ZENZERO E CANNELLA
Capitolo 15.
Parigi,
1960.
L’odore fuso di burro
si perde nell’aria come una nuvola dolce; i bambini di Montmartre giocano in
fila sul marciapiede, aspettando il loro turno per entrare in negozio. Adoro le
loro risate, sono un toccasana per il cuore. E la bottega ne è sempre piena.
Continuo a chiamarla così, anche se sono passati venti anni, due cuochi
pasticceri e parecchi metri quadri in espansione; è il mio piccolo tesoro
nell’antica Parigi, dove tutto è cominciato e sono partite le idee e i dolci,
per le altre cinque sedi in Europa. Sono un imprenditrice adesso, sebbene
conservi immutato nel tempo il mio aspetto da signora più intraprendente che viveuse e senza guardare con disdegno giornate
come questa passate in cassa a consegnar resto.
“Buongiorno!”
Una ragazza dai lunghi
capelli castani sorride, venendomi incontro dalla strada; apre la porta
energicamente facendo tintinnare le campanelle appese alla porta. Con lei una
scia di profumo dolce, burro e spezie e un fascio di libri rilegati sotto al
braccio. E’ bella. E’ mia figlia, Najla Louise Chedjou.
“Aspettiamo che
Albertine si cambi e andiamo, ok?!” Le sussurro, vedendola battere
impazientemente il piede in terra; è irrequieta proprio come suo padre. Gli ha
rubato anche gli occhi, profondi e intensi di un verde bottiglia imbarazzante. “Oh Aurelien…”.
La cassiera spunta dal
retro trafelata, con il colletto del grembiule tutto storto; è giovane, una
studentessa della Sorbona al suo primo lavoretto. Le sorrido affettuosamente sistemandoglielo
con cura e rinnovo l’appuntamento all’indomani. Potrebbe essere mia figlia
penso, stupendomi del desiderio recondito di avere un altro figlio. Sto
invecchiando, penso fra me e me afferrando borsetta e soprabito.
“Mi domando spesso
perché lo fai.” Najla mi prende sotto braccio, mentre
ci addentriamo nei vicoli del quartiere, in direzione del marchè
Barbès, un intrinseco di bancarelle della più
variopinta specie; abbigliamento, antiquariato, viveri da ogni paese, dischi,
libri.. il paradiso insomma, per due come noi che hanno fatto del sabato un
appuntamento fisso per girovagare fra quelle meraviglie. “Voglio dire adesso è
tutto sistemato, potresti benissimo stare a casa a poltrire sul tuo taccuino e
le tue ricette.”
Le stringo teneramente
il braccio, guardandola con rammarico. “Mi aiuta a non pensare.”
“Oh mamma.. non volevo
dire che..” Mi punta addosso uno sguardo affranto, stringendosi forte alla mia
mano, “perdonami, sono stata indelicata.”
“So cosa volevi dire,
tranquilla.” Le bacio la guancia, sentendola sospirare. “E’ come la medicina,
per te. Una missione che ti aiuta ad averlo vicino, suppongo. Così le mie cose,
mi aiutano alla stessa maniera. Tuo padre non se ne è mai andato veramente. E’
dentro di noi, in ogni cosa che facciamo.”
“Oh sì, vero! Quando
ho il capo chino sui tomi di medicina sento che è come se fosse lì con me e mi
sussurra dolcemente “mon cherie, non
abbatterti! Troverai la cura per il male oscuro, credici e qualcosa succederà,
vedrai!”.”. Guarda lontano, poi al cielo terso di un inizio maggio con un lampo
di determinazione negli occhi. “Ce la metterò tutta papà, te lo prometto.”
“Era un inguaribile
ottimista.”
“Sì. Ti manca tanto,
vero?!”
“Moltissimo.”
“Un giorno spero di
vivere un amore come il vostro.” Sospira, alzandosi i capelli con il foulard
stretto al polso. “Nel frattempo cercherò di innamorarmi di quei vestiti
vintage laggiù. A dopo mamma.” Mi bacia leggera e scappa al banco saltellando
nel suo vestito a ruota color smeraldo. E’ una visione deliziosa; tocca tutto,
sbuffa, si acciglia, sorride, prova questo, poi quello in turbinio di colori e
movenze.
Aurelien ne era
innamorato cotto, ma il destino ha scandito un tempo troppo breve di vita
insieme per loro, per noi; un giorno, qualcosa nei suoi polmoni si è risvegliato
ed è cominciato tutto con una tosse tremenda. Il dottor Bertrand ci aveva
preparato a questo, ma viverlo realmente è stata tutta un’altra cosa. Non ci si
abitua mai veramente alla paura di perdere qualcuno che amiamo, anche se siamo
pronti, inconsapevolmente il nostro cuore ci chiede altro tempo, un po’ di
speranza, giustizia. Se ne è andato all’inizio di un freddo Novembre di cinque
anni fa, ormai. A Parigi c’era la neve. Quel giorno ha aperto gli occhi e
sorrideva, guardando fuori la finestra; non era pallido, non era emaciato, la
tosse sembrava persino scomparsa. Avevamo parlato tanto del desiderio di
acquistare una casa al mare, magari a Marsiglia per sentirci più “vicino” alla
nostra Africa e per il bene dei suoi polmoni, ma dal tono pacato e quasi
distante della sua voce avevo intuito che non si sentiva davvero parte di
nessun progetto che riguardasse il futuro; i suoi occhi erano lucidi e vacui,
tranne quando i nostri sguardi si incrociavano, allora divenivano ardenti e
pieni d’amore. Non c’era stato bisogno di aggiungere altro, ci eravamo assolti
dai peccati molto tempo prima, amandoci di un amore consapevole e in grado di
cambiarci l’esistenza. Le parole più belle furono per Benjamin, le aspirazioni,
i suoi desideri riposti in quel ragazzino quindicenne alto e magro come un
chiodo; lascialo andare, mi disse e sulle prime non capii.
“Fa che scelga ciò che lo rende davvero felice. Non
vorrei saperlo da solo con i suoi demoni in qualche parte del mondo. Vorrei..
che non si sentisse mai escluso. Me lo prometti, Deesire?!”
Solo allora capii. “Te lo prometto Aurelien.”
Gettai pezzi della mia dignità sul pavimento, assieme alle lacrime sull’orlo
del precipizio e i singhiozzi rotti dalla rabbia.
“Siete la cosa più bella che io abbia mai avuto
dalla vita. Non ho rimpianti.” Mi accarezzò i capelli, sorridendo flebile. “Ti
prego puoi portare qui la sedia a rotelle? Ho voglia di guardare oltre la
finestra.”
Annuii trascinandola da un capo all’altro della
stanza; si aggrappò alle mie spalle in una mossa collaudata che avevamo
ripetuto tante e tante volte da quando si era fatto troppo debole per
camminare. Era di una leggerezza commovente, quasi spariva fra le mie braccia.
Incrociai il suo sguardo mentre gli sistemavo le gambe e mi assicuravo che
fosse ritto con la schiena e tremai; mi sorrise glaciale, increspando le labbra
spaccate e rosse del rivolo di sangue che gli era risalito dalla gola. Poi
guardò fuori, oltre i tetti delle case e la tormenta in atto. Lo pulii svelta,
ma serrò la mia mano con la poca forza rimasta.
“I fiocchi di neve Deesire,
esprimi un desiderio.”
“Non. Andare. Via.” Era un desiderio sciocco. Come
me e la mia voce tremante. E la regola vale solo se lo si afferra, il fiocco,
non lo ricordi Aurelien? Pensai, amaramente.
“Vorrei poterlo avere fra le mie mani adesso.” Era
come se avesse udito i miei pensieri. Sospirò e tirò indietro il capo. “E’ così
bella. Bianca, soffice, morbida. Credo di non esser stato mai più felice come
in quel momento. O forse il giorno in cui ti ho vista vestita di bianco. Oh
no.. il momento più bello è quando ho preso Benjamin fra le braccia la prima
volta. Non riesco a decidermi. Sono stato un uomo davvero felice, ecco.” Mi ero
persa sulla descrizione della neve che il resto del discorso mi aveva
attraversato come una pallottola invisibile. “Sento freddo Deesire.”
Mi asciugai il bordo delle ciglia, voltandomi a
prendere la coperta di lana addormentata sul letto; l’adagiai sulle sue gambe
un tempo muscolose e forti, flettendomi sulle ginocchia; era troppo, mio marito
-il mio bellissimo marito- aggrappato alla vita come una foglia morta
sull’albero in autunno. Non potevo essere egoista, non più. Dovevo lasciarlo
andare, rassicurarlo; ci aveva dato tutto il suo amore e anche di più, non
aveva più senso combattere il dolore che lo stava riducendo a un corpo vuoto. Chinai,
vinta dalla sopraffazione del momento, il capo sul suo grembo, prontamente accarezzato
dalla sua mano incerta. “Ti amo Aurelien. Nemmeno io ho rimpianti; ci hai amati
profondamente e con devozione, sei stato il miglior marito e padre che potessimo
desiderare. Vorrei che tu restassi con noi, ma più di tutto voglio che sei
sereno e che trovi la tua pace, finalmente. Sarai con me e nei tuoi figli per
il resto dei nostri giorni amore mio. Ti amo.”
Fu così che udii solo un sospiro, attimi eterni di
silenzio e la sua mano sempre più immobile sulla mia testa e un secondo
sospiro, stavolta più forte, sommesso, il colpo di vento che spegne la fiamma.
Poi di nuovo il silenzio. E le mie urla; se ne era
andato guardando la neve.
“Mamma! Mamma!” Najla si agita dal fondo di una bancarella di spezie;
inspiro e caccio via i brutti ricordi, raggiungendola. Camminando in direzione
di quel banco vengo attratta da un altro, dove sono esposti libri usati e
antiche rilegature; in prima fila, fra manuali politici e biografie storiche,
capeggia un taccuino dall’aspetto a me familiare; sorrido come un ebete,
buttandomici sopra con una certa nostalgia.
“E tu da dove salti
fuori..” lo rigiro, la stampa è del millenovecentoquaranta,
sembra un originale, ancora intatto con solo la copertina in pelle un po’
usurata, “è tanto che non ci vediamo, eh?!” Con tristezza penso alla bozza che
mi aveva regalato Aurelien, andata persa dopo il trasloco dalla nostra lussuosa
-ma troppo carica di ricordi- casa a una di modesta eleganza in Montmartre,
ricordando con sommo dispiacere di non possedere uno straccio di copia di quello
che fu il mio libro. Guardo al titolo per ulteriore conferma rigirandomelo
ancora fra le mani.. e resto di stucco. “Cucine du Deesire”. Quel
gioco di parole. Incredibile! E’ lui e non so come sia possibile; il mio taccuino
originale! Gli intarsi in oro, il filo di cucitura per la rilegatura, quel
titolo poi rivisto.. come era possibile che non me ne fossi accorta prima? Wow
questo sì che è un colpo di fortuna. O la fortuna non centra nulla? Lo stringo
al petto e guardo oltre le nuvole del tendone. “Grazie Aurelien..”.
“Quanto le devo per
questo buonuomo?!”
Il signore scuro con i
baffi sta per rispondermi quando sento il calore familiare di una voce alle mie
spalle.
“Questo l’ho letto.
Gran bel libro..”
Mi volto lentamente,
il cuore accelerato, il cervello che fa le capriole per aver trasmesso ai
neuroni il ricordo di quella voce associandola ad un viso irrazionalmente
impossibile che sia lo stesso a cui penso. “Credo che potrei morire adesso. Sei
tu?!” Voltata del tutto mi avvicino alla figura, pensando di avere le
traveggole.
Mi guarda e sorride. Quel
sorriso sardonico, all’angolo della bocca. E’ lui, non servono altre prove.
“Come è possibile?!” Gli passo una mano fra i capelli corti e ricci spruzzati
di bianco e lui allarga gli occhi verde-azzurro come due pozze. “Come è
possibile, Fabien?!”
“Quanto tempo hai?!”
“Tutto il tempo che
serve.”
Fabien è vivo. Fabien è
tornato. Passa due franchi al tizio della bancarella e si fa impacchettare il
libro, se lo porta sotto braccio e con educazione mi porge l’altro libero,
conducendomi fuori dalla folla, su di una panchina nello spiazzo dove il
mercato si allarga. Ci guardiamo per attimi simili all’eterno, io incredula e
terrorizzata, lui imbarazzato e visibilmente emozionato.
“I tedeschi erano alle
strette,” comincia a parlare flautando la voce, come il racconto di una fiaba
in bocca a una madre, “gli alleati erano sbarcati in Normandia costringendoli a
riparare al confine dove ad attenderli a fucili spianati, c’eravamo noi. Ma il
crucco è un osso duro, c’è piombato addosso in ultimo disperato tentativo di
sopravvivenza, ed è là che sono stato ferito; credevano fossi morto e mi hanno
gettato in una fossa comune. Quando ho riaperto gli occhi, non so dire quanto
tempo dopo, ho desiderato che fosse realmente così.” Rabbrividisce,
stringendomi la mano di riflesso. “Ma qualcuno ha deciso che non si era fatto
ancora il mio tempo a quanto pare, così ho trovato la forza e mi sono rialzato;
da quel momento ho camminato per giorni senza sapere dove stavo andando. Tutto
ciò che desideravo era portarmi via dalla morte.”
“Oh Fabien è veramente terribile.” Gli sfioro le mani, i suoi
occhi si stringono a fessura; qualsiasi cosa abbia vissuto immaginarlo non sarà
mai pari. “Poi cosa è successo? Ti va di
raccontarlo?!” Annuisce, scansando le mani dalle mie, giocando nervosamente con
i pollici.
“Ho preso il primo
treno per la Spagna, la situazione non era tragica come qui. E nessuno sapeva
chi fossi.. per cui ho pensato bene di restare.” Sonda il terreno con una pausa
e prosegue solo quando mi vede respirare affannosamente. “Tempo dopo, quando
ero certo che le acque si fossero calmate ho richiamato mia madre da Parigi. E’
là che abbiamo vissuto fino ad ora.”
Cerco di mettere in
fila le idee; è scampato alla morte, la più orribile, la più tragica e si è
rifugiato in Spagna con Madeleine facendo credere a tutti noi che fosse morto.
“Perché?!” Sparo a bruciapelo.
“Me lo stai chiedendo
davvero?!”
“Sì. E’ terribile.”
“Lo hai già detto, ma
credevo ti riferissi ad altro.”
“Oh non scherzare Fabien! Ti credevamo morto! Abbiamo pianto per te, al tuo funerale.”
“Ah! Scusa tanto se
sono vivo..” bercia, sarcastico.
“Stupido.. sai a cosa
mi riferisco. Sei vivo e non c’è niente di meglio, ma perché la menzogna?”
“Perché la realtà
faceva schifo, ecco perché.” Si agita sul posto, sbuffando e calando il capo
fra le mani; poi alza di nuovo lo sguardo e lo inchioda nel mio, ardente. “Cosa
altro avrei potuto fare? Tornare a Parigi? E vivere una vita sbavando sulla vostra felicità? Quando ti ho vista in
quella macchina ho capito tutto; non avevamo speranze e la colpa non era ne mia
ne tua, semplicemente non era destino. Per qualche motivo Aurelien avrebbe
sempre vinto, eri sua moglie e lo amavi di un amore che non mi è stato concesso
di capire. L’ho accettato. La guerra ha fatto il resto. Quando ho aperto gli
occhi, in quel mare di fuliggine e cadaveri avrei preferito essere morto io
stesso sì, ma la speranza mi ha fatto andare avanti, il credere che la mia vita
non fosse stata tutta lì, che avevo ancora una possibilità, infondo, per
costruire qualcosa. Ci sono riuscito. O forse no. Ma ho combattuto e non starò
qui a spiegare oltre perché ho preferito costruire la mia esistenza su una
menzogna, quando da questa avrei ottenuto felicità. Felicità Deesire, non ho mai desiderato che questo.”
Mi sento stupida.
Stupida ed egoista, mi stringo nelle spalle ritrovandomi a singhiozzare come
una bambina; accidenti a Fabien Moreau e ai nostri
incontri così carichi e intensi. Non è cambiato niente; e mi accorgo dell’amara
verità di queste parole quando mi prende a se con trasporto e tenerezza,
affondandomi in un abbraccio stretto al petto. Odora di acqua di colonia
fresca, borotalco e sogni infranti. “Sei sempre stata nella mia mente. Tutti.
I. Giorni. Ho. Pensato. A. Voi.”
Parla fra i miei capelli, le labbra a sfiorarmi la fronte, “muoio dalla voglia
di vedere quei capelli biondi e quegli occhi azzurro-amore.” Sono un fiume in
piena; vorrei raccontargli tutto di Benjamin, di quanto gli somigli e di un
mucchio di altre cose frivole che lo riguardano, come di solito fanno le madri
atteggiate quando parlano dei loro figli come di trofei preziosi, ma non riesco
a fare altro che emettere singulti e gemiti. Lui mi stringe sempre più forte
deliziandomi con i suoi “Shh” sospirati fra i
capelli. Potrei morire. E Fabien Moreau mi fa sempre
lo stesso effetto. Dopo venti anni! “Non abbiamo fatto molti progressi se ogni
volta che ci vediamo finisco con il farti piangere.”
Rido, levando il capo
dal suo petto, “oh, ecco tieni.” Mi porge il fazzoletto turchese che ha nel
taschino, “Sbaglio o anche tu hai qualcosa da raccontare? Voglio sapere tutto. Deesire Bonnet imprenditrice: chi
lo avrebbe mai detto!”
“Ho solo qualche
negozio in Europa, tutto qua.”
“Tutto qua?! Deesire sei vergognosa, so che hai fatto palate di franchi!”
“Smettila Fabien, mi imbarazzi!” Lo colpisco affettuosamente con una
pacca sulla spalla, “non starei qui a parlarne se non fosse stato per te. Non
ti ho mai ringraziato.”
“L’idea dei biscotti è
stata tua.” Alza le spalle, poi mi guarda serio, “il lascito delle eredità era
il minimo che potessi fare; quando ho saputo che Ben era figlio mio ho messo
subito per iscritto le cose. Non avrei mai immaginato che quei beni sarebbero
serviti così presto.”
“Già. Provvidenziale,
come sempre.”
“Ho saputo cosa è
successo alle fabbriche di mio nonno da un commilitone volato a Londra due mesi
dopo il mio arrivo. Avrei dato tutto quello che possedevo per esservi vicino,
ma era troppo tardi per tornare indietro, mi capisci?!”
“Fabien
stavi contribuendo a salvare il mondo, dovresti prenderti elogi, non sentirti
in colpa perché non eri qui.” Inspiro e proseguo a occhi chiusi, “tuo figlio è
cresciuto molto felice grazie al tuo coraggio.”
“Gli esempi non gli
sono mancati. So quello che ha fatto Aurelien per quella gente. Un vero eroe.”
Guardo lontano, lo
sguardo spento quando penso al mio liege, “un eroe, sì.”
“Mi dispiace Deesire. Mi dispiace tanto, mi credi?!”
Gli accarezzo la
guancia, confortandolo. “Era tuo cugino Fabien. E lo
amavi. Certo che ti credo.”
“Era il migliore.”
“Era.. Aurelien,
semplicemente.” Sorrido ricordando le
sfumature di quella semplicità; un arcobaleno di colori. Poi lo guardo, più
seria e più tranquilla. “Anche lui ti amava, in qualche modo ti era grato di
esserti preso cura di me.”
“Quindi lui..”
“Sapeva tutto. Stavo
correndo te.. quando è scoppiato l’incendio.”
Allarga gli occhi
incredulo, il labbro inferiore tremante. “Non era destino forse, ma ce l’abbiamo
messa tutta per rovinare la festa al fato, eh?!” Gli restituisco il fazzoletto,
assumendo una posizione più rispettabile; qualcuno ci guarda, qualcuno passa
dritto. Ho imparato già da molto tempo a ignorare tutti. Le voci. I giudizi, ma
non voglio affossare il nostro incredibile incontro con inutili patemi. “Sono
stata felice di rivederti Fabien, davvero felice. Ti
tratterrai a Parigi o andrai via?!”
Come se lo avessi
svegliato dal torpore di un bel sogno, si agita riacquistando vigoria. “Sono
tornato per restare. Insegnerò arte in un liceo dei sobborghi.”
“Insegni arte.” E
chissà come non mi stupisco; è sempre stato portato per il bello, dotato di
grande tatto e sensibilità quando si tratta di comprendere le persone.
“Vorrei rivederti
ancora, Deesire.” Sono ancora presa dall’idea di lui
circondato da ragazzi giovani e pieni di promesse che mi accorgo a malapena
delle sue mani sulle mie e delle sue parole condite di speranza. “Un incontro
ogni tanto, due, tre, dove vuoi.. anche qui. Vorrei tanto vedere Benjamin.. con
i tuoi tempi sia chiaro, senza disturbarlo o traumatizzarlo. Sarà un bel
giovane adesso, con un gran da fare suppongo.. andrà bene anche da lontano.”
Sento la portata della sua tristezza risuonarmi come una botta nello stomaco;
sto per piangere di nuovo, lo sento. “Non tirarmi fuori dalla tua vita, sarebbe doloroso e inutile. Ti
prego.”
“Oh Moreau, charmeur!” Lo abbraccio e lo tiro su,
verso l’alto, stringendomi forte alle sue spalle formate da ex soldato, “chi ha
il coraggio di tirarti fuori dalla mia vita, charmeur?” Mi allontano un po’ per guardarlo fisso negli occhi,
orlati di rughe ma di quell’azzurro-felicità che lo ha sempre contraddistinto.
“Ma le cose sono cambiate Fabien. Niente è come l’hai
lasciato.. ed anche io non sono più la stessa Deesire
di un tempo.”
“Oh, sei anche
meglio.” Risponde affrettato, arrossisco. “Non ti corteggerò se non lo vorrai,
promesso.” Ride ed io insieme a lui. “Un passo alla volta, solo questo. Un po’
di felicità.”
E chi non la merita
infondo un po’ di felicità? “Charmeur
ho un ultima domanda.”
“Tutto quello che
vuoi, ma so già cosa vuoi chiedermi.”
“Ho dimenticato la tua
perspicacia! E cosa vorrei dirti, sentiamo?!”
“Ciò che la donna
sicura dell’uomo che ha difronte, non avrebbe bisogno di sentirsi dire.” Mi
risento un po’ del suo tono troppo altezzoso, ma il suo sguardo dolce e la mano
portata leggermente sulla mia guancia mi fanno tremare la testa, il cuore, il
basso ventre! Aiuto! “C’è stata un’altra donna, ma nessun’altra.. come te. Non
avresti avuto bisogno di chiederlo, lo sai che è così.” Si guarda le mani, poi
torna su di me, sorridendo. “Non sono mai stato sposato e l’unico figlio che ho
è anche il tuo.”
Mi mordo il labbro,
arrossendo; mi impongo contegno, sono una donna adulta e rispettabile, con due
figli grandi e.. e sono ancora bella e il mio cuore è ancora giovane. Lo sento
come vibra forte nel petto. “Moreau sei il solito egocentrico! Non era questo
che volevo sapere!” Fingo come posso disinteresse e mi chiedo perché mi guarda
perplesso, come riesce a non notare il rossore colorare le mie guance,
l’effetto che mi fa la sua vicinanza e trattengo così, a stento, una risata;
ridere e piangere allo stesso tempo, questo siamo sempre stati io e lui e con
rammarico e felicità insieme, mi accorgo che è proprio così; non posso cambiare
quello che siamo e non posso non pensare a quello che proviamo quando siamo
vicini. “Adesso però devo andare Fabien, mia figlia
si starà domando dove sono finita.” Lo bacio castamente sulla guancia, ma
indugio sulla sua rasatura di un giorno e l’odore della pelle; mi trattiene a
sé e sospiro, inerme. “Hai una figlia..”
“Mamma!” La voce di Najla arriva come una sirena acuta; pericolo pungente!
“Appunto..” Rido
nell’orecchio di Fabien che sposta subito l’attenzione
sulla figura alta che è mia figlia; la guarda e poi guarda me, stupito. “Lei è Najla Louise Chedjou. Cara, lui è
Fabien Moreau, cugino di tuo padre; ti ricordi di
lui? Papà ne parlava spesso.”
“Sì, il soldato.” Gli
allunga la mano, “ma lei non era morto?!”
“Il piacere è tutto
mio maidemoiselle Chedjou.”
C’è ironia e stupore nelle parole di Fabien che mi
guarda poi divertito, scuotendo il capo. Najla
arrossisce ma stempera l’imbarazzo sorridendo genuina. “La prego di scusarmi ma
non capita tutti i giorni di parlare con la specie di fantasia che avevo da
bambina in cui lei -e scusi la franchezza- è morto a cavallo di un destriero e
a spada brandita per salvare la patria!”
“Ah, se è così
allora.. l’ho già perdonata. Però.. spada? E cavallo? Ho sentito bene?”
“E’ una fantasia signor
Moreau! Mio padre mi ha fatto credere che fosse centenario.” Si guardano e
scoppiano a ridere, mi unisco a loro sentendomi felice come non mai. “Mamma ho
incontrato Cosette e mi sta aspettando allo stand delle spezie, laggiù.” Indica
un punto dinnanzi a se mordendosi il labbro. “Le ho proposto di andare a
studiare ai giardini.. tu eri sparita. Ti dispiace.. se vado?!” Mi volto e una
ragazza con folti capelli ricci e rossi ci saluta da lontano, alzo le spalle e
annuisco.
“Non fare tardi.”
“No..” risponde
annoiata, baciandomi la guancia. “Signor Moreau, piacere di averla conosciuta.
E di aver rovinato la mia fantasia di bambina..” Ride ma ci guarda con uno
strano lampo di malizia negli occhi. “Può provvedere lei affinché mia madre
torni a casa sana e salva?!”
Fabien nega con il capo, trattenendo a stento un risolino.
“Sarà un vero piacere. A presto maidemoiselle.” Le
bacia la mano e Najla corre via dalla sua amica.
“Accidenti Deesire è.. è..”
Lo prendo sotto
braccio, “la copia identica di Aurelien, lo so. A quanto pare i cromosomi Chedjou sono veri guerrieri.” Ironizzo delle nostre vite e
torno con il pensiero al mio liege. “Ne era innamorato pazzo, ma amava Benjamin allo
stesso modo.”
“Devi raccontarmi
tutto Deesire, tutto quanto.”
“Oh! Ne abbiamo di
tempo! Da qui a Montmartre, almeno.” Sospiro, voltandomi nella sua direzione; è
là che pende dalle mie labbra e mi guarda con occhi vivaci, “..e almeno per due
o tre incontri ogni tanto. Che ne dici, può andare bene signor Moreau?!”
Sospira, “più che
bene.”
E ci incamminiamo
verso casa, o verso il futuro se vogliamo essere poetici; io e lui a braccetto,
fra le facce della nostra amata e odiata Parigi, che ci ha unito e poi diviso,
che ci ha reso forti e utili, che ha intrecciato con la nostra vita una trama
fitta e indistricabile e in sottofondo uno chansonnier, che si infila fra un
banco e l’altro, intonando canzoni di vecchia gloria ma che si ferma, vedendoci
passare così indelebili, vicini, due colori che diventano una macchia sola. Ci
sorride pazzo, noi lo guardiamo attratti da quel sorriso e sorridiamo a nostra
volta, fermandoci. Un veloce scambio d’occhiate fra me e Fabien
fa sì che lui sposti la sua fisarmonica di nuovo sul cuore -la dove nascono le
emozioni- e cominci ad intonare una vecchia poesia.
“Demoni e meraviglie. Venti e maree. Lontano già si è ritirato il mare.
E tu come alga dolcemente accarezzata dal vento, nella sabbia del tuo letto
ti agiti sognando.
Demoni e meraviglie. Venti e maree. Lontano già si è ritirato il mare.
Ma nei tuoi occhi socchiusi, due piccole onde son rimaste.
Demoni e meraviglie. Venti e maree.
Due piccole onde , per annegarmi.”
Le note di Prevert terminano, restiamo senza fiato per lo stupore;
l’uomo ci guarda e piega il capo da un lato, sorride e intona un altro canto,
sparendo dietro alle gonne di due signorine più in là.
Fabien ride di cuore, piegandosi in avanti dalla
commozione; dai suoi occhi scendono lacrime come pioggia a valle, si infrangono
sulla strada e restano lì, memori di ciò che sono. Lo abbraccio e restiamo così,
senza tempo, il mio capo sulla sua spalla e i suoi occhi sul fondo.
“Credo il destino ci
stia dicendo qualcosa.” Ansima, disperato.
“Oh sì. Je t’aime, Charmeur. Je
t’aime.”
“Oui,
moi aussi. Je t’aime, Deesire.”
*
NDA:
Care lettrici e cari
lettori, probabilmente questa non sarà la f.f più
originale che abbiate avuto il piacere o il dispiacere di leggere, ma ci tengo
a spendere due parole su questa storia: io l’ho amata scrivere più di quanto si
possa arrivare a immaginare e non lo ritenevo possibile, ma ogni parola, ogni
virgola, ogni personaggio mi è entrato dentro e non andrà via tanto presto, lo
so. Mi affeziono sempre troppo a
tutto.
Io spero con tutto il
cuore che vi sia piaciuta, almeno quanto è piaciuto a me scriverla. (e sarebbe
già tantissimo!) se volete lasciarmi i vostri pareri sono sempre qui con il
sorriso ad attenderli J
Grazie a:
_Nihil_
Ultimo puffo
EliseeDobois
The Rocker
Benny Badflour
None to Blame
Per aver fatto di
questa storia, dodici recensioni meravigliose. Vi adoro, grazie.
Grazie anche ai
lettori silenziosi e a chi ha aggiunto la storia in
preferite/seguite/ricordare.
Grazie a:
Justin Timberlake. (vi
prego tenete le vostre risatine sarcastiche per voi. E anche i pomodori!) e il repeat forzato sul suo brano “Mirror”,
quale sottofondo ispiratore. C’è un video di questa canzone su Y.T che conta
settantadue milioni di visite, al momento: i due milioni saranno sicuro le mie.
Parigi. Città che ho
sempre destato perché certe romanticherie mi fanno venire il volta stomaco ma..
che bello ricredersi; l’ho amata dal primo momento che ci ho messo piede, ormai
un anno fa, nella giornata più romantica dell’anno. San Valentino. Lo so, sono
tutto e il contrario di tutto.
A me. Che posso ancora
migliorare; nel frattempo ce la sto mettendo tutta anche se sono otto anni che
sono iscritta su questo sito e prendo questa cosa dello scrivere così come è..
un passatempo per sognare un po’. Ah proposito, se vi va date un occhiata anche
alle altre mie storie (tutte datate e antecedenti al mio ritorno) “Ricordati di
me”. “Il punto e la sfera”. “Leave to me”. Quelle di
cui vado più orgogliosa e mi auguro piacciano anche a voi se mai ci passaste a
fare un giro!
Un abbraccio forte e a
presto,
Lunadreamy.