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Autore: LaVendetta    12/07/2013    0 recensioni
Luca è stanco della sua vita. Stanco del subire di tutto e del dover combinare diversi ambiti di sé. Vuole staccare. Vuole cambiare tutto. Una vita di soli sacrifici e senza tempo per sé. Solo col pugilato riesce finalmente a sfogarsi, finché....
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un gancio affondò nel sacco, sprigionando un tonfo secco. Luca tirava e tirava. Sembrava instancabile. “Faresti meglio a smettere: quella gara è tra pochi giorni e non puoi permetterti di arrivare lì con i muscoli indolenziti” Il coach lo ammonì con un tono quasi disinteressato, come se prevedesse già la risposta, che, infatti, non deluse le attese. “Mi sto allenando proprio per quella gara” rispose lui con tono scocciato e senza staccare gli occhi dal suo avversario imbottito “E non ho intenzione di fermarmi”. In realtà Luca sapeva benissimo che avrebbe fatto meglio a non continuare, ma lui non si stava allenando, si stava sfogando. Sì, sfogando per tutto. Sfogando per le rinunce, per la famiglia, per la ragazza, sfogando perché era stanco della vita. Stanco della sua vita. La fronte del ragazzo era perlata di sudore e alle tempie si scorgevano le vene pulsare sangue a più non posso. Dopo poco però si rese conto che le sue forze erano ormai allo stremo. Si fermò per un istante. Guardò il centro del sacco, quasi come se stesse studiando le sue mosse. Un ultimo colpo, più forte degli altri, partì ed andò dritto dritto contro la fodera di cuoio nero imbottita. L'impatto generò un boato simile a uno sparo di una calibro nove e il segno che il guantone lasciò sulla superficie del sacco non fu indifferente. “Coach, ho finito, mi vado a cambiare” disse Luca con un tono secco e tagliente. Il ragazzo entrò in spogliatoio e la porta gli si chiuse dietro sbattendo . Lanciò il borsone su di una panchina: questi atterrò con violenza, producendo un forte rumore che si diffuse in tutto il locale deserto. Aprì la zip con forza, rischiandone la rottura e tirò fuori un accappatoio blu scuro. Da un'altra tasca estrasse uno shampoo. Si tolse i vestiti ed entrò nella zona docce. In quella sala, anch'essa senza un'anima, subito adiacente lo spogliatoio e piastrellata di mattonelle bianche, erano presenti cinque docce. Sulla parete c'era una serie di ganci. Luca appese il suo accappatoio e si diresse verso una doccia. La aprì con un gesto svogliato. Sotto il getto caldo si portò le mani alla chioma castana. Si mise a piangere. Luca era un ragazzo troppo stressato. Studente al terzo anno del Liceo Scientifico, aveva una vita che lui riteneva orribile: non aveva mai tempo per sé. Dopo la scuola tornava a casa e, consumato in pranzo, si metteva a fare i compiti. Lui era il primo della classe, è sempre stato così. Tutti, ma proprio tutti i giorni, doveva andare in palestra, perché da lì a poco ci sarebbero stati i campionati italiani di pugilato e, da più di un anno si preparava a questo evento. E poi c'era la sua visione della sua Famiglia, che, secondo lui, non l'aveva mai aiutato o spalleggiato, era come se non esistesse. I genitori si dedicavano solo al fratello più grande, Matteo. Lui era il cocco di mamma e papà, “lui va all'Università, il primo in famiglia! Anche se non è mai stato tanto bravo come Luca bisogna compatirlo, con tutti i suoi sforzi è riuscito ad arrivare sin dove è ora!” diceva sempre la mamma rivolgendosi a papà. “Sì, proprio da compatire: dopo un diploma al tecnico passato con il cinque punto otto arrotondato al sei! Assurdo!” si diceva sempre lui quando la mamma pronunciava quella frase, elogiando il fratello maggiore. Come se non fosse finita lì, la sua ragazza Beatrice, al secondo anno del Liceo Linguistico, gli chiedeva di passare più tempo con lei. Lui aveva tentato di spiegarle che non sarebbe stato possibile, ma lei non l'aveva mai capito. Due giorni fa Luca ricevette un messaggino con scritto: “Se non hai tempo da dedicarmi è inutile che stiamo insieme. A mai più.”. Ma Luca, veramente non aveva questo benedetto tempo: addirittura non usciva di casa se non per andare a scuola e a pugilato. Non aveva tanti amici, per la mancanza di tempo. Lui non era uno di quelli che poteva farsi una partita a calcio a tempo perso, non poteva perché quel tempo perso, per lui non esisteva. Ma perlomeno non era uno di quei ragazzi tonti che gironzolano a far niente tutto il pomeriggio. Luca odiava quelle persone così, tra l'altro, suo fratello era una persona di questo genere. Ogni volta si faceva sempre la stessa domanda “Ma perché faccio questo?” e sapeva anche la risposta, in cuor suo. Il suo unico obiettivo, la sua unica forza di andare avanti, i campionati italiani, che ci sarebbero stati tra una settimana. Ogni volta che si sentiva così, s'incoraggiava con questa motivazione, perché lui era determinato a vincere, doveva vincere, dopo tutti quei sacrifici che, altrimenti, sarebbero stati vani. Dopo questa doccia Luca si sentì più leggero. Asciugatosi accuratamente, ripose tutto nel borsone, dal quale estrasse i vestiti, un casco e una chiave. Uscì dallo spogliatoio dopo essersi messo degli abiti da sera abbastanza eleganti. Erano le sette di sera. Scese con disinvoltura i tre gradini dell'ingresso e si avviò verso una Vespa 50, cercò di accendere il motore, agendo col piede sulla pedivella. Dopo qualche capriccio il motore a miscela si decise a partire e, assieme a un miagolio, sprigionò quel tanfo di olio bruciato. Dopo poco, con il borsone a tracolla, partì dal piazzale, lasciando una scia di fumo. Dopo cinque minuti di viaggio, la Vespa infilò una strada con delle case molto lussuose su entrambi i lati, tutte in stile inglese: giardinetto e villa enorme, qualche piscina olimpionica con trampolino, area zen e tutti gli accessori. Parcheggiò sul selciato in ciottoli di una casa a due piani, tra un Mercedes classe E del padre e una BMW serie 1 della madre. Entrò a piedi nel garage con il borsone in una mano e il casco nell'altra. Le chiavi erano in tasca. Poggiò la borsa vicino a una lavatrice di ultima generazione. Salì le scale in marmo di Carrara. Non c'è che dire, la sua famiglia era benestante, e anche tanto. Ma lui non era felice di vivere in un posto così, perché aveva tutto tranne che dei genitori che lo amassero veramente. Aprì la porta blindata che lo separava dalla casa. Davanti a lui s'allargava un enorme open-space che aveva vetri per muri, i mobili erano impeccabili, si trattava non di mobili in semplice truciolato, ma in quercia, nocciolo, rovere e pino. La lampada di forma serpeggiante che si snodava sul soffitto riassumeva il design moderno di quel salone immenso. Sul divano erano seduti i genitori che ridevano insieme a Matteo, lui sì che aveva tutte le attenzioni che un figlio vorrebbe. Senza salutare, tanto non lo degnarono neanche di uno sguardo, Luca si diresse verso la sua stanza. Accese la luce: una camera spoglia, in netto contrasto con lo sfarzo della casa. Vi erano una scrivania in truciolato con una lampada grigia e un comodino con una sveglia rossa. La lampada da soffitto era rappresentata da un cavo con una lampadina. Sul letto c'era un poster con scritto “Sei un vero Boxer!” e la foto di due guantoni color verde acceso, l'unico colore un po' brillante in quella camera. Senza neanche mangiare,si mise a fare i compiti che non aveva terminato. Alle dieci di sera era ancora lì, tra schemi, appunti, esercizi. Non appena ebbe finito tutto, preparò lo zaino. Spense la luce e andò a dormire. “Luca, mi hai lasciata per il tuo stupido sport, e ora che hai perso quei campionati sono proprio contenta! Ben ti sta!” “Ma Beatrice, io non ti ho lasciato, sei stata tu che...” Beatrice sfilò un coltello dalla giacca e glielo piantò dritto in gola. “Perché ogni tuo alito di vita sarebbe dovuto essere il mio, e ora sarà di nuovo così!”. Luca si svegliò di soprassalto. Per fortuna era solo un incubo. Era tutto sudato e gli tremavano le mani. Ora era determinato a vincere. Non si sarebbe mai fatto piantare un coltello in gola da una cretina che lo aveva lasciato anche se lui non aveva colpe. Questo era poco ma sicuro. Accese una torcia che aveva nel cassetto del comodino e la puntò verso la sveglia analogica: le cinque e mezza. Oramai non si sarebbe più addormentato, la sveglia era puntata per le sei e un quarto, quindi decise di disattivarla e di alzarsi. Andò in cucina. I muscoli erano molto indolenziti. Si pentì di non aver ascoltato fin da subito il coach. Aprì la dispensa e prese una tazza. Ci versò dentro il latte e lo mise in microonde. Intanto preparò il rimanente: biscotti, zucchero, cucchiaio, c'era tutto. Dopo qualche minuto Luca era seduto sulla sedia in vimini della veranda a bere il suo latte con biscotti. La brezza mattutina e il chiarore dell'aurora lo rilassavano, e quel venticello leggero portava con sé l'odore dell'erba bagnata dalla rugiada, un aroma molto piacevole. Mentre mescolava, vide nel latte qualcosa di strano. Si fermò. Era la faccia del coach, riflessa nel latte, che gli ricordava che tra poco ci sarebbero stati i campionati italiani. “Se uno di questi giorni non hai scuola, vieni ad allenarti, che tra poco hai la gara!”. Un brivido percosse Luca lungo la spina dorsale. Una strana idea gli balenò nel cervello. Poi si disse: “Oggi non c'è scuola, ci sono solo un'interrogazione di algebra e una verifica di chimica che io salterò”. Il ragazzo, dopo aver sistemato la tazza e i biscotti, entrò con passo felpato in camera sua, per non svegliare gli altri. Nascose lo zaino sotto il letto e poi afferrò il casco e la chiave della Vespa, e si dileguò dalla zona notte senza fare il minimo rumore. Scese le scale e prese il borsone; se lo mise a tracolla. Fece scendere dal cavalletto la Vespa e la portò a mano per tutto il selciato, così avrebbe evitato di svegliare i famigliari, ignari di ciò che stesse accadendo. Quando fu sulla strada, accese il motore e partì a razzo. Uscito dalla zona residenziale i condomini iniziavano a crescere in altezza: tre, poi quattro, cinque, sette, dieci piani e oltre. Ora era nel centro di Sesto San Giovanni e la palestra era lì sulla destra. Luca era sicuro di trovare il suo coach in palestra, lui è lì già alle cinque di mattina. Entrò con il casco in mano e chiamò a gran voce “Coach, sono io, sono Luca”. Silenzio totale. La palestra era in penombra e non s'udiva il minimo rumore. La sua voce echeggiava tra le stanze buie. Una lieve brezza proveniva da destra. Ma siamo in un edificio, come fa ad esserci vento? Luca si voltò di scatto. La sua faccia era terrorizzata. Ma subito si trasformò in un sorriso. “Coach, lo sa che mi ha fatto prendere un colpo?” “Sì, sì lo so. E tu sai che ti stavo aspettando?” “In che senso?” ribatté il ragazzo con fare sorpreso. “Nel senso che sapevo, ehm... sentivo che oggi saresti venuto” “E come?” chiese il ragazzo, sempre più incuriosito. Il suo interlocutore avrà avuto sulla cinquantina, ma ben portati grazie a un sano stile di vita. “Potrei farti la stessa domanda” rispose lui alzando le spalle. “Bene, ora andiamo ad allenarci, la gara ti ricordo che è domani” disse il coach con tono tranquillo. “Come domani? Non era tra una settimana?!” “Ops, errore mio! Perdona la mia gaffe!” ma il coach aveva fatto apposta a non dirglielo, in modo tale che potesse metterlo sotto pressione alla sprovvista e con effetto immediato. “Non voglio crearti paranoie mentali, ma devi venire sul ring subito se vuoi avere una chance domani a quei campionati. Comunque, sappi che tu hai fatto un anno di sacrifici unici. Pochi ho visto come te, che venivano tutti i sacrosanti giorni in palestra ad allenarsi. Ti sei posto degli obiettivi, vincere il Campionato Italiano, e hai dimostrato sempre di essere una persona motivata e interessata, domani parti vincendo solo per questo. E che dire di tutti i tuoi sacrifici? Guarda che non sembra ma io so che tu non sei più fidanzato a causa dello sport e non hai mai tempo per te. Ma penso che questo ti faccia solo e soltanto onore. Ieri colpivi quel sacco guidato dalla frustrazione e dalla rabbia. Te lo dico io: la tua famiglia ti vuole bene, e sei solo tu che vedi che non ti segue nelle tue gioie e nei tuoi dolori. Loro ci sono sempre. Ma ad ogni modo, tu sei un ragazzo forte, molto forte. E non parlo solo del pugilato. Tu sei forte in tutto”. “Coach, devo dire che in quest'anno la mia vera casa è stata questa palestra e qui ho trovato in lei il padre buono che vuole bene ai suoi figli. Grazie di tutto”. Il ragazzo si commosse e, come gesto riflesso, lo abbracciò. E molto forte. “Ma ora, dopo questo momento sdolcinato, possiamo andare sul ring, ho qui per te un avversario speciale” “Ciao Luca!”. Incredibile! il campione italiano dell'anno scorso era lì e stava per affrontarlo. Domani non l'avrebbe incontrato perché ormai aveva cambiato categoria, però rimaneva sempre campione italiano fino a domani. Dopo essersi cambiato i vestiti, Luca si diresse con passo sicuro sul ring e il coach diede il segnale d'inizio. Passarono venti minuti e il match era ancora in parità. Mancavano solo venti secondi alla fine. Luca tirò un gancio e stese il suo avversario, mandandolo KO. Il coach commentò: “Non dico che vincerai, ma sicuramente hai buone possibilità di vittoria, ma non abbassare la guardia. Ora vai a fare un po' di salti con la corda”. Luca ubbidì. Iniziò a saltellare. La fronte era grondante. In ogni arco che disegnava vedeva una persona importante della sua vita. Aumentò il ritmo. Tap, tap, tap. La corda batteva sul pavimento. Vide la madre, il padre il fratello. Tap, tap, tap. Vide Lei, Beatrice, quella che voleva piantargli il coltello in gola. Tap, tap, tap. Vide il coach. La corda gli inciampò tra i piedi. La sua nuova figura paterna era lì che lo osservava. “Sarà lì per me, starà aspettando qualcosa, ma cosa?” pensò. Riprese con un ritmo regolare. Ogni muscolo del suo corpo era in tensione. Era sudato. Negli anelli della corda, stavolta vide dei momenti dell'anno di duro allenamento. Vide i messaggini della sua ex fidanzata. Il sibilo della corda ricordava la voce di un suo amico che lo invitava a uscire in gruppo per fare un giro. “No, non posso” aveva detto “Ho gli allenamenti”. Stop. Fermò la corda con un piede. Aveva capito cosa voleva il coach, stava aspettando un frase, che Luca avrebbe detto quando se lo sarebbe sentito. Fermò la corda perché ora sentiva quel qualcosa: “Sono pronto per quella gara, coach” disse con tono fermo. “Benissimo. Ci vediamo domani alle nove al Palaghiaccio, è lì che si disputerà la gara”. Luca annuì con la testa. E si andò a cambiare. Questa volta la doccia fu agile e rimase serio per tutto il tempo. Era determinato a vincere. Uscito dagli spogliatoi, s'imbatté nel coach: “Ti va di venire a mangiare qualcosa con me? Offro io.” “Certo coach, anche perché è mezzogiorno e ho una fame da lupi. Incredibile, non sembra passato tutto questo tempo!” “Lo so” disse il coach, con fare calmo “Quando si fa con passione e con amore qualcosa, il tempo passa velocemente”. I due si allontanarono dalla palestra. Dopo un pranzo abbondante, coach e atleta passarono un pomeriggio svagandosi per Sesto: “Ai sacrifici bisogna abbinare lo svago” disse saggio il coach mentre entravano in una sala giochi. Verso le otto di sera Luca tornò a casa. Dopo aver cenato da solo con un panino al salame, scese e si mise a preparare il borsone nella maniera migliore possibile. Decise di andare a letto presto, per fare il pieno di energie. Lasciò ai genitori un biglietto: “Domani mattina, a chi interessa, non andrò a scuola: ho un impegno improrogabile che mi terrà impegnato dalle nove di mattina. Non sto neanche a specificarvelo perché non lo capireste Luca” Fatto questo mise il biglietto sul tavolo in cucina. Alle otto e cinquantasette minuti spaccati, Luca era davanti all'ingresso principale del Palaghiaccio. Il piazzale di parcheggio adiacente brulicava di atleti con i rispettivi borsoni. Eccolo lì. Ecco, con passo atletico, che Luca vide il suo coach avvicinarsi. Indossava la tuta della società e aveva sulle spalle uno zainetto nero. Anche Luca indossava la tuta sociale. “Benissimo. Possiamo entrare”. Il ragazzo e il suo coach entrarono nel palazzetto. Fortunatamente, il coach aveva già effettuato il check-in al tavolo iscrizioni ieri sera alle sette, insieme a Luca. Lo avevano fatto pesare e lo avevano depennato dall'elenco. Ora il tavolo iscrizioni era sommerso da una cinquantina di persone. Dopo essersi cambiato, Luca raggiunse, sempre a fianco del suo istruttore, il parterre. Le gradinate erano gremite di persone e il cuore del ragazzo iniziò a battere e battere. Sempre più forte. Si sentiva la colazione andare su e giù per lo stomaco. “Mi sento male” continuava a ripetere. Ma il suo coach non gli badava neanche più, ormai. Una voce femminile al microfono annunciò “Si presentino al ring Luca Invernizzi e Jacopo De Maria”. E iniziarono le eliminatorie. Dopo il primo incontro, che fu molto agonizzato ma vinto, infatti il ragazzo non aveva ancora iniziato a sentirsi a suo agio, gli altri match furono una passeggiata, pur sempre in salita. “Si preparino per la semifinale Mauro Menconi e Luca Invernizzi”. Bene. La semifinale. Se Luca avesse vinto questo incontro sarebbe arrivato almeno secondo. Ma non era ciò che lui voleva. Lui voleva vincere. E non sarebbe potuto andare diversamente. Salì sul ring. L'arbitro diede il via e i due combattenti iniziarono a studiarsi. Il toscano partì a razzo verso la pancia di Luca con un circolare che andò a segno. Luca vacillò e cadde. Non riusciva più ad alzarsi. Sapeva bene che se non si fosse rialzato avrebbe buttato via un anno intero di sofferenze e sacrifici. Non seppe neanche lui dove trovò la forza, ma si rialzò e piantò un destro sul muso del Menconi, facendolo cadere. Quello non si alzò più. KO. Match vinto. La voce all'altoparlante proclamò: “Per la finale, tra due minuti, si preparino Luca Invernizzi, Lombardia e Giovanni Russo, Campania”. Ce l'aveva fatta. Quasi. Due minuti e due sorsi d'acqua dopo, era in attesa del cenno di salire sul ring, quando il suo coach lo avvicinò. Cosa avrà mai voluto? Le congratulazioni gliele aveva già fatte. “Ho da darti due belle notizie: guarda lì in cima”. Sulle gradinate... Incredibile! C' erano i suoi genitori e, No! C'era anche Beatrice, la sua bella bionda che voleva ucciderlo nel sogno. Erano abbracciati e gridavano “Forza Luca, facci vedere!”. Non ci poteva credere. “E non hai notato anche tuo fratello? Guarda, è lì davanti, con la telecamera. Ho parlato coi tuoi e, avevo ancora ragione io . Sei tu che avevi la visione di questa realtà distorta, del fatto che tu non esistessi per loro. Ti amano più di ogni altra cosa al mondo, vi amano. A te e a tuo fratello. E se mai tu possa aver pensato ciò, ricorda che sei un adolescente, è naturale”. Luca non poteva, non riusciva a commentare. Tutto ciò era come in un sogno. Beatrice sorreggeva un cartello con scritto “Ti chiedo perdono. Ti amo tanto”. L'arbitro diede un colpo di tosse per richiamare l'attenzione. “Ora vai e fai quello che devi fare” disse il coach, tirandogli una pacca sul sedere. Luca salì più pompato che mai. Sapeva benissimo che i suoi erano lì per lui e basta. Nient'altro poi, dopo la notizia che il fratello avesse ricevuto ciò che meritava, avrebbe potuto allietarlo più di così, se non la vittoria. Il tempo si fermò. Le gradinate erano affollate di persone dalla più svariata provenienza, da ogni angolo d'Italia. Vennero fatte scendere delle tende sulle finestre e sul grande lucernario. Vennero accese le luci, orientate solo sul loro ring, al centro del Palaghiaccio di Sesto San Giovanni. Il match si sarebbe disputato su quest'arena quadrata sopra un tappeto azzurro che copriva il ghiaccio per il pattinaggio da hockey. Guardò negli occhi il suo avversario, che a sua volta lo guardava con degli occhi che avrebbero spaventato la morte in persona. Ma lui lo guardava con aria da sbruffone, tranquillo e sereno, come un cielo d'estate. Aveva già vinto in partenza, come disse il suo coach il giorno prima. Il tempo riprese magicamente. Luca non senti più la mancanza di tempo, anzi aveva fatto tesoro del segreto, che avrebbe custodito con avidità. L'arbitro diede il segnale del via. Luca non era mai stato così sicuro e sereno nel fare ciò che aveva sempre fatto.
   
 
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