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Autore: BekySmile97    12/07/2013    4 recensioni
Solo io potevo ritrovarmi rinchiusa con un maledettissimo Corals.
Io, una creatura forgiata dal fuoco, nata nelle fiamme dell’inferno e pronta ad uccidere chiunque se la coscienza me lo dettasse, mi ritrovo rinchiusa in una cella di quel bastardo di Everett con un essere talmente diverso da me da risultare insopportabile.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie da Hydus '
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Fuoco Come Acqua


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Primo Giorno
 
Ovviamente.
Certo, solo a me succedono sempre queste cose.
Solo io potevo ritrovarmi rinchiusa con un maledettissimo Corals.
Io, una creatura forgiata dal fuoco, nata nelle fiamme dell’inferno e pronta ad uccidere chiunque se la coscienza me lo dettasse, mi ritrovo rinchiusa in una cella di quel bastardo di Everett con un essere talmente diverso da me da risultare insopportabile.
Non gli ho neanche chiesto come si chiama. Probabilmente Fogliolina o Cascatella… insomma, un orripilante nome tipico dei Corals.
Lo osservo in cagnesco ascoltando il ritmo tranquillo delle gocce d’acqua che riempiono il silenzio assordante: ha un profilo delicato, la pelle diafana e gli occhi blu come il mare. Le sue dita lunghe e sottili giocano con una pozzanghera, creando delicati draghi ed animali tipici della sua zona con l’acqua cristallina.
“Ehm… perché mi osservi?” mi chiede d’un tratto distruggendo tutte le sue creazioni.
Con orrore mi accorgo di essermi incantata a guardarlo.
“Non ti stavo osservando. Stavo solamente pensando ai fatti miei… stupido Corals…” borbotto imbronciata.
I suoi occhi si accendono di una strana luce e mi soffia contro: “Come mi hai chiamato?”
“Stupido.” rispondo semplicemente.
“Disse la Cirment di brutto aspetto…” ribatte guardandomi con un’aria di sfida.
Sento i palmi delle mie mani bruciare e, senza neanche dargli il tempo di scansarsi, tiro addosso a quell’essere insulso un getto di fiamme. O almeno, quello che doveva essere un getto di fiamme. Infatti, a causa di questa insopportabile umidità, l’unica cosa che riesco a produrre è un leggero sbuffo di fuoco che si trasforma subito in vapore.
Mi guarda ironico e poi mi domanda: “Senti, come ti chiami?”
“Affaracci miei.” rispondo incolore.
 “Perfetto. Quindi, cara “Affaracci miei”…” inizia facendo le virgolette con le dita mentre pronuncia il mio nuovo nome “… come hai fatto a finire qua dentro?”
“Affaracci miei.” ripeto nuovamente. Oltre ad essere insopportabile è anche curioso, una pessima combinazione direi.
“Per curiosità, sei nata così o mangi qualcosa di particolare per essere tanto acida?” domanda sarcastico.
Sento scorrere una collera incredibile nelle mie vene e, cercando di trattenermi da lanciargli contro un’altra inutilissima nuvoletta di fumo, sibilo: “Giuro che se non ti uccide prima Everett o uno dei suoi Mutaforma, appena esco da qui ti brucio in una qualsiasi fornace e poi ballo sui pochi resti del tuo misero corpo.”
Alza le spalle e torna a giocare con la pozzanghera.
Io, ignorandolo bellamente, inizio a canticchiare una canzone tipica delle fornaci in cui abito. E’ una ballata veloce e scoppiettante, come le fiamme del fuoco; è una formula che usiamo noi Cirment per aumentare i nostri poteri quando siamo deboli e, quando finalmente sento scorrere nelle vene la forza del mio elemento, creo dei piccoli cavalieri infuocati che iniziano a scorrazzare nella cella asciugando tutto.
“Sai che domani mattina sarà tutto nuovamente impregnato d’acqua?” chiede guardandomi in cagnesco.
“Sì, ma vederti soffrire per qualche ora a causa della mancanza d’acqua ripagherà tutto lo sforzo.” dico con un sorriso sadico.
Lui si alza e, prima di sedersi davanti a me, scaccia i miei cavalieri con i suoi draghetti d’acqua.
“Stammi un po’ a sentire “Affaracci miei”, capisco il tuo momentaneo odio nei miei confronti. Anch’io ti sto odiando. Fidati che non c’è peggior pena per uno della mia specie che ritrovarsi rinchiuso con uno di voi esseri informi…” apro la bocca per ribattere, ma una sua occhiataccia mi fa momentaneamente desistere. “Quindi, visto che io sono finito qua dentro per un motivo ben preciso, ti consiglio di non fare troppa confusione e di lasciarmi lavorare. Hai capito?”
D’altro canto io scoppio in una fragorosa risata e, cercando di controllare il riso, gli dico: “Davvero, Fiorellino? E cosa mai dovrà fare un così piccolo e inutile Corals qui dentro? Vuoi forse uccidere Everett?” a questa affermazione inizio a ridere anche più sguaiatamente, rotolandomi sul pavimento.
Lui che uccide Everett? Ma per favore! Anche un bambino avrebbe più chance di lui!
“Ridi, ridi pure piccola Cirment. Ti va bene che non picchio le donne, neanche se sono odiose come te.” mi sibila contro prima di alzarsi e posizionarsi all’angolo opposto della cella. 
Cercando di ignorarlo, mi sdraio nel mio angolino tentando invano di appisolarmi. Dopo qualche ora, poco prima di cadere in un sonno profondo, riservo il mio ultimo pensiero apposta a Fiorellino.
“Che muoia nella notte tra i più atroci tormenti…”
 
Secondo Giorno
 
La mattina una guardia ci sveglia con la grazia tipica dei Mutaforma.
Inizia a sbattere la sua enorme coda squamosa sulle sbarre della prigione urlandoci di alzarci e di prepararci, in quanto Everett ha deciso di spedirci a lavorare su un qualche campo poco lontano da qui.
Capisco dall’eccitazione del Mutaforma che c’è in ballo un qualcosa di grosso, un qualcosa che potrebbe far diventare Everett padrone indiscusso di tutta la regione.
Comunque, questo approfitta della nostra sonnolenza per incatenarci e guidarci attraverso gli umidi meandri della prigione. E’ incredibile come il dolore e la sofferenza trasudino da ogni singola pietra di cui è composto il carcere: vedo strisciare incatenati come me e il mio compagno Elfi, umani, Corals e miei simili… provo quasi compassione nel vedere che Fiorellino mi segue con gli occhi bassi, evitando di guardare i suoi simili.
“Fiorellino…” sussurro “hai paura?”
Lui mi guarda come se fossi pazza e scuote la testa mormorando un qualcosa che somiglia tanto a un “questa è proprio deficiente”.
Dopo qualche minuto usciamo finalmente all’aria aperta, sotto un bel sole che asciuga la terra. Mi chiedo dove ci vogliano condurre: qua intorno ci sono solo montagne brulle e prive di minerali o altre cose che potrebbero essere utilizzate da Everett per i suoi folli scopi.
Chiedo a un uomo che mi cammina a fianco dove mai ci stanno conducendo e lui mi risponde con un semplice: “Nel posto dove la morte aleggia sempre.”
Mormoro un “bene” prima di rallentare il passo ed affiancarmi al mio odioso compagno di sventure, ripetendogli la stessa domanda fatta all’uomo.
Scuote la testa e mi dice scoraggiato: “Adesso vedrai…”.
Per un qualche strano miracolo riesco a trattenermi dall'urlargli contro cosa accidenti sono tutti questi misteri e, ovviamente, dopo qualche secondo, ringrazio il cielo di non averlo fatto. Ci troviamo davanti alla più spettacolare cava a cielo aperto che abbia mai visto: è enorme, punteggiata da minerali dai colori cangianti, che vengono estratti a fatica da tutti i detenuti arrivati prima del nostro gruppo. La terra sabbiosa viene alzata da sbuffi di vento che mi seccano le labbra e il sole, che pochi minuti prima avevo amato, sembra improvvisamente la più grande tortura che un uomo possa escogitare. 
Il Mutaforma mi lega al piede una spessa catena e mi caccia in mano un piccone, sistemandosi alle mie spalle e a quelle di Fiorellino, intimandoci di lavorare.
E da quel momento inizia la tortura.
Passo ore a spaccare la nuda roccia estraendo il minerale, mentre intorno a me vedo cadere a terra come mosche uomini e donne ormai distrutti dal sole battente e dalla fatica.
Non posso permettermi di distrarmi neanche un secondo: se per caso battessi la fiacca il Mutaforma alle mie spalle mi frusterebbe o mi colpirebbe con la sua micidiale coda.
Piccono fino a quando le mie gambe cedono da sole.
Casco per terra senza neanche accorgermene.
Il Mutaforma non si lascia sfuggire l’attimo per deliziarmi con le carezze della sua frusta, che squartano la mia pelle cinerea. Urlo per il dolore ma mi rialzo.
E ricomincio a picconare.

***

La sera, quando torno nella cella, l’acqua che gocciola dal soffitto sembra quasi una benedizione per le mie ferite.
Me le sciacquo con cura mentre guardo accusatoria il mio compagno.
“Perché non mi hai difeso?” gli chiedo.
“Se ti odio, perché mai dovrei farlo?” mi risponde sibillino.
Non ho neanche la forza di ribattere da quanto sono spossata.
Infatti è lui che ravviva la conversazione: “Adesso posso sapere come ti chiami?”
Scuoto la testa.
Non deve e non può saperlo.
Bisbiglia un qualcosa di incomprensibile mentre si avvicina e inizia a passare le sue candide mani sulla mia schiena.
“Che stai facendo?” domando sorpresa. Non voglio che mi tocchi, ma le sue mani così fresche alleviano il mio dolore tanto da non farmi scostare.
“Piccola Cirment, non hai ancora capito niente della vita, vero? Ho detto che non riesco a sopportarti, non che ti voglio vedere morta… questi tagli sono troppo profondi e potrebbero infettarsi, quindi preferisco darti una mano.” spiega mentre passa con dei gesti circolari sulle mie ferite dell’acqua freschissima.
“Comunque, io mi chiamo Dumneal.” dice ad un tratto.
Sospiro borbottando: “Almeno so con che nome ti posso insultare…”.
“La tua riconoscenza ripaga tutte le mie fatiche.” dice ironico finendo di pulire le ferite.
“Hai qualcosa con cui fasciarle?” mi domanda alzandosi.
Scuoto la testa e con mia grande sorpresa lo vedo togliersi la sua camicia e strapparla in tante strisce di tela pulite.
Cerco di non farmi cogliere dall’imbarazzo mentre mi fascia delicatamente il petto, prima di andarsi a infilare nel suo angolino buio, appisolandosi tranquillo come un bambino.
Bisogna comunque ammettere che, per essere un Corals, è veramente bello. Mentre dorme la sua faccia sembra quella di un angelo, incorniciata dai capelli grigio argento e il suo corpo, non più sformato dalla camicia, si rivela per quel che è veramente: flessuoso ma resistente, con i muscoli ben visibili anche da dove sono io.
Pensando a questo, quasi senza accorgermene, scivolo lentamente in un sonno popolato da Corals e Cirment, acqua come fuoco e un sole battente oscurato in parte dalla pioggia.
 
Terzo Giorno: 
 
Il sole picchia anche più forte di ieri.
Piccono con calma, cercando di non sprecare tutte le mie forze, mentre Dumneal sputa l’anima sui sassi.
E’ caduto anche lui e ha ricevuto la sua dose di frustate.
Due giorni fa avrei provato un godimento immenso nel vederlo soffrire, ma ora… non lo so. Questo posto sta temprando il mio carattere.
Mi sento sconfitta.
E piccono sentendo i suoi gemiti perforarmi le orecchie.

 ***

“Sai Dumneal…” inizio a dirgli mentre tento impacciata di pulirgli le ferite ricoperte di sangue argentato “… sono talmente sfinita che non riesco neanche più ad insultarti. E pensare che due giorni fa ne avrei approfittato per farti fuori… un bel passo avanti, non trovi?”.
Sorride debolmente guardandomi.
“A che cosa servono quelle pietre?” gli domando cambiando argomento.
Sospira prima di rispondere: “Sai che si mormora dell’arrivo della prescelta, no? Ecco, da quanto ho capito questo minerale serve ad Everett per creare un qualcosa per bloccare i suoi poteri…”.
“Ecco perché ci fa scavare così tanto…” sussurro fasciandogli concentrata il petto.
Quando credo di aver fatto un buon lavoro, mi rannicchio nel mio angolo, osservando cupa il mio riflesso in una pozzanghera: i miei capelli color del fuoco sono spenti e i miei occhi neri sono contornati da spesse occhiaie. Non mi riconosco più.
“Credi che sopravvivremo?” gli chiedo incolore.
“Tu sicuramente. Io sto troppo male sotto il sole cocente per resistere un giorno di più… tu almeno dovresti esserci abituata a queste temperature fin troppo alte per me.” risponde lui, osservando le punte delle scarpe.
“Ma che accidenti stai dicendo?” esclamo guardandolo. “Morire tu? Sei ben più forte e robusto di me! Tanto appena torni in questa umidissima e orribile cella ti riprendi subito!”.
Alza lo sguardo giusto un per un secondo, guardandomi arrabbiato.
“Insomma…” gli dico avvicinandomi a gattoni “perché ti stai sminuendo?”
“Perché mi hanno mandato qui a morire, ecco perché!” mi urla in faccia, facendomi indietreggiare, mentre il suo viso diventa di un porpora intenso.
“E dovevo proprio ritrovarmi con te, no? Proprio con una stupidissima Cirment dovevo venir imprigionato!” continua a strillare. “Non capisci proprio niente di me e di quello che succede! Chi ti credi di essere per dirmi che mi sto sminuendo? Sai qualcosa di me? Puoi affermare di conoscermi? No! Tu non sai niente. Niente di niente!” grida scandendo con cura tutti i “niente”.
“Ah davvero?” gli rispondo, urlando a mia volta. “E se ti dicessi chi sono? Mi immagino già la tua faccia! Ti infileresti nell’angolo più remoto della cella e rimarresti lì a piagnucolare come fate sempre voi Corals!”.
Lui inizia a controbattere le mie affermazioni alzando tremendamente la voce e io, cercando di sovrastarlo, inizio ad strillargliene dietro di tutti i colori.
Urliamo fino a quando arriva un Mutaforma ad intimarci di smettere.
Gli lancio un’altra occhiata in cagnesco prima di stendermi nel mio angolino, ignorandolo.
“Se sapesse chi sono non mi tratterebbe così…” penso amareggiata addormentandomi.
 
Quarto Giorno
 
Se è possibile entrare all’inferno, credo di farne parte ormai da quattro giorni.
Non credo che potrò riuscire a resistere ancora.
Stamattina i Mutaforma sono passati tra le file di noi carcerati e hanno iniziato a uccidere tutti quelli che non riuscivano a reggere il piccone in mano. Li hanno presi e, con una calma micidiale, li hanno frustati fino a quando questi non morivano dissanguati.
Ad un certo punto si sono avvicinati a Dumneal e hanno iniziato ad osservarlo lavorare. Ho avuto paura che lo scegliessero.
Invece eccoci ancora qui, al sicuro in questa cella che ormai sembra la stanza più lussuosa di un castello dopo il duro lavoro della mattina.
“Credo di doverti delle scuse.” afferma di colpo lui, spezzando il monotono silenzio del carcere. Dopo quello che è successo oggi nessuno ha voglia di parlare, si stanno già tutti riposando per evitare che l’orribile sorte dei compagni si ripercuota su di loro.
“Per cosa?” gli chiedo anche se so già la risposta.
“Per quello che ti ho urlato contro ieri. Non ero in me. Tutto quello che succede qui dentro mi sta lentamente uccidendo… non riesco più a capire quale sia la realtà. Mi sembra di vivere in un incubo orrendo che non riesco a scacciare.” mi spiega tutto d’un fiato.
“Non credo di poterle accettare.” gli dico dopo averci pensato per un attimo. Non riesco ancora a capacitarmi di quello che è successo ieri: io sono una testa calda, e sono la prima ad ammetterlo, ma lui… non lo capisco proprio.
Alza un sopracciglio e mi guarda intensamente, prima di dirmi: “Peccato… dovrei dirti anche una cosa molto importante, ma se non mi vuoi ascoltare…”.
Lo ignoro cercando di non cedere alla tentazione di sapere cosa mai mi voglia rivelare.
O almeno, ci provo.
Infatti dopo qualche minuto borbotto: “Parla pure, ma ti avverto che potrei anche non ascoltarti…”.
“Meglio… sai quando oggi hanno iniziato ad uccidere tutti quelli che ritenevano inadatti?” mi domanda mentre io annuisco.
Non potrò mai dimenticare una scena simile.
“Ecco, in quel momento ho avuto veramente paura. Non per me, ma per te.” a quelle parole alzo il mio sguardo fino a quando non incontro i suoi occhi sinceri.
“E’ strano a dirsi, non trovi? Ho avuto paura, anzi, ero terrorizzato. Ho capito che non sarei riuscito a sopportare un altro giorno senza le tue urla e i tuoi rimproveri… che stupidaggine, vero?” domanda alla fine.
Rifletto con calma sulle sue parole.
“Forse è meglio che ti riveli io una cosa… vuoi sapere il mio nome, vero?” gli domando mentre lui mi osserva perplesso.
Annuisce poco convinto, dandomi comunque la forza per continuare a parlare: “Bene… forse avrai già sentito parlare di me… forse senza saperlo sai già chi sono. Sono quella che tutti temono, quella che lavora per Cain; sono il peggiore dei suoi sicari, ho ucciso, ho visto morire, non mi sono mai pentita delle mie scelte. Hai davanti un'assassina delle più temute, la peggiore ma anche la migliore... sono quella che ha spaventato il sovrano di Saat a tal punto da vendermi al nemico pur di vedermi morta. Io ho giocato a fare il dio, mi sono divertita fin troppo. Mi avevano avvertito di scappare via, ma non ho ascoltato nessuno e ora mi trovo qui. Non ti sembra strano che il migliore degli assassini in circolazione si trovi rinchiuso in uno stupidissimo penitenziario?” gli domando mentre lui mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite.
“So a cosa stai pensando... ti stai chiedendo come hai fatto a dirmi quelle cose pochi secondi fa. Ora che sai che sono Amnej ti viene voglia di scappare, vero?” chiedo più a me stessa che a lui, rannicchiandomi ancora di più nel mio misero nascondiglio.
“Amnej...” sussurra dopo qualche minuto, quasi assaporando il mio nome, avvicinandosi al cantuccio in cui mi ero ritirata. “Sì, ho sentito parlare di te. E, no, non ho voglia di scappare via. Io sono peggio di te, fidati. Mi hanno mandato qui per capire cosa se ne fa Everett di così tanti prigionieri e io, sprezzante, ho accettato senza pensarci due volte. Ho accettato di far parte di un piano suicida… tutto perché ero troppo stupido per capire che il loro scopo era uccidermi.” mi spiega sospirando.
“E perché mai qualcuno vorrebbe vederti morto?” chiedo con un misto di curiosità e cautela.
“Perché ho tentato di uccidere il Governatore della mia città e, dopo essermi rifugiato in un’isola sotto la protezione di Calypso, alcuni dei suoi abitanti hanno deciso che ero troppo pericoloso per vivere al loro fianco.” mi racconta mentre i suoi occhi si perdono nel vuoto, come a cercare di afferrare un ricordo troppo lontano.
“Comunque siamo assieme in questo guaio e assieme ne usciremo, non ti pare?” mi domanda dopo qualche minuto, regalandomi un sorriso.
“E come?” gli chiedo.
“Non lo so, ma vedrai che ce la faremo…” sussurra abbracciandomi.
Chiudo gli occhi e mi appoggio sulla sua spalla, cercando di pensare al meglio mentre la sua voce mi culla, facendomi addormentare.
 
Quinto Giorno:
 
Oggi è il nostro ultimo giorno: me lo sento nelle ossa.
Non ne uscirò viva e si nota che non sono l’unica che la pensa così: tutti i prigionieri, che sono stati sciolti dalle catene per chissà quale divertimento sadico dei nostri carcerieri, si guardano le spalle cercando di capire quando e come moriranno.
Invece io tengo d’occhio Dumneal che, d’altro canto, mi controlla.
Notando che lo osservo cerca di farmi un sorriso incoraggiante, prima di tornare a lavorare. Cerco di non badare troppo a questa mia sensazione, picconando con più forza possibile.
Da quanto sono concentrata, quasi non mi rendo conto che c’è un primo caduto: è un uomo sulla quarantina, proprio dietro di me. Lavorava con buona lena e, quando è scivolato a terra, non me ne sono quasi accorta. E probabilmente non se ne sarebbe accorto nessuno se non fosse stato per l’urlo straziante della donna che lavorava al suo fianco, che dopo pochi secondi viene uccisa anch’essa senza pietà, trapassata da una spada.
E da quel momento è il panico. Iniziano tutti a scappare, si spingono, corrono dovunque, ma i Mutaforma, preparati a questa eventualità, circondano la cava, lasciandoci intrappolati dentro.
D’istinto cerco la mano di Dumneal che, invece, mi stringe a sé con fare protettivo.
I Mutaforma ci squadrano aspettando il momento giusto per attaccare e noi, spossati e già arresi, ci prepariamo mentalmente a morire.
“Non avrei mai pensato di morire così, abbracciata a un Corals…” gli sussurro nell’orecchio.
“Neanche io…” mi risponde guardandomi con i suoi occhi blu mare.
Lo stringo più forte cercando di non piangere: non sono pronta a morire.
“Hey… non piangere…” mi bisbiglia notando scorrere sulle mie guance delle lacrime cristalline.
Sorrido pensando a quanto sia ingenuo: non riusciremo ad uscirne vivi, non ce la faremo…
“Amnej, ascoltami un attimo: ti prometto che se riusciremo ad uscirne vivi ti porterò via da qui, in un posto lontano da tutti, un posto tranquillo, dove potremo iniziare tutto da capo. Te lo giuro…”
Rifletto un attimo prima di dirgli: “Non fare promesse che sai di non poter mantenere.”
“Ma sono quelle che preferisco...” mormora sorridente prima di baciarmi.
Chiudo gli occhi e lascio perdere il resto del mondo: non mi importa niente dei Mutaforma, o di Everett, o di Cain… non mi interessa più nulla.
Voglio solo che questo attimo duri in eterno, che questa storia abbia un lieto fine… è troppo da chiedere?

 ***

“Signore! Signore! E’ ancora viva!” sento urlare nel nero che mi circonda.
“Siete sicuri che sia lei?” chiede una voce fin troppo conosciuta.
“Certamente, signore! E’ senza ombra di dubbio Amnej. Cosa ne facciamo?” continua la prima voce.
Per tutta risposta Cain mi tira un calcio nello stomaco che mi fa tossire, svegliandomi.
Mi ritrovo davanti il suo fisico olivastro, che trovo sempre in contrasto con i suoi occhi verdi e i capelli chiari, ma, ignorando palesemente il mio signore, la prima cosa che faccio è cercare Dumneal.
“Oh, chi stai cercando mia cara? Credo che tu sia l’unica sopravvissuta a questo macello… è abbastanza seccante che l’unica persona che sarebbe dovuta morire sia ancora viva, non trovi?” mi chiede con un sorriso abbagliante mentre finalmente noto poco distante da me il suo corpo: una lancia gli ha trapassato il petto e i suoi occhi mi guardano senza trasmettere niente. Mi precipito vicino a lui e sfilo delicatamente la lancia, sperando inconsciamente che lui si svegli e mi dica che è tutto uno scherzo. Gli chiudo gli occhi ormai di un blu spento, piangendo silenziosamente.
Non so come ho fatto a sopravvivere, l’unica cosa che ricordo sono i Mutaforma che partono alla carica su di noi, poi un vuoto opprimente.
“Mia cara, se non lo vedessi non ci crederei. Stai seriamente piangendo per un Corals?” mi domanda Cain stringendo gli occhi verdi e osservandomi come se fossi un animale pericoloso da abbattere.
Tra i singhiozzi riesco a dire un “sì”, osservando ancora una volta il suo corpo senza vita… non può essere vero, non può essere successo davvero.
“Perfetto, quando sei pronta per tornare in servizio?” mi chiede tornando a sorridere.
Lo guardo come se fosse un pazzo prima di urlargli contro: “Mai!”
Scuote la testa quasi dispiaciuto prima di ordinare secco: “Uccidetela.”
I suoi sicari mi squadrano attentamente, forse cercando di capire come riuscirò a difendermi, ma io non mi muovo. Ci vuole ancora un attimo di esitazione prima che mi trapassino con le loro spade.
Una ragnatela rosso fuoco si tinge davanti ai miei occhi mentre mi sdraio di fianco a Dumneal. Chiudendo gli occhi per l’ultima volta, prima di raggiungerlo chissà dove, ho ancora la forza di sussurrare un unico, semplice e veritiero “Ti amo…”. 

 


Angolo Autrice del 12/7/13:

Bene, questa è la prima storia che invio ad un concorso. 
Incrocio le dita e spero bene.
Comunque, cosa ne pensate? 
Questa one-shot fa diventare Hydrus più o meno una serie *.*
Se comunque volete leggere la storia da cui ho preso l'ambientazione, basta andare sulla mia pagina autrice e la trovate subito (sì, se ve lo state chiedendo, sono una frana con i vari link T.T)
Detto questo, spero vi sia piaciuta. Comunque... mi sto ripetendo.
Pessima, pessima e ancora più pessima.
Sparisco che è meglio... 

Angolo Autrice del 20/9/13:

Beh, cosa dire?
Ieri sera ho avuto le valutazioni e ho trovato questa bellissima sorpresa... sì, sorpresa. Leggendo le storie delle altre concorrenti non me lo sarei mai immaginato...
Quindi ringrazio ancora Edelvais Verdefoglia per il bellissimo giudizio e per il banner che è assolutamente incredibile ^^

BekySmile97  
  
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