimo.”
“Grazie, cicciottina, nipotina bella ”
Afferro il barattolo della farina e per poco non rischio di romperlo ma mi sbilancio quanto basta per rovesciarne metà sulle piastrelle della cucina, sul caffè.
Stando attenta ad evitare la macchia che si allarga a vista d’occhio nella mia cucina lancio un’occhiata disperata a Charlie che… non c’è!  Dove cazzo è la gente quando ho bisogno di lei?!
Ma quando torno dalla vicina quella per poco non mi strappa la farina di mano aggiungendo sempre più zuccherosa e stridula:
“Confettino,  principessina,  anima mia, avete per caso del lievito? ”
“SIGNORA NON ABBIAMO PIU’ NIENTE ADESSO SI LEVI DAI CO…” 
annaspo e per poco non mi strozzo mentre lo sguardo di Mrs Phinnigans si fa quasi tetro e mi lancia un avvertimento di fuoco. Prendo un bel respiro e finisco, tossendo appena un pochino.
“Purtr…ooppo queesto èè tuuuto…”
“Oh cioccolatino non importa. Grazie tante, verrà uno splendido dolce. Ve ne porterò una fetta.
Vedo che ne avete bisogno visto che ne ordinate in pasticceria” commenta velenosa indicando la confezione di carta che un quarto d’ora fa aveva lasciato quel tizio.
“Bene, pinguinetta” lancia uno sguardo eloquente al mio pigiama  “io mi levo dai co...co…come si è fatto tardi! Salutami la mammiiina!”  Trilla allegra la strega.
Furente richiudo la porta mentre penso allo schifo che mi aspetta in cucina.
Mi precipito nello sgabuzzino delle scope e con stracci, acqua e detersivo per pavimenti riesco a venirne a capo. L’orologio con le ciliegie appeso al muro mi sbeffeggia, segnando quasi le undici e dieci. Mi sono persino macchiata il pigiama. Che giornata di merda.
DING DONG
Osservo, sfinita, Charlie che scende allegramente dalle scale andando ad aprire con tranquillità e stoicismo. Ed eccola che emette un urletto di contentezza.
Mi catapulto fuori dalla cucina in pigiama e atterro a qualche metro da Billie Joe Armstrong che mi sorride amichevole e, dopo un momento di stupore e perplessità torna a sorridere con una bella fila di denti… non proprio bianchi ma ci si accontenta.
“Alice, giusto?”
“Si infatti. ciao. siete arrivati presto.”
“Non direi. Sono quasi le undici e mezza. E dobbiamo ancora passare a prendere Jenny, Nicki, Rod, Ned, Stephen, Mike, Tre, Matt, Steave, Fred…”
Lo osservo mentre enumera una serie di nomi a me totalmente sconosciuti, appoggiandosi alla maniglia della porta come se gli costasse fatica stare in piedi.
“Ok ok ok, frena… pensare…ho bisogno di pensare”
“Andiamo, questa cosa l’hai organizzata tu, ragazzina.”
“NO! Nononono, io volevo soltanto un autografo!”
“Dai, ci sarà da divertirsi. Non vuoi conoscere il passato di tua madre? Sarà esilarante”
Uno scintillio negli occhi ed è fatta.
Per un attimo penso davvero che questa sia la cosa più sensata da fare.
Sul serio.
“Ok. Adesso che ne dici di levare quel pigiamino che è tanto carino e tenero e metterti qualcosa addosso?”
Oddio! Avevo il pigiama con i pinguinetti!
CHE FIGURA!!!
 

Fatto sta che,  una doccia frenetica, rischiando una frattura grave sul pavimento scivoloso del bagno, compaio in salotto, vestita in jeans rossi  a zampa e top bianco con Charlie al mio fianco, in jeans scuri e lunga magliettina nera con le borchie intorno al collo.
Quei tre sono spaparanzati sui divani e noto che si sono serviti da soli, almeno a giudicare dai tre bicchieroni di birra ghiacciata in cui galleggiano dei cubetti agonizzanti e mezzi sciolti.
Non commento e dopo aver cacciato tutto nella mia fedele sacca di pelle indiana impugno le chiavi e la busta della torta alla ricotta.
“Ragazzi , che faccio con quest’affare?
Lo presentiamo a tavola?”
A dissuadermi è la consapevolezza che è quasi a metà.
Se la sono sbafata.  In neanche un’ora. Che roba.
“Squisita, i miei complimenti al cuoco”  ironizza Tré, ridacchiando furbescamente.
Decido che è il caso di andarla a mettere in frigo e lasciarla lì per quello che regge.
Finalmente usciamo di casa e io sto cuocendo dalla curiosità di vedere le loro macchine.
E scopro che hanno affittato un furgoncino per almeno dieci persone.
Mentre Mike riscalda il motore sento BIllie gridare come un cowboy al galoppo e penso che la cosa mi è decisamente sfuggita da mano.


 ************************



[POV Vig]

Ero profondamente incazzata con mio marito, stavolta più del solito.
Quel cretino di Jules non rispondeva  al cellulare e neppure la sua preziosa allieva.
In ufficio il telefono squillava, gli avevo lasciato almeno dieci messaggi sulla segreteria telefonica (peccato che gli insegnanti di conservatorio non abbiano una segretaria) per non parlare delle centinaia di mail di avvertimento che probabilmente a quest’ora infestavano la casella del suo Blackberry.
Mi rassegno a riporre il cellulare in borsa mentre entro in farmacia per prendere le vitamine.
Non devono mai mancare a casa mia. Ai bambini preferisco darle sotto forma di alimenti ma siccome non mangio frutta ogni tanto sento il bisogno di integratori alimentari.
Saluto il farmacista, Paolo, con un sorriso stanco e lui mi consiglia l’ennesimo rimedio omeopatico che rifiuto gentilmente.
Non che non mi fidi dell’omeopatia ma non voglio avere altri rimedi “pseudo-medicinali” appresso. La mia borsa è già abbastanza congestionata e confusionaria senza bisogno delle capsule di arnika 200.
Proprio mentre do un’occhiata ad un nuovo idratante “naturale” e aspetto che Paolo risorga dal retrobottega mi arriva una chiamata di Jenny.
“Vig!”
“Ehi”
Esco dal negozio per cercare un punto dove prenda la linea ma continuo a non sentire quello che lei mi urla nelle orecchie.
“…iam…ven…do…rende…t”
“Come?”
“stia…a…ve…a…preen…de…ti”
“Jenny, non ti sento!”
“STIAMO VENENDO A PRENDERTI!”
Urla qualcuno dal finestrino di un enorme furgone.
Mi giro, allarmata e incredula.
è là, che mi saluta dal finestrino, mentre Billie è saltato giù da quel coso enorme, uno di quei furgoncini blu d’affitto che avrebbero potuto contenere una scolaresca in gita.
Le ruote sono mezze sgonfie e hanno un’aria decisamente poco sicura.
Davanti a me Billie Joe Armstrong in maglietta a righine sottili sul grigio e una giacca di pelle nera si avvicina fino ad abbracciarmi calorosamente.
“Ehi Prof”
“Armstrong, ti dispiacerebbe informarmi di quello che sta succedendo?
Sai com’è avrei ospiti a pranzo, io.”
“Ospiti? Ce li abbiamo tutti noi gli ospiti. Salta su che sto morendo di fame.”
Mi indica il furgoncino dove una folla di gente chiacchiera allegra; visi familiari fra l’altro.
“Billie non sto capendo, chi è tutta questa gente?”
Mi avvicino sospettosa, osservando attentamente i visi oltre i vetri che ridono e ammiccano fra loro.
Poi una donna si gira verso di me e, dopo l’iniziale sorpresa sopraggiunge la gioia.
“Oddio… ma tu sei Meggy!”
“Vig, da quanto tempo!” sento la sua voce attutita dal vetro del finestrino.
Senza più indugio mi infilo nel furgoncino e vengo investita dai saluti di almeno una decina di persone.
Le osservo meravigliata mentre il passato si trasfigura in presente, davanti ai miei occhi sbalordita.
Margaret Morgan*, la mia amica di una vita, con i suoi riccioli castani, un tempo diligentemente cotonati, oggi ripassati con il ferro e la frangetta piastrata, color biondo paglia.
Sempre e incessantemente alla moda, a qualunque età.
Accanto a lei è seduto un uomo, in giacca e camicia bianca con iniziali ricamate sul taschino che spuntano fuori prepotenti, in blu scuro e l’aria da manager affermato con tanto di occhialetti.
“Vig, ti ricordi di George?”
Non ci posso credere! Il fidanzatino di Los Angeles*. Non mi dire.
“parlo con il signor Morgan?” scherzo con tono solenne scatenando le risa dei due coniugi.
Evidentemente ci ho azzeccato.
“E Sabina?”
Sabina Ramirez*, altra nostra amica storica, mi saluta entusiasta qualche fila di sedili più dietro.
“ Sab! Oddio ragazzi che bello rivedervi tutti!”
Sento Armstrong tossire in maniera teatrale ed evidente e intravedo sul suo volto di profilo un sorrisone sornione.
“Vuoi dei ringraziamenti, Armstrong?”
“Mi offri anche una cena?” e mi strappa ancora una volta un sorriso.

Mentre la strada intorno a noi scorre monotona e grigia, mi guardo intorno tendendo l’orecchio alle conversazioni nel pulmino e osservando le mie vecchie conoscenze.
Ogni tanto scambio un commento con Mike biondo-platino.
Mi fa piacere vederlo più rilassato, almeno non mi crolla dal sonno.
in ultima fila sono stati relegati i bambini. Ronnie sembra trovarsi bene con una bambinetta dall’aria esuberante con lunghi capelli castani, raccolti in una treccia disordinata e sembra starle mostrando alcuni  suoi disegni dal blocco che porta sempre con se.
Accanto ad Alice e Charlie ci sono due ragazzine appena più grandi, forse due diciottenni dall’aria spocchiosa. Eppure pare che abbiano trovato un punto di accordo, forse sulla musica, fatto sta che stanno discutendo amabilmente se sia più bello un certo Mark Hoppus o un certo Gerard Way* o che so io. L’importante è che si capiscano loro.
Tra l’altro una è la bella copia di Meggy da giovane.
“Ma quella che vedo è la tua progenie, Meg?”
“Sylvia è mia figlia, Corinne è la cuginetta che è in vacanza da noi. È parigina.”
Lo dice con un’aria chioccia e orgogliosa. Quella donna non cambierà mai.
Sempre all’ultimo grido ed ogni occasione è buona per sbattertelo sotto gli occhi.
Lancio un’occhiata ironica a Mike-biondo-platino che risponde divertito, con una smorfia finto-scioccata.
Un paio di sedili dietro vedo Fred, il buon vecchio Fred, mio autista preferito al tempo della squatter house tra la West 7th e Peralta Street*.
Era così dolce e bambino, lo comandavo facilmente a bacchetta ma era un tesoro.
Con lui non sono mai arrivata in ritardo a scuola.
Lo vedo mentre gioca al nintendo in una sfida a supermario con un ragazzino di dieci anni, il volto paffuto e i capelli scuri, dalla corporatura robusta nonostante la sua giovane età.
E poi ancora una donna che li guarda divertiti mentre lancia un’occhiata materna ad un secondo bambino di appena sei anni che protesta sulle sue gambe, anche lui interessato a quella infernale macchina per videogioco-dipendenti.
A distrarlo interviene un tizio dall’aria tremendamente inquietante con i capelli verdastri, insozzati di gel fino al midollo e gli occhi spiritati. Anche lui abbondante di corporatura, con le sue espressioni scimmiesche imbastisce un circo di boccacce che mandano in visibilio il bambinetto facendo ridere anche la madre che nasconde a malapena sotto le mezze maniche i tatuaggi colorati.
Ho un bruttissimo presentimento.
“Ehi Mike”
“Si, si, stiamo arrivando” mi rimbecca Billie sbrigativo.
“Non stavo parlando con te Armstrong. Ci sono un po’ di personaggi che non conosco.”
“Di Fred ti ricordi spero.”
“Avevi dubbi?”
Ancora una volta Billie si intromette, provocatorio:
“Sta parlando di mia moglie. Lei è Adie. E vicino a Fred e Tre ci sono Joey e Jake, i miei figli.”  
Wow, la famiglia al completo. Tutti con un’adorabile aria punk, una faccia da campagnolo bifolco e abitudini decisamente poco educative in fatto di pedagogia classica.
Complimenti, Armstrong, hai colpito ancora.
“Adorabili”
“Sapevo che avresti apprezzato”
“Non mi aspettavo niente di meno da te.”
“Ma se ti eri dimenticata della nostra esistenza fino alla settimana scorsa!”
E anche qua non ha tutti i torti. Quasi quasi sono pentita.
“Non conosci Tre?”
“Il vostro nuovo batterista. È francese o è semplicemente un cazzone?”
Vedo i due vecchi amici storici scambiarsi uno sguardo furbesco, trattengono il riso in maniera evidente.
“Naturalmente te lo presenteremo” sogghigna Billie mentre sterza violentemente facendoci sobbalzare tutti.
Siamo davanti al cancello dell’agriturismo di Nicole. At last.

Sono sconvolta ed estasiata.
Intanto non sapevo che l’agriturismo di Nicki fosse così bello.
è un piccolo paradiso bucolico.
Prato ovunque, dei vigneti e persino tre gazebi, due invasi dall’edera e uno adornato da una buganvilla violacea rigogliosa che fa molto romantico.
Non manca dietro la casa un’enorme piscina olimpionica e una piscinetta per i più piccoli.
La casa patronale è un carinissimo cottage di tre piani che ospita circa sei –sette stanze per piano e poi ci sono una quindicina di dependance nel giardino-ortobotanico che  da un tocco di esotico e selvaggio ai dintorni.
Sembra davvero un agriturismo di quelli italiani che vedi sulle foto delle riviste di viaggi.
Per noi sono stante organizzate tavole e tavole di legno con apposite banche e, a far da cornice un servizio di catering assolutamente professionale che arrostisce bistecche, hamburger e hot dog caldi sul momento su enormi braciole. Sembra attendano solo noi.
Si intravedono spiedini, verdure alla griglia, patate fritte a volontà persino il pane e olio sulla griglia, poi servito con burro e salmone.
Mi guardo intorno instupidita mentre mi vengono incontro nostri vecchi compagni di scuola i cui nomi avevo dimenticato da un pezzo, ragazzi che ho visto da qualche parte e che non riesco minimamente a ricordare.
Man mano che vado avanti è tutto un “Ciao, ti ricordi di me?”, “Vig!” , “Virginia, come va?”.
Potrei avere un tracollo.
Rivedo Matt che si era subito alleato con me per i turni di pulizia alla squatter e adesso ha aperto un locale notturno, Patricia che adesso lavora in uno strip club e ha sposato il capo del locale, persino Rod, mansueto e silenzioso come sempre, ha aperto un’agenzia di viaggi ed è specializzato nell’organizzazione di trasporti per festival del Jazz e mega concerti rock*.
Eppure fra le tante facce che ricordo non c’è Jason*.
Chissà, forse non sono riusciti a recuperarlo.
Un pensiero mi assilla con sempre maggiore insistenza.
Sono assalita da domande sulla mia famiglia e tutti non fanno che chiedere:
“Dov’è Jules?”
Insomma dove cazzo è mio marito?


*********************


COLONNA SONORA: 
Gioacchino Rossini, il barbiere di Siviglia (La Scala di Milano , 1998)
All by myself/ Dominated love sleave  live 1994
Green day – Live in Rock am Ring 2013 #rar #oneofthebestconcertliveinstreamingdespitethenewtrilogy  à getting used to it u.u
Green Day : MTV  jaded in Chicago

Note

* Margarita Morgan e Sabina Ramirez, per la prima volta nominate in Pinole Valley High School 1989-1990  
Settembre: trave di fuoco.
 

* Il fidanzato di Meggy compare come cameo in Pinole Valley High School 1989-1990  
Novembre: fracasso d’ inferno.

*rispettivamente cantante e bassista dei Blink-182 e cantante e chitarrista dei My Chemical Romance

* Fred, nominato per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
16 Febbraio 1990.

*Rod compare per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
Ottobre: Post-test d’ingresso 
mentre Patricia e Matt compaiono in Pinole Valley High School 1989-1990  
Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera

*Jason compare per la prima volta in Pinole Valley High School 1989-1990  
Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera
ed è anche il Jason di J.A.R
“Il titolo è l'acronimo di "Jason Andrew Relva", un amico del bassista della band, Mike Dirnt. Jason Relva morì all'età di 19 anni il 18 aprile1992, in seguito ad un incidente stradale. Mike Dirnt scrisse questa canzone in memoria del suo amico scomparso ed essa parla di come si deve vivere la vita al massimo facendo le nostre scelte personali senza farsi condizionare da quelle degli altri.” [WIKI]


Angolo dell'autrice


Eccomi, in mostruoso ritardo di almeno un anno.
Non ho scusanti a parte la vita reale che pretende tutta la mia attenzione di recente ma adesso, finiti esami universitari e fatto una specie di progetto dei capitoli successivi, giuro che la porterò a termine.
Perché tutto sommato la amo e la mia fedeltà va al mitico trio di Berkeley.
Che notte il 5 giugno a Roma. Mai un concerto così bello.
Non perderò tempo con i Disclaimer. Tanto li sapete.
Così come non spenderò una parola a parlare di Adie e della famiglia Armstrong al completo.
E sappiate che è bellissimo riscrivere questa storia.
A presto, spero,

Neal C.,
alias Misa

p.s si lo so, è cortino, abbiate pietà, è un nuovo inizio!

  
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