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Autore: DeiDeiDei    13/07/2013    4 recensioni
Young!AU Charles-Erik
Un mondo nel quale i Mutanti si possono "controllare" grazie ad un medicinale, la Cassidia, o come la chiamano i Mutanti stessi "la droga". Spesso vengono venduti per svago o come domestici alle famiglie benestanti (servitori personali, compagnia, "collezioni" private, intrattenitori).
Charles Xavier è il paggeto di un nobile inglese che deve firmare un'importante accordo con un russo, Ivan Bolsky, il figlio del quale vuole, come dono per il compleanno e pegno per l'accordo, Charles stesso. Quando il Mutante si ritrova solo, tra sconosciuti, in un posto tanto lontano da quello che era solito chiamare casa, ha una sola cosa alla quale aggrapparsi: la sua natura mutata. Dal canto loro, i Mutanti della villa dovranno accettare il nuovo arrivato capace di leggere loro nella mente? Niente è troppo sicuro quando si parla di un gruppo di adolescenti orfani costretti ai lavori e sotto l'influsso della Cassidia che non lascia loro usare i poteri contro i loro aguzzini.
In questo senso, riuscirà Charles ad ambientarsi? Ed Erik, come accoglierà il piccolo, nuovo, telepate di casa Bolsky?
Russia, campagne nei pressi di Mosca, dopoguerra.
POV multiplo- Focus Charles
FATE Ctrl- se la storia è in grossetto!
Genere: Generale, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO TERZO: TOPO










-Bene. Ora sparisci.- Sputò velenoso Mattew indicando rabbiosamente la porta dei propri alloggi al piccolo mutante. Charles sobbalzò dal posto davanti a quello del signorino, nel quale era seduto e dal quale stava dando ripetizioni di letteratura al padrone. Alzò lo sguardo ed incontrò quello furioso ed indignato dell’altro ragazzino, ritraendosi di colpo per paura che il braccio ancora sollevato si muovesse e gli schiaffeggiasse la guancia. I pensieri del Bolsky erano, se possibile, ancora più malevoli e diretti della lingua, perciò il telepate deglutì e, annuendo veementemente un paio di volte, si affrettò a raccogliere dal tavolo di mogano i tre libri che aveva prelevato quella mattina dalla biblioteca e le sue carte. Si mise tutto sotto braccio e prese congedo, sgusciando velocemente fuori dalla porta e percorrendo quasi di corsa il corridoio. Scese le scale e fece la sua consueta deviazione alla sala di lettura, nella quale aveva impilato da ormai una settimana una decina di libri che riteneva piuttosto interessanti e che portava giornalmente al dormitorio, così che lui o, più spesso, Raven, potessero leggerli agli altri per passare la serata. Ovviamente era tutta narrativa, classici soprattutto. Poggiò sul banco che aveva scelto come proprio i testi da studio e raccolse il primo tomo che gli capitò in mano, ricoprendolo subito con la carta da lettere che aveva imparato a nascondere nel cassetto, in modo da farlo sembrare un anonimo grosso blocco, o quaderno.  Prese quest’ultimo con se e svicolò di nuovo giù per le scale della villa russa, lasciandosi alle spalle il quasi mezzo piano occupato dalla biblioteca di famiglia. Non ne aveva mai vista un’altra simile in vita sua, ma era sicuro che le sue dimensioni fossero notevoli almeno quanto la varietà dei libri in essa contenuti. Era un sogno ad occhi aperti, per uno come lui, ma passato il tempo dello studio intensivo in preparazione alle sue mansioni, aveva il permesso di fare visita alle sale centrali soltanto il Sabato e soltanto dopo aver chiesto il permesso al suo padrone, ovvero lo stesso che lo aveva appena malamente cacciato dal terzo piano per essere stato, a suo dire, umiliato davanti al proprio padre. Charles non aveva fatto proprio niente, di questo ne era totalmente sicuro, se non ubbidire agli ordini di Mattew, ma apparentemente il signorino voleva scaricare addosso a lui la colpa della sua punizione per il fatto che il padre lo avesse scoperto a farsi compilare i compiti da un servetto più piccolo di lui. Più che arrabbiato il signor Bolsky era sembrato divertito, ma questo il mutante non si era azzardato a dirlo.

La cameriera in fondo alle scale lo osservò stupita per un attimo, vedendolo scendere prima del solito, ma quando le passò davanti gli sorrise e lo salutò allegra. Buongiorno a lei, signorina Francisca. E annuì divertita dalla sua risposta mentale, prima di scuotere la testa e rimettersi a spazzare il parquet del salone, senza chiedergli nulla e senza sgridaro per essere passato dove, molto probabilmente, aveva appena finito di passare lo straccio. Il ragazzino si fece l’appunto mentale di scusarsi con lei quella sera ai dormitori, per quanto era abbastanza sicuro che la giovane donna non sarebbe mai andata a rinfacciargli niente.

Uscendo dalla porta principale attraversò il cortile e si diresse senza esitazioni alle serre, dove aveva ormai imparato a trovare quelli che considerava i suoi migliori amici, impegnati quasi ogni giorno nella manutenzione delle tubature e degli impianti di areazione. Sorpassò una decina di mutanti intenti a portare a termine le loro mansioni tra piante e fiori e li salutò uno per uno sfiorando la loro mente con un composto “salve”, senza rallentare ed, anzi, mettendosi praticamente a correre non appena fu in una zona un poco più spaziosa di quella principale all’ingresso. Espanse i limiti del proprio potere psichico, carezzando la coscienza di tutti i presenti nei locali alla ricerca di Erik e Raven. Ventisette anime: diciotto umani, nove mutanti, quindici uomini, dodici donne, tre anziani, sei bambini sotto i tredici anni, diciotto adulti. Non si prese il disturbo di conteggiare oltre e si concentrò sulla luminosità dei sei ragazzini, dei quali solo quattro erano mutanti e solo una era femmina. Aveva trovato la bionda e dove c’era lei c’era anche il metalbender. Svoltò alla prima curva sulla destra ed entrò nella seconda porta a sinistra, rallentò ed avanzò con calma, lasciando che i limiti elastici della propria dimensione psichica tornassero normali ed affidandosi sull’udito naturale, come ogni volta. Trovò dopo qualche secondo i due mutanti, sdraiati a pancia in su sotto un tavolo metallico piuttosto massiccio, intenti a discutere su quale dei tubi fosse meglio sostituire per primo e su chi avrebbe dovuto mettere le mani in quell’intrigo sporco di muschio e muffa.

-Ti dico che non è questione di quanto mi faccia schifo, Raven, è che proprio la mia mano lì non ci passa.- Grugnì il presunto maschio alpha della situazione, facendo sbuffare la giovane come una locomotiva. Charles era abbastanza sicuro di aver sentito una qualche offesa sull’incompetenza dell’altro mascherata tra i suoi versi assurdi. Deve essere un lavoro davvero impegnativo se non vi permette di accorgervi che una persona si è avvicinata tanto da potersi sedere su di voi. Scherzò costringendosi a non ridere quando tutti e due si alzarono di scatto ed il più alto, il ragazzo, andò a sbattere la testa rumorosamente contro il metallo della parte inferiore del piano.  La riccia non parve avere lo stesso interesse e, voltandosi verso il compagno, scoppiò a ridere fragorosamente. Oh, maledizione! Fa un male assurdo. Questa volta mi sono spaccato la testa davvero. Smettila di ridere, maledetta corvaccia! Erik era profondamente intento ad imprecare mentalmente, tanto da non reagire fisicamente se non coprendosi la fronte con entrambe le mani. Il più giovane, preoccupato, si abbassò allora sui talloni, inarcando un sopracciglio, indeciso tra l’apprensivo ed il divertito. Tutto bene? Fammi vedere, togli la mano. Il maggiore imprecò un altro paio di volte, quindi ringhiò tra se e se e tolse le mani. Una striscia rossa e definita gli solcava la fronte da parte a parte, ma non sembrava niente di troppo grave. Sei vivo. Niente di rotto. Concluse Charles con una scrollata di spalle, alzando gli occhi al cielo quando Raven scoppiò nuovamente a ridere.

Dopo un mese di permanenza alla villa aveva oramai imparato come relazionarsi a grandi linee con molti dei mutanti e buona parte dei servitori umani, in particolare con quei due. Non andavano perennemente d’accordo, ma si sopportavano piuttosto bene e stavano instaurando un rapporto di collaborazione e reciproca disponibilità in caso di bisogno di aiuto o compagnia. Era piacevole se non considerava le continue bisticciate con il più grande per qualsiasi cosa o le inquietanti proiezioni mentali che a volte sfuggivano involontariamente alla mutante. Erano quelli che meglio di tutti l’avevano accettato nel gruppo e che continuavano a fare il possibile per farlo sentire a casa. Il primo era persino il suo vicino di stanza e andavano tutte le mattine a fare colazione assieme, per quanto fosse stato per lui piuttosto traumatico abituarsi ad essere svegliato dall’altro ogni giorno con un urlo diverso. Come del resto era stato difficile smettere di coprirsi fino al mento con le lenzuola ogni benedetta volta che la seconda faceva irruzione in camera sua mentre si cambiava, si sedeva sul letto, e gli poneva ogni genere di domande assurde. Erano cose alle quali avrebbe fatto l’abitudine, piuttosto di tenersi stretti due amici dei quali potersi anche solo minimamente fidare e con i quali poter passare liberamente il tempo libero.

-Senti, Charles, hai mai fatto manutenzione a qualcosa?- Domandò improvvisamente Raven, uscendo da sotto il tavolo e tenendo fisso lo sguardo su di lui. Il ragazzino si alzò a sua volta e fece un passo in dietro, confuso. Manutenzione? Cosa centrava lui con la manutenzione? Si allungò verso i pensieri della giovane e ne venne investito quasi con dolcezza, con calma. Ringraziò per l’ennesima volta l’ordine della testa di Raven e si mise a leggere con attenzione. Mani. Ha due mani piccole e sottili. Più delle mie, maledizione! Come possono essere più sottili delle mie? Sono quasi gelosa. Ah, già, lavori di tipo mentale. Ha svolto sempre tutte le sue mansioni con la testa. Niente lavori fisici. Non si è mai rovinato le mani per questo. Che invidia, sono così delicate. Il telepate , se possibile, ne uscì più confuso di prima. Le sue mani? Abbassò lo sguardo ed, effettivamente, si rese conto che la ragazza stava osservando proprio le sue dita intrecciate attorno al libro. Le contrasse un poco, a disagio. Cosa avevano che non andava le sue mani? Ops, hai sentito i miei pensieri di poco fa? Chiese la riccia sorridendo quasi imbarazzata –Volevo chiederti di aiutarci. Ci servirebbe, letteralmente una mano, piccola e sottile, che possa passare tra i due tubi e che possa attaccare un pezzo come si deve.- Spiegò sbrigativa e speranzosa, lasciando poi scorrere nella propria mente l’immagine esplicativa di ciò che lui avrebbe dovuto fare, basilarmente. Attaccare un tubicino che si era staccato in una presa di plastica che dava in un buchino sulla superficie del tavolo. Non sembrava una cosa così complicata da non poter essere fatta persino da un ragazzino inesperto ed inadatto ai lavori manuali, perciò sorrise timido e poggiò il tomo in uno spazio libero sul tavolo dietro di se, prima di rivolgersi alla bionda ed annuirle. Va bene, cosa devo fare? Lo sguardo della mutante si accese come il sole all’alba e Charles si ritrovò ad essere preso per le braccia ed essere sospinto forzatamente a sdraiarsi sotto il tavolo, mentre Erik, alla sua destra ridacchiava massaggiandosi la fronte e tornava a distendersi a sua volta, prendendogli poi il polso più vicino nella sinistra ed alzandolo davanti a loro in modo da esaminare l’arto del piccolo.

-Signore! Scricciolo hai davvero due manine minuscole, eh? Potrebbero fare sul serio al caso nostro.- Il tedesco stava ridendo e lui ritrasse il braccio con un gesto di stizza, portandolo poi verso l’anfratto tra le due tubature di vetro (perche qualcuno doveva aver voluto fare delle tubature di vetro, sarebbe rimasto in eterno un mistero per tutti loro). Non mi chiamo Scricciolo e smettila di prendermi in giro per qualsiasi cosa. Ringhiò alle tempie del metalbender, rimanendo tuttavia del tutto impassibile in quanto ad espressione mostrata al mondo esterno. L’altro mutante gli trasmise per quanto fosse capace le sue scuse, non proprio del tutto sincere, e rimase zitto, avvicinando un poco la testa per osservare meglio le dita dell’inglese passare tra i due ostacoli trasparenti e dirigersi senza intoppi fino al tubicino di spessa gomma bianca. Non avendo molto spazio di manovra lo strinse delicatamente tra l’indice e il medio, spostandolo poi verso destra fino a raggiungere la pompetta  opaca. Spinse piano ed iniziò ad incastrare i due oggetti l’uno dentro l’altro, rallegrandosi di non aver trovato ostacoli o di non essersi incastrato. L’avere due persone che lo fissavano non lo metteva propriamente e proprio agio, ma decise di rompere il ghiaccio facendo conversazione, se non altro per non chiedere loro sgarbatamente di guardare altrove. Com’è che non hai usato i tuoi poteri? Chiese ad Erik dando un’ultima spinta un poco più energica al tubicino ed accertandosi che fosse immobile nella sua posizione. Non proprio il mio elemento. Ironizzò l’altro sollevando le spalle e lasciandole ricadere con noncuranza, senza staccare lo sguardo dalla mano del minore che usciva con precisione quasi robotica dall’anfratto tra le due pareti di vetro. Ma grazie al cielo abbiamo il nostro piccolo damerino che è uscito da lavoro appena in tempo per prestarci le sue piccole mani lisce da bambino viziato. Scherzò quindi, spingendosi in tutta fretta via da sotto il tavolo per schivare la gomitata del telepate. Raven lo guardò esasperata e Charles sbuffò sonoramente, sollevandosi qualche secondo dopo ed allargando le braccia in un inchino da teatro che fece sogghignare la ragazza, la quale gli riproponè il gesto con una riverenza. La stranezza del gesto gli fece tornare in mente il libro di favole che si era procurato.

-Ah! Ho preso questo dalla biblioteca oggi. È abbastanza lungo da durare due o tre giorni, sperando che sia abbastanza leggero e che non abbia troppe figure al posto delle lettere.- Annunciò superandosi ed afferrando il tomo. La bionda lo prese subito in mano e lo aprì alla prima pagina.

-Favole tedesche. Ottima scelta, Topo!- Sorrise soddisfatta, chiamandolo col nome animale che da qualche settimana lo rappresentava e che, a dire della giovane, era adatto e terribilmente carino. Charles fece  una piccola smorfia, ma aveva già rinunciato da tempo a chiederle di non fare a quel modo, perciò sorrise a sua volta e si avviò con loro fuori dalla serra, accodandosi ad una decina di altri lavoratori e dirigendosi alla mensa.­ La piccola folla andò infoltendosi fino a quando non arrivarono alla porta del casolare che fungeva da abitazione per la servitù. A quel punto molti si scostarono dalla massa e si diressero alle proprie stanze. I rimanenti, tra i quali anche i tre piccoli mutanti, continuarono lungo il corridoio fino alla sala comune che per qualche ora sarebbe rimasta adibita a mensa in modo che chiunque potesse usufruirne tra una mansione e l’altra senza dover lasciare un lavoro a metà. I ragazzini di Villa Bolsky erano soliti andare subito a mangiare e prendersi solo successivamente un momento per riposare seriamente, cambiarsi e medicarsi. Gli adulti continuavano a ripetere che avrebbero smesso di sprecare energie a quel modo non appena avessero avuto sulle spalle il peso di qualche anno in più di lavori per la famiglia russa ed avrebbero imparato ad apprezzare il sano riposo a discapito delle voglie e della fame. Per il momento, però, agli adolescenti non poteva interessare nulla più di uno stomaco pieno con qualcosa di caldo e qualche panca attorno ad un confortevole tavolo al quale potersi sedere con gli amici. Perciò fu proprio quello che fecero, come tutti i giorni, chiacchierando animatamente e scambiandosi notizie ed informazioni raccolte sul proprio posto di lavoro.

Karl raccontò loro della cameriera quindicenne alla quale stava spudoratamente facendo la corte ed Hank ed Havock finirono involontariamente per intrattenere l’intera tavolata con una delle loro consuete bisticciate quotidiane per un nonnulla. Quella volta toccò alla povera panca essere soggetto del loro battibecco, siccome tutti e due volevano sedersi nello stesso posto. Charles rise all’ennesima offesa sputata, scandagliando le menti dei due e leggendovi le sciocchezze più assurde sull’uno e sull’altro, o le risposte e le frasi fatte che ognuno stava pensando di usare. Quella coppia assurda che li portava alle risa era stravagante anche a vedersi, composta come era da due ragazzi lunghi e slanciati, uno pallido ed occhialuto, coi capelli neri ed il viso da bambino, e l’altro con una zazzera bionda disordinata, muscoli ben piazzati ed una lingua tagliente come poche. Hank era timido e riservato, ma aveva la mente più brillante che il telepate avesse mai visto, straordinariamente portata per la logica e la matematica di natura e con capacità mnemoniche ampliate fin quasi agli eccessi dalla sua mutazione. Charles aveva iniziato a passare con lui un qualche momento libero di tanto in tanto parlando di scienze, biologia e genetica soprattutto, e lo trovava di grande compagnia ed un piacevole conversatore. Purtroppo non poteva dire lo stesso di Havock: era un ragazzo sveglio, ma tutta la sua personalità era deviata, fissa sul fisico agile e forte. Era scostante ed irrequieto, offendeva spesso ed amava litigare e fare rissa, chiudendosi poi nella stanza per ore. Si era dimostrato un giovane problematico, non cattivo ma complessato e diffidente. Come i due avessero legato così tanto era per molti un vero mistero, ma ad un’analisi attenta ci si poteva rendere conto che tutti quei loro bisticci erano una farsa, un modo come un altro che Havock utilizzava per attirare l’attenzione di Hank. Quel ragazzo avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenerla, era disperato, distrutto nell’anima e solo il genietto suo coetaneo sembrava aver voglia di stargli accanto e tendergli una mano amica, seppure tra un litigio insulso e l’altro, senza scappare o allontanarsi per paura del suo caratteraccio e dei suoi poteri fuori controllo. Charles era felice che si fossero trovati e non trovava affatto giusto tenere a distanza un individuo ed estraniarlo soltanto perché non è ancora capace di gestire come si deve la propria mutazione.

-Tu hai finito?- La voce di Erik fece irruzione nei suoi pensieri, riportandolo alla realtà del tavolo. Il maggiore si sporse in avanti ed afferrò la caraffa, rubandola letteralmente dalle mani di Karl e versando l’acqua nel suo bicchiere e in quello del telepate prima di poggiare il recipiente altrove  -Se hai fatto qui possiamo andare a cambiarci.- Chiarì prendendo il proprio bicchiere e voltandosi per osservarlo in attesa di una risposta alla sua domanda. Charles bevve a sua volta l’acqua in due grandi sorsi, quindi annuì al compagno e fece cenno con la testa verso l’ingresso della mensa. Girando su sé stesso portò le gambe dall’altro lato della panca di legno e si tirò in piedi, mentre il metalbender faceva lo stesso, dopodiché fece strada fuori dalla sala intavolata e si diresse verso la propria camera sapendo anche senza guardarsi alle spalle di essere seguito. Il corridoio era deserto ad eccezione della presenza di due bambini che giocavano con un mazzo di carte e della vecchietta che li teneva d’occhio, perciò il percorso si rivelò piuttosto breve e nessuno li fermò per parlare, come invece accadeva di solito. Era strano per Charles portare qualcuno in camera appena dopo pranzo, invece che puntare al cortile, ma tutti e due avevano bisogno di mettersi addosso qualcos’altro in previsione del lavoro pomeridiano e Raven aveva detto chiaramente che per tutta la settimana avrebbe continuato a lasciare il bucato appena fatto nella stanza del più piccolo, siccome al contrario della maggior parte degli altri mutanti adolescenti lui non aveva sollevato particolari lamentele per il fatto che la gente entrasse a prendere i propri vestiti. La ragazza era nuova nel campo, ma aveva abbracciato il mestiere della lavandaia senza remore, pur di poter passare del tempo a spettegolare con le amiche mentre strofinavano gli indumenti sporchi. Non la più nobile delle motivazioni, ma tanto bastava a far tenere chiuse le bocche ai maschietti se questo significava non dover più fare il bucato da soli.

Erik fece in modo che la porta si aprisse davanti a loro e la fece richiudere una volta che furono passati. Sul letto erano impilate una ventina di camicie ed altrettanti pantaloni in ordine quasi maniacale: tipico della bionda. Il minore si avvicinò alla montagnola delle prime e ne sfilò una delle proprie camicie, segnate dalla sigla “CX” sul retro del colletto, Erik si spogliò e fece lo stesso coi propri pantaloni. Quindi si diedero il cambio ed invertirono le posizioni. Cambiarsi dopo il pranzo, da quando era iniziato il lavoro al magazzino, era diventata una routine, per quanto solitamente ognuno lo facesse nei propri alloggi. Il maggiore indossò un paio di braghe nere ed una camicia bianca, Charles invece cambiò i pantaloni con un paio marrone e meno aderente e  si svestì della camicia, sedendosi sul letto e sostituendo le scarpe buone (quelle smesse da Mattew semplicemente perché non si abbinavano alla nuova giacca che gli aveva comperato suo padre), che usava ogni giorno per dare lezione al signorino in modo da apparire presentabile nel suo intero, con l’unico altro paio in suo possesso, molto più malmesso.

-WooHo!- Esclamò Erik di colpo, additandolo. Quando il ragazzino alzò lo sguardo l’altro lo stava fissando ad occhi e bocca aperti quasi come se fosse in trance o, più semplicemente, nel più pieno stato di cieco stupore. Decisamente era stupore, visto che il telepate era abbastanza sicuro di non avere attivato i propri poteri per indurre in un qualche stato di trance la testa del compagno. Lentamente si voltò per guardare alle proprie spalle ed individuare cosa avesse attirato l’attenzione dell’undicenne, ma trovò solo il grigio muro, perciò si arrese all’evidenza che l’altro stesse fissando lui. Tornò a voltarsi e lo fulminò con lo sguardo. Non sarebbe rimasto ad ascoltare un’altra presa in giro sulla sua particolarmente assente massa muscolare o sul suo pallore, non da parte del proprio migliore amico e non dopo una mattinata nella quale era stato cacciato dal posto di lavoro senza nessun buon motivo. Ne aveva abbastanza di quelle beffe: solo perché non era abituato a sollevare pesi e correre tutto il giorno, non significava che fosse un debole. Aprì per bene il canale mentale tra se stesso ed  il metalbender per ribadire il concetto una volta per tutte, ma le sue tempie vennero immediatamente bersagliate da una miriade di pensieri che gli assicurarono che l’attenzione del mutante non era stata attirata dal suo fisico poco atletico, ma dal suo costato. Lato sinistro della gabbia toracica, per la precisione. Un tatuaggio? Forse effettivamente il suo stupore era un poco comprensibile. Sul viso del tedesco comparve un ghigno. Un tatuaggio. A otto anni. Woo… è così piccolo ed ha già un tatuaggio. Sulle costole. Ed è pure inglese. Non lo avevo mai visto. Ma sulle costole non fa male? Sulle ossa fa male. Deve avergliene fatto.  Dopotutto chi mai si sarebbe mantenuto composto ad una scoperta simile? Charles, probabilmente. Ma sapeva di essere un caso a parte. È bello. Strano, ma bello. Chissà cosa c’è scritto. È una scritta. Cosa vuole dire? Se glielo chiedo forse me lo dirà. Come può avere un tatuaggio uno come lui? A otto anni. Ma Charles non andò avanti ad ascoltare, si fermò immobile ed incredulo. Quello era il punto in cui toccava a lui rimanere a bocca poco elegantemente spalancata.

-Tu non sai leggere?- Chiese ad alta voce, facendo irrigidire di colpo Erik, dal viso del quale scivolò via velocemente il sorriso. Il ragazzino rimase a guardare esterrefatto l’amico distogliere lo sguardo imbarazzato e le sue guance imporporarsi un poco. Non c’era alcun bisogno di conferme vocali per comprendere la risposta, ma il minore rimase comunque in silenzio sperando che ne arrivasse una. Purtroppo gli rispose soltanto ulteriore silenzio e l’altro insistette prepotentemente nel tenere le labbra strette l’una sull’altra per non farsi scappare una sola parola di bocca, puntando le iridi grigie altrove per non dovere incontrare quelle dell’altro. era vistosamente a disagio nella stanza, tanto che i suoi pensieri dardeggiavano, come i suoi occhi, da una parte all’altra e, per un attimo, considerò l’idea di alzarsi ed andarsene fuori dal casolare in generale per non dover parlare dell’argomento. Erik, no! Gli sussurrò con attenzione direttamente nella mente, premurandosi di non spaventarlo od irritarlo prendendolo di sorpresa. No, ti prego, non te ne andare da qui. Non per quello che ti ho chiesto. Mi dispiace. Davvero, mi spiace. Bisbigliò lasciando poi cadere il silenzio più assoluto e chiudendo ogni canale mentale. Non voleva certo farsi ancora gli affari altrui non permettendogli privacy nemmeno in quell’ultima scelta. Un brivido salì lungo la schiena di Charles quando lanciò nuovamente uno sguardo fugace alla porta. Sarebbe scappato e, se lo avesse fatto, lui non se lo sarebbe mai perdonato, perché non voleva in alcun modo averlo offeso. Ovviamente era ferito, ma andava davvero bene qualsiasi cosa tranne l’offesa. Considerò la possibilità di scusarsi ancora, ma poi Erik sospirò.

-No. No, non so leggere.- Ammise lasciando cadere le spalle con aria di rassegnazione e permettendo al telepate di respirare nuovamente. A dire il vero non si era nemmeno reso conto di stare trattenendo l’aria nei polmoni fino a quel momento, ma fu ugualmente molto sollevato sentendosela scivolare lungo il palato e la gola.  –Vorrei saperlo fare. Sia leggere che scrivere, mi piacerebbe, ma nessuno mi ha mai insegnato come si faccia.-  Spiegò il tedesco con un’altra scrollata di spalle. Il minore annuì comprensivo, in particolar modo dopo l’ultima affermazione del compagno. Dopotutto non era un mistero per nessuno che più della metà dei mutanti e della servitù in generale fosse analfabeta. Nel più dei casi i padroni preferivano avere servi obbedienti ed ignoranti, in modo da non poter in alcun modo essere da loro messi in discussione. Altri semplicemente se ne lavavano le mani, disinteressandosi delle sorti dei propri sottoposti, purché lavorassero. Non cera proprio niente di poi così sconvolgente nel venire a sapere che un adolescente mutante non era capace di leggere, ma Charles non aveva potuto comunque trattenersi. Era stata una specie di shock scoprire che proprio Erik, il forte ed influente metalbender che così spesso guidava il gruppo giovanile,  non sapesse fare qualcosa. Qualcosa nel quale lui, invece, era pienamente preparato da anni. Probabilmente era proprio la persona del telepate a mettere così a disagio il maggiore, a farlo sentire così insicuro ed a fargli emettere un sentimento di inadeguatezza tale da sembrare colasse da ogni poro del suo corpo, come se lo trasudasse: non doveva essere semplice una lacuna, soprattutto in presenza di un ragazzino che, pur essendo più piccolo di lui, la colmava senza fatica. Quasi si sentì in colpa, il minore, per avere sollevato l’argomento in quel modo. Doveva fare qualcosa per fargli capire che non aveva nessuna intenzione di deriderlo o rendere nota la cosa ad altrui.

-Se vuoi posso insegnarti io.-  Sussurrò quindi tutto d’un fiato, abbassando subito la testa e sbrigandosi ad aggiungere, prima che l’altro potesse rispondergli o fraintenderlo  -Te lo devo. Mi farebbe piacere poterti aiutare, insegnarti a leggere e scrivere, visto che so farlo. E sento il bisogno di fare qualcosa, perché tu mi hai aiutato molto e mi hai subito accettato nel tuo gruppo e poi scrivere a volte è davvero comodo, quando non si può utilizzare la mente o la voce per comunicare.-  Probabilmente stava parlando a vanvera, troppo in fretta, confusamente, ma ciò che diceva lo stava pensando davvero.  –Sono in debito con te per non avermi scuoiato il primo giorno.-  Aggiunse con un sorrisetto  stentato, alzando lo sguardo e ritrovandoselo immediatamente incatenato  con quello metallico del compagno. Erik, a sorpresa, rise e tutto il suo corpo si rilassò vistosamente. Non gli importava che ridesse di lui, del suo monologo o dell’idea che gli era venuta, l’importante era che riuscisse a farlo senza apparire minimamente arrabbiato con lui.  Charles si fece quasi travolgere dalla sensazione di calore quando dall’undicenne sgorgò un fiume di gratitudine involontario nei suoi confronti. Avrebbe davvero dovuto imparare ad estraniarsi dalle emozioni altrui o una di quelle volte avrebbe fatto qualche brutta figura. Grazie. Bisbigliò il metalbender con un sorriso stampato in volto.  Era più di qualsiasi cosa il minore avrebbe potuto chiedere.

-Che ne dici se iniziamo da quello?-  Domandò dopo qualche secondo il tedesco, indicando il corpo dell’altro. il ragazzino abbassò di nuovo lo sguardo su di sé, quella seconda volta già sapendo casa stesse additando il compagno. Il tatuaggio era lungo più o meno sei centimetri, copriva una piccola porzione  di pelle sulla parte sinistra del suo costato, appena sopra il fianco relativo. Era una scritta, una semplice parola in un corsivo elegante ma secco, senza troppe grazie o svolazzi che ne rendessero difficile la lettura. Bello, lo aveva definito Erik, ed effettivamente l’inchiostro nero come la pece ed i caratteri ben definiti risultavano piuttosto gradevoli alla vista sulla pelle pallida da bambino del mutante.  –Che c’è scritto?-  Chiese ancora il maggiore, andando a sedersi a sua volta sul letto accanto a lui, dal lato del tatuaggio. Il telepate non ci faceva ormai caso da molto tempo, essendosi abituato a vederlo ed avendo iniziato a considerarlo una parte integrante di sé, come i suoi capelli ricci o la cicatrice che gli copriva metà del ginocchio destro e che risaliva a quella volta, sei anni fa, nella quale era caduto sugli scogli. Era un semplice tatuaggio che gli era stato fatto a quattro anni e col quale conviveva da allora. Niente di così interessante. Charles. Rispose con un’alzata di spalle. È il mio nome. Da qualche anno in Inghilterra i Proprietari hanno preso l’abitudine di tatuare il nome sui mutanti bambini cosicché si possa seguire il loro spostamento da un padrone all’altro dopo la vendita o li si possa ritrovare in caso di fuga. I due ragazzi condivisero una smorfia. Alcune volte i padroni di servi, soprattutto se mutanti, consideravano adeguato un trattamento da animale o oggetto nei loro confronti. Il fatto che Mattew desse loro nomignoli, mettesse il collare ad Erik e dasse ogni tanto dei pezzetti di formaggio a Charles ne era la conferma. Ormai ci avevano tutti fatto l’abitudine, anche se non si erano arresi completamente alla cosa. In quel momento, inoltre, c’erano cose più importanti delle quali parlare. Non era particolarmente adatto, ma era un inizio come un altro, si disse il minore spostando il braccio in modo da rendere ben accessibile la porzione di pelle tatuata. Quindi iniziò a spiegare al ragazzo l’importanza di imparare a riconoscere le lettere una alla volta, prima i grafemi, poi i fonemi, leggerle una attaccata all’altra e ricordare ad orecchio come si pronunciassero e cosa significassero le singole parole e frasi. Solo in seguito, gli disse, si sarebbe passati a memorizzare i movimenti necessari a riprodurre l’alfabeto (e gli dovette spiegare la differenza tra il corsivo e lo stampato e l’esistenza di molteplici alfabeti al mondo) finendo quindi con l’imparare a copiare e, di conseguenza, a scrivere. Assicurò inoltre che la calligrafia sarebbe sopraggiunta in seguito come naturale tentativo di rendersi più comprensibili agli altri. Il maggiore lo ascoltò attento, annuendo ogni tanto, e seguì con gli occhi le sue dita quando il ragazzino iniziò a passare l’indice della mano destra su ogni segno del suo tatuaggio, ricalcando lentamente le lettere una ad una, più volte, ripetendole ad alta voce ed elencando un paio di parole che iniziassero allo stesso modo e fossero al contempo facili da ricordare.

Così la prima lettera che Erik imparò a leggere fu la “C”, la prima parola risultò il nome del suo migliore amico e la loro prima lezione di lettura li portò ad arrivare in ritardo alle loro mansioni lavorative pomeridiane. Perciò quando entrarono di corsa nel magazzino, trafelati e vestiti in tutta fretta, si guadagnarono un buon numero di occhiatacce da parte degli altri lavoratori ed una decina di sguardi curiosi dai loro amici. Alle loro domande confuse il ragazzino rispose che avevano bisticciato come al solito in camera e nella confusione avevano fatto cadere le pile di vestiti lavati, perciò erano stati costretti a raccogliere e ripiegare tutto prima che si sporcasse in modo da non incorrere nell’ira della lavandaia.  Lo fece soltanto perché il metalbender gli aveva chiesto di non fare parola con nessuno del loro progetto di istruzione privato e di non condividere la scoperta della sua incapacità, ma parve comunque che gli altri gli stessero credendo.  Raven riservò loro un’occhiata di rimprovero puro, a braccia incrociate, quindi fece cenno a Charles di salire sul palchetto di legno sul quale era in piedi e sostituirla, scese e, avvicinatasi ad Erik, lo prese per un orecchio e lo trascinò via in direzione di una scaffalatura ancora da riempire di casse, senza preoccuparsi di tenere bassa la voce nel redarguirlo per aver rovinato il suo bucato perfetto.  Il più piccolo rise tra sé e salì al posto fino a poco prima occupato dalla ragazza, girò su sé stesso guardandosi attorno ed espanse la mente in modo da fare come si deve i suoi calcoli. Gli altri attesero pazientemente che si facesse un’idea precisa della situazione e che iniziasse a dare i suoi ordini. Perché era quello che faceva da quando, appena tre settimane dopo il suo arrivo alla Villa, aveva offerto il suo aiuto alla governante passando telepaticamente alla servitù una comunicazione importante, per farle guadagnare tempo. In pratica era stato deciso all’istante che, in caso di mansioni nelle quali fosse necessaria molta manodopera ed un buon ordine, lui avrebbe dovuto coordinare i lavoratori, sorvegliare la zona, indirizzare ogni individuo alla sua postazione ed organizzare i ruoli. Grazie alla sua mutazione faceva tutto telepaticamente ed in tempo reale, rendendo più efficienti le operazioni. D’altra parte, mantenere attivi così tanti canali di comunicazione contemporaneamente lo portava ad avere delle terribili emicranie la sera, quando tornava in camera, che a volte si prolungavano anche oltre le ore della cena e gli disturbavano il sonno. Ma in fondo quello ed altro per rendersi utile.

-Questo qui dove lo metto, Charles?-  Trillò una voce appena sotto il palchetto. Il telepate si poggiò alla balaustra di legno col ventre, ponderando le dimensioni del cesto pieno di lenzuola tra le braccia di Millyedore. Sul fondo. C’è ne è uno praticamente identico sul secondo ripiano del quarto scaffale dalla destra. Se non ci sta torna qui. La ragazza annuì leggiadra e si diresse nella direzione indicata ancheggiando e sospirando già annoiata.

-Hei, Topo!-  Quella volta la chiamata risuonò dietro di lui, costringendolo a girarsi totalmente per guardare il viso sorridente ed allegro come non mai di Havock, evidentemente su di giri per via dell’adrenalina data dal lavorare di forza o qualcosa del genere.  –Abbiamo finito con le tende. Ora dove ci mandi?-  Affianco a lui c’era anche Hank, molto meno solare e molto più affaticato. Charles tenne per sé sia una smorfia che la considerazione  sulle capacità fisiche del ragazzo, calcolate le quali non gli sarebbero dovute essere affidate mansioni simili. Si guardò attorno e puntò infine gli occhi su Darwin. Allora, Hank, ho bisogno che tu vada da quella pila di sacchi di juta. Quella appena dietro le casse di legumi. La vedi? Bene. Devi aprire ogni sacco ed assicurarti che dentro ci sia farina. Nel caso non ci sia o sia muffita, mettila da parte. Altrimenti ripara gli eventuali strappi e dai tutto agli altri. Quindi, tu, Havock, devi impilarli come si deve. Chiaro? Tutti  e due annuirono, ripercorsero il camminamento tra le scaffalature e si defilarono, raggiungendo il compagno e mettendosi a lavorare appena in tempo per permettere al coordinatore di rispondere alle domande di un’altra lavoratrice. Ciò che continuava a stupirlo era che nessuno mettesse in dubbio o si opponesse alle sue indicazioni. I suoi ordini non erano praticamente mai argomento di una discussione. Avevano imparato a rispettare molto in fretta le sue decisioni. Scrutando nelle menti della servitù, Charles si era reso conto che una buona parte, più della metà, delle persone lo considerava un bambino intelligente e coscienzioso del quale ci si poteva fidare senza problemi, una persona seria e piacevole. Pochi erano gli indifferenti e, purtroppo, i restanti avevano di lui una considerazione opposta a quella della prima categoria: non si fidavano di lui. Un po’ per il suo essere telepate e quindi idealmente farsi sempre gli affari altrui, un po’ per il suo essere inglese visto come simbolo di snobismo.  Non comprendeva appieno quel sospetto e quella paura che alcuni gli riservavano, ma aveva deciso di tenere la bocca chiusa ed accontentarsi, magari cercando di rendersi più sopportabile. Quindi, per esempio, quando il bracciante successivo, uno di quelli che erano inquietati dalla sua natura, gli chiese cosa dovesse fare, rispose a voce mettendolo almeno un poco a suo agio. L’uomo, anche se in minima parte, gliene fu inconsciamente grato e questo lo fece sorridere tra sé e sé.

-Io ho finito la mia parte, Topo. Non mi muovo più.-  Dichiarò seria quasi mezz’ora dopo una ragazza dai folti riccioli biondi arrampicandosi sul palchetto e lasciandosi cadere seduta al suo fianco. Era sudata e stanca, ma irradiava soddisfazione ed era una dei pochi che aveva lavorato anche quella mattina al progetto, perciò Charles si limitò a farle un cenno d’assenso ed a rimanere in attesa. Pian piano, infatti, tutti i lavoratori iniziarono a terminare le loro mansioni e li raggiunsero, alcuni posizionandosi assieme a loro nella zona sopraelevata, quelli per i quali non rimaneva spazio accomodandosi a terra. Non appena anche Hank gli si affiancò i due si misero a comunicare mentalmente ed iniziarono a compilare su una cartelletta l’inventario dell’intero magazzino. Raven e Millyedore percorrevano il locale per tutta la sua lunghezza, la prima arrampicandosi sulle pile di casse e sulle scaffalature, la seconda volando poco sotto il soffitto. Controllavano numero e stato di ogni bene di prima necessità mentre i due ragazzi compilavano i fogli e facevano i conti. Una volta siglato il plico, dopo circa altri quindici minuti,  il telepate dichiarò finito il lavoro nella sua totalità e spense ogni affaticante canale mentale supplementare. Una serie di esclamazioni di esultanza si alzò dalla folla, seguita da risa generali e dai borbottii ed i lamenti degli adulti stanchi. Di certo Charles non poteva dare loro torto, visto che appena mise piede sul primo dei cinque scalini un capogiro lo portò a doversi premere le tempie. Sembrava che la testa stesse per esplodere, doleva come se un uomo l’avesse percossa ripetutamente con una sbarra di metallo. Non che gli fosse mai successo prima, ma dava l’idea di essere ugualmente doloroso.  Si costrinse comunque a scendere la breve scalinata, sostenendosi in modo apparentemente casuale ogniqualvolta uno dei compagni gli si appoggiava per salutarlo. Non cadere. Gli intimò ad un certo punto Erik, raggiungendolo da dietro ed affiancandoglisi per tutto il tragitto verso i dormitori. Il metalbender gli fece da guardia del corpo fino all’ingresso, pronto a sollevarlo nel caso fosse caduto. Di nuovo il mal di testa. Niente di strano. Tentò di tranquillizzarlo scrollandosi la sua mano dalla spalla, ma da come l’altro lo squadrò, l’espressione sul suo viso doveva star dicendo altrimenti. Il maggiore grugnì e lo prese per un braccio, trascinandolo verso la sua stanza, evidentemente per niente convinto dalla sua stentata rassicurazione. Al suo tentativo di divincolarsi si limitò ad alzare gli occhi al cielo in una muta preghiera esasperata.

-Devi riposarti, scricciolo pazzo. Stai cercando di ucciderti di lavoro e ti sta venendo dannatamente bene.-  Lo sgridò il mutante una volta entrati nella camera, incrociando le braccia davanti al petto ed accennando col mento al letto  -Ma tu qui ci servi, perciò mettiti a riposo. E non cercare di usare la scusa del cibo: ti porterò qualcosa io e lo mangerai quando avrai ripreso le forze e non rischierai  di crollare a terra da un momento all’altro.-  Charles, che aveva provato ad aprire la bocca per sollevare una qualche protesta, la richiuse lentamente rendendosi conto che l’undicenne gli aveva letteralmente tarpato le ali per quella sera. Non che gli dispiacesse potersi rilassare e lasciare magari che l’emicrania scemasse, ma non aveva intenzione di lasciare che Erik lo accudisse come un neonato portandogli persino il cibo in camera. Sarebbe stato terribilmente imbarazzante, per non parlare del fatto che era loro proibito portare via qualcosa dalla mensa della servitù. Scosse la testa con veemenza. Non ce n’è alcun bisogno. Non ho fame. Rispose mettendosi infine seduto sul letto ed arrendendosi alle premure prepotenti del più grande. Il tedesco lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e la sua testa comunicava chiaramente al minore disapprovazione per la sua scelta di saltare la cena per orgoglio, ma non lo disse ad alta voce sapendo che insistere non avrebbe comunque convinto il ragazzino ad ascoltarlo anche su quel punto. Era troppo testardo. Lo sguardo del metalbender si scurì per un momento, pensoso, quindi fece un passo avanti e si mise seduto sul pavimento.  Charles lo squadrò incuriosito. Che cosa stai facendo? Si preparava a rimanere di guardia?  -Se te ne rimarrai qui buono buono ti racconterò una storia che sono sicuro ti interesserà.-  Propose, apparendo però incerto e leggermente a disagio.

-Che genere di storia?-  Chiese il telepate, sapendo suo malgrado di avere gli occhi illuminati dalla curiosità. Si costrinse a non sbirciare nella mente del maggiore, perlomeno per non rovinarsi l’unica ricompensa che gli stava venendo offerta. Osservò attento come un falco il proprio migliore amico distendere il braccio sinistro ed arrotolare la relativa manica della camicia, fino a scoprire l’avambraccio che sembre aveva visto tenergli bendato. Per nascondere una cicatrice, aveva precedentemente ipotizzato chiedendosi il motivo delle fasce. Quindi Erik ne prese un lembo, iniziando a srotolare centimetro per centimetro con una lentezza volutamente straziante e teatrale e, uno alla volta, andò a scoprire sette scuri numeri impressi a sangue nella pelle. 214782.

-Una storia piuttosto lunga, scricciolo.-













Angolo dell'autrice:

Lo so, questa storia viene aggiornata una volta ogni morte di papa, ma dopotutto nessuno la legge e nessuno legge di certo le note dell'autrice infondo, quindi ho come l'impressione che non interesserà proprio a nessuno xD
Detto ciò, non ho intenzione di lasciarla nel dimenticatoio. 
Pet's Tales andrà avanti.

Eva












   
 
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