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Autore: CrimsonFox    17/07/2013    1 recensioni
1989.
Miami.
Loschi giri continuano nelle strade della città del vizio, così come continuano a muoversi gli uomini che la controllano.
Un solo uomo, smosso da strani ed incerti fatti, decide di ribellarsi a tutto questo con la stessa arma che l'ha tagliato: la mafia.
ATTENZIONE: Storia parallela e intrecciata a Miami Mafia di Wei. È importante seguire i capitoli di entrambi gli scrittori per capire in tutto e per tutto la storia.
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Prologo
 
Miami era una città tanto bella quanto brutta.
Non avrei saputo descriverla con aggettivo migliore al tempo.
Camminavo fra i marciapiedi di South Beach, là dove si può udire lo scroscio delle onde impetuose che si schiantano contro gli scogli.
A dire il vero non mi era mai piaciuto il mare, ma chissà perché quel giorno andai proprio lì, dove non ero mai stato prima.
Era un giorno d'aprile del 1985, ed io, Tony De Vito, ragazzo neo diciannovenne, camminavo per la prima volta in vita mia su quei marciapiedi.
In 19 anni ero riuscito a vedere qualunque angolo di Miami, tranne questa zona, la più lontana in linea d'aria dalla mia abitazione.
Però in quel momento c'ero io su quel marciapiede, con il sole che mi batteva sul collo e un lieve fruscio di vento fra i capelli biondi, felice di essere lì, fra migliaia di persone mai viste prima.
Mi sedetti in una panchina un po' appartata rispetto al resto della spiaggia, ero stanco, decisamente stanco; la mia espressione cambiò, da felicità modesta che volevo far apparire in volto per non destare troppe attenzioni ad uno sguardo serio, quasi minaccioso se qualcuno non mi conosce.
Non ero lì per sciogliermi al sole o per vedere un'enorme quantità d'acqua arrivare a riva per poi tornare al punto di partenza, non io.
Stavo aspettando una persona, ormai erano ore che camminavo avanti e indietro su quel fottuto marciapiede nella vana speranza di riuscire a vederla, ed ancora nulla.
Poi ad un tratto un colpo sulla spalla, mi voltai di scatto, eccola.
‹‹Oh, eccoti qui! Ti ho fatto aspettare?››
Finalmente, ecco l'uomo che aspettavo.
Sì, mi fece aspettare molto ed effettivamente avrei voluto dirglielo, ma cercai di trattenermi il più possibile, mantenendo un tono pacato: ‹‹No, figurati, sono arrivato da poco.››
Era veramente lui, Garrison.
Garrison era un uomo anziano, sulla sessantina, col brutto vizio di ritardare ad ogni singolo appuntamento e di conseguenza far incazzare la gente.
Dal lato professionale, invece, lui era il mio datore di lavoro.
Lui importava la droga dalle città adiacenti, io la spacciavo per le strade.
Non era di certo ciò a cui avrei aspirato nella vita, ma è stata una scelta obbligata dato che la mia situazione economica era sprofondata in una buca talmente fonda da sembrare impossibile uscirne.
Era comprensibile se non altro, dato che dopo la morte dei miei genitori, entrambi nello stesso incidente stradale, non continuai gli studi sempre per questioni di denaro.
E così finiscono quelli che non si diplomano, laureano e quanta altra carta straccia si possa ottenere nella vita; per le strade, con qualche grammo e un giro numeroso di persone.
Non lo vedevo da un anno il vecchio Garrison.
Non si dilungò nello spiegare il perché di questa sua scomparsa e delle frequenti mancate risposte alle chiamate telefoniche, semplicemente disse che aveva avuto un "problema".
Senza esitare oltre mi mise in tasca una busta e disse ‹‹Ora va, sai quel che devi fare e dove trovarmi quando hai finito.››
Feci proprio così.
Presi la roba, la divisi con gli altri spacciatori affiliati al vecchio ed iniziammo a piazzarla sul mercato.
In poco tempo finimmo.
La sera in cui vendetti l'ultimo grammo me ne tornai subito a casa, senza passare per il bar che ero consono frequentare ogni santo giorno.
Non so che mi prese, effettivamente, sarà stato che il giorno dopo sarei dovuto andare a prendere i miei verdoni nella zona delle case popolari in cui abitava Garry.
Poi l'incidente.
 
4 del mattino.
Sentii un rumore di passi pesanti che si protraevano verso il mio letto.
Aprii gli occhi.
Una persona davanti a me, mascherata.
Strani simboli sulla maschera, incomprensibili per uno che ha aperto occhio dopo 6 ore, ma non importa.
‹‹Sai quel che devi fare.››
Poi svanì.
Ancora incredulo del fatto che fosse letteralmente scomparsa davanti ai miei occhi, mi tolsi le lenzuola di dosso e mi vestii.
Qualcosa nella mia mente era stato travolto, un limitatore invisibile ma esistente che controllava la mia coscienza.
Quella visione reale, come perlomeno sembrava, sbloccò quel limitatore che smosse in me qualcosa di mai percepito prima, un'adrenalina pura che scorreva nelle vene ed arrivava fino al cervello.
Non ero cosciente, per nulla, ma sembravo convinto e deciso in ciò che stavo per fare.
Presi la giacca di pelle e la camicia, a cui allegai una strana maschera proveniente da un Halloween di quando ero ancora un innocente e indifeso ragazzino.
Nella mia vecchia camera trovai la mia mazza da baseball, probabilmente appartenente allo stesso periodo della maschera, presi anche lei e salii in macchina.
Guidai fino alle case popolari di Little Haiti, dove abitava Garrison, probabilmente sotto copertura visto che il suo sangue era tutto meno che haitiano.
Scesi impugnando la mazza e mi diressi verso l'entrata del suo mediocre monolocale, erano ormai le 5.
Suonai al campanello, non curante di ciò che potevano pensare i vicini.
Mi tolsi la maschera.
Arrivo il vecchio all'uscio, guardò attraverso lo spioncino e mi riconobbe, due giri di chiavi ed aprì la porta.
‹‹Certo che potevi trovare un orario migliore per-››
Un colpo alla testa, neanche il tempo di fiatare.
Un solo colpo al cranio con la mazza per farlo cadere a terra.
Poi mi misi sopra al corpo dolorante ed iniziai a prenderlo a pugni al volto quanto più forte potevo.
So di per certo che si staccarono due canini e un molare.
Faceva fatica a respirare, anche il setto nasale era andato ed era quasi fuoriuscito dalla pelle bucandola.
Ricordo che la scena, in quel momento, era particolarmente piacevole.
Vedere quel lago di sangue allargarsi a mano a mano che il flusso aumentava era un qualcosa che mi faceva rabbrividire a partire dalla spina dorsale.
Lui, immobile, col fiato pesante e in fin di vita, immerso in una macchia rossa e appiccicosa, pieno di lividi e cosciente a fatica.
Gli sussurrai in un orecchio: ‹‹L'ho fatto.››
Dopodiché un colpo secco sul volto, il cranio a pezzi, la mazza sporca di sangue e quasi crepata, il respiro scomparso.
Non sentii più nulla provenire dalla bocca di Garrison, né misere preghiere di pietà, né tantomeno quell'affanno che aveva solo pochi attimi fa.
Sì, avevo ucciso Garry.
Dopo averlo confermato per certo tastandogli il polso, indossai nuovamente la maschera per non farmi riconoscere da eventuali vicini, chiusi la porta e salii nell'auto.
Guidavo verso casa quando quella figura mascherata apparve accanto a me, nel sedile della mia cabrio.
Fece in tempo a dirmi ‹‹Bravo, sono contento di quanto hai fatto.››, poi per lo spavento persi il controllo del volante e mi schiantai contro uno dei tanti lampioni della statale.
L'auto in fiamme si fece subito notare nella zona, fortunatamente abitata, allorché qualcuno scese per spostarmi fuori dall'auto e chiamò il 911.
Dopodiché il coma, non ricordo altro.
 
Mi svegliai in ospedale, giorni dopo.
Appena mi alzai mi balzò in testa, quasi come un fulmine, il ricordo dell'omicidio di Garrison, ma pensai che fosse solo uno dei tanti sogni fatti durante il periodo di incoscienza.
Per confermare questa mia ipotesi presi un quotidiano del giorno successivo alla morte dell'uomo, poi sbiancai.
Era morto davvero, e l'avevo ucciso io.
Quando ero in macchina avevo ancora la maschera e la mazza, inoltre c'erano tracce di sangue ed impronte ovunque, cosa dovevo fare in quel momento?
Un attimo dopo entrò un infermiere per controllare come stessi, sorrise vedendo che mi ero finalmente svegliato.
Perché sorrideva? Io ero un omicida ed era risaputo visto che vi erano ancora un sacco di prove, perché non era andato a chiamare la polizia per avvertirli che ora ero cosciente?
Intervenne lui ‹‹Finalmente sveglio, signor De Vito. Vedo che si sente meglio.››
Stranito, risposi, cercando di sembrare il più freddo possibile ‹‹Sì, decisamente.››
‹‹Vedo che ha già letto il giornale. Ha sentito dell'omicidio avvenuto a pochi km dal posto in cui si è schiantato lei? È stata una fortuna che non si trovasse sul luogo del delitto, l'assassino avrebbe potuto ucciderla.››
‹‹Sì, ho sentito.›› - e pensai immediatamente ad un alibi - ‹‹Stavo tornando da una visita a casa di mio cugino, quando ho visto un cane attraversare la strada e per evitare di investirlo... beh, eccomi qua...››
‹‹Stia tranquillo signor De Vito, sono cose che capitano.››
Era solo una messa in scena quella di quest'infermiere? Fingeva di non sapere che ero io?
Decisi di fare una piccola prova con una domanda, rischiosa ma fondamentale.
‹‹Già... a proposito, si hanno notizie sul presunto assassino dell'uomo?››
‹‹Per ora nulla, non sono state trovate né tracce, né impronte, né qualsiasi cosa di altro genere possa risultare utile alla polizia investigativa.››
Mentre riflettevo su come fosse possibile, venni interrotto nuovamente dalla sua voce.
‹‹Comunque se si sente meglio può tornare a casa, immagino non veda l'ora. 
Lì ci sono i suoi vestiti, può cambiarsi quando le pare.
Ah già, che sbadato, devo dirle che non sono stati ancora lavati, quindi quando va a casa deve fare lei il bucato.
Arrivederci. ››

Appena l'infermiere uscì dalla mia stanza voltai lo sguardo verso i vestiti.
Dove sono finite le macchie di sangue? Dov'è tutto ciò che di compromettente c'era?
Voltai lo sguardo nuovamente verso la porta e per un istante flashai la figura di quell'uomo mascherato che era seduto accanto a me sull'auto, questa volta in piedi con uno strofinaccio in mano.
Li aveva puliti lui? Ma come e quando?
Continuai a pensare per qualche altro minuto, ma stanco di riflettere su domande a cui probabilmente non avrei mai trovato risposta, presi tutto ciò che era mio ed uscii dall'ospedale.
Chiamai un taxi e mi feci portare a casa.
Arrivai, mi sedetti sul divano e mi accesi una sigaretta.
Che diavolo era successo in questi giorni?
Non trovai mai una risposta, sinceramente.
Passarono 4 anni, nell'86 riuscii a trovare un lavoro accettabile e pagato decentemente, al punto che pensavo di essere finalmente apposto.
Cercai di abbandonare i vecchi giri, quelli della droga in primis, ora ero una persona differente e felice, con un lavoro e la volontà di avere una famiglia con cui stare.
Ed infatti eccomi qui, 1989, qualche mese dopo aver perso il lavoro.
Stanco di essere controllato da qualcuno di superiore che può usare e scartare le persone come marionette, ho deciso di riallacciare i rapporti con i miei vecchi contatti e ho creato finalmente un mio giro, in cui io sono il capo, io gestisco ed io comando: la Miami Mafia.

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Nota dell'autore: scusate se ci sono alcune imperfezioni ma ho appena finito di scrivere ora la storia e sono andato avanti dalle 4 alle 6 ahahah, ho il cervello che mi scoppia :'D
Grazie in anticipo a chi leggerà, accetto ben volentieri consigli sia sull'impostazione che sulla trama, è la mia prima fanfic e non so se ho fatto tutto come si deve! :')
  
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