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Autore: SherlockAndJohn    14/07/2013    1 recensioni
E' passato un anno dalla morte di Sherlock e John non si dà pace: nonostante abbia trovato Mary, la sua anima gemella, qualcosa non sembra quadrare; ancora di più quando Mrs Hudson lo chiama per informarlo che vuole vendere l'appartamento a uno strano sconosciuto...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Mary Morstan, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 CAPITOLO 1: A STUDY IN WHITE
 
Era una piovosa giornata di gennaio: il 17, per essere precisi. Una coltre bianca copriva il cielo, come un lenzuolo, della campagna londinese. Il freddo entrava crudele e pungente nelle ossa, mentre John si stringeva nel suo maglioncino di lana, seduto sulla sua poltrona. Guardava fuori dalla finestra, malinconico, e pensava a quello che era avvenuto quello stesso giorno soltanto un anno prima, anche se il ricordo era vivido e concreto nella sua mente, come se non fosse passato nemmeno un giorno. Poteva dire, in un certo senso, di aver superato la cosa, anche grazie all'aiuto della sua futura moglie. Mary le aveva dato quell'amore che era riuscito, anche solo per un attimo, a cancellare il dolore che provava. Era cominciato tutto con un biglietto lasciatogli da Mycroft nella casella della posta del suo piccolo cottage, per quanto i contatti con lui si fossero ristretti. Sulla note c'era solo scritto "Ne avrai bisogno." e un numero di telefono, che era quello di un importante ospedale londinese, in cerca di un nuovo capo chirurgo, con esperienza. Ebbene sì, John era in cerca di un lavoro; mai, fino a quel momento, ne aveva sentito il bisogno. Risolvere casi era diventata la sua occupazione, oltre che il suo passatempo preferito. Una volta assunto, aveva conosciuto un'adorabile infermiera, dai capelli dorati e due sinceri, luminosi occhi blu. Per John era stato amore a prima vista, ed era stato un po' come ricominciare a vivere: non aveva più i suoi occhi a fissarlo, magnetici e penetranti , bensì quelli docili e timidi dell'infermiera, che poi era diventata la sua dolce, amabile Mary. E così, aveva ricominciato a vivere: un po' alla volta, come le persone in riabilitazione. Era riuscito, dopo mesi e mesi, a rinchiudere tutti i ricordi spiacevoli in fondo ad un cassetto nella sua mente che per il momento aveva deciso di dimenticare. Solo una stampella, sua vecchia amica, era ritornata dal passato, per aiutarlo con un remoto problema, che sembrava essere stato risolto. Però, quel giorno, nulla poteva distoglierlo dal ricordare il suo migliore amico: era l'anniversario della sua morte e il suo pensiero era più tangibile che mai.
 
Caos, confusione, due occhi fissi sul tetto del St. Bart e un cellulare ancora in mano, lo stesso che poi aveva frantumando contro la parete del loro appartamento, in Baker Street: persone si affrettavano per soccorrere un uomo riverso a terra, in mezzo a una pozza di sangue. Le madri, preoccupate, coprivano gli occhi dei loro bambini, curiosi. E John era lì, immobile, senza fiato nè pensieri. Non si era neanche accorto di una bicicletta che gli stava arrivando addosso, scaraventandolo a terra. Poi, tutto era diventato più confuso: le voci delle persone, le sirene dell'ambulanza, il suo respiro. Si ricordava solo di essersi avvicinato a lui, dopo aver dichiarato di essere un suo amico e di aver toccato il polso di Sherlock e di non aver sentito il battito: in compenso, aveva sentito il suo accelerare.  La stampa era accorsa e alla vista di John lo aveva sommerso di domande senza alcun ritegno. Ma lui non sentiva niente, neanche i suoi pensieri, neanche il suo respiro: in qualche modo, un pezzo di lui se n'era andato con Sherlock, lasciandolo con la lingua immobile e gli occhi secchi. I giornalisti avevano provato a parlare di nuovo con lui diverse volte, ma lui si era rifiutato di rispondere alle loro domande: lui ne aveva già troppe. Una parte di lui avrebbe voluto urlargli contro che no, Sherlock non era quel fasullo che tutti credevano; era vero, un incredibile genio incompreso. Però era stato lui a chiedergli di non farlo, ed ora che era morto non poteva non rispettare la sua volontà. Così, per non dire la verità nè la bugia, si era limitato al silenzio stampa.
Quella mattina, era stato a portare i fiori sulla sua tomba, l'aveva spolverata e aveva parlato un po' con lui, come faceva di solito quando arrivava la sera, e lo sentiva più vicino. Ogni tanto, gli veniva da sorridere pensando a cosa avrebbe detto Sherlock in merito alla sua futura moglie: sicuramente, non sarebbero andati molto d'accordo. Una il giorno, l'altro la notte. Le discussioni non sarebbero mancate e John si sarebbe sicuramente divertito. Chissà cosa avrebbe pensato Mary del suo migliore amico: probabilmente, ne sarebbe uscita disperata, come tutte le sue ex ragazze. Era bello pensare al "se": ma la realtà gli si infrangeva contro violenta come un'onda durante una tempesta, fredda e pungente. Sherlock non avrebbe mai potuto assistere al suo matrimonio, nè fargli da testimone, nè tantomeno fare un discorso su come non fosse d'accordo sulla loro unione, ma che comunque gli sarebbe bastata la felicità di John. Tornato a casa, era riuscito solo a sedersi sulla sua poltrona e a guardare fuori dalla finestra i goccioloni di pioggia che scendevano violenti. Il suono del campanello lo distrasse dal filone di pensieri che aveva preso forma nella sua testa. Mary doveva essere tornata con la spesa e ovviamente aveva lasciato le chiavi a casa. Così, si dovette alzare per aprire la porta di casa.
"Ehi amore!" lo salutò lei, madida di pioggia "Uff, che tempaccio! Ho dimenticato l'ombrello qui e ora sono fradicia".
"Mh." rispose lui, incurante.
"... qualcosa non va?" disse allora lei, premurosa come sempre, appoggiando i sacchetti a terra. Si limitò a rispondere con un'alzata di spalle. Si sedette sulla poltrona e Mary non aggiunse altro. Dopo un po', Mary tornò in salotto e di fretta gli comunicò che aveva un turno in una mezz'ora e che era già in ritardo. "Devo scappare tesoro, ci vediamo stasera sul tardi."
"Ok, a dopo tesoro." sospirò lui.
"Aspetta un secondo..." disse Mary, immobilizzandosi mentre si metteva il cappotto "che diamine è quella cosa sul camino?!"
"Quale cosa sul camino, Mary? Abbiamo deciso di non metterci sopra nulla!"
"Ah, io di certo non ce l'ho messo. E sicuramente non mi piace il genere." aggiunse disgustata.
"Ma di che diavolo stai..." sbuffò poi, voltandosi repentinamente.
Posò gli occhi su un oggetto famigliare, che pensava fosse andato perduto ormai, dopo un anno. Ebbene no: il teschio di Sherlock era lì, concreto, davanti ai suoi occhi. John si alzò di scatto, gli occhi spalancati. Solo pochi minuti dopo si rese conto di stare in piedi senza stampella, e subito iniziò a barcollare e ad appoggiarsi alla poltrona. Dopo averla recuperata da terra, si avvicinò al camino zoppicando. Mary guardò la scena sbigottita, domandandosi di continuo cosa fosse quell'oggetto così particolare. Ma John aveva un'altra domanda: come c'era finito lì?
"Allora? Cos'è?" chiese lei, curiosa.
"Un mio vecchio ricordo di famiglia... uhm, era del mio bisnonno, e... sì, insomma, ho deciso di metterlo lì per arredare un po', ecco." mentì lui, non sapendo cosa dire.
"Se pensavi di arredare con quello, hai proprio capito male!" scherzò lei, ridendo. John fece un sorriso nervoso cercando di assecondare la battuta di Mary e riprese a respirare solo quando lei richiuse la porta dietro di sè, salutandolo con la solita euforia.
John tremava e più guardava il teschio più non si capacitava di come fosse finito lì, a casa sua, in quel cottage così lontano da Baker Street. Se fosse entrato qualcuno lo avrebbe visto di certo o comunque sentito, ma poi si rese conto che forse era troppo immerso nei suoi pensieri quel giorno per accorgersi di qualunque cosa. Perlustrò tutta la casa in cerca di indizi, impronte, segni di qualche genere. Nulla. Poteva definirsi il "delitto" perfetto, quasi da...no, non poteva essere vero. La sua mente stava viaggiando a ruota libera. Era tutta colpa di quel maledetto giorno. Stanco e agitato, si buttò sul divano e cercò di mettere in ordine i suoi pensieri. Ma come se non bastasse il telefono squillò. Senza pensarci si alzò e andò a rispondere.
"Pronto?" rispose ansimando.
"John!" dall'altro capo del telefono lo chiamò una vocetta stridula.
"Mrs. Hudson?" chiese lui, incredulo. Erano mesi che non la vedeva, né la sentiva al telefono.
"Come ha fatto ad avere il mio..."
"Non ha importanza. Devo parlarti di una questione urgente, si tratta dell'appartamento."
John sbiancò. Non aveva mica intenzione di affittarlo a qualcun altro o addirittura di venderlo? Non avrebbe mai permesso una cosa simile.
"Cosa? Cos'é successo?" domandò nervoso.
"Ho ricevuto un'offerta importante per l'appartamento che non posso ignorare, ma mi sentivo in dovere di chiamarti...sai com'é..."
"Non oserà mica venderla vero?"
"L'offerta è molto alta, John. Non mi dispiacerebbero quei soldi e poi tu non ci abiti più, la casa è vuota e lui è disposto a pagarmi anche ora. Ha insistito tanto, sai? Devo assolutamente vendergliela."
John non poteva credere alle sue orecchie. La casa sarebbe andata a qualcun altro. Non ci sarebbero più state teste, occhi o dita nel frigorifero dell'appartamento di 221b, Baker Street. I vicini non avrebbero più sentito suonare il violino in piena notte o gli spari contro il muro.
Uno sconosciuto avrebbe abitato il suo, anzi il loro, appartamento.
Non era possibile, John faceva fatica anche solo a immaginarlo.
"Stia lì, non si muova per nessun motivo. Sto arrivando, parlerò io con quell'uomo!"
"Ma John..."
John riattaccò senza nemmeno lasciarle il tempo di finire la frase, si infilò il giubbotto e uscì di casa senza ricordarsi di prendere l'ombrello, rimasto per terra accanto alla sua stampella.
 
 
Tornare a Baker Street fu come rispolverare un vecchio armadio, ogni angolo rappresentava un ricordo che John aveva sepolto e che stava riemergendo inevitabilmente. Salì le scale di corsa, le chiavi erano sempre rimaste con lui, nella tasca, in attesa di essere riutilizzate. Si scontrò con Mrs Hudson mentre scendeva.
"John, santo cielo! Mi hai fatto prendere un colpo!" esclamò con le mani puntate sui fianchi. "Dov'è questo tizio che vuole comprarsi la MIA casa?" rispose lui, rabbioso.
"Ho dovuto venderla, John. E per tua informazione, "lui" è appena andato via. Ora, se vuoi puoi salire un attimo a prendere le cose che vuoi tenere e dare un ultimo sguardo alla casa"
John  non se lo fece ripetere due volte e quando arrivò alla porta quasi con timore la aprì sentendo il familiare scricchiolio dei cardini. Tutto era esattamente come lo aveva lasciato: le poltrone, il camino, persino lo smile sulla parete tempestata di fori di proiettile. Ma mancava qualcosa...il violino. Era sicuro di averlo visto sul tavolo del salotto l'ultima volta. Chissà dov'era andato a finire. Come risposta ai suoi pensieri udì una dolce melodia provenire dal bagno. Quasi ferito nell'orgoglio, come se qualcuno si potesse permettere di toccare il violino di Sherlock, si precipitò in bagno con i pugni chiusi. La scena che si trovò davanti lo lasciò spiazzato. Se avesse avuto problemi cardiaci in quel momento avrebbe seriamente rischiato un infarto.
La vasca era piena fino all'orlo di schiuma dalla quale emergeva una figura snella e bianca con solo dei riccioli neri a risaltare sul bianco del bagno. Teneva il violino appoggiato alla spalla e faceva scorrere l'archetto sulle corde appassionatamente. Quando vide John sulla porta smise di suonare e si voltò a guardarlo. Gli sorrise "Oh, ciao John!"
John rivide dopo un anno quegli occhi che ogni singola notte lo avevano tormentato nei suoi più begl'incubi e, cercando quegli occhi, cercava anche il suo respiro, e non poté far altro che svenire.
 

  
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