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Autore: Neko no Yume    12/07/2013    8 recensioni
Levi conosceva il corpo umano.
Ne conosceva i punti deboli grazie al suo passato di ladro, l'anatomia grazie alle lezioni forzate di Hanji, la fragilità grazie agli sguardi dei suoi stessi soldati di ritorno da una missione.

(SPOILER ALERT per chi non segue il manga; capitoli 29 e seguenti)
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren, Jaeger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Levi conosceva il corpo umano.
Ne conosceva i punti deboli grazie al suo passato di ladro, l'anatomia grazie alle lezioni forzate di Hanji, la fragilità grazie agli sguardi dei suoi stessi soldati di ritorno da una missione.
Aveva studiato il suo stesso corpo con precisione maniacale, sino a memorizzarne ogni singolo brandello di carne, ogni muscolo in perenne tensione.
L'aveva allenato a ritmi che sfioravano l'autolesionismo, concentrandosi soprattutto sulla velocità; Irvin aveva messo in chiaro sin da subito che con la sua statura e il suo passato avrebbe dovuto puntare sull'agilità e lui gli aveva dato ascolto.
Per questo a volte la gente si stupiva di quanto fosse piccolo il soldato più forte che l'umanità avesse a disposizione.
Non che a lui importassero chiacchiere del genere.
In realtà c'erano momenti in cui, dopo aver perso più vite di quante riuscisse ad accettare ed essere tornato al sicuro dietro le mura tra gli sguardi allucinati della folla, avrebbe preferito di gran lunga essere soltanto una recluta priva di alcun valore.
Chissà come doveva essere potersi gettare tra le braccia della morte senza dover pensare alle conseguenze, senza dover proteggere nessuno.
Morire per una causa più alta.
Levi era costretto a vivere per una causa più alta.
La libertà che prometteva la Legione Esplorativa a lui non era concessa; o meglio, gli veniva sbattuta in faccia mentre il vento gli portava odori mai sentiti prima, ma le sue spalle restavano incurvate sotto il peso della responsabilità di dover restare vivo.
Poi Eren Jaeger si era materializzato dal nulla e improvvisamente l'attenzione di tutti era puntata su di un ragazzino alle prime armi che sembrava essere chissà come in grado di trasformarsi in un titano.
Lui e Irvin erano riusciti a ottenerne la custodia (Levi ricordava ancora la sensazione del corpo del ragazzo sotto le suole dei suoi stivali) e salvarlo da morte certa, facendone invece una nuova icona di speranza per la razza umana, ma nonostante la presenza di Eren avesse dimezzato il soffocante carico di aspettative che lo attanagliava, il capitano non si era mai fatto illusioni riguardo alla possibilità di poter davvero ricavarne qualche vantaggio.
Anche perché, com'era prevedibile, il ragazzino era stato assegnato alla sua supervisione.
La cosa non gli dispiaceva, anzi, ma comportava un ulteriore motivo per non poter abbassare la guardia neanche nei rari periodi di tregua che erano loro concessi.
All'inizio si era sobbarcato spontaneamente di un simile peso per pura curiosità: Levi era curioso oltre qualsiasi limite fosse stato disposto ad ammettere nei confronti del potere di Eren.
Sentiva il bisogno di riuscire a scoprire cosa si celasse dietro il baluginio quasi delirante che gli aveva visto negli occhi e che riaffiorava con violenza ogni volta che qualcuno tra i membri della sua squadra aveva la brillante idea di parlare di titani.


Poi era iniziata col vuoto.
Si era illuso di essere pronto alla morte di chiunque, ormai anestetizzato dagli anni di servizio militare, ma la perdita della sua squadra l'aveva lasciato svuotato, dolorante come il suo braccio ferito.
Inutile, costretto all'immobilità per aver salvato due marmocchi impulsivi da morte certa.
Era stato allora, in quei giorni di stallo prima addentrarsi verso la capitale, che la sua consueta attenzione a ciò che lo circondava si era trasformata in ossessione.
Ossessione per l'unica persona a cui sembrava importare della morte dei suoi uomini, l'unica persona con cui gli era concesso di condividere il peso della speranza.
Aveva iniziato a osservare Eren sempre con maggiore interesse, non senza provare un moto di repulsione verso se stesso ogni volta che si sorprendeva a scrutarlo con la stessa espressione che Hanji indossava durante le sue ricerche, ma continuando comunque a registrare qualsiasi particolare riuscisse a notare.
Come il fatto che gli occhi del ragazzo, sempre così vivi, si facessero più cerchiati di scuro dopo ogni notte, o come i suoi movimenti risultassero sempre frammentati in scatti carichi di nervosismo.
Erano dettagli che potevano passare inosservati a chiunque nella situazione in cui si trovavano, ma Levi aveva troppa esperienza e troppo bisogno di focalizzarsi su qualcosa di diverso dal sorriso di Petra per poterli ignorare.
Eren era irrequieto, stanco, curvo sotto il peso di un senso di colpa che un moccioso di quindici anni non avrebbe dovuto conoscere.
Sebbene si stesse rifiutando di chiedere aiuto con ostinazione quasi commovente, il suo corpo lanciava segnali continui, in attesa che qualcuno li cogliesse.


“Ehi, Jaeger.”
Levi avvertì il ragazzino trasalire oltre la porta; probabilmente si stava chiedendo cosa avesse combinato di così terribile perché il capitano lo convocasse in camera sua senza neanche dargli tempo di finire la cena.
In realtà se lo stava chiedendo anche un parte del cervello del suo superiore, ma Eren non era tenuto a saperlo.
“Vuoi entrare sì o no?”
L'uscio si schiuse con un cigolio e la recluta si affrettò a sgusciare all'interno della stanza, scandagliandola con lo sguardo all'erta di chi è consapevole di trovarsi nella tana del leone.
“Buonasera, signore,” lo salutò dopo un istante di esitazione.
Levi ricambiò con un cenno del capo, per poi scostarsi dalla scrivania che stava rimettendo in ordine e sedersi sul bordo del letto, senza invitare l'altro a fare lo stesso.
“Jaeger, quanto hai dormito ieri notte?” chiese invece bruscamente.
Il suo sottoposto sobbalzò vistosamente, segno che la domanda aveva colpito un tasto dolente.
Proprio come lui si aspettava.
Eren lo stava fissando in silenzio con gli occhi sgranati nonostante le occhiaie, le labbra contratte mentre cercava di capire come rispondere.
“Sono tornato in camera subito dopo cena, signore,” rispose alla fine, la voce segnata dalla tensione.
“E quando sei riuscito a prendere sonno?”
Altro sobbalzo silenzioso.
Gli occhi del ragazzo non lo guardavano più, ma Levi riusciva a intravedere il loro luccichio arrossato nella semioscurità.
E non gli piaceva, era lo stesso luccichio che potevano permettersi le pedine pronte a morire.
A loro due non era concesso il lusso di cedere.
Il capitano si lasciò sfuggire un sospiro seccato, poi si alzò di nuovo e si diresse verso Eren.
“Jaeger,” lo chiamò. “Guardami.”
Il più giovane strinse i pugni con uno spasmo, ma obbedì.
Aveva il viso di chi avrebbe potuto crollare in mille pezzi da un momento all'altro, incapace di trovare un appiglio.
Levi si ritrovò a pensare che probabilmente era il suo stesso viso, prima di afferrarlo per il bavero della giacca e tirarlo verso il basso.
“... Capitano?” azzardò Eren, non osando muovere un muscolo.
“Stammi bene a sentire, moccioso,” lo interruppe lui. “Abbiamo entrambi la nostra parte di colpa per il casino che è successo là fuori, ma è arrivato il momento di tornare a concentrasi sul lavoro che ci aspetta e farla pagare a quel cazzo di titano femmina.”
Un'improvvisa ondata di rancore scosse il corpo del ragazzo, mentre lo smarrimento di poco prima lasciava spazio a un fuoco alimentato dai ricordi di tutte le persone morte per salvarlo fino a quel momento.
L'attimo dopo Levi gli stava mordendo le labbra in un bacio rubato a lui e all'intera umanità che si ostinava a tarpar loro le ali, trascinandolo con sé verso il letto.
Interruppe il contatto solo per spingerlo sul materasso, poi tornò a gettarsi sulle labbra che l'avevano ossessionato da quando erano tornati dalla missione, alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, in grado di lavare via la guerra dalla sua mente anche solo per una notte.
Levi conosceva il corpo umano.
In quel momento era in grado di percepire Eren perdere gradualmente il controllo sul proprio, aprire la bocca contro la pressione della sua lingua, ansimare sotto il suo petto, affondargli le unghie nella schiena attraverso la stoffa della camicia.
Del resto aveva solo quindici anni e un disperato bisogno di essere giovane in un mondo in cui marmocchi come lui venivano mandati a morire come mosche.
“Capitano, sta piangendo?”
L'uomo trasalì nel rendersi conto di aver interrotto il bacio, per poi notare le guance bagnate di Eren.
Bagnate da lacrime che stavano gocciolando dai suoi occhi.
“Non è niente,” cercò di glissare, ma il ragazzino lo interruppe intrecciandogli le braccia dietro la nuca e attirandolo a sé non senza un certo impaccio.
Nessuno dei due aveva la più pallida idea di come comportarsi in una situazione del genere, che si trattasse di consolare un animo ferito dalle troppe battaglie od offrire una spalla su cui piangere a una recluta già sin troppo segnata.
Si limitarono a stringersi fino a soffocare i propri singhiozzi, nella speranza di riuscire a non pensare.


Svegliarsi con accanto un'altra persona era stato strano, in un primo momento.
L'ultima volta risaliva alla sua infanzia e aveva la caratteristica atmosfera sfocata dei ricordi accantonati per troppo tempo.
Eppure Eren era lì, il volto finalmente disteso nel sonno a un soffio dal suo.
I loro vestiti giacevano sparsi sul pavimento, le loro gambe erano ancora aggrovigliate tra le lenzuola.
Levi lasciò vagare lo sguardo sul petto dell'altro, seguendo con gli occhi i segni delle cinghie della divisa come aveva fatto la notte prima con la lingua.
Il respiro regolare del ragazzino gli solleticava la pelle appiccicosa per le lacrime e il sudore ma per una volta l'uomo non sentiva l'urgenza di pulirsi, si stava bene accanto a Eren.
“Stupido moccioso,” mormorò con voce ancora intorpidita dal sonno, per poi sfiorargli le labbra arrossate dai suoi morsi, resistendo all'impulso di baciarle per paura di svegliare il suo sottoposto.
Probabilmente ciò che avevano fatto era sbagliato e Levi si sarebbe pentito di aver lasciato crescere la sua ossessione fino a permettersi di andare a letto con il ragazzo, ma finché fosse stato in grado di colmare il vuoto che lo divorava col suono del suo battito cardiaco non gliene sarebbe importato nulla.










Yu's corner.
Buongiorno a tutti!
Mio dio, questa è la prima fanfiction che scrivo su Shingeki ed è stata una sofferenza dalla prima all'ultima riga.
Colpa di Levi.
Ad ogni modo, sono riuscita a finirla e spero vivamente vi sia piaciuta!
Bye bye,
Yu.
  
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