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Autore: Fanny Lestrange    12/07/2013    1 recensioni
Seconda guerra magica.
Ninfadora - anzi, Tonks - è una novella sposa e una futura madre, giovane, idealista, coraggiosa, disposta a tutto pur di non tradire l'Ordine della Fenice. Catturata e rinchiusa nei sotterranei di Villa Malfoy.
Lucius è un marito e un padre assente, prostrato dalla paura e perseguitato dai propri fantasmi, disposto a tutto pur di riconquistare la fiducia del suo signore. Costretto a farle da carceriere.
Lucius/Ninfadora.
Prima classificata al "Crack pairing contest, per chi vuole leggere qualcosa di originale!" organizzato da Rowan936 su ffz.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Nimphadora Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Tutto qua, ti dicevi. Tutto finito. Guardavi cadere, uno dopo l’altro, i petali della rosa che Remus ti aveva regalato. Rossa, come la passione che fra voi due s’era spenta. Rossa, come il sangue che presto entrambi avreste versato. Rossa, come la tua ferita. Gli altri usavano colorare di nero la propria disperazione. La tua invece era rossa. Bruciava, urlava, uccideva. Faceva male ovunque. Pulsava, era costantemente accesa, era ossessiva. Rossa.
La rosa appassiva. Moriva lentamente. Come te. Buffo, proprio quando una nuova vita cresceva, di giorno in giorno, dentro di te. Ormai mancava poco. Ti domandavi che senso avesse mettere al mondo quel bambino. Scagliarlo con violenza in una realtà crudele, un teatro di guerra, un’arena insidiosa e fatale, senza che gli fosse stato chiesto il permesso. Un mondo che non aveva pietà di nessuno lo stava aspettando a fauci spalancate, pronto a divorarlo non appena vi si fosse timidamente affacciato. Un mondo che tu, solo poco tempo prima, avevi creduto di poter cambiare. Di poter migliorare.
Povera illusa. Ti eri scoperta in torto. Non solo ogni tua speranza era svanita, ti chiedevi in cosa avessi mai sperato. In cosa avessi creduto. Ogni tua certezza si era dissolta. Valeva la pena combattere per una giusta causa, senza dubbio. Ma che cosa era giusto? E che cosa sbagliato? Non ne eri più sicura. Avevi smarrito l’orientamento. Brancolavi nel buio. E nell’oscurità che ti avvolgeva, ti opprimeva da ogni parte, ti toglieva il respiro, riuscivi a scorgere solo i suoi occhi. Glaciali, penetranti. Quegli occhi che eri abituata a disprezzare, e che mai avresti creduto di poter contemplare. Quello sguardo in cui non avevi mai scorto altro che odio, arroganza e codardia, e in cui tutto avresti pensato di trovare, fuorché la dolcezza. Quello sguardo che ti eri sorpresa a desiderare. Erano i suoi occhi, ormai, la tua bussola; te ne avevano privata, e tu sapevi che, se non avessero più potuto guardarti, tu non avresti mai ritrovato la strada.
 
 
 
 
 
- No! Questo mai! Non vi rivelerò mai l’attuale rifugio dell’Ordine, potete scordarvelo!
 
 
Era iniziato tutto così, con il tuo ostinato rifiuto a cedere. Avevi puntato i piedi, ti eri trincerata in un guscio di testardaggine: avrebbero potuto sottoporti a qualunque tortura, tu non avresti parlato.
 
 
- Cambierai idea presto, sgualdrinella. Vedrai. - aveva sentenziato lei, la tua nuova carceriera, legandoti stretti i polsi l’uno all’altro.
 
 
- Io non credo. - avevi trovato, chissà come, il coraggio di ribattere. O forse non l’avevi nemmeno cercato, era merito della tua naturale sfrontatezza. Nemmeno ora che eri responsabile non di una, bensì due vite, riuscivi a tenere a freno la lingua. Eppure, avresti potuto almeno provarci. Per lui, se non altro. Per il tuo bambino.
 
Puntuale, lo schiaffo era arrivato. Non ti aveva colta di sorpresa: lo aspettavi. Tuttavia, se al dolore eri preparata, avevi sottovalutato l’umiliazione: bruciava anche di più.
 
 
- Taci. - ti aveva sussurrato lei, e tu eri rimasta a fissarla, riflettendo. Che cos’era, alla fine, un legame di sangue? Poteva, ciò che avrebbe dovuto essere garanzia d’amore, porre un limite all’odio? Ti avrebbe forse risparmiata solo perché eri la figlia di sua sorella, una reietta come te?
Tutt’altro. Si sarebbe accanita su di te con una violenza anche maggiore. D’altronde, se lei non ti considerava sua parente, tu avevi sempre fatto altrettanto. Dunque cos’era, realmente, ad unirvi? Il legame tra te e Remus, invece, era forte e concreto: era la creatura che sentivi crescere dentro, di giorno in giorno. Quel bambino di cui lui si era dimostrato così poco entusiasta.
Al ricordo ti eri impercettibilmente rabbuiata. Lei, ovviamente, se n’era accorta.
 
 
- Oh, non ti preoccupare. Ci divertiremo, noi due. - aveva aggiunto, con una risata agghiacciante.
- Lo sai? Mi piacciono i testardi. Riuscire a farli parlare dà molta più soddisfazione.
 
 
Il ghigno sul suo viso ti aveva messo i brividi. Sapevi che arma avrebbe usato. Sarebbe stato fin troppo facile. Bastava minacciare di far del male al bambino, non appena avesse scoperto della sua esistenza. E lo avrebbe scoperto, senza dubbio. Ma lui era uno, giusto? Mentre dall’Ordine dipendeva la salvezza dell’intero mondo magico.
 
 
- Ma ho deciso di essere clemente con te. Dopotutto sei pur sempre mia nipote. Voglio lasciarti qualche ora per riflettere. Sono certa che capirai che ti conviene dirmi subito quello che voglio sapere. In caso contrario, non mi lasci altra scelta.
 
 
Avresti scommesso che, se avessi confessato subito, ne sarebbe rimasta delusa. Dietro a quelle smancerie senza dubbio si celava l’impazienza di vendicarsi, di versare il tuo sangue sporco. Aspettava solo il momento opportuno. Come un predatore in agguato.
 
 
- Dimenticavo: questa la prendo io.
E ti aveva sfilato la bacchetta dalla veste con un sorriso.
- Tornerò più tardi. Addio, sgualdrinella.
 
 
Eri rimasta in silenzio ad ascoltare l’eco dei suoi passi che lentamente svanivano. Un fugace spiraglio di luce, lo stridore di un lucchetto che veniva serrato, poi più nulla.
 
 
Ecco fatto. Eri sola, ora. Completamente sola. Non era forse ciò che più di ogni altra cosa temevi, più ancora che di subire efferate torture? In quel caso, almeno, avresti potuto dimostrare il tuo coraggio, ammesso che di coraggio si trattasse.
La vista ti si era annebbiata e, guardandoti intorno, attraverso i tuoi occhi velati di lacrime, non avevi scorto altro che buio. Un buio totale, soffocante, in cui i contorni sparivano, la fisicità delle cose veniva come inghiottita. Cosa non avresti dato perché Remus potesse trovarsi lì con te.
 
Non ne avevi mai sentito così tanto la mancanza, eccetto forse quando ancora non ti era concesso di amarlo. Avevi lottato per difendere i tuoi sentimenti dai pregiudizi e dalla pubblica opinione, e avevi lottato per difendere lui dalla paura di sé stesso, di non poter darti ciò che meritavi. Questo era ciò che aveva addotto a pretesto quando si era sottratto alle tue instancabili dichiarazioni, che tu sulle prime avevi temuto fosse un espediente per dirti che no, non ti amava, e che tu non potevi farci nulla. Invece avevi scoperto che era vero: era solo atterrito da sé stesso, da quella che credeva la sua più intima e immutabile natura, dal male che avrebbe potuto farti, pur senza volerlo. Era anche grazie a te se aveva imparato ad accettarsi nella sua completezza; avevi scorto la bellezza in lui e gli avevi insegnato a tirarla fuori, a farla risplendere, dimostrandogli che anche lui era in grado di amare.
 
Eppure, quando gli avevi comunicato la grande notizia, trattenendo a stento un sorriso euforico, non avevo reagito come speravi. La trepidazione era sparita dal suo volto, raggelandosi in una maschera di angoscia e delusione vanamente camuffata. La tua risposta era arrivata di riflesso: il sorriso ti si era spento, mentre avvertivi, in un punto imprecisato dentro di te, qualcosa spezzarsi. I suoi tormenti erano tornati a galla. Le sue tendenze autodistruttive si erano nuovamente affacciate sulle fugace tranquillità delle vostre vite. Avresti dovuto immaginarlo. Sapevi che non sarebbe stato facile, che non le avreste mai completamente debellate, eppure ti eri illusa. Sapevi a cosa saresti andata incontro, eppure ti avevano colto ugualmente impreparata. Avevi abbassato la guardia. “Vigilanza costante!”, ti sembrava di udire ancora il mantra prediletto di Malocchio echeggiare nella tua mente, intorno a te, ovunque. Poco importa, ti eri risolta. Supereremo anche questa.
 
E invece no, sbagliavi di nuovo. Giorni di silenzi protratti, carichi di tensione, densi di cose non dette, che gravavano su di voi insostenibilmente. Incomprensioni, liti, perfino. Finché non era accaduto l’impensabile. Ti aveva abbandonata. Già, proprio così. Una sera non era rincasato, e ti aveva fatto sapere tramite amici che sarebbe stato meglio così, per entrambi. Che almeno non avrebbe corso il rischio di uccidere te e il bambino, sempre che non fosse nato come lui. Correre il rischio. Qui, in questo sintagma, era riassunto il suo maggior limite. Non era disposto a correre il rischio.
Era fuggito. Poteva rivoltarla quanto voleva, la sostanza restava quella: era scappato. Incapace di assumersi la responsabilità delle sue stesse azioni. Vile. Debole. Tuttavia non riuscivi a provare rancore nei suoi confronti, solo una pietà intrisa di delusione, di aspettative infrante. Lo credevi diverso. Migliore. Lo credevi un uomo, più di quanto avesse mai fatto lui.
 
Non era stato presente quando, durante l’ultima battaglia contro i Mangiamorte, ti avevano catturata; e non c’era ora, che giacevi immobile in un angolo del seminterrato, adibito a cella per l’occasione. Abbandonata. Inutile. Eppure pronta a tutto pur di salvare la vita all’Ordine.
 
 
Ma era poi vero? Era proprio di un atto di eroismo che avevano bisogno? Non saresti forse stata loro più utile da viva? Di lutti ne avevano subiti anche troppi.
In effetti, a ben pensarci, il ruolo di vittima sacrificale non ti si addiceva per nulla. Eri un Auror, dannazione! Avevi ricevuto un addestramento mirato alla lotta e alla sopravvivenza che molti non avrebbero sostenuto. Ti era stato insegnato a rialzarti anche dopo la più rovinosa caduta. Cavartela, in poche parole, era il tuo mestiere. Avevi preso il coraggio a due mani e deciso che perlomeno ci avresti provato.
 
 
Ti eri guardata di nuovo attorno. I tuoi occhi cominciavano ad abituarsi all’oscurità, e a distinguere con chiarezza le sagome che ti circondavano. C’erano parecchi mobili, vecchi e rosi dai tarli, addossati alla bell’e meglio contro i muri, alcuni manici di scopa spelacchiati e ammuffiti, innumerevoli fiale, contenenti chissà quali letali intrugli, impilate sugli scaffali alle pareti, e una gran quantità di obsoleti cimeli di famiglia (della loro famiglia, che non aveva nulla a che vedere con te... giusto?).
 
Ti eri alzata e, dapprima barcollante, poi con sempre maggior sicurezza, avevi mosso qualche passo avanti e indietro, perlustrando quella che aveva tutta l’aria di essere stata concepita come una cantina. Nel giro di poco avevi setacciato ogni metro quadro di pavimento e pareti, senza aver trovato nulla che assomigliasse a una via di fuga. Avevi anche provato, pur senza contarci troppo, a Smaterializzarti. Niente da fare, naturalmente. Non erano mica stupidi. Ti eri fermata e, cercando di mantenere la calma, avevi riflettuto sul da farsi.
 
 
Stavi giusto elaborando un’idea, quando avevi udito uno scatto secco, e la serratura aprirsi. La porta si era spalancata di colpo. Ti eri maledetta: concentrata com’eri, non avevi percepito i passi avvicinarsi.
Col cuore in gola, eri corsa, in un impeto di incontrollato terrore, a rifugiarti di nuovo nel tuo angolo inviolabile. Da lì, complice la penombra, senza farti notare avevi spostato lo sguardo sul tuo visitatore, e avevi appreso con stupore che non si trattava di Bellatrix, come ti aveva suggerito un istinto primordiale, lo stesso che ti aveva costretta ad andarti a rintanare atterrita contro il muro, bensì di Lucius.
Lui ancora non ti aveva individuata; attendeva che i suoi occhi si adattassero al buio e nel frattempo se ne stava fermo immobile, così tu avevi avuto tutto il tempo di studiarlo con attenzione.
 
Era alto e asciutto, quasi scheletrico; i lunghi capelli chiari gli ricadevano disordinatamente sulle spalle, mentre il volto era reso ancora più pallido dalla luce che filtrava debolmente attraverso lo spiraglio della porta, lasciata socchiusa.
 
 
Ti eri chiesta a cosa dovesse attribuirsi una così repentina sostituzione. Non potevi definirti sollevata, ma chiunque era preferibile a Bellatrix, questo era poco ma sicuro. Tuttavia, non eri certa di come ti avrebbe trattata Lucius. Ad essere sinceri, non potevi affermare di conoscerlo: sapevi che era il marito di Narcissa, l’altra tua cosiddetta zia, e che avevano un figlio. Ricordavi di esserti imbattuta in lui in un paio di incontri professionali, durante la tua carriera di Auror, durante i quali lui era sempre apparso in veste di aristocratico scostante e conservatore, e di aver appreso il suo passato da Malocchio, poiché i tuoi genitori non ne parlavano volentieri. E poi, naturalmente, vi eravate fronteggiati al Ministero, quasi due anni prima. Si era trattato della prima occasione in cui vi eravate trovati apertamente faccia a faccia, schierati in fazioni opposte: da allora in poi, nulla più si sarebbe potuto nascondere o negare. Era un punto di non ritorno. La guerra era stata dichiarata. Eppure, all’epoca non avevi fatto molto caso a lui; per te rappresentava solo uno dei tanti nemici da sconfiggere, solo uno fra i numerosi volti mascherati, nulla di più. E poi, il duello con Bellatrix e la morte di Sirius ti avevano tenuta fin troppo occupata.
Sapevi che tutti quelli presenti al Ministero, tranne lei, erano stati rinchiusi nuovamente ad Azkaban, e scarcerati da poco; dunque, avevi dedotto, doveva aver preso parte anche lui alla battaglia ingaggiata sui manici di scopa, nel cuore della notte, per condurre in salvo Harry Potter. Per il resto, eravate due perfetti sconosciuti.
 
 
Ti si era avvicinato, finalmente.
 
- Ah, eccoti qui. - aveva esclamato, fingendosi sorpreso.
 
La voce era roca, strascicata. Articolare le parole sembrava costargli uno sforzo immane.
 
- Ninfadora. - ti aveva apostrofata, scrutandoti attentamente.
 
Si era lasciato sfuggire un ghigno di scherno.
 
- Che nome ridicolo.
 
- E’ vero.
 
Dannazione, ma che ti era saltato in mente? Non era certo con l’umorismo che te lo saresti ingraziato. Ti eri morsa un labbro, frustrata. Tuttavia, ormai avevi iniziato: tanto valeva continuare.
 
- Che cosa? - ti aveva chiesto lui, perplesso.
 
- Ho detto che è vero. Ninfadora è un nome ridicolo. Non per nulla mi chiamano Tonks.
 
Di male in peggio. Avrebbe pensato che tu fossi una stupida che tentava pateticamente di assecondarlo per risparmiarsi un supplizio.
 
- Ragazzina, non ho alcuna voglia di scherzare, hai capito bene?
 
Ti aveva minacciata, ma a fatica. Stancamente. Pareva quasi che della sua antica arroganza non restasse che una debole ombra. C’era qualcosa, qualcosa di molto più ingombrante che gli impregnava la voce, qualcosa di assai difficile da nascondere. La paura. Già, doveva trattarsi proprio di quella; che cos’altro era capace di trasfigurare allo stesso modo gli uomini, eccetto, forse, l’amore?
 
 
- Certo. Mi scusi.
 
Da sfacciata ad ossequiosa. Se non altro ti eri evoluta.
 
- Così va meglio. Ora, voglio essere chiaro con te: tutto quello che ci serve sapere è il nascondiglio segreto dell’Ordine della Fenice, nulla di più. Al resto penseremo noi. Non è molto. Se acconsentirai, non appena ce l’avrai detto verrai liberata e potrai tornare dai tuoi. Non daremo loro alcun pretesto per sospettare di te: non lo verranno mai a sapere.
 
 
Avevi sospirato. Chissà quanto c’era di vero in quelle parole. Era un abile parlamentare, Lucius. Ora capivi l’inatteso scambio di consegne tra lui e Bellatrix. Voldemort - ormai ti eri abituata a formulare il suo nome, almeno mentalmente - stava giocando le sue carte migliori. C’era da aspettarselo.
 
 
- Rifletti bene, Ninfadora. Non ti conviene rinunciare. Anche perché, se tu fossi così disgraziata da rifiutarti, non esiteremmo a sbarazzarci di te.
 
 
Aveva ragione. L’offerta era allettante. Avrebbe accettato chiunque. Ma non tu. Non un Auror. Non un membro leale dell’Ordine della Fenice. E una futura madre.
Già. Se Lucius poteva avere messo in conto la tua fedeltà a Silente, e averla maledetta, ignorava un altrettanto importante fattore, che oltretutto giocava a suo favore. Senza dubbio convincerti sarebbe stato persino più semplice di quanto lui avesse osato sperare.
 
 
- Non devi darmi subito una risposta. - aveva precisato, muovendo un passo verso di te.
 
Da vicino, le tracce lasciategli dalla prigionia erano ancora più evidenti: occhiaie scure gli segnavano il volto, pallido e tirato, e ti era parso di scorgere due denti anneriti guastargli il sorriso. Tuttavia, non avevi potuto fare a meno di notare (e di ricordare) che doveva essere stato un uomo attraente; il suo profilo armonioso e quegli occhi grigi così enigmatici ne erano la prova.
 
 
- Ti concederò ancora del tempo. - aveva seguitato, riscuotendoti.
- Domani tornerò e mi comunicherai la tua decisione. Ricorda che l’Oscuro Signore sa essere capace di grande riconoscenza, ma la sua ira non conosce limiti.
 
 
Come doveva essere vero, avevi pensato. Lo si percepiva chiaramente dal tono con cui Lucius aveva pronunciato le sue ultime parole: lui doveva saperne qualcosa, e sembrava quasi che avesse voluto metterti in guardia, per evitare che commettessi i suoi stessi errori. Assurdo, ovviamente. Del tutto inverosimile.
 
Avevi annuito, rassegnata, e lui era parso soddisfatto. Si era allontanato a grandi passi, poi, sulla soglia, si era voltato indietro, come se si fosse accorto di aver tralasciato qualcosa.
 
- Mi raccomando, Ninfadora. Non cedere alla tentazione di un inutile atto d’eroismo. Non potresti scegliere strada più sbagliata.
 
 
Di nuovo, ti aveva assalito l’inspiegabile sensazione che, con quelle parole, lui avesse voluto proteggerti. Guardandolo uscire e richiudere a chiave la porta dello scantinato, non riuscivi a capacitarti della tua stupidità. Sapevi benissimo che Lucius desiderava solo evitare per sé un’ennesima, crudele punizione del suo signore. Che ragione poteva avere per interessarsi a te, sua indegna nipote (ammesso che ti considerasse tale)? Sudicia Mezzosangue, eternamente fedele al loro peggior nemico. “Ragazzina”, ti aveva chiamata. In un contesto diverso gliel’avresti senz’altro fatta pagare. Chi si credeva di essere? Si vedeva anche da lontano che tremava al solo pensiero del suo padrone, e non era difficile intuire che nemmeno come marito e come padre quel vigliacco aveva avuto successo. Era un fallito, sotto tutti i punti di vista. Mai come ora te ne rendevi conto. E tu lo odiavi. Giusto?
 
 
 
 
 
Nome autore: Fanny Lestrange
Titolo: Nothing else matters
Personaggi/pairing: Lucius Malfoy, Ninfadora Tonks, Bellatrix Lestrange; Lucius/Ninfadora
Prompt: Fiore
Rating: Giallo
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico
Note/Avvertimenti: leggero OOC
NdA:
Il titolo è, ovviamente, ispirato alla canzone dei Metallica (grazie a Merlina97 per avermela fatta scoprire), che oltretutto mi sembra si adatti anche bene al contesto della storia. L’uso della seconda persona singolare invece mi ha affascinato nel libro “Le affinità alchemiche” di Gaia Coltorti (che, ehm, è stata sempre Merlina a consigliarmi...), e non vedevo l’ora di cimentarmi anch’io con questa tecnica. Grazie a Rowan936 per il contest e, be’, a chiunque vorrà lasciare una recensione! ;)
 
  
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