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Autore: Amarida    15/07/2013    1 recensioni
“Nel caso te lo fossi dimenticata, io vivo di sogni: ne possiedo quanti ne voglio e ne faccio ciò che voglio”.
“Ma sono i sogni degli altri… io ti voglio regalare i tuoi. Non posso credere che tu non ne abbia!”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ti piacerebbe provare?”
“Come, scusa?”
Sarah si maledisse: l’aveva fatto di nuovo: s’era di nuovo incantata a guardarlo, la bocca socchiusa in un’espressione di assoluto stupore come anni prima al ballo, mentre lui, accoccolato con la consueta grazia sul davanzale della finestra, creava dal nulla una delle sue sfere di cristallo, tenendola sospesa sulla punta delle dita guantate e osservandola poi come se contenesse chissà quali meraviglie.
“Ho detto: ti piacerebbe provare?” disse Jareth tranquillo, la voce ridotta a poco più di un sussurro estremamente suadente.
“A fare cosa?” replicò Sarah sospettosa.
“Una di queste, ovvio!” disse lui soffiando sulla sfera e facendo in modo che rimanesse sospesa tra loro, come una piccola luna d’argento.
Sarah sorrise e scosse il capo: “Nel caso te lo fossi dimenticato, io non sono un mago…”
“Ah no?” sorrise lui a sua volta guardandola negli occhi “eppure ero convinto che lo fossi, visto che mi hai sconfitto”.
Sarah distolse lo sguardo e per qualche minuto tra loro cadde un silenzio teso e, forse, imbarazzato.
“Comunque non mi hai risposto: ti piacerebbe?” tentò di nuovo Jareth.
“Certo che mi piacerebbe!” esclamò allora Sarah sbuffando.
“Ah, lo sapevo!”
La sfera brillò di una luce più intensa e lei se lo ritrovò accanto. Indietreggiò d’istinto, abbattendo una pila di libri pericolosamente in bilico sulla sua scrivania.
Jareth rise: “Oh, Sarah, dopo tutto questo tempo hai ancora paura di me?”
“Sempre!”
“Andiamo, quando mai ti ho fatto del male?”
“Vuoi che ti faccia un elenco?” disse lei serrando i pugni e avanzando di un passo.
“Va bene, va bene…” concesse il re levando le mani: “ti ho spaventato, ingannato, cacciato in situazioni un tantino pericolose, ma, dimmi, sinceramente, quando ti ho fatto davvero del male?”
Sarah non rispose.
“Ecco, appunto…”
Jareth cominciò a sfilarsi i guanti con lentezza esasperante, poi si guardò le mani, come le vedesse per la prima volta. Anche Sarah non poté fare a meno di guardarle: lei effettivamente le vedeva per la prima volta, ma prima che potesse registrare tutti i particolari se ne ritrovò una su una spalla e l’altra che le afferrava la mano premendole il pollice al centro del palmo.
“Ma cosa?!”
All’improvviso fu come se una corrente calda si sprigionasse da quel tocco e le risalisse dalla mano lungo il braccio fino alla spalla, al collo e giù fino al cuore e ancora oltre; la sentì scendere al ventre e risalire lungo la schiena per farsi strada lungo l’altro braccio, che teneva stretto al fianco.
La luce della sfera sospesa sulle loro teste cominciò pian piano ad affievolirsi.
Quando il calore raggiunse le dita, le sentì pizzicare come fossero percorse da una scossa elettrica. Jareth allora si staccò da lei e nello stesso istante la sfera scomparve.
“Cosa mi hai fatto?” chiese Sarah, cercando di nascondere un tremito nella voce.
“Niente di grave” rispose lui: “ti ho solo trasmesso un po’ dei miei poteri”.
“Cosa?!”
“Non farti strane idee, mia cara, te ne ho dato solo quel tanto che basta per creare una sfera e una soltanto e nient’altro...altrimenti, conoscendoti, chissà cosa saresti capace di combinare” disse Jareth sorridendole con ambigua dolcezza.
Sarah tentò di ignorare quel sorriso e chiese asciutta: “Che cosa devo fare?”
“Usa l’immaginazione. Dovresti essere piuttosto brava, no?”
“Come?”
Jareth sbuffò: “Insomma, concentrati e immagina di avere la sfera tra le dita. Immaginane la forma, la consistenza, il colore, il peso, la luce…”
Sarah chiuse gli occhi e tese la mano seguendo la voce del re e cominciò quasi subito a sentirla: qualcosa di liscio, tiepido e leggero era posato sul suo palmo. Aprì gli occhi e la vide: era una sfera di cristallo, trasparente e luminosa come quella che aveva creato il re dei Goblin pochi minuti prima.
“Wow!”
“Visto? Non era poi così difficile. Ora, però, devi decidere cosa vuoi che diventi”.
Sarah lo guardò perplessa.
“Puoi farne un’arma e usarla per ricacciarmi da dove sono venuto e non vedermi mai più…” cominciò a spiegare Jareth.
Sarah si irrigidì: non lo avrebbe mai ammesso, ma l’idea di non vederlo mai più la terrorizzava. Si era ormai abituata a ritrovarselo tra i piedi nei momenti più impensati. All’inizio aveva avuto paura – ne aveva ancora, a dire il vero – perché non capiva che volesse da lei: vendicarsi? Ingannarla di nuovo?
Invece sembrava che il re di Goblin, semplicemente, desiderasse di tanto in tanto la sua vicinanza: le raccontava degli amici che aveva lasciato nel Labirinto, si perdeva con lei in estenuanti battibecchi o si limitava a farle compagnia, standosene seduto sul davanzale della finestra della sua stanza, poi se ne andava, silenzioso com’era venuto.
E lei, in qualche modo, s’era affezionata a lui. Averlo accanto era la prova che le fantasie che le avevano salvato la vita quand’era bambina, dopotutto, erano reali: avevano un corpo, un volto e una voce a cui non avrebbe mai voluto rinunciare.
“… oppure” continuò Jareth “puoi usarla per vedere cosa stanno facendo ora persone che conosci nel tuo o nel mio mondo, o, come sai, puoi far sì che ti mostri i tuoi sogni più segreti come fossero assolutamente reali” concluse malizioso.
“Davvero?” disse Sarah sforzandosi di mantenere il suo tono il più neutro e distaccato possibile.
“Dunque, vediamo un po’, fammi pensare…”
Chiuse gli occhi di nuovo e si concentrò. Si rivide con estrema chiarezza alla fine della sua avventura nel Labirinto: quando il re le aveva offerto per l’ultima volta i suoi sogni e lei aveva rifiutato. E si rese conto che, in realtà, alla fine, lui glieli aveva regalati ugualmente: infatti le aveva permesso di essere l’eroina di uno dei racconti che tanto amava anche a costo di essere sconfitto.
“Mmmmh, m’è venuta un’idea!” Riaprì gli occhi e osservò la sfera: galleggiava a un centimetro dal suo palmo e dentro di essa avevano preso a vorticare lentamente lingue di fiamma iridescenti.
“Devo preoccuparmi?” chiese Jareth ironico, ma non troppo.
“Sì e no…” rispose lei, stando al gioco.
Quando Jareth la vide avvicinare le labbra alla sfera, per un istante immaginò che volesse baciarla e la cosa gli diede uno strano piacere. Invece la ragazza si limitò a soffiare delicatamente su di essa, come aveva fatto lui poco prima. Il cristallo, però, anziché rimanere sospeso a mezz’aria, si avvio deciso verso il re e gli si posò su una mano.
“Che significa questo?” chiese lui stupito.
“Significa che te la regalo…”
“Tu regali a me una sfera che io ti ho dato il potere di creare?”
“Non una sfera, ovvio, il suo contenuto”.
“E cosa ci sarà mai dentro che tu possa considerare un regalo adatto a me?”
“I tuoi sogni” rispose Sarah.
Jareth sgranò gli occhi e dischiuse le labbra: “Come, scusa?”
A Sarah venne da ridere: “Ho detto i tuoi sogni”.
“Nel caso te lo fossi dimenticata, io vivo di sogni: ne possiedo quanti ne voglio e ne faccio ciò che voglio”.
“Ma sono i sogni degli altri… io ti voglio regalare i tuoi. Non posso credere che tu non ne abbia!”
“Certo che ne ho!” esclamò Jareth piccato.
“Lo sapevo!” disse Sarah allegra.
Il re, però, la trafisse con un’occhiata feroce e per un attimo le fece di nuovo paura. Poi chinò il capo e sorrise: “Ah, Sarah, Sarah… eppure dovrei saperlo che da te c’è da aspettarsi di tutto” disse e guardò nella sfera. Rimase ad osservare a lungo le immagini che vi scorrevano all’interno con un’espressione indecifrabile. A Sarah parve persino che stesse trattenendo il respiro tanto era teso e concentrato.
Quando non riuscì più a resistere dalla curiosità s’attentò a parlare: “E allora?”
“Allora cosa?” disse Jareth un po’ seccato, sollevando lentamente lo sguardo dalla sfera e posandolo su di lei come se questo gli costasse una notevole fatica.
“Potresti anche ringraziarmi”.
“Grazie Sarah” ubbidì stranamente lui con voce incolore.
“E potresti anche dirmi cos’hai visto nella sfera” osò Sarah titubante.
Solo allora Jareth parve ritrovare il suo consueto spirito: le si avvicinò con un'unica mossa e le sorrise a due centimetri dalle labbra: “Non ci penso nemmeno!”
Poi si chinò e le sussurrò all’orecchio: “Mi piacerebbe, sai, poterti dire cosa ho visto, ma non posso, proprio non posso. Soprattutto non a te…”
E, allontanatosi di scatto, scomparve, silenzioso e improvviso com’era venuto.
Sarah fece appena in tempo a vedere che teneva il suo dono stretto al petto, giusto all’altezza del cuore.
 
  
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