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Autore: Ailisea    28/01/2008    12 recensioni
Dal testo: "Sto sognando? Mi trovo in cima ad un albero gigantesco e da lì posso vedere qualsiasi cosa fino all’orizzonte. Il sole sta sorgendo. Un treno passa veloce sotto di me: spalanco le ali che non sapevo di avere, spicco il volo e comincio a seguirlo. La carrozzeria argentata risplende sotto il sole di mezzogiorno come fosse un diamante. Mi libro leggera nell’aria, arrivando all’altezza dei finestrini. Dentro c’è tantissima gente, sono tutti ammassati in piccoli vagoni ma sembrano felici. Chissà dove porta quel treno?"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che strano.
Non è la prima volta che mi metto ad osservare il cielo,
ma oggi mi sembra quasi di riuscire a toccarlo.
Questo cielo così intenso...

 

 

Autumnal Sky
Memories of a Sunset

 

 

La luce del tramonto filtra attraverso i rami degli alberi, regalando all’atmosfera una sensazione ultraterrena. È come se mi sentissi osservata.
Dalla cucina arriva l'odore dello stufato, probabilmente sarà stata la domestica a prepararlo. Dopo la morte di mia madre molte cose sono cambiate. Non è ironico? Tante volte capiamo di tenere alle cose o alle persone solamente quando ormai non ci sono più. Questa casa, o meglio quel che rimane della casa di un tempo, non ha più colori, tutto sembra grigio e spento, consumato dalle fiamme di un tempo ormai distante e confuso in quella che è la sottile ragnatela del tempo.


Un ragazzo esce dalla porta d’ingresso, non mi saluta.. chi sarà mai? Probabilmente uno dei tanti fidanzati di mia sorella, non mi stupirei se fosse sposato, magari ha anche uno o due figli. Figli.. non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di averne ma ora come ora devo ammettere che mi sarebbe piaciuto. Prima di entrare in casa guardo un'ultima volta il cielo, nuvole sottili sembrano graffiare il rosso sole di questo tramonto.

La cena è in tavola” la voce stanca della domestica richiama la famiglia nel grembo della casa, la cucina.
Ecco tutti quanti: mia sorella, sempre spettinata e con il rossetto rovinato, che borbotta tra un sorso di brandy e l’altro: chiede perché ci siano sempre le stesse cose per cena. Ci sarebbe da risponderle che è anche perché lei non fa nulla da mattina a sera, che non abbiamo mai abbastanza soldi per permetterci qualcosa in più di quello che ci offrono il nostro orto e la nostra fattoria. Successivamente fanno la loro apparizione mio fratello, sempre indaffarato a leggere il giornale e mio padre che, ormai troppo spossato dalla malattia, non riesce a camminare senza stampelle. Sono così debole che non riesco neanche a spostare la sedia ma nessuno sembra farci molto caso... non importa, tanto non ho fame. Salgo al piano superiore: stranamente nessuno mi ferma per chiedermi perchè non mi trattenga a tavola.


In camera mia c’è una grande finestra da cui si può vedere il cielo. Credo di essere ossessionata da questo tramonto, non riesco a pensare ad altro. Dopo minuti, o forse ore, sento delle grida che salgono dalla cucina. Spaventata, mi precipito giù per capire cosa succede, quando vedo mio padre che tira un pugno a mio fratello facendolo barcollare e lo vedo afflosciarsi sulle sue fragili ossa per il troppo sforzo. “Non parlare in questo modo di tua madre!” è furioso.
Mio fratello si asciuga con la mano il sangue che fuoriesce dal labbro spaccato.
Ogni volta che si parla di mia madre, sia in modo buono che cattivo, mio padre va su tutte le furie.
Proprio ora che tua sorella...” lo sento continuare il discorso.
Tua sorella... cosa? Stanno parlando di me o dell’altra?
Avrei voluto continuare ad ascoltare il discorso ma improvvisamente qualcuno suona alla porta e mio padre si interrompe.
Parleremo più tardi”, sussurra fra i denti.


L’uomo alla porta indossa un cappotto nero, ha grandi baffi spessi neri ed il viso segnato da profonde rughe, avrà circa sessant'anni. Mio padre lo invita ad entrare e prende una bottiglia di brandy dalla credenza, assieme a due bicchieri. “Allora, ci sono novità?” chiede mio padre con voce tremante. “Ancora nulla di certo..” l’uomo in nero ha una voce profonda e seria. “Ma i nostri uomini sembrano aver individuato qualcosa vicino al fiume che passa poco fuori del paese.”, continua. Di cosa stanno parlando?
Se vuole posso portarla a vedere coi suoi occhi.” lo invita, ma mio padre declina l’offerta dicendo di essere troppo stanco per uscire.
Beh allora buona notte, signor Hampton.” l’uomo riprende il cappello che aveva appoggiato sul tavolo, fa un cenno di saluto con la testa ed esce silenziosamente dalla porta. Fuori comincia a piovere, lacrime del cielo.

Salgo di nuovo in camera mia: ormai è notte fonda. Mi sdraio sul letto, non ho neanche la forza di spogliarmi. Prima di addormentarmi, guardo ancora una volta il cielo scuro, le stelle sembrano più luminose stasera. Pochi minuti e comincio a sentire il sonno che prende il sopravvento e mi afferra fra le sue spire nebbiose e indistinte.

Sto sognando?
Mi trovo in cima ad un albero gigantesco e da lì posso vedere qualsiasi cosa fino all’orizzonte.
Il sole sta sorgendo.
Un treno passa veloce sotto di me: spalanco le ali che non sapevo di avere, spicco il volo e comincio a seguirlo.
La carrozzeria argentata risplende sotto il sole come fosse un diamante.
Mi libro leggera nell’aria, arrivando all’altezza dei finestrini.
Dentro c’è tantissima gente, sono tutti ammassati in piccoli vagoni ma sembrano felici.
Chissà dove porta quel treno?


Dopo poco comincio a restare indietro e pian piano il treno si perde nella foschia lontana.
Il sole comincia a tramontare ed in poco tempo è già notte.
Sento uno strano freddo arrampicarsi lungo la schiena coi suoi artigli impietosi.
Tutto ad un tratto le mie ali si irrigidiscono e comincio a precipitare.
Precipito per un tempo paragonabile all’eternità e alla fine sprofondo in un mare gelido.
Provo a nuotare ma le braccia e le gambe sono paralizzate, le ali bagnate diventano pesanti e mi trascinano verso il fondo.
Mentre annaspo, riesco comunque a vedere il cielo.
Le stelle brillano prendendosi gioco di me.
Comincio ad affondare, l’acqua gelida mi entra nel naso e nella bocca.
Prima di sprofondare nell’oblio, riesco a vedere una stella più luminosa delle altre, che risplende di una strana luce azzurra.


Mi sveglio senza respiro, sudata come non mai. Attendo qualche minuto per dissipare la paura del sogno e mi dirigo verso la scrivania, ho l’abitudine di annotare tutti i miei sogni per poi poterli studiare meglio durante il giorno. Provo ad accendere la luce ma non ci riesco: probabilmente la lampadina sarà fulminata. Decido allora di prendere penna e quaderno per scendere in cucina e mettermi a scrivere lì, ma non riesco a fare neanche questo: la mia mano sembra passare attraverso gli oggetti senza riuscire a toccarli. Comincio istericamente a graffiarmi la mano, ma i segni delle unghie non rimangono sulla pelle. Corro verso la camera di mio padre, senza pensarci.

Papà, aiutami! Cosa mi sta succedendo?” urlo, ma mio padre sembra non sentire nulla e continua a dormire. Allora mi avvicino e cerco di buttare giù il vaso dal comodino ma riesco solamente a far muovere i fiori come se fossero stati toccati dal vento. Sento il cuore che mi pulsa in gola. Sto ancora sognando? È l’unica risposta plausibile. Mi precipito alla finestra per prendere una boccata d’aria. L’aria notturna è pungente e gli occhi mi si riempiono di lacrime. Ma sarà poi veramente il freddo a farmi lacrimare?
Mi siedo nell’angolo della camera, appoggiata al muro ed aspetto il sorgere del sole. Una ventata entra dalla finestra e fa sussultare dei fogli sul tavolino. Mi alzo e vado a leggerli senza un reale interesse. Ci sono vari articoli di giornale sfocati dall’acqua, fotografie di cui non ricordo i soggetti e fiori secchi conservati fra le pagine di un diario ormai dimenticato. Ora che ci penso, mia madre amava i fiori.

Al di sotto di questo mucchio di fogli ne vedo uno luminoso, quasi fluorescente. Provo a prenderlo ma il risultato è lo stesso della notte da poco passata: un leggero alito di vento che smuove appena gli oggetti. Fortunatamente arriva una ventata più forte della precedente che fa cadere tutti i fogli ed il diario per terra, con un tonfo sordo. Sento mio padre sussultare, nel dormiveglia. Con tutta la concentrazione possibile riesco a produrre un lieve alito di vento che sposta un foglio sovrappostosi a quello visto in precedenza. Sollevata comincio a leggere e, alla fine, un singhiozzo di paura mi spezza il respiro. Sul foglio ci sono scritte due date, quelle di morte e nascita di una ragazza... che porta il mio stesso nome: Marie Hampton. La morte è datata 10 Ottobre 1913 e, più sotto, una nota specifica "data della sparizione".

"Impossibile” la prima cosa che mi viene in mente. Come faccio ad essere sparita, o peggio, morta, se sono qui e sto leggendo questo dannatissimo foglio? Sarà sicuramente uno scherzo! Ma se lo è... perché allora non riesco ad avere contatti fisici con il mondo materiale? Nella mia mente comincia ad accendersi la consapevolezza: è troppo dolorosa, non riesco a sopportarla e fuggo. Mi precipito fuori casa e comincio a correre sul prato, verso il sole che sorge, sperando di poter spiccare il volo e raggiungere il tanto agognato cielo.

Dopo molti chilometri mi fermo, casa è ormai lontana. Mi accascio a terra e comincio a piangere lacrime invisibili. Una domanda si fa spazio nella mia mente, terribile come una tempesta all'orizzonte: “Cosa farò ora?”.

Mi sdraio e comincio a fissare il cielo: si vede ancora il pallido fantasma della Luna. Con la mente cerco di ripercorrere i momenti felici della mia vita, provando ad usarli come salvagente in un mare di pensieri di morte, però mi accorgo di non trovare conforto dalla memoria. È forse questo il mio inferno? Ormai ne ho la certezza: sono morta. Ma non so ne come, ne perché. Mentre le ore della giornata scorrono su di me, il mio pensiero va a mia madre. Mi alzo e comincio a tornare verso casa, sperando che nel frattempo il mondo finisca e con esso la mia condanna, anche se so che non potrà succedere. Appena entro in casa do uno sguardo al calendario: 14 ottobre 1866. Sono sparita da quattro giorni. Ora capisco di cosa stavano parlando mio padre e quell’uomo, ieri sera. L’uomo col cappotto ha menzionato anche un fiume appena fuori dal paese.. e se andassi lì? Ho ben chiara l'immagine di quel fiume; da piccoli, io ed i miei fratelli passavamo parecchio tempo lì, durante le lunghe ore dei pomeriggi estivi. Cerco di concentrarmi e, senza riuscire a capire bene come, mi ritrovo sulla riva di quel fiume.

Le sue acque scorrono impetuose sbattendo violentemente sulla roccia degli argini e in alcuni punti formando dei mulinelli. Scendo verso la riva e mi metto a fissare il mio riflesso, in punto dove la corrente non è forte. Il mio volto è uguale a prima: stessi occhi grandi e verdi, stesse lentiggini e stessi capelli biondi. Con l’unica differenza che adesso nessuno può vedermi. Mentre mi specchio, intravedo qualcosa al di sotto della superficie dell’acqua, qualcosa di oscuro e fluido. Non faccio intempo ad allontanarmi che un braccio completamente nero esce dall’acqua e afferra la mia caviglia, facendomi cadere in avanti. Sento l’acqua entrarmi nei polmoni, proprio come nel sogno. Ma com’è possibile, se sono già morta? Forse sto impazzendo. Mentre continuo a scendere nelle profondità del fiume, comincio ad avvertire una certa sonnolenza e chiudo gli occhi.


Quando li riapro sono distesa sotto un melo, pieno di fiori e frutti maturi. Mi alzo quanto basta per sedermi e do un sguardo al paesaggio intorno: sono su una collina che sovrasta il fiume. Se ricordo bene, poco più in là c’è uno strapiombo che finisce direttamente nelle sue acque scure. Giro lo sguardo e lo trovo; mi alzo e comincio ad avvicinarmi al bordo. Ho la tentazione di sporgermi a guardare cosa c’è al di là di quel confine ma sento delle voci che si avvicinano. Mi nascondo dietro un albero e comincio ad osservare quelle persone, a bocca aperta. Siamo io ed i miei amici! Ma se sono qui, come faccio ad essere anche lì?

Continuo ad guardare attentamente il gruppo di persone fin quando non cala la sera. I ragazzi decidono di accendere un falò. Solo ora mi accorgo che con loro c’è una bambina piccola.. si tratta di Anne, la figlia di Elizabeth.. quel bastardo del suo ragazzo l’ha messa incinta e poi l’ha abbandonata. Che carina, avrà all’incirca tre anni. I suoi occhi castani brillano alla luce del fuoco e la piccola continua a saltellare di qua e di là, felice come una pasqua. Dopo un’ora o due, molti dei ragazzi si sono già addormentati. Sono rimaste sveglie solamente l’altra me stessa ed Anne, la bambina. L’altra me stessa dice alla bambina di stare calma mentre lei va a cercare della legna poco lontano. La bambina annuisce e l’altra me si allontana. Anne rimane seduta su un tronco per qualche minuto ma dopo un po’ si alza e, probabilmente attirata dal rumore dell’acqua, comincia ad avvicinarsi verso il burrone.


Comincio a gridarle di non avvicinarsi, di tornare indietro, ma sembra non sentirmi neanche lei. La piccola sta per sporgersi pericolosamente verso l’abisso quando una mano le prende il polso: “Non ti avevo forse detto di rimanere seduta sul tronco, Anne? È pericoloso! Potresti farti molto male!” l’altra Marie è sconvolta. Anne comincia a tirare su col naso, triste; l’altra me stessa l’abbraccia e le dice che non è arrabbiata ma le fa promettere di non farlo mai più. Neanche il tempo di tornare indietro che una parte della parete rocciosa crolla e in un attimo l’altra Marie ed Anne si ritrovano appese al limite dell’abisso, le gambe cercano di arrampicarsi al di sopra del bordo ma senza trovare appiglio. Il rumore sveglia il resto dei ragazzi che si precipita a vedere cosa stia succedendo.
Mamma, mamma! Aiutami!” la voce di Anne, singhiozzante, implora l'aiuto dalla madre.

Vedo il terrore negli occhi dell’altra me stessa. Elizabeth è disperata: cerca di prendere la mano di Anne ma non riesce a raggiungerla. Gli altri ragazzi provano a tirarmi su ma sono troppo lontani e uno di loro per poco non cade nel baratro. In un ultimo atto di coraggio l’altra me prende la mano di Anne e la issa su affinché la madre possa prenderla, ma facendo ciò perde l’equilibrio e cade giù. Purtroppo Elizabeth non fa in tempo a prendere Anne, che cade insieme all’altra Marie. Dopo un grido di dolore di Elizabeth, la mia coscienza ritorna al fiume dove stavo guardando la mia immagine riflessa e cado all’indietro, sudata.


Ora ho capito.. sono rimasta in questo mondo perché ho portato con me, nella morte, una creatura innocente. Mura d’acqua cominciano a sollevarsi intorno a me e ne fuoriescono ombre spaventose, alcune con la forma di Anne, altre di Elizabeth, altre ancora persino con la forma di mia madre. I loro volti hanno un’espressione terribile, sono talmente distorti che riconosco appena a chi appartengono. Cerco di gridare ma le urla vengono soffocate dall'acqua che, rumorosamente, si sta richiudendo su di me. Con una forza che sembra spezzarmi il collo, la volta d’acqua mi piomba addosso facendomi annaspare. Ora, come nel sogno, vedo in alto una luce azzurra.
La luce prende la forma di mia madre che mi tende la mano, facendomi uscire da quell’inferno d’acqua. Quando riapro gli occhi sono in un ambiente completamente bianco e luminoso, talmente splendente da abbagliarmi. Pochi istanti dopo il bagliore cessa e mi trovo in mezzo alle nuvole. Mi guardo attorno e vedo mia madre prendere forma.

Mamma? Cosa ci fai qui?” chiedo.
Sono venuta a liberarti” la sua voce gentile mi risuona nella testa, anche se lei non ha aperto bocca.
E come?” sono dubbiosa.
Tu sei convinta di aver compiuto un atto orribile, avendo portato con te nella morte una bambina, ma devi sapere la verità: quella bambina vive” dice con voce calma.
Cosa?!” sono quasi sul punto di scoppiare a ridere; com’è possibile? L’ho vista con i miei occhi mentre mi seguiva, cadendo nel fiume!
So che ti risulta difficile credermi, ma è così” dice, come se avesse letto nei miei pensieri.
L’ultima immagine che hai visto, qual è stata?” mi chiede dolcemente.
Con tutte le forze che possiedo cerco di ricordare l’ultima scena vista prima di lasciare il mio corpo, ma riesco solamente a provocarmi un gran mal di testa.

Devi riuscirci, per essere libera! Provaci Marie!” la sua voce riecheggia nella mia testa come l’ululato del vento.
Provo di nuovo a concentrarmi e rivivo velocemente tutta la mia vita sino alla caduta nel baratro.
Poi, la vedo.. l’ultima immagine, la fine: Anne mentre cade su una sporgenza, poco sotto il ciglio dello strapiombo.

Lentamente riapro gli occhi, mia madre mi sorride: “Hai capito ora? Il tuo inferno erano mura costruite da te stessa. Dio non vuole mai il male per le sue creature, sono loro che, avvolte nel dolore, perdono la retta vita e si smarriscono nell’oscurità.”
Ora ho capito, Anne non è morta. Mentre vedo mia madre svanire nella luce, percepisco una presenza accanto a me; mi giro e vedo Anne, che gioca tranquilla nel giardino di casa sua. Ad un tratto si gira verso di me, quasi abbia percepito la mia preseza, e mi sorride. Poi, il buio.


Mi risveglio immersa nelle acque del fiume e, cercando l’aria, nuoto velocemente verso l’alto. Quella linfa invisibile mi entra nei polmoni e dopo aver ripreso fiato, mi sdraio sulla terra umida. Ora ho capito il perché della mia permanenza dopo la morte. Mi ero costruita un labirinto mentale, che mi impediva di raggiungere la Luce. Fisso il cielo. Adesso, prima di andarmene, c’è un’ultima cosa da fare.

Desidero intensamente di trovarmi nel luogo dove giace il mio corpo e, in un soffio, mi ritrovo sull'altra sponda del fiume. Sulla riva, sdraiata sulla schiena, c’è una ragazza. Mi avvicino e scopro che quello è il mio corpo. Stessi capelli biondi ricci, stesse lentiggini ma la pelle è bianca come la neve.. mi avvicino e prendo la mano del mio vecchio corpo. Spero intensamente che qualcuno riesca a ritrovarlo con facilità. Aspetto qualche ora, ma non arriva nessuno. E se avessero già controllato in quella zona? Poco prima di perdere la speranza, sento delle macchine avvicinarsi. Dalle macchine scendono degli uomini in divisa che cominciano a perlustrare la zona circostante. Uno di loro viene dalla mia parte e spostato il cespuglio, vede il mio corpo. “Venite! L’ho trovata!” urla ai suoi colleghi.

È l’addio definitivo al mio corpo; prima di lasciarlo andare lo accarezzo sulla guancia e percepisco una sensazione di calore. Dopo che i medici e la polizia se ne sono andati, chiudo gli occhi e desidero tornare a casa. Come tutte le altre volte, anche questa mi ritrovo in camera mia. Sento il telefono che squilla giù in cucina, mio fratello risponde: “Casa Hampton. Sì, sono io... come? Sì, ho capito. Arriviamo subito.” e riattacca.

Hanno trovato Marie.” dice agli altri.
 
~

È una strana sensazione assistere al proprio funerale.
Sono tutti vestiti di nero.. eppure io amo i colori vivaci! Una volta avevo scherzato con mia madre sui colori con cui le persone si vestono ai funerali e lei mi aveva detto sorridendo: “Sai, in Oriente il colore del lutto è il bianco. Penso sia più appropriato del nostro nero.. È più vicino al concetto che ho del Paradiso”. Ripensando a quelle parole, sorrido anch’io. Mia sorella per la prima volta nella sua vita non è truccata e indossa un vestito sobrio.

Mi giro e comincio a camminare verso il prato al di là del cimitero, con passo deciso. Guardo verso il cielo e lentamente una luce comincia ad avvolgermi. Mi giro un’ultima volta verso il mio vecchio mondo. Mentre scompaio nel tramonto autunnale, in lontananza sento il fischio di un treno.

L’avevo desiderato senza poterlo trovare, ero stata sul punto di perderlo e ora finalmente l’avevo trovato: il mio cielo.
   
 
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