Tramonti

E imparai, con umiltà e fatica, ma imparai quello che dovevo fare, e che sarebbe stato ovvio per un bambino: la vita non è altro che un susseguirsi di tante piccole vite, vissute un giorno alla volta.
da "Le pagine della nostra vita" di Nicholas Sparks

I tramonti – quei colori troppo vividi, troppo caldi, troppo forti – non portavano mai ricordi piacevoli. Del resto, c'erano ben poche cose che evocavano in lui una reazione positiva al passato, se ne esistevano.
Ma i tramonti, quelli estivi in particolare, erano al primo posto nella classifica delle cose che odiava di più.
Quando il cielo iniziava ad assumere quella tonalità d'oro e cremisi, la prima cosa che faceva era precipitarsi a chiudere le tende, borbottando, voltando discretamente il capo di lato per non guardare fuori. Lo faceva tutte le sere, senza eccezioni.
Temeva, se avesse sbirciato oltre i vetri, di scorgere il profilo macabro di una processione funebre.
Perché ricordava.

Ricorda profili neri di figure troppo alte. Il calore soffocante di un abito scuro. Le macchie bianche dei crisantemi. Il pianto di un neonato in collo a una donna imponente – Stefan. Gli gira la testa, ha troppo caldo per respirare, una sensazione di panico.
Dov'è la mamma? Non la vede. Deve calmare Stefan, ma non c'è.
L'odore di terra smossa. Una cassa di legno – chiaro – di fianco a una fossa profonda. E' aperta.
La mano di suo padre sulla spalla. Una smorfia infastidita – non la vuole. Lo guarda di sottecchi e sussulta: una lacrima sulla guancia barbuta. Si libera, cammina piano verso la bara.
Ha un brutto presentimento. Qualcuno cerca di trattenerlo, ma sta già guardando.
Sua madre, distesa sul velluto carminio. I capelli neri, la pelle bianca – fredda –, gli occhi chiusi.
Una parte di lui capisce. Un grido – mamma – poi lo prendono in braccio di peso mentre scalcia, indomabile.
E' solo un incubo.
Pugni sulle tempie, sguardo azzurro rivolto al cielo d'estate. Sullo sfondo dorato le figure nere che intrappolano sottoterra la donna che gli ha dato la vita.

Non riuscì a mettere a fuoco il soggiorno per un interminabile attimo in cui, ansante e terrorizzato come il bambino che era, barcollò verso il divano, lasciandosi cadere sui cuscini.
Piegò il capo all'indietro, appoggiandosi alla spalliera, sudato e affannato.
Poi, Damon Salvatore strinse i denti, scuotendo la testa e tornando al presente.
Scacciando il ricordo del funerale di sua madre.

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N/A - Note dell'Autrice
Il motivo per cui è nata questa storia è stupido, veramente.
Premetto, prima di iniziare una tirata su come e perché sto pubblicando questa storia, che io sono, prima ancora di essere una Salvabros Team, una Team Damon ù.ù Quindi, per quanto adori Stefan, se mi chiedete di scegliere fra uno dei Salvatore sarà sempre Damon.
In parole povere: un'oretta fa ho concluso una discussione sul finale di stagione con una shipper Stelena un pelino avvelenata. E fin lì ci sta, perché posso capire che comunque dev'essere frustrante vedere lo ship opposto trionfare )ciò non toglie che ce lo meritavamo, dopo quattro stragioni). Comunque, da lì ad arrivare a dire che Damon Salvatore è "tutto fumo e niente arrosto: una volta spogliato, è tutto lì" (per quanto sia un bel vedere) ce ne vuole. Parecchio, ce ne vuole.
Perciò, come una sottospecie di contro-reazione, mi è uscita una Flash talmente angst e introspettiva che, credo, il vero Damon mi strangolerebbe se la leggesse, ora che è tranquillo e felice.... e così pubblico questa FF perché... non lo so nemmeno io: forse voglio solo affermare ancor di più il background di Damon XD Se ve lo state chiedendo: sì, l'altra è ancora viva. No, non l'ho mangiata e fatta in umido (o arrostita, tanto per stare in tema).
Non mi piacciono le guerre fra ship -.-"
A presto,
la vostra amareggiata e irritata Soqquadro