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Autore: VeraNora    16/07/2013    10 recensioni
Ebbene sì... ecco che arriva il proseguo di "Strano il mio destino" e "Family Buisness"... non è esattamente un proseguo... è più un tassello mancante, quella parte di storia che in molti mi hanno chiesto di scrivere: Klaus e Jessica.
Ma non è solo questo... è molto di più.
Tutto inizia con l'incontro che fa Gala, questa ragazza speciale, in un freddo giorno di dicembre.
Cosa scoprirà la ragazza? Perché proprio ora?
Spero vi piacerà anche questo mio nuovo progetto.
***************************DAL CAPITOLO*********************************************
«Devo sapere in cosa credi, Gala… devo sapere quanto la tua mente è in grado di accettare e quanto sei disposta ad ascoltare… perché vedi… se la risposta è “tanto” ti racconterò una storia… la tua storia! Ma se non è così… ti dimenticherai di questo incontro, di questo discorso e di me…»
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era l’alba di un freddo mattino di dicembre, Gala si strinse il colletto del cappotto di lana sul viso e si accucciò contro la spalliera della panca di legno, nella cripta del cimitero di Seattle. Non lo aveva mai frequentato prima. Era un’orfana, non aveva parenti o amici defunti a cui fare visita. Ma il surreale incontro avvenuto appena due giorni prima l’aveva portata  a recarsi lì, a quell’ora.
Di fronte alla seduta  c’era la tomba di quella che aveva scoperto essere stata sua madre.
Aveva  fissato la foto sulla lapide fino a farsi lacrimare gli occhi. La somiglianza era impressionante: stessi occhi, stessi capelli ma di colore diverso, quelli di sua madre erano castani, i suoi ramati… quasi biondi. Anche l’ovale del viso era uguale e, a detta del misterioso uomo che l’aveva trascinata in quell’assurda avventura, le somigliava anche di carattere.
Ancora sapeva poco, quasi niente, ma anche quel poco l’aveva divisa in due: la sua parte razionale le suggeriva di non credere a nulla mentre il suo cuore l’aveva portata lì per ascoltare quel che l’uomo aveva da dirle.
Controllò l’ora e le scappò un sorriso nel constatare che era arrivata in anticipo di mezz’ora “Oh... andiamo Gala! Ci tieni così tanto a sapere come prosegue questo scherzo? Perché lo sai che si tratta solo di uno scherzo, vero? Non puoi sul serio credere a quelle baggianate!” si rimproverò mentalmente.
«Ma il suo regalo…»
sussurrò, come a voler ribattere a quella voce così crudele. Scosse la testa e si sentì di colpo esausta. Non ce la faceva più a combattere con se stessa, voleva solo ascoltare quella storia per poi tornare alla sua vita, benché avesse poco a cui tornare. “È questo il motivo! È questa la ragione per cui hai sprecato il tuo tempo: il brivido della novità… ok, ascolta queste frottole, poi magari scrivici su una fan fiction… ma ti prego, non renderti ridicola pensando di poter credere a queste favolette!” continuò a redarguirla la sua parte più razionale. Poggiò i gomiti sulle gambe e spinse il viso contro i guanti di pelle nera che le tenevano le mani calde. Strinse forte gli occhi e cercò di fissare i puntini di luce che si muovevano confusi sulle sue palpebre. Era un gioco che faceva spesso da bambina per combattere la paura del buio. Non riusciva a ricordare chi glielo avesse insegnato, ricordava però che chiunque fosse stato le aveva detto «Gala… perfino la notte più profonda conosce le stelle! Se chiudi gli occhi e li stringi forte, vedrai quanta luce e colori regnano nel buio! Prova!». La voce apparteneva ad una donna, ma non riusciva focalizzarne il volto. Forse era stata qualche suora all’orfanotrofio, anche se le era difficile associare un ricordo così dolce a quelle donne, nella sua memoria poco avvezze a certe smancerie.
Aveva anche pensato potesse essere l’unico ricordo di quella madre che aveva scoperto all’improvviso di aver avuto, ma aveva subito scartato l’idea: la donna di cui aveva sentito parlare, era morta prima che Gala avesse capacità di memorizzare alcunché.  “Magari è stato il suo fantasma!” pensò sarcasticamente. Le scappò da ridere.
«Ma sì Gala… dopo quello che hai sentito, ti sorprenderesti sul serio se fosse così?»
si chiese ad alta voce. La domanda echeggiò nella cappella vuota. Ricontrollò l’orario ma era passato meno di un minuto. Fissò gli occhi al soffitto e ripensò a come tutto era cominciato.
 
Gala arrivò a lavoro presto. Era iniziato il freddo ed il trasporto tendeva a rallentare. Preferiva uscire prima di casa e  non rischiare di rimanere imbottigliata nel traffico. Il più delle volte arrivava semplicemente in orario, altre, come quella mattina, arrivava con mezz’ora di anticipo.
Entrò nel complesso di mattoni rossi della “Plemson&Wilc” l’agenzia pubblicitaria di maggior successo di Seattle. Salì al 3° piano e si diresse nell’ufficio che divideva con altre 3 persone. Lavorava lì da 4 anni ormai, come creativa. Non era proprio il suo sogno, ma non si lamentava. Aveva un’entrata fissa ed il suo lavoro era abbastanza apprezzato. Se solo avesse voluto,  avrebbe potuto fare il salto di qualità, ma qualcosa la frenava: la sensazione che non fosse quello il suo destino. Entrò nello stanzino freddo e non si sorprese nel non trovarci nessuno: gli altri non arrivavano in orario quando il tempo era buono ed il traffico scorrevole, figurarsi con quelle condizioni meteo. Si tolse il pesante cappotto e lo appese alla gruccia insieme alla borsa. Avviò i computer della stanza,  sperando riscaldassero un po’ l’ambiente e recuperò i fascicoli su cui stava lavorando: un marchio di birra alla frutta. Aveva avuto modo di assaggiarne qualche campione: a parte quella al melone che aveva trovato disgustosa, le altre erano davvero buone.
Iniziò a mettere in ordine i suoi appunti quando entrò in ufficio Henry Johnson, il suo capo.
Lo odiava, lo trovava stupido e viscido. Provava ad evitarlo il più delle volte, ma in occasioni come quella era proprio impossibile.
«Mattiniera Gala!»
la salutò. Non sopportava quando le dava quei nomignoli stupidi.
«Signor Johnson…»
ricambiò, fingendosi più indaffarata di quanto non fosse sul serio.
«Oh! Con questo ‘signor’! Dopo 4 anni pensavo di essermi guadagnato il ‘tu’! E poi mi fai sentire vecchio!»
“Ma sei vecchio… stupido troglodita!” pensò. Scosse la testa e sfoderò un sorriso di circostanza.
«Mi perdoni… è che proprio non riesco a dare del ‘tu’ al mio capo… è più forte di me!»
ribatté, tornando subito ai suoi fogli.
«Gala… Gala… Gala…»
disse l’uomo entrando nell’ufficio e chiudendosi  la porta alle spalle. Il suo sesto senso la mise sull’attenti: non gradiva rimaner troppo sola con quell’uomo, men che meno con la porta chiusa.
«Mi piace questa tua… professionalità…»
commentò, calando il tono. Si sedette sulla scrivania e le toccò un braccio. A Gala venne la pelle d’oca.
«Ma vedi… ormai lo hanno capito tutti che solo con la professionalità si va poco lontano… tu sei un’aquila, Gala… devi spiccare il volo… non ci riuscirai se continuerai a comportarti da struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia… io potrei darti qualche consiglio, sai…»
Lasciò la frase in sospeso, ad intendere qualcosa che turbò profondamente Gala. Corrugò la fronte e lo fulminò con lo sguardo.
«Signor Johnson…»
«Henry…»
la interruppe, sorridendo languido.
«Signor Johnson! Io voglio sperare che lei non mi stia molestando!»
sibilò, guardando con disgusto la mano che ancora lui teneva sul suo braccio.
«Cosa? Io molestare te? Tutt’al più ti sto offrendo i miei saggi consigli per fare carriera!»
«E questi “consigli” prevedono l’indossare dei vestiti ?»
ribatté furiosa. Johnson fece una risatina melliflua  che diede il voltastomaco a Gala. Poi le prese il viso con una mano, stringendole il mento  e le si avvicinò pericolosamente alle labbra.
«Quando scade il tuo contratto da noi, Gala?»
L’alito pesante di Johnson le  invase le narici facendole lacrimare gli occhi. Tirò uno schiaffo alla mano dell’uomo e si spinse lontano da lui utilizzando la poltrona con le ruote su cui sedeva, si alzò di scatto e strinse i pugni.
«Questa è l’ultima volta che mi mette le mani addosso!»
ringhiò serrando la mascella.
«Oppure?»
chiese lui. Si alzò e con un balzo la raggiunse incollandola al muro, le mise una mano sulla bocca bloccandole il busto con l’avambraccio  e con l’altra mano le bloccò il braccio con cui aveva provato a colpirlo.
«Sono un membro rispettato della società, nonché un nome importante nel mondo della cartellonistica mondiale! Se sei furba saprai come comportarti… altrimenti… puoi dire addio a questo lavoro! A questo ambiente! Sarai solo l’ennesimo nome che depennerò dalla mia lista di promesse che mi hanno deluso…»
la minacciò. I grandi occhi verdi di Gala si riempirono di lacrime, la rabbia iniziò a ribollirle nelle vene, spalancò la bocca e morse la mano ruvida di Johnson, costringendolo a liberarla. Si divincolò, recuperò il cappotto e la borsa, spalancò la porta, si girò di scatto ed urlò:
«Mi dimetto! Porco che non sei altro! Mettiteli dove non batte il sole i tuoi consigli per far carriera! Preferisco morire di stenti che guadagnare un solo centesimo qui dentro! Contento? Ti ho dato del ‘tu’!»
Si girò catapultandosi fuori dall’edificio, inghiottendo lacrime e rabbia. Camminò senza meta per ore, nella testa una valanga di pensieri ma nessuno in grado di fissarsi e renderla lucida. Pensò ai mille insulti che avrebbe voluto vomitare addosso a quel miserabile e più di una volta fu sul punto di tornare indietro per farlo, ma desistette. Decise di immaginare tutti i modi in cui avrebbe potuto fargli del male, figurandoselo rannicchiato in un angolo a piangere e implorare il suo perdono. Nel pieno di una di queste macabre fantasie, si scontrò contro quello che scambiò inizialmente per un muro, tanto era risultato solido al contatto. Si preparò a sentire il dolore per la botta che avrebbe preso con la caduta e chiuse gli occhi, ma non accadde nulla. La persona contro cui si era imbattuta l’aveva presa in braccio poco prima che il suo sedere toccasse il freddo asfalto. Aprì lentamente gli occhi trovandosi a fissare il viso più bello che avesse mai visto. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad articolare nessun suono.
«Scusa!»
disse l’uomo, rimettendola in piedi. Gala boccheggiò senza riuscire ancora a parlare. L’uomo le sorrise e Gala ebbe la strana sensazione di averlo già visto prima. Finalmente riuscì a trovare la forza per parlare.
«Scusa… scusami tu… ero distratta…»
farfugliò lei.
«E arrabbiata…»
aggiunse lui.
«Prego?»
domandò confusa.
«Eri distratta ed arrabbiata… così sembrava, comunque»
spiegò lui. Gala scosse la testa, ancora incapace di capire cosa intendesse l’uomo.
«Ti ho vista camminare: testa bassa, passo spedito, espressione corrucciata… in altre parole: arrabbiata!»
le disse con ovvietà.
«Perdonami… tu… mi hai vista arrivare?»
chiese irritata.
«Sì…»
rispose lui con semplicità. Gala chiuse gli occhi e sospirò, cercando di non perdere il residuo di una calma che l’aveva abbandonata ore prima.
«Se mi hai vista allora perché non ti sei spostato?»
disse, provando a sembrare più serena possibile.
«Qualcuno ti doveva pur fermare…»
rispose lui, con quella superficialità che ledeva la buona volontà di rimanere tranquilla di Gala.
«E scontrarti con me ti è sembrato il modo giusto per farlo?»
Si innervosì lei.
«Ti ho chiesto scusa infatti! E poi… non ti sei fatta niente, no?»
«N-no… io… no… ma che c’entra? Tu… tu mi hai vista!»
«Ascolta… ti va di continuare il discorso in quel bar? Magari davanti ad una buona tazza di caffè? Sembri averne bisogno…»
«Ok… se questo è il tuo modo di rimorchiare…»
lo interruppe.
«Aaah! Tranquilla! Sono innamorato, impegnato… sposato! Scegli tu…»
la rassicurò. Gala lo fissò stranita, i suoi occhi corsero ad osservargli le mani ed effettivamente indossava un anello… ma non le sembrò una fede nuziale.
«Non essere così letterale… era per dire che non ci proverei con te per niente al mondo!»
affermò. Gala spalancò la bocca.
«Sei davvero bella! Non fraintendermi… ma sono davvero innamoratissimo… non esiste nessun’altra donna per me!»
si affrettò ad aggiungere.
«Ci prendiamo quel caffè adesso?»
finì. Si voltò e si diresse verso il bar all’angolo della strada. Senza una ragione precisa Gala lo seguì. Si sentiva confusa da quello strano incontro, ma non riusciva a spiegarsi perché l’idea di passare del tempo con quel ragazzo le sembrava allettante. “Non c’entra niente il fatto che sembra uscito da un catalogo di modelli super hot, vero?” si disse, sorridendo imbarazzata per quel pensiero così stupido.
Arrivati al bar si sedettero ad un tavolo ed ordinarono i loro caffè, l’uomo si fece portare anche dello scotch. L’uomo fissò il bicchiere con un’espressione indecifrabile, un mix tra meraviglia e malinconia. Gala lo guardò di sottecchi, a lui scappò da ridere.
«Cosa?»
gli chiese.
«Niente… è che quell’espressione… mi ricordi qualcuno…»
spiegò, mandando giù un sorso di scotch.
«Io… io sono Gala comunque…»
disse lei, allungando la mano. Il ragazzo la fissò senza accennare a ricambiare il gesto.
«Un nome davvero particolare… Gala…»
commentò, facendo scoccare la lingua sul palato.
«Sarebbe carino presentarti a tua volta… non conosci le buone maniere?»
Il ragazzo si limitò a guardarla continuando a sorridere.
«Ma certo… che mi aspetto da uno che ferma le persone placcandole come se fosse ad una partita di rugby!»
esclamò, incrociando le mani sul petto.
«Sei sempre così agitata?»
domandò lui, con aria divertita. Gala spalancò la bocca indispettita, sbuffò e rispose:
«No, in genere sono la calma fatta persona… ma questa giornata è iniziata male… e non accenna a migliorare!»
«Beh… inizia a fare un gran respiro… poi bevi un sorso del tuo caffè prima che si freddi… e  sono certo che qualcosa di buono arriverà!»
le suggerì lui. Gala provò a ribattere, ma si rese conto che forse lo sconosciuto aveva ragione. Fece un gran respiro, cercò di liberare la mente e bevve un sorso di caffè. Il consiglio parve funzionare.
«Va meglio?»
si informò lo sconosciuto. Gala aprì gli occhi ed annuì sorridendogli.
«Anche il sorriso è suo…»
commentò l’uomo, confondendo Gala.
«Il sorriso di chi?»
«Il tuo… è uguale al suo… ma ti spiegherò dopo… prima ho bisogno di sapere una cosa…»
«Cosa?»
«Devo sapere in cosa credi, Gala… devo sapere quanto la tua mente è in grado di accettare e quanto sei disposta ad ascoltare… perché vedi… se la risposta è “tanto” ti racconterò una storia… la tua storia! Ma se non è così… ti dimenticherai di questo incontro, di questo discorso e di me…»
Gala rimase in silenzio, completamente rapita dagli occhi di quello strano uomo che, nel giro di poco, era riuscito a farla sentire completamente spaesata.
Era sempre stata  un tipo molto razionale, ma lui aveva appena solleticato una parte di lei che per tutta la vita aveva tenuto nascosta: l’istinto.
Quel  modo di parlarle, di guardarla e di sorriderle, faceva presa su di lei in maniera strana, non era in grado di spiegarselo, sapeva solo che voleva restare seduta lì, con lui.
Lo aveva seguito senza nemmeno saper il suo nome, ed ora le aveva posto un’assurda domanda con la promessa di raccontarle una storia… la sua storia! Come poteva uno sconosciuto conoscere la sua vita? Nemmeno lei ne sapeva molto… come poteva lui avere qualche informazione in più?
 
C’era stato un tempo, nella sua adolescenza, in cui si era posta domande su domande, ma ogni strada da lei intrapresa per saperne di più finiva in un vicolo cieco.
Aveva cercato informazioni sul suo passato senza arrivare a nulla. Tutto quel che sapeva era in un misero fascicolo che l’orfanotrofio le aveva dato senza troppe cerimonie, trattando lei e le informazioni che la riguardavano come qualcosa senza valore. Scoprì di essere  nata “probabilmente” in febbraio, 27 anni prima.
«Probabilmente»
Lesse ad alta voce quella parola più di una volta. Nemmeno la certezza del giorno in cui era nata era riuscita a ricavare, solo la probabilità che ciò fosse avvenuto nel mese di febbraio.
«Complimenti Gala… hai appena raggiunto un nuovo livello di pateticume: sei una probabilità! Non un’eccezione, non una cosa rara, non unica… sei probabile… aaagh…»
Lanciò il fascicolo contro il muro ed affondò la testa nel cuscino.
Era cresciuta in un orfanotrofio, nessuna famiglia si era mai interessata a lei, nonostante fosse stata abbandonata alla tenera età di due anni. Le suore e i servizi sociali la definivano un’anomalia.
«Probabilità… anomalia… tutte cose belle per Gala Nessuno!»
si disse, ricacciando le lacrime che iniziarono a bruciarle in gola. “Gala Nessuno” così la chiamavano i bambini dell’orfanotrofio, e così aveva imparato ad identificarsi.
Raggiunta la maggiore età si scelse un cognome “Roses” , fu attratta dall’idea di poter avere qualcosa di bello a definire la sua persona e lei amava le rose. Spesso aveva chiesto a chi si occupava di lei perché le avessero dato un nome così strano, ma nessuno mai fu in grado di risponderle, solo una suora si prese il disturbo di dirle:
«Gala è il tuo nome è basta! L’unica cosa certa di te è che qualcuno ti ha chiamata così… vuoi rinunciare anche alla sola certezza che hai?»
Da quel giorno smise di fare domande a riguardo. Lasciò la casa famiglia e con l’aiuto del sussidio statale trovò un posto in cui vivere ed intraprese gli studi laureandosi in tempo record: migliore del suo corso.
Non c’era stato nessuno a gioire con lei o per lei, e quel merito “migliore”, che per i professori sembrava essere la chiave per una vita bella e facile, non fu motivo d’orgoglio per nessuno. Un oggetto in più da sigillare in una scatola.
Lavorò  in diversi posti prima di entrare alla Plemson&Wilc, ma non si era mai sentita al posto giusto. Era durata di più alla P&W, solo per via dello stipendio sostanzioso. Non che le servisse guadagnare tanto: non usciva spesso, non aveva hobby, aveva pochi amici che vedeva ogni tanto se costretta e qualche relazione alle spalle, ma in linea di massima era un tipo solitario. Non riusciva a stringere legami forti e duraturi, le sembrava di non essere in grado di poter costruire qualcosa. Aveva un vuoto dentro che proiettava all’esterno, cercando di mantenere la sua vita il più asettica possibile.
Era piacevole stare in sua compagnia, ma se qualcuno si dimostrava più interessato del dovuto a far parte della sua quotidianità, Gala provvedeva a tagliarlo fuori con tutti i mezzi a sua disposizione.
Possedeva un cellulare con solo il numero del lavoro salvato in rubrica.
Abitava in un monolocale da 7 anni e metà delle sue pochissime cose, era ancora negli scatoloni.
La sua vita era tutta lì. La sua vita era solo una probabilità, un’anomalia.
Come poteva quell’uomo, quindi, avere notizie che nemmeno lei era stata in grado di trovare negli anni?
 
Lo guardò cercando di apparire tranquilla, ma le sue parole l’avevano messa in agitazione.
«A-ascolta… non so che scherzo è questo… ma non è divertente… anzi, forse è meglio che vada»
Gli sorrise e fece per alzarsi, ma lui la bloccò afferrandole la mano. Anche il suo tocco le sembrò familiare e stranamente rassicurante.
«Un’ora… ascoltami per un’ora soltanto… se al termine non ti avrò convinta… andrai via e ti dimenticherai tutto!»
le propose. Gala corrugò la fronte e si sentì confusa. Non riusciva davvero a capire come potesse quell’uomo metterla così in difficoltà. Eppure doveva essere facile per lei, lui era evidentemente un pazzo… cosa ci faceva lei ancora là?
«Un’ora… soltanto un’ora»
ribadì lui. Gala tornò a sedere, cadendo pesantemente sulla sedia.
«Ok… un’ora! Ma se non mi convincerai mi lascerai in pace… per sempre!»
puntualizzò lei.
«Perfetto!»
Esclamò lui, alzandosi di scatto e chiedendo il conto.
«C-cosa… che stai facendo?»
domandò allarmata.
«Oh… questo non è il posto giusto per parlare di questa storia…»
spiegò lui, allungando una banconota da 100 dollari al cameriere che lo guardò allibito.
«La… la mia storia!»
ribatté lei, tentennante.
«E di chi altri se no! Su! Andiamo!»
la esortò dirigendosi verso l’uscita. Gala raccolse in fretta la borsa e lo seguì correndo.
«H-hai intenzione di fare così tutto il giorno?»
gli chiese.
«Così come?»
«Sganci la bomba e abbandoni la nave! Potresti anche rallentare un attimo! Ho i tacchi e l’asfalto è ghiacciato!»
L’uomo si bloccò all’improvviso e Gala si scontrò con la sua schiena.
«Hey! Allora!»
lo rimproverò. Lui si girò e sfoderò uno di quei sorrisi che una donna morirebbe nel vedersi rivolgere.
«Perdonami… non era mia intenzione…»
le disse con voce calda, porgendole un braccio. Quel gesto così galante colpì Gala che sollevò le sopracciglia prima di accettare l’appoggio. La sensazione di familiarità con quell’uomo si fece sempre più forte ed ora che gli camminava così attaccata, inalandone l’odore, ebbe l’assurdo pensiero di averlo già conosciuto.
«T-ti posso fare una domanda?»
chiese timidamente.
«Certo!»
«Io… io ti conosco?»
L’uomo la guardò di sbieco e fece un sorriso storto.
«Adesso sei tu quella che ci prova?»
ironizzò. Gala sentì le guance avvampare.
«I-io… n-no… ma che… ma che dici!»
balbettò imbarazzata. Lo sconosciuto scoppiò a ridere e Gala ebbe la sensazione che fosse un suono raro.
«Tranquilla… sto scherzando… lo so a cosa ti riferisci… ma prima di rispondere ho bisogno di avere la tua fede…»
«La mia … che?»
«Fede! Fiducia! Cieca fiducia! Perché come ti ho detto, ti racconterò una storia… ma se non sei pronta a fidarti totalmente di me, non arriverai a sentirne la fine… e questo mi dispiacerebbe molto… quindi…»
«Quindi? Hai solo un’ora per convincermi… come pensi di fare?»
«Oh… semplice… dimostrandoti che so quel che faccio…»
Gala lo guardò dubbiosa.
«Siamo arrivati!»
esclamò lui, lasciandole il braccio.
«Arrivati do… ma… che ci facciamo qui?»
domandò allarmata, trovandosi di fronte all’edificio che aveva lasciato ore prima in preda alla rabbia.
«Ti dimostro che tutto è possibile nel nostro mondo…»
Gala lo fissò smarrita.
«Adesso tu andrai nel tuo ufficio… il tuo capo ha qualcosa da dirti…»
«Oh! Credimi! Lo so cos’ha da dire quel porco!»
«Gala! Fiducia… cieca fiducia! Ricorda! Questa è la mia ora! Non puoi farmi perdere tempo così… vai nel tuo ufficio, ora!»
le ordinò lui. Quella parte di lei che l’aveva cacciata in quella situazione decise di obbedire e prima di realizzare appieno cosa stava facendo, si ritrovò a  varcare la soglia dello studio pubblicitario. Henry Johnson era all’ingresso, parlava con Devon, la ragazza della reception. Vedendolo tutta la sua razionalità tornò a fare da padrona “ma  che diavolo stai facendo? Girati e vattene! Quel porco interpreterà il tuo ritorno come un acconsentire alle sue proposte squallide!” si disse. Si preparò ad andar via ma il signor Johnson la scorse.
«Signorina Roses! Finalmente!»
esclamò cordiale. Gala spalancò la bocca, non l’aveva mai chiamata col suo cognome nemmeno ai colloqui. E l’espressione sul suo viso, sembra diverso. Rimase immobile senza sapere cosa dire. Johnson le si avvicinò sorridente e solare, con le braccia aperte e un’espressione da ebete stampata sul volto.
«Signorina Roses! La stavamo aspettando! Questo è un giorno di grande dolore per noi… perdere un elemento come lei! Ma le sue qualità sono sprecate da noi! Le ho preparato la lettera di raccomandazione più bella dell’universo ed ho chiesto ai miei soci di fare lo stesso… in più, ho provveduto a chiamare direttamente Mister Plemson per parlargli un po’ di lei… spero non le dispiaccia! So che vuole cambiare settore… ma se decidesse di continuare a mettere il suo talento a disposizione di noi poveri pubblicitari… la P&W sarebbe onorata di mantenerla a bordo! »
«I-io… non… io… non capisco…»
«Signorina Roses… mi mancherà la sua modestia! Ma ora… si prenda il suo meritato applauso e mi faccia dire, a nome di tutto l’entourage che ci mancherà! Un applauso per la signorina Roses!»
E prima che Gala potesse realizzare quanto stesse accadendo, tutti i dipendenti scoppiarono in un fragoroso applauso, urlando “brava!” e “ci mancherai!”, le sembrò di scorgere addirittura qualche lacrima e Johnson sorrideva beato. Passò mezz’ora a salutare persone di cui non ricordava il nome e con cui non aveva mai preso nemmeno un caffè, ascoltando aneddoti che avevano come punto focale la stima ed il rispetto che quella gente nutriva per lei… Gala Nessuno.
Raccolse le cose nel suo ufficio, prese le lettere di raccomandazione e tornò in strada, con la testa che vorticava di pensieri, ripetendosi che forse era solo un sogno e che doveva solo aspettare di smaltire il sonno. Il rumore del traffico la riportò indietro dalla sua bolla di pensieri e la voce dello sconosciuto le ricordò di come tutto era iniziato.
«Allora… si è comportato bene il signor Johnson?»
le chiese sorridendo.
«I-io… io… ma… cosa… che…»
«Ho la tua cieca fiducia?»
Gala annuì incapace di fare altro.
«Bene! Allora direi che possiamo dedicarci alla nostra storia…»
«U-un momento… aspetta… io ancora non ho capito cosa è successo…»
«Te lo spiegherò più avanti… fatti trovare al cimitero in Crowe Street, domani mattina alle 6:00… ed inizierò a raccontarti tutto…»
«Cosa? Domani? Perché non adesso?»
«La mia ora sta scadendo… e questa è una storia che merita di essere ascoltata come si deve…»
«E posso  almeno chiederti di che parla?»
«D’amore! Di passione… di avventura… e di pericolo!»
«E sarebbe la mia storia?»
«Anche! È innanzitutto la storia di colei che ti ha dato la vita…»
Gala lo interrogò con lo sguardo.
«Ti parlerò di tua madre…»
Quelle parole le fecero spalancare la bocca. Lo sconosciuto si voltò e mosse qualche passo.
«Aspetta! Almeno dimmi come ti chiami!»
gli urlò. L’uomo si voltò lentamente e rispose:
«Damon… mi chiamo Damon!»
«Ed io avrei un nome particolare…»
commentò lei. Damon sorrise e voltandosi disse:
«A domani Gala! Cerca di essere puntuale!»
E sparì tra la folla.
   
 
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