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Autore: Caramell_    14/07/2013    4 recensioni
Spartacus War of the Damned ~ Spoiler!
Naevia una volta aveva confidato a Nasir di aver visto l’Ade. Aveva mentito […] E dopo, la morte nel cuore e le lacrime agli occhi, aveva atteso la fine come si attende una cara amica.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Agron, Crixus, Naevia, Nasir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: Ok, partendo dal fatto che io ho trovato Naevia abbastanza inutile dall'inizio alla fine, questa fanfic è più che altro una sfida per me, anche considerando che sono le dieci passate e la mia testa comincia a sembrare un colabrodo. Comunque, appurato questo, per chi segue la serie in italiano c'è uno SPOILER enorme verso la fine, quindi non leggete.
Per tutti gli altri buona lettura.






Per ogni male c’è sempre un peggio
Thomas Hardy

 
 
 

~

 
 
 
 
Naevia una volta gli aveva confidato di aver visto l’Ade. Nasir non aveva saputo rispondergli o solo tenerle testa perché lui non riusciva nemmeno ad immaginarlo, il regno dei morti, ora che aveva il cuore pieno di tenerezza e di paura e di Agron e del suo sorriso, e allora non aveva fatto altro che rimanere zitto, rannicchiato nel cantuccio che s’era ricavato dietro una delle colonne del tempio. Naevia, allora, incoraggiata dal suo silenzio, gli si era seduta accanto e sedendosi, gli aveva sfiorato la spalla nuda con le mani e il fianco ferito con le cosce e insieme aveva alzato il viso al cielo e contemplato la luna e le nuvole e le stelle che ancora poco si vedevano.
Aveva aspettato così, immobili, l’uno vicino all’altra, sperando di sentire una voce, un rumore di passi o di voci, pianti e lamenti. Sarebbe andato bene tutto, bastava solo che il silenzio si spegnesse e che avvertissero, entrambi, le voci e le urla dei loro cuori in viaggio verso Capua, i battiti grandi e dolci nascosti tra la sabbia, ma non c’era stato niente e Naevia non era riuscita a sopportare ancora quel silenzio e s’era appoggiata alla sua spalla, aveva rilassato le spalle con le mani in grembo e aveva preso a raccontare di quando ancora non aveva il nome della domina tatuato sulla spalla e aveva poco più di tredici anni e i capelli scuri intrecciati con la paglia e le mani morbide e lisce delle donne. Non era cambiata molto, gli aveva sussurrato all’orecchio, quasi addormentata su di lui, ma le sue mani ora erano ruvide e piene di graffi e cicatrici sanguigne e quei capelli neri di cui andava tanto fiera Lucretia non le arrivavano più nemmeno alle spalle e i Romani si erano presi tanto, troppo, della sua anima frammentata.
Nasir l’aveva lasciata parlare e l’aveva ascoltata più a lungo possibile, mentre guardava la luna e riviveva il calore languido di un amore appena sbocciato. Aveva sentito il suo seno magro addosso e il suo respiro tra i capelli e il tremolio che gli increspava le labbra quando l’aveva sentita parlare delle miniere. Quello è l’Ade, gli aveva detto, quello è il regno dei morti, ingoia corpi e anime e restituisce cadaveri e il mio spirito è morto lì, quando ho visto Crisso cadere e non ho potuto fare altro che gridare il suo nome e piangere.
Naevia però sapeva di non aver mai visto l’Ade, quello vero, quello con il buio e l’oblio dietro le palpebre e le lacrime racchiuse tra le ciglia, perché Crisso comunque non era caduto e l’arena non l’aveva inghiottito e aveva centinaia di ferite addosso e mille graffi sul viso, ma era vivo e, quando era tornato, lei l’aveva stretto tra le braccia e l’aveva baciato fino a non avere più fiato e, in quegli istanti, l’Ade che lei aveva sognato di vivere le si era sgretolato sotto gli occhi e aveva lasciato il posto ad una lenta e dolce pace dei sensi, ché l’abbraccio di Crisso le aveva ridato un po’ del calore perduto e il suo spirito s’era riappropriato del corpo e l’amore l’aveva fermentato.
Allora Naevia aveva creduto che non ci fosse più niente di orribile, dopo tutto quello, che fosse tutto finito, che ormai ci fosse solo vendetta, vendetta contro Lucretia, contro Batiato, contro Ashur e contro Roma, vendetta che le corrodeva il ventre e le stregava gli occhi, vendetta e amore, che la proteggeva e le donava calore e gioia di vivere e forza di lottare e coraggio nel morire. Aveva creduto a questo e ad altro ancora, alle mani di Crisso sui suoi seni e alle loro gambe intrecciate insieme e al sangue romano, lurido e maledetto, che le colava sugli abiti e sulle braccia e le faceva ardere il cuore dalla gioia e poi aveva creduto di aver trovato un centro, uno scopo, un motivo per cui combattere e, ricevuta la libertà, morire, ma gli Dei non conoscono il dolore degli uomini e si divertono a dispensarne come fosse oro.
Naevia aveva visto cadere Crisso nel modo più odioso possibile e, con la lama dei romani puntata alla gola, aveva pianto come mai aveva fatto prima, aveva visto i suoi occhi per un ultima volta e le erano parsi meravigliosi, perché mentre assisteva alla sua caduta, si diceva che non aveva mai visto nessuno di più fiero e di più divino calcare quella terra, anche se il dolore l’aveva uccisa e la disperazione soffocata.
Naevia una volta aveva confidato a Nasir di aver visto l’Ade. Aveva mentito. In quel momento aveva solo detto parole inutili che le avevano riempito la bocca e le orecchie e non aveva capito quanto in verità fosse lontano, il regno dei morti.
L’Ade - quello vero - l’aveva accolta quando Crisso era morto e l’anima di Naevia l’aveva seguito, lasciando un corpo vuoto sulla terra, e non c’era stata più luce o tenerezza, dopo di allora, ma soltanto buio e vendetta, anche quella ormai relegata solo ad una pallida ombra di ciò che era stata un tempo.
Naevia non aveva sentito più niente e aveva stretto la testa di Crisso tra le mani finché ne aveva avuto la forza, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore in pezzi. Aveva portato dolore e morte con sé e aveva osservato il viso di molti sfigurato dal dolore e dalla perdita.
Nasir era stato il primo e Naevia allora si era sentita morire due volte, perché l’aveva visto piangere e meditare vendetta e aveva temuto che, come lei, fosse diventato vuoto e gli si fossero oscurati gli occhi e così l’aveva raggiunto, una sera, quando la luna rischiarava tutto e le stelle ancora non si vedevano. Si erano abbracciati fino a sentire le braccia doloranti e avevano osservato la luna, gli occhi umidi e la testa dolente.
Nasir le aveva affondato il viso nell’incavo della spalla e le aveva accarezzato la schiena nuda e baciato la testa. L’aveva stretta più forte quando l’aveva sentita singhiozzare e si era sforzato di non piangere dopo di lei perché, anche se si era sentito morire, non doveva, non poteva, ma Naevia se n’era accorta a stento, intenta com’era a non lasciarlo andare e lui s’era concesso quell’ultimo, unico atto di debolezza fino a che il buio non era calato e il sole li aveva toccati.
L’Ade, per un po’, le aveva restituito l’anima.
 
 

~

 
 
Agron era tornato pochi giorni dopo, il viso sfigurato e il corpo distrutto. Naevia aveva visto Nasir sciogliersi e morire di gioia e di sollievo e, guardandoli, l’uno nella braccia dell’altro, scambiarsi parole d’amore e di reciproco conforto, aveva sentito le dita gelide di Crisso sfiorarle una spalla e avvolgerle il corpo, mentre prepotente il dolore era tornato ad avvolgerla e per un po’ si era sentita sollevata e gelosa insieme perché entrambi erano lì ed erano vivi e anche se avevano gli occhi pieni di sofferenza, morte, lacrime e sangue versato, potevano ancora sentire il proprio battito sulle labbra dell’altro e il calore propagarsi dal petto all’inguine e dall’inguine alla testa, potevano fare tutto e niente e potevano baciarsi fino a consumarsi le labbra e toccarsi fino alla fine del mondo e, anche se la guerra incombeva su di loro, avevano il privilegio di sperare, di credere, di poter superare la morte, che quella battaglia non sarebbe durata per sempre e che, alla fine, ci sarebbero stati ancora loro, con le dita intrecciate, a guardare una pianura coperta di sangue e teste mozzate.
 
 

~

 
 
Dopo quel giorno Naevia aveva atteso la morte come si attende una cara amica. Aveva sperato di morire con Crisso, ma gli Dei non l’avevano ascoltata e le avevano donato il congedo dal mondo degli uomini per mano di un uomo che di eroico non aveva nulla e che credeva che l’onore fosse la testa del proprio nemico appesa ad una croce. Aveva sentito l’odore del sangue romano un’ultima volta e le grida dei suoi fratelli nelle orecchie per quelli che le erano parsi anni.
Aveva ceduto e resistito poco, avvertito solo la terra sotto la testa e il sangue tra le labbra e aveva chiuso gli occhi quasi subito, alla fine, e guardato il cielo un’ultima volta, prima di abbandonarlo.
Non c’era stato dolore, morendo. Non c’era stata gioia. Non c’era stato niente. Buio, forse, e dita fredde e corpi congelati e silenzio e sangue rappreso e arti tagliati. Oblio, dopotutto, pace e limbo assoluto, membra rilassate e abbracci duri e baci salati. E c’era stato il pianto di un bambino mai nato e la carezza di una madre già morta, una lacrima sola e silenziosa e la voce di un padre e il dolore dei ricordi.
E c’era stato Crisso.

 



 

  
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