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Autore: Noruwei    13/07/2013    9 recensioni
Sono sempre stati Leo e Fabrizio. Leo e Fabrizio sono gemelli, amici, coinquilini. Leo e Fabrizio si assomigliano un po', abbastanza da individuare quel legame di parentela. Leo - capelli neri spettinati, piercing, quello che ride sempre, non pensa mai, che ha una cotta per Brian Molko e odia il mercoledì – e Fabrizio – che scrive poesie sui quaderni, ossessionato dal numero nove e fan di Doctor Who.
Alle volte, però, vorrebbero essere solo Leo e Fabrizio.
Incesto, tematiche delicate, 2/2
Fabrizio odia litigare con Leo perché loro due sono FabrizioeLeo tutto attaccato, senza spazi [...]
«Ti odio.» esala teatralmente.
Fabrizio rotea gli occhi. «Sei un pessimo bugiardo.»
Poi lo bacia.

[Seconda classificata al contest La Malinconoia più premio Best Character]
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Monologhi fuori dal coro'
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Titolo: Mercoledì ha nove lettere
Fandom: Originale > Romantico
Pairing: Slash
Genere: Romantico, Generale, Drammatico
Rating: Arancione
Chapper: 1/2
Summary: Sono sempre stati Leo e Fabrizio. Leo e Fabrizio sono gemelli, amici, coinquilini. Leo e Fabrizio si assomigliano un po', abbastanza da individuare quel legame di parentela. Leo - capelli neri spettinati, piercing, quello che ride sempre, non pensa mai, che ha una cotta per Brian Molko e odia il mercoledì – e Fabrizio – che scrive poesie sui quaderni, ossessionato dal numero nove e fan di Doctor Who.
Alle volte, però, vorrebbero essere solo Leo e Fabrizio.

 

 

 

Mercoledì ha nove lettere è una mia creazione, i personaggi
e il banner sono di mia proprietà.
Parla di incesto fra fratelli (boyxboy)
e accenna a tematiche delicate quali l'autolesionismo.
Né la trama né i personaggi s'ispirano alla realtà, Leo e Fabri appartengono esclusivamente alla mia immaginazione.
(Aggiungetemi su Twitter, se vi va, @Imapanda_H,
o cercatemi sul mio Ask! ♥ )

ps: Se plagiate vi spezzo le braccine.
With Love,
Chibi.



 

 

Mercoledì ha nove lettere
(e quattro sillabe)


 

PROLOGO

«Odio il mercoledì.»
Fabrizio ha nove anni, fa la quarta elementare e vorrebbe andare sull'altalena quando Leo sbuffa quella frase. La sbuffa davvero. Leo non dice mai le cose: le urla, le sbuffa, le sbotta, ma non le dice. Così, di punto in bianco Fabrizio sa che suo fratello odia il mercoledì.
Da parte sua non lo odia, ha un bel suono (mer-co-le-dì) e poi ha nove lettere e il nove è il suo numero preferito. Ha un debole per i numeri dispari Fabrizio.
«Che idiozia.» rotea gli occhi. «Non ha senso odiare un giorno.» dice, perché esattamente ciò che fa sempre Fabrizio. Lui dice, non perde mai il controllo. Lui è perfetto. O, forse, è solo un bambino di nove anni molto strano.
Fabrizio ama avere nove anni. Probabilmente quanto amerà un giorno averne diciannove. E poi ventinove. E poi trentanove. E poi quarantanove. E così via.
Leo sfiora con la punta dei piedi il terreno e l'altalena si ferma, alza gli occhi verdi sul fratello e sorride, mostrando una fessura fra i denti.
(Mamma ieri diceva di fargli mettere l'apparecchio, si ricorda Fabrizio. Non gli piace l'idea, quella fessura lui la trova carina.)
«Non è un'idiozia.» soffia, gli occhi luminosi. Alcune volte guardando il fratello a Fabrizio sembra di star guardando se stesso, una versione più minuta, più vivace, più fastidiosa e saltellante. No, in realtà Leo non gli assomiglia così tanto, se non per gli occhi. Ha il nasino un po' più all'insù – uguale a quello di Mamma – e ha quella voglia sul collo che lui non ha.
Fabrizio tace.
Un minuto. Due minuti. Tre minuti. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto.
Nove minuti.
«Posso fare io un giro con l'altalena ora?» si lascia sfuggire. Leo ride.
È un mercoledì.

 

«Facciamo un patto.»

 

Stanno tornando a casa da scuola. Fabrizio detesta le medie, le detesta davvero, le ragazze che ti guardano dall'alto verso il basso, i professori – a parte quella di lettere, lei non è così male – e suo fratello gemello, lo stesso che ora ha gli occhi verso il cielo, verso le nuvole, e sbadiglia un «odio i mercoledì» passandosi le dita fra i capelli neri. «Sono una palla assurda.» aggiunge lamentoso, sfiorandosi l'orecchino.
Fabrizio vorrebbe dirgli di stare zitto e non scassare i coglioni, ma riesce solo a pensare come si è incazzato Papà quando Leo due giorni fa è tornato a casa con quella roba. A come Leo è poi corso da lui, piangendo, durante la notte, e al livido violaceo che aveva sulla guancia che a lui è toccato nascondere con il trucco quella mattina. Mamma e Papà quando erano usciti stavano litigando – non che quello fosse una novità.
Routine.
A Fabrizio piace quella parola, anche se non quanto mercoledì perché mercoledì ha nove lettere mentre routine solo sette.
Dà un calcio ad un sasso.
Non è vero che odia Leo.
Vorrebbe riuscire ad odiarlo. Odiare le sue manie di protagonismo, il suo gesticolare, quel suo modo di passarsi la mano fra i capelli, il suo egocentrismo, il suo sorriso.
Quella fessura fra i denti.
Leo.
L-e-o.
Sono tre lettere.
Tre è un divisore di nove.

 

«Non credo in queste cose.»
«Non ha importanza, idiota.»
Lui si arrende.

 

 

Ha tredici anni quando sente Lorenzo chiamare Leo «frocio». Fabrizio non ha idea di cosa voglia dire esattamente, ma dal modo in cui Lorenzo – quel coglione – sogghigna non deve essere un complimento. Ed è per questo che lo prende a pugni nel cortile della scuola.
Dieci minuti dopo è là, nell'ufficio della preside, sua madre che blatera qualcosa a proposito di quanto lui sia sempre stato un bambino buono e tranquillo. Lui resta in ostinato silenzio.
Sono un giorno di sospensione.
Non lo preoccupa più di tanto.
La preside sbotta che potrebbe rischiare la bocciatura. È una balla, lo sanno entrambi, ha una buona media e per essere bocciati alle medie lì ce ne vuole. Davvero.
All'uscita della presidenza c'è Leo ad aspettarlo, Mamma si è fermata a parlare con la preside. Leo lo fissa.
«Mi hanno detto com'è andata.» fa una smorfia, è serio. È strano vedere Leo serio. «Grazie.» mormora. Porta l'apparecchio, Mamma l'ha convinto ad incominciare a metterlo durante l'estate. È quello fisso e lui non lo sopporta, gliel'ha confidato due settimane fa.
Fabrizio alza gli occhi al cielo.
«Non importa. Sono tuo fratello.» È quello che fanno i fratelli di solito, no?
Leo ride, gli occhi veri di nuovo brillanti. Fabrizio odia vedere Leo triste. O ferito. O qualcosa che non vada dalla noia alla più totale eccitazione per un nuovo gioco della PlayStation.
«Fabri?»
«Sì?»
«Odio il mercoledì.»

 

«Okay.»
«Okay o okay-okay?»
«Okay-okay, per chi mi hai preso?»

 

Leo non bussa mai alla porta, lui la spalanca ed entra come se nulla fosse e si lascia cadere sul suo letto.
«Ma' e Pa' stanno litigando.» annuncia annoiato. «È perfino uscita fuori la parola divorzio.» spalanca gli occhi, fingendosi incredulo, e Fabrizio non riesce a trattenersi dal sorridere, non ha idea di come Leo riesca a fare ironia sulla loro pietosa situazione famigliare.
«Davvero?»
Leo annuisce e una porta al piano di sotto sbatte.
«Questo è Papà che se ne va.» fa la telecronaca, afferrando uno degli astucci abbandonati sulla scrivania «e questa-» delle urla «è Mamma incazzata nera.» Rotea gli occhi «Non sono nemmeno originali.»
«Idiota.» sbuffa Fabrizio.
Leo ha finalmente tolto l'apparecchio, deve mettere quello mobile, anche se sospetta che se lo dimentichi visto che la fessura sta ricominciando ad apparire. Ride, accovacciandosi su di lui, canticchiando una delle canzoni dei Placebo – l'ultimo gruppo per cui ha perso la testa.
S'interrompe ed esita.
«Secondo te divorzieranno un giorno?» mormora mentre la pioggia batte contro le finestre. Fabrizio non risponde e Leo si stringe ancora di più a lui, appoggiando la testa sul suo petto. «Che schifo, i mercoledì.» esala, prima di addormentarsi.

 

Gli prende la sigaretta fra le mani.
«Quindi... è una promessa?»

 

«Come sapevi dove trovarmi?»
Fabrizio sorride, rotea gli occhi. «Vieni sempre qui quando sei nervoso.» Intanto l'altalena cigola con dolcezza. Osserva suo fratello. Ha le lentiggini, non ci aveva mai fatto caso. È diverso di lui, più diverso di quando avevano nove anni. Leo ha quel che di languido che a lui manca, quel modo di piegare le labbra in un sorriso innocentemente malizioso che gli dà sui nervi.
Leo lo guarda.
«Pensi che Pa' tornerà?» fa, e si morde l'interno della guancia. Ha le cuffiette dell'I-pod alle orecchie, Brian Molko canta Just nineteen and sucker's dream, I guess I thought you had the flavour.
«Non ne ho idea.» Fabrizio scuote le spalle. «Forse è meglio così.»
Diciassette anni. Hanno diciassette anni. Lui ha optato per il liceo classico, ha un debole per le cose difficili, Leo è finito a fare l'artistico, a disegnare tratti di carboncino sui fogli guardandolo di sottecchi. Non vuole mai fargli vedere i suoi disegni, ma lui sa che ha talento.
Se dovesse associarli un colore Leo sarebbe l'azzurro, azzurro acquerello, aggraziato come una ninfa dell'acqua e pura poesia. Contraddittorio, capriccioso, solo Leo. Leoleoleo.
Ha un bel suono, pensa.
Si porta la sigaretta fra le labbra e aspira, lasciando che il veleno raggiunga i polmoni. Nella sua mente Mariangela lo sta guardando male e borbottando come al solito che finirà per ammazzarsi da solo, forse è quello che vuole. La verità è che Fabrizio è affascinato dall'autodistruzione, dalla poesia e dalla morte.
E da Leo.
Poi ritorna sulla Terra. «Facciamo un patto.» se ne esce Leo così, di punto in bianco.
Brian Molko canta Just nineteen and dreams obscene with six months off for bad behaviour.

 

«Sì, lo è.»
Leo ride, si stringono la mano.
Il mercoledì è il loro giorno.
E ha nove lettere.
(E loro due non si lasceranno mai.)

 

 

 

-

 

 

I PARTE (Rottura)

Fabrizio decide che l'amore è strano quando Mariangela, la sua migliore amica e compagna di banco del liceo, gli dice di essere innamorata di lui. Ha le guance rosse e le tremano le gambe e lui non sa cosa dire.
L'università non è come si aspettava, ma se ne è innamorato subito, anche se sa che suo fratello ne odierebbe i muri grigi e l'indifferenza della gente. Apatia, a Fabrizio non dispiace l'apatia, Leo la odia. Quando si sente in imbarazzo la mente di Fabrizio incomincia a viaggiare, ad estraniarsi. È tutto così ridicolo.
Lui non è innamorato di Mariangela.
Sarebbe così scontato. Noioso. Poco drammatico.
Quando pensa ad «amore» gli viene in mente il modo di guardare di Leo il gelato al cioccolato o il suo modo di spiegargli un quadro, quella passione, quel fuoco che sembra animarlo.
Come sarebbe poi la loro vita insieme? Mamma adora Mariangela, tutti adorano Mariangela – anche lui, finirebbero per sposarsi e avere due figli, passerebbero la vita a scambiarsi dialoghi come «com'è andata la giornata, amore?» e a fingere che vada tutto bene.
«Oh» dice solo, intanto pensa che manca meno di una settimana al suo diciannovesimo compleanno.
Mariangela esita, è quasi tenera. «Quindi... per te è okay?»
Quella situazione è surreale.
Quindi perché sta facendo sì con la testa?
Mariangela sorride, sembra felice, e quando sente le sue labbra premere sulle sue Fabrizio non riesce a non irrigidirsi. Non gli piace essere toccato. Tutto sta andando troppo veloce.

Fabrizio adora il corso di poesia, è l'unico forse dove sta davvero attento, perché vuole. Il professore è simpatico, cosa rara per un'università, ha quel modo coinvolgente di parlare che riesce a prendere tutti.
A Fabrizio serve la poesia per stare bene.
La poesia ha quella simmetria, quella passione avvolgente, quel qualcosa. Se Leo è l'azzurro lui è il grigio. Grigio noia, grigio università, grigio della vita. Fabrizio ha un debole per la routine. Si alza sempre alla stessa ora, non va mai a letto tardi, s'impegna nello studio e odia le feste.
La poesia è l'unica cosa che riesca a farlo sentire vivo oltre a Leo.
Quando suona la campana, raccoglie le sue cose e le infila malamente nella borsa, caricandosela in spalle. Esce a passi veloci dall'aula, nella speranza di riuscire ad evitare Mariangela.
Strano.
Ci riesce.

Se Leo è l'azzurro e lui è il grigio Mariangela è verde. Verde speranza.
È ottimista, fisicamente carina e fa delle battute divertenti. È quel genere di persona di cui il genere di persona di Fabrizio finisce per innamorarsi. Forse lui è l'eccezione che conferma la regola, forse l'amore viene col tempo, forse è troppo confuso per rendersi conto di ciò che prova.
Un «boh» si forma nella sua mente. Vuole bene a Mariangela, hanno passato bei momenti insieme. Le giornate a guardarsi Doctor Who alla tv – quando Ten si è rigenerato si sono lamentati insieme, per poi perdere entrambi la testa per Matt Smith, le uscite al cinema a vedersi i vari film del momento, le verifiche copiate al liceo.
Mariangela è Mariangela.
Tutto qua.
Infila la chiave e la gira, per poi entrare nel suo appartamento, tutto è al suo posto. Perfettamente ordinato. S'infila sotto la doccia e una volta uscito lancia un'occhiata distratta al cellulare.
Un nuovo messaggio. Leo.
Un sorriso si disegna sulle sue labbra. Non fa nemmeno caso alla pessima grammatica di suo fratello.

Hola, brother! Qst fine settimana passo da te, ok? Nn ti faccio gli auguri in anticipo xkè porta sfiga ;D
Ps: ti voglio bene, stronzo.

Risponde solo con un «okay» ma sa che a Leo non importerà.
Perché se Mariangela è Mariangela allora Leo è Leo.

 

-

 

Leo odia il mercoledì e la mattina e soprattutto il mercoledì mattina. Se fosse per lui la scuola dovrebbe iniziare alle dieci.
E invece no, quando la luce viene accesa nella sua camera sono le sette e mezza.
«Ancora cinque minuti, Ma'» bofonchia, cercando di proteggersi col cuscino.
Riesce ad immaginarla roteare gli occhi «Matteo ti passa a prendere alle otto meno un quarto.» poi la porta sbatte.
Che rottura.
Leo ha perso un anno, tutti hanno dato la colpa al trauma del divorzio dei suoi genitori, la verità è che semplicemente non aveva voglia di studiare. L'unica cosa che lui vuole fare è disegnare e, al massimo, dipingere. Tutto il tempo.
E invece si alza, afferra la prima cosa che gli capita dall'armadio e si sistema il piercing nuovo studiandosi allo specchio. La cosa figa del liceo artistico è che son quasi tutti abbastanza sballati, dunque di solito non ce nessuno che ti scassa particolarmente i coglioni se ti vesti in un dato modo o altro.
Libertà d'espressione, Leo ama questo termine.
Quando Matteo suona per la terza volta il clacson sotto la sua finestra, la sfumatura leggermente incazzosa, sono le otto meno dieci e Leo si sta sistemando i capelli.
La scuola può aspettare.
«Sto arrivando. Non rompere tanto le palle, Matte!» urla, affacciandosi dalla finestra, e per un attimo pensa di essere Raperonzolo sulla torre.
Che pensiero idiota, ride.

Ci sono volte in cui Leo si sente così tremendamente solo e abbandonato e allora deve accendere la musica al massimo e cancellare tutto.
Smettere di pensare.
Leo è per le cose istintive, le stronzate, le risse nei bar (anche se è troppo magro e le prende sempre lui). Ne ha bisogno per sapere di essere ancora in quel mondo. Alle volte pensa che è tutto inutile, che tanto un giorno morirà e che nessuno saprà nemmeno della sua esistenza. Che tanto varrebbe buttarsi giù dal balcone.
Non lo fa mai.
Una volta ci ha provato, si è seduto sopra la sbarra e ha guardato di sotto. Non c'è riuscito. È sceso, ha preso un foglio da disegno ed ha cominciato a fare l'unica cosa che gli riesca bene.
Come idea, però, la tiene sempre nell'angolo nella mente.
Gli sono sempre piaciute le uscite in grande stile.

«Coglione.» lo apostrofa Matteo a pranzo. Ci sono anche Elisa e il fidanzato Filippo, oltre ai soliti casi persi con cui si ostina ad uscire. Forse perché è un po' caso perso anche lui.
Leo lo ignora, guarda il cellulare che vibra. Fabrizio ha risposto al suo messaggio.
Un semplice «okay» lampeggia sullo schermo, Leo scuote la testa.
«Hey, stronzetto, mi stai ascoltando?»
Leo alza gli occhi, sorride divertito. Non ha la più pallia idea di che cosa Matteo abbia parlato per tutto quel tempo.
«Stavo pensando di farmi le meches rosa.» informa innocente.
Matteo gli lancia una patatina. «Ti stavo chiedendo se ti andava di uscire questo fine settimana.» sbuffa, dando un morso al suo hamburger.
Leo scuote la testa.
«Non posso. Vado a Bologna a trovare mio fratello.»
Gli occhi di una delle amiche di Elisa s'illuminano. «Quello figo e misterioso?» cinguetta, sporgendosi in avanti. «Ma è fidanzato?»
Leo ride. Figo e misterioso? Fabrizio? No. Fabrizio non è figo e misterioso, Fabrizio è taciturno, comprensivo, una spalla, dolce, spesso sfuggente, affascinante. Quello è Fabrizio.
«Non ne ho idea.» ammette «è da un po' che non lo sento. Non penso, comunque. Cioè-» si morde il labbro. L'idea di Fabrizio – il suo Fabrizio – con una ragazza gli dà fastidio. Beve un sorso di coca-cola. «Credo che lo scoprirò solo una volta lì.»

Leo odia le materie scientifiche e odia la matematica. Lui vuole fare l'artista.
Scarabocchia sul quaderno: visi, occhi, braccia, gambe, oggetti. È tutto un gran casino nella sua testa. Immagini e colori.
Ma i numeri?
Non li capisce, i numeri.
Non hanno passione. Due più due fa quattro perché è così, non ci sono variabile, non c'è... vita. Arte. Sono solo cose.
A Leo piace la vita, fare stronzate, la musica a palla. Il sesso, anche. Tutto ciò che può farlo sentire – anche solo per pochi secondi – vivo.
Alza la mano per aria, sorride. «Posso andare in bagno?» azzarda, sbattendo le palpebre. La professoressa risponde con un infastidito cenno del capo, ma lui non ci fa caso, è già alla porta. Se la chiude alle spalle e si dirige ai bagni maschili. Si appoggia alla parete.
Annoiato, si sente così annoiato.
Sfila la lametta dalla tasca. Il suo polso è così dannatamente bianco, attraente, sembra quasi urlargli «rovinami, dipingimi di rosso, dammi colore». Le vecchie cicatrici sono ormai scomparse, hanno anche smesso di fargli male.
Il taglio è orizzontale, nemmeno profondo, abbastanza da fargli sfuggire un gemito di sorpresa. Serra le palpebre e inspira profondamente. Una goccia di rosso cade sulle piastrelle, la osserva ipnotizzato.
Il rosso è un colore così vivo.
Sorride.
Sta di nuovo bene.
È di nuovo vivo.

«Com'è andata scuola?» gli chiede Mamma quando rientra a casa. Sta cucinando gli spaghetti. È okay. Gli spaghetti sono okay.
Scuote le spalle.
«Come al solito.»
«Nulla di nuovo?»
«Nulla di nuovo.» urla mentre sta salendo le scale. Entra nella sua camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Alza lo sguardo sul calendario.
Mancano tre giorni al suo compleanno. Tre giorni a Fabrizio.

 

-

 

Fabrizio esce dall'appartamento di fretta, il colletto della camicia stropicciato, è una cosa che succede di rado. In quei due giorni ha evitato accuratamente Mariangela, anche se incomincia a sentirsi un po' in colpa.
Scaccia quel pensiero quando entra in stazione e vede il treno fermarsi. Leo dovrebbe essere su quel treno. Si guarda in giro, cercando quegli occhi verdi impressi nella sua mente. Non gli darebbe mai buca, giusto? Non il giorno del suo – del loro – compleanno.
Gli vibra il cellulare.
È Mariangela.
Auguri :)
Lo ripone nella tasca infastidito, e poi lo vede. Quello stronzetto. È alto quasi quanto lui, sogghigna e ha una borsa a tracolla. Si fissano, è questione di un attimo perché si trovino a stringersi l'un l'altro in un abbraccio.
Sono di nuovo Leo e Fabrizio.
Leo ride, gli soffia sul collo, come un gattino «Mi sei mancato, stronzo.»
(E quello è il loro diciannovesimo compleanno.)

Leo e Fabrizio.
Ha un bel suono, è musicale, puro. LeoeFabrizio.
Quando la gente li guarda Fabrizio si chiede cosa vedano. Una coppia? Due amici? Si vede che sono fratelli? Sì, probabilmente sì.
Leo lo prende a braccetto, mentre camminano per Bologna, saltella da una parte all'altra, vuole vedere ogni cosa. Parla senza fermarsi mai, squittisce e fa foto con il cellulare, poi lo punta su di lui.
«Scordatelo.» cerca di ribellarsi, ma Leo ha quel modo di ridere e di pregarlo che Fabrizio finisce sempre per cedere.
«Daaaai.» lo apostrofa, facendo gli occhioni «è solo una foto!»
Quel giorno non fa eccezione.
Ma è okay, davvero.
«Fabri, che fai qua di solito? Com'è Bologna? Ti sei trovato la ragazza?» lo investe di domande «Cioè, non posso parlare solo io, lo sai. Non sono così egocentrico.» Ridono insieme perché sanno entrambi che non è vero, Leo è sul serio così egocentrico, ma non ha importanza.
Fabrizio racconta dell'università, di come sia favolosa Bologna di sera e accenna a Mariangela.
Quando arrivano all'appartamento Leo è stanco morto, ha il tempo di posare – lanciare – la borsa per terra prima di crollare sul divano.
Fabrizio si addormenta così, accarezzandogli i capelli, ripensando al bacio di Mariangela e chiedendosi che sapore abbiamo quelle di Leo.

«È finito il latte.»
«Non può essere. L'ho comprato due giorni fa.»
Leo sbuffa, spalancando di più il frigo, per fare in modo che lo veda anche lui. «Non c'è.» si lagna, la sua tazza di cereali ancora vuota.
«Terzo ripiano a destra.» rotea gli occhi Fabrizio e, ovviamente, ha ragione. Leo osserva la bottiglia con attenzione, poi fa le spallucce, rovesciandone una discreta quantità nella tazza.
«Stavo pensando» rotea il cucchiaio, intanto Fabrizio bofonchia un «perché, tu pensi?» a cui non fa caso «di finire il liceo qua.» Si mordicchia il labbro e Fabrizio scuote la testa.
«Leo, è il tuo ultimo anno. Non avrebbe senso.»
«Lo so. Era solo un'idea. Mi è venuto in mente, così.»
La verità è che Fabrizio vorrebbe tenere lì Leo per sempre, guardarlo disegnare su quel tavolo e lamentarsi per ogni stronzata. Ma sa che non è possibile e che non sarebbe il meglio per lui – per loro. Perché quando c'è Leo intorno l'unica cosa a cui riesce a pensare è a stringerlo contro di sé e a proteggerlo.
È più forte di lui.
«Comunque mentre tu stavi ancora dormendo ha chiamato Mariangela.» lo informa Leo, con una smorfia perché non l'ha mai sopportata Mariangela, lui, l'ha sempre vista come una rivale per l'affetto del fratello.
«E tu?» chiede Fabrizio, ha quasi paura di sentire la risposta.
Leo sorride, un sorriso un po' annoiato e un po' ferito.
«Le ho detto che non aveva possibilità.»
«Sei uno stronzo.»
Leo gli lancia un'occhiataccia. «Almeno io sono sincero.»

Fabrizio odia litigare con Leo perché loro due sono FabrizioeLeo tutto attaccato, senza spazi. Alza lo sguardo dalla televisione, Leo gli sta porgendo un biscotto, «Mi dispiace.» mormora, gli ci sono volute solo nove ore questa volta.
«Non importa.»
«Non so perché l'ho detto.» Leo scuote la testa «Quella cosa di prima, non che mi dispiace.» precisa in fretta.
È così carino.
Ed è per questo che Fabrizio non ha idea del perché fa quel che fa. È più forte di lui, curiosità. La sua mano si poggia sul collo di Leo, si fissano per una manciata di secondi ed entrambi sanno benissimo ciò che sta per succedere.
Le labbra di Leo sanno di burrocacao alla fragola. D'infanzia negata. Di un padre che non c'è mai stato. Di un bambino che va sull'altalena. Leoleoleo. Solo Leo.
Lo stesso Leo che ora ride e si appoggia a lui, come sempre. «Siamo due coglioni.»
«Probabile.» conviene, ma continua a baciarlo. Sulle labbra, sul collo, sul cuore. «Domani ce ne saremo già pentiti.»
Leo sorride e poi lo bacia.
«Non ha importanza.» Non ha importanza finché siamo noi due, vorrebbe dire.
«Se qualcuno dovesse saperlo-»
«Non succederà.»
Sono solo due ragazzi che si spogliano su un letto, baciandosi fino a consumarsi le labbra.
E non importa del mondo, della gente, di tutto.
Sono solo Leo e Fabrizio.
Per una volta davvero.

 

-

 

Quando Fabrizio apre gli occhi ha la testa di Leo sul petto, l'osserva qualche secondo mentre i ricordi della notte prima lo investano.
Le sue dita che slacciano i bottoni di quella camicia, le labbra di Leo sul suo cazzo, il calore, le parole sussurrate. Tutto. Il corpo di Leo contro il suo è nudo, è snello, agile, quello di un ragazzo di diciannove anni. L'angolo delle labbra si piega verso l'alto.
Fabrizio si lascia ricadere sul letto, le dita che scorrono fra i capelli del fratello. Ride. «Che stai facendo?» si lascia sfuggire.
Leo sporge il labbro inferiore «Ascolto il battito del tuo cuore.» e inarca un sopracciglio come se fosse ovvio. «Lo faccio da anni.» Da quando erano piccoli e lo lasciava dormire nel suo letto, capisce Fabrizio.
«E perché? Perché lo fai?»
Lo vede sorridere e incrociare le mani sotto il mento, sopra il suo stomaco. «Perché mi piace. Mi tranquillizza.»
Fabrizio scuote la testa.
«Vado a preparare la colazione.» borbotta.
«Fai le omelette!» gli urla dietro Leo e Fabrizio alza gli occhi al cielo.

«Non sono male.»
Fabrizio risponde con un cenno della testa.
Leo sbuffa. «Sul serio.» Ammutolisce, in attesa che Fabrizio dica qualcosa. Non lo fa. Se c'è una cosa che Leo odia di Fabrizio è che pensa troppo. Leo – tutto sommato – è una persona pratica. Se qualcosa ci fa felici, dov'è il problema? Lui ama Fabrizio ed è felice di amarlo, dal suo punto di vista non è un errore. E non gliene fotte un cazzo della legge italiana.
Fabrizio non è così. Fabrizio è rispettabile. Fabrizio è vissuto di apparenza per anni. Fabrizio insegue la perfezione e non capisce, non capisce che non ne ha bisogno perché ai suoi occhi lui è perfetto nella sua fottuta imperfezione.
Ed è per questo che quando dice «Questo- noi non siamo giusti, Leo.» non è stupito perché è una frase così da Fabrizio che sembra confezionata.
«Stronzate.»
«Tu non capisci, pensa a mamma.»
Quello è un colpo basso.
«C'è un'altra questione.» sospira.
Leo si sporge in avanti, poi sbotta, tagliente «Quale?»
C'è silenzio. A Leo viene quasi da ridere, la vita è strana, la natura umana stessa è strana, come si riesce a passare dalla felicità più pura alla rabbia più furente in meno di dieci minuti. Vorrebbe picchiare Fabrizio, dirgli che no, cazzo, non è un errore e poi coprirlo di botte.
Ma poi Fabrizio sorride, un sorriso triste, e lui capisce.
«Il tuo polso.»
Oh.

Ci sono volte in cui Leo si sente così scosso che vorrebbe solo prendere il carboncino e incominciare a disegnare, così, a caso, con gli occhi chiusi, lasciando la mano libera e di scorrere sul foglio.
«Potrei essere caduto e aver sbattuto contro uno spigolo.» Alza le spalle, si finge indifferente.
Fabrizio lo fissa, un sopracciglio inarcato. «Mi credi un idiota?»
Leo sorrise. «Scusa.» Infilza un pezzo di omelette, lo mastica lentamente «Hai ragione ad essere arrabbiato.»
«Non sono arrabbiato. Sono... preoccupato.» Fa una smorfia. «Perché? Dimmi solo il perché.»
Lo fissa.
Il perché.
Se lo chiede anche lui alle volte.
Il fatto è che gli piace, è come se il suo polso fosse la tela e quella lametta il pennello, nella sua testa ha senso. È un artista, vedere le cose come non lo fa nessuno è il suo scopo della vita. E poi c'è la noia, la noia di vivere.
Semplicemente la noia.
«Non ho più fame.» mente, si alza ed esce, ignorando la voce del fratello che chiama il suo nome.
È tutto okay, pensa. Tutto okay.

La prima verità è che non ha idea di come orientarsi a Bologna, non sa niente di niente ed è quindi una fortuna che Fabrizio gli afferri il braccio, bloccandolo. «Non fare il coglione.» lo sente mormorare.
Leo lo fissa, infastidito. «Non mi serve il tuo aiuto.» sbotta per poi serrare le labbra.
La seconda verità è che un po' ci sperava che riuscisse a raggiungerlo e a fermarlo perché fra le braccia di Fabrizio si sente al sicuro, come un bambino fra le braccia del papà (un padre che lui non ha mai avuto) solo che Fabrizio è Fabrizio ed è suo fratello.
«Mi dispiace.» sospira Fabrizio prima di stringerlo a sé. «Non volevo darti addosso, ma ero terrorizzato.»
La terza verità è che Leo ama la vita, è affascinato da lei, dalle emozioni, dal mondo.
Gli artisti sono gente strana, dopotutto.
La quarta verità è che quando Fabrizio gli poggia le labbra sulla fronte, lì, per strada, Leo lo ha già perdonato.
«Idiota.» borbotta invece, mordendosi il labbro e Fabrizio ride.
La quinta verità è che le omelette di Fabrizio fanno abbastanza schifo e la sesta è che gli piace il modo in cui tiene stretta la sua mano mentre s'incamminano di nuovo verso l'appartamento.
«Sto pensando di venire a stare un po' a casa.» gli rivela Fabrizio, distrattamente, e lui scuote la testa. «Non dovresti mollare l'università.», la settimana verità è che farebbe qualunque cosa per riaverlo intorno.
«Verrei per una settimana, magari il mese prossimo. Solo per...» sbuffa «tenerti d'occhio.»
Leo ride. «Ed oggi che faccio con il treno? Posso restare?»
Fabrizio gli risponde con un'occhiataccia. «Scordatelo, hai saltato anche troppi giorni di scuola.» Alza le spalle. «Controllerò su internet a che ora c'è il treno, intanto tu incomincia a preparare la valigia.»
L'ottava verità è che Leo è una persona terribilmente egoista a cui non frega proprio un cazzo del mondo e della morale. Ed è per questo che le sue labbra ora sono su quelle di suo fratello.

«Fabri.» gli sussurra lamentoso in un orecchio.
«Che vuoi?»

La nona verità è che forse si è innamorato della persona sbagliata, ma quel «sbagliata» alla fine è relativo.

(No?)

«Fai la doccia con me.»

 

-

 

«E continuò?»
Rido, è più forte di me. Il fatto è che noi esseri umani abbiamo questa dannata tendenza a complicare ogni fottuta cosa. Era continuata? Sì, per un po sì. Amavo Leo? No, ma una parte di me, quella oscura, quella che continuavo con tanta ossessività di nascondere, era perdutamente persa per lui. Ero consapevole di ciò che facevo?
Ora come ora vorrei dire di no, ma sarebbe una bugia.
Lo desideravo. Tutto quello. Il proibito.
Leo.
Mi piacerebbe citare Lolita, qualcosa tipo «Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti.» Era quello – quello – che rappresentava Leo per me? Un'ossessione? No, non solo. Leo non era la luce della mia vita, lui era la mia vita.
Lo so cosa sta pensando, dottoressa. Che sono malato. Che noi (io e lui) eravamo malati. No, è errato. Eravamo giovani, irruenti, innamorati persino. Ma malati? È malattia amare il proprio fratello? Se sì, ebbene, allora ero e sono malato.
Leoleoleoleoleoleoleoleoleo. Potrei andare avanti a ripeterlo all'infinito, riempire pagine e pagine con solo il suo nome.
Dov'è lui adesso?, mi chiede. Non lo so, da qualche parte, ai confini del mondo forse, spero sia felice ma, detto fra noi, ne dubito. Ci sono persone che non nascono per essere felici, noi due lo sappiamo. Siamo tutti destinati a vivere come miserabili, a mio parere. A distruggerci con le nostre stesse mani.
Non è patetico?
«Vada avanti.» mi dice ed io sorrido. Ne è sicura, dottoressa? Non sarebbe forse meglio fermarsi qua? Quando la storia ha ancora un lieto fine? Potrebbe far finta sia una favola, un vissero felice e contenti.
E invece no, le mie labbra si muovono da sole, mentre nella mie mente è dipinto un unico nome che si ripete all'infinito.
Leo.
Leo.
L-e-o. (Elle-e-o?)
Le-o. (Le ho?)
Forse semplicemente Leo. La elle in un elegante corsivo e la «e» un po' schiacciata. Leo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

Uso questo piccolo spazietto per ringraziare DI CUORE MeduraNoir per aver accettato di betare questa storia, è stata davvero fantafantastica. Semplicemente.
Per i personaggi di Fabri e Leo mi sono ispirata a questa foto, di cui mi sono innamorata a prima vista, tanto da finire per scriverci su (il che è una cosa abbastanza inquietante, a ben pensarci).
Una precisazione: la scena del risveglio e il dialogo «Cosa stai facendo» «Sto ascoltando il battito del tuo cuore» è ispirato ad una scena del film Cloud Atlas, che fra l'altro consiglio davvero a tutti perché è fantastico.
Non so se si è capito, ma faccio schifo con le NDA. Avrei un sacco di cose da dire, ma non ci riesco a esprimerne come vorrei nemmeno mezza.

 

 

With love,
Chibi.

   
 
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