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Autore: aniasolary    17/07/2013    14 recensioni
Lydia prende un po' di zucchero filato fra le mani e sembra sentirsi meglio, un po' più leggera. Il bambino si allontana. Lydia sente il batuffolo bianco che si scioglie sulla lingua, alza il viso al cielo, – blu notte punteggiato da stelle – e pensa che almeno per un secondo, questa sera, è stata felice.
A volte ci vuole del tempo, per capire che si ama qualcuno. A volte deve arrivare il destino, un insieme di attimi e del dolore... e poi il cuore si accende, come la lampadina degli scienziati quando scoprono qualcosa di grande. E a volte quel qualcosa è proprio lì, davanti a noi, sempre. Ad aspettare che apriamo gli occhi.
StilesxLydia.
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Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stiles e Lydia

Zucchero filato

Stydia

God damn you're beautiful to me,
You're everything, yeah that's beautiful
Yes to me
Chester See – God damn you’re beautiful

 

È una sera calda, non molto diversa da tutte le altre dell’anno, qui in California, ma c’è qualcosa di insolito. Sarà l’aria leggermente più fresca, l’odore della pioggia ed entrambi i suoi genitori dietro di lei, silenziosi. Lydia prende un bel respiro e sente l’indescrivibile peso di quel sorriso grande e splendente che lascia vedere a tutti ogni giorno, simile a quello di quando fa a vedere a tutti che bel vestito indossa, che voto alto ha preso in matematica, che Barbie stupenda nasconde nello zaino.

Ma il sorriso che pesa, sì, quella è la cosa di cui va più orgogliosa.

«C’è qualcosa che vuoi, Lydia?» La voce di sua madre la fa voltare, la gonnellina di raso azzurra che volteggia con lei. Lydia si guarda intorno, ci sono giostre e gazebo, barbecue con salsicce fumanti e chioschi dei gelati, ma la cosa che più vorrebbe è…

«C’è qualcosa che vuoi, Lydia? E viziala, certo. Siamo qua da nemmeno due minuti e già apri il portafoglio per realizzare i suoi desideri. Finirà per essere una di quelle adolescenti con disturbi comportamentali che dovremo portare dalla psicologa.»

… Solo un po’ di zucchero filato.

«Albert! Idiota insulso che non sei altro, perché devi rovinare la serata alla bambina? O no, che stupida che sono, tu rovini ogni cosa che faccia parte della mia vita e allora devi rovinare anche la sua!»

Vorrebbe solo che il sorriso smetta di pesare così tanto.

«Stupida, hai detto bene!» Suo padre si passa una mano fra i capelli neri e si china leggermente verso Lydia. Sua madre si sistema la borsa sulle spalle voltando la testa, in quel gesto veloce e freddo che fa sempre per smettere di guardare. Per non guardare lui, non guardare lei, non guardare nessuno. Non esiste nessuna famiglia.

Suo padre fa un colpo di tosse. «Che cos’è che vorresti, Lydia?»

«Zu… zucchero filato!» Lydia sorride, forse ancora di più, nascondendo quella sensazione che le grida, sempre più forte nella sua testa, che non c’è nessun motivo per sorridere. «Solo questo.» E forse sorridere farà meno male.

«Va bene, tesoro.» Suo padre estrae un portafoglio in pelle nera dalla tasca dei pantaloni eleganti che indossa sempre.

«“Tesoro”. Ma se non fai altro che dire che ti ha rovinato la vita!»

«Chiudi la bocca, Amanda, una volta per tutte! La bambina vuole lo zucchero filato e glielo comprerò, contenta?» Lydia si sente prendere per il polso, ma in realtà il cervello le dice – quoziente intellettivo 170 – che suo padre la sta solo strattonando via. Lydia vede sempre meno bene, come quando c’è la nebbia, come quando c’è troppa pioggia.

Si sente prendere per le spalle. «Tesoro!» Ora più dolcemente. «Che… che cosa succede?»

Lydia apre gli occhi. Le lacrime sono ancora lì, nel suo cuore, dentro se stessa, scorrono insieme al sangue all’interno delle sue vene, l’ha spiegato l’altro giorno la maestra a lezione di scienze.

«Niente… niente, papà.»

«Allora sorridi, Lydia.» Suo padre le mette una mano sulla testa, è un gesto amorevole, Lydia lo sa, eppure la fa sentire schiacciata. Lydia ha paura che forse un giorno sarà più bassa degli altri per questo. «Quando piangi sei brutta e tu non vuoi esserlo. »

«Non voglio esserlo. »

Suo padre le stringe la mano e la accompagna dal signore che fa lo zucchero filato – Zucchero! Zucchero! – bianco e spumoso come le nuvole… una specie di schiuma marina, solo più dolce.

Lydia sorride.

«Zucchero filato per la bambina, bello grande.»

«Mi spiace, signore… mi sono finiti tutti gli ingredienti per oggi. Ma se vuole abbiamo i pop corn.»

Tutto il peso delle grida di suo padre, di sua madre, i  sorridi che le dicono quando piange – se piangi sei brutta –, e lei non vorrebbe altro che nascondersi da qualche parte e piangere, piangere e piangere ed essere brutta, non importa. Farlo e sentirsi leggera, almeno per una volta.

«Li vuoi i pop corn, Lydia? »

Sente tutto il peso di questa sera. Gli sguardi di sua madre, le richieste sussurrate, il lunapark montato vicino al parco, gelati e carne arrostita, la ruota panoramica e lo zucchero filato… oh… lo zucchero filato. Sua madre che ha detto: se non la portiamo al lunapark , la bambina piangerà. E suo padre seduto sul divano, con la birra: non fai altro che dire che è intelligente. Quando piange è brutta. Se non vuole esserlo, non lo farà.

«No…» Ma adesso vuole piangere. Un piccolo capriccio da bambina. Piangere.

Solo questo.

Lydia scappa via in un fruscio di seta e campanellini, i fermagli luccicanti fra i suoi capelli e gli orecchini d’argento che indossa da una settimana. Non ha pianto, quando le hanno fatto i buchi alle orecchie. Se piangi sei brutta, Lydia. E lei non voleva esserlo.

Si siede su una panchina lontana. Forse suo padre la sta cercando, forse sta pensando a dove possa essere andata o forse sta litigando con sua madre per aver accettato dalla cicogna una bambina così stupida. Lydia voleva solo fare una passeggiata tranquilla, andare al luna park montato per quel giorno, avere un po’ di zucchero filato, sorridere senza avere l’impressione di essere punta da un’ape. Non ha avuto niente di tutto questo.

«LYYYYDIAAAA!» Quella che sente è una voce chiara, squillante, eppure un po’ rauca, che non può che appartenere a quella di un maschietto, di sicuro con la bocca piena. Forse la sua mamma non deve avergli insegnato che bisogna ingoiare il boccone, prima di parlare. Sente un rumore strascicato e poi lo guarda. Il bambino ha i capelli castani e cortissimi, i suoi jeans sono ormai impolverati e la camicia bianca ormai non più bianca viene fuori disordinata dai pantaloni. È lei che ha chiamato? Non lo conosce… ma Lydia non ci pensa. Pensa allo zucchero filato avvolto alla mazzetta di legno che il bambino tiene sulla testa con due mani, per non farla cadere fra la polvere come ci è caduto lui.

Il bambino si mette in ginocchio con solo la forza delle gambe, la mazzetta di legno stretta con entrambe le mani e un sorriso largo sul suo volto pallido e paffuto, arrossato sulle guance. «Stavo camminando normalmente in questo sentiero agevolmente addobbato da cose lunaparkesche quando improvvisamente ho visto te.» Il bambino si siede accanto a lei e il sorriso resta sul suo viso come se fosse stato stampato. Sembra non pesargli per niente, quel sorriso. Lydia vorrebbe conoscere il suo segreto…

«Perché usi così tanti avverbi in una frase?»

«Perché sono facili! Basta mettere “mente” alla fine. La signorina Florence è stata bravissima a spiegarceli.»

«La signorina Florence? »

«Sì… oh, ma tu non puoi conoscerla, la tua classe di grammatica è diversa dalla mia. Però andiamo nella stessa classe di scienze, con la signorina Rosie che l’ultima volta ha spiegato le vene e il sangue… bleah, cose che non servono a niente. Però io dico, secondo te, se io mangio un po’ di zucchero filato ora mi scorrerà nel sangue visto che proprio tu hai detto che nel sangue c’è lo zucchero? » Il bambino prende un batuffolo di zucchero filato e se lo poggia sulla lingua, chiude la bocca ed emette qualche verso come per dire “quanto è buono”. Lydia si sente lo stomaco che la graffia da dentro, gli occhi le bruciano, le mani le tremano e non ha niente da stringere a parte la sua gonna azzurra e splendente… bella e splendente, splendente e bella, e lei non deve piangere altrimenti sarebbe brutta e lei non vuole esserlo. Nessuno le vorrebbe bene, se fosse brutta… se piangesse.

«Lydia… perché piangi?»

Oh no. Volta la testa, si porta le mani al viso, sulle palpebre ora serrate, sente l’acqua calda che viene fuori dagli occhi. «Perché voglio piangere! E ora vai via, lasciami da sola…»

«No, Lydia, non piangere… »

«Io voglio piangere!»

La sua gola si riempie di singhiozzi. Respira forte. Tutto questo sembra ancora più pesante del sorriso che cerca di fare ogni giorno, ogni domenica al rinfresco della nonna, ogni pomeriggio, ogni sera, ogni santissima volta che i suoi genitori litigano e suo padre le dice che è stupida e lei vuole piangere, anche se fa ancora più male. Perché Lydia sorride sempre ma non è mai felice e nessuno lo sa. Nemmeno lei lo sapeva e ora le lacrime sono amare perché fa tutto male. Lydia non è una bambina felice. Lydia vuole piangere e basta.

«E va bene, piangi.»

Lydia alza il viso, le lacrime continuano a scendere. Gli occhi del bambino sono grandi e marrone chiaro, con ciglia lunghe come quelle delle belle bambine, ma lui è un maschietto e si vede da come ora smette di sorridere e diventa serio. «Continua a piangere, Lydia, ok?»

Lydia cerca di asciugarsi le lacrime con le mani. «Perché?»

«Per tutte quello cose che dicono gli sp… gli ps… gli psilo… gli spico… ok, non riesco a dirlo, comunque dicono che il pianto è liberamente liberatorio e ogni tanto fa bene, quando si è tristi. Io non voglio che tu sia triste, per niente. Sei così bella quando alzi la mano alle lezioni della signorina Rosie, sei così bella quando sorridi e prendi sempre A, A, A. AAA, come quando si cerca qualcosa urgentemente. E poi…»

«P-poi? »

«Poi sei bellissima quando piangi, perché sei sempre Lydia. E se me ne vado sarai un po’ più contenta… lo faccio. Me ne vado. Ciao, Lydia.» Il bambino fa per andarsene, si liscia la camicia con una mano senza che riesca a far andare via la polvere e si volta. «Ah, no!» Si volta di nuovo. «Tieni questo, te lo regalo.» Il bambino le porge il suo zucchero filato e Lydia vede quella nuvola bianca intorno a quel bastoncino brillare di fronte a sé, come se fosse fatta di tanti, piccoli diamanti di zucchero. «Mia madre dice che c’è un modo per leggere le persone come si leggono i libri. Bisogna guardarle negli occhi. Io ho guardato nei tuoi e ho letto questo, spero di non aver sbaglio come faccio sempremente.» Lydia avrebbe voluto un po’ di felicità, quella sera, e per crearla una delle cose che le servivano era un po’ di zucchero filato.

Adesso ce l’ha.

«Si dice “sempre”.»

Quello di Lydia è un sussurro.

«Va bene, sempre

Ma lui l’ha sentita.

Lydia sospira, rumorosa. Ride nel pianto. «Me lo regali davvero?»

«Non dico le bugie.» Il bambino si stringe nelle spalle,  accenna un sorriso, l’angolo destro della bocca leggermente più sollevato rispetto a quello sinistro.

Quale sarà il suo nome?

«Te lo giuro in nome di Stiles Stilinski della tua stessa classe di scienze.»

 Stiles corre via, senza troppa fretta, e si ferma accanto ad un uomo alto e biondo, la giacca con la stellina sopra. L’uomo stringe la mano di una donna pallida come Stiles, con i suoi stessi, grandi occhi marrone chiaro e lo stesso sorriso dolce. I suoi genitori, Lydia deglutisce e la mamma di Stiles accarezza la testa a suo figlio, sembra fare qualche domanda. Stiles risponde e poi quella stessa signora guarda verso Lydia, sorride anche a lei.

Lidya prende un po’ di zucchero filato fra le mani e sembra sentirsi meglio, un po’ più leggera. Il bambino si allontana. Lydia sente il batuffolo bianco che si scioglie sulla lingua, alza il viso al cielo – blu notte punteggiato da stelle – e pensa che almeno per un secondo, questa sera, è stata felice.

 

***

 

Lydia Martin non sa di correre. In realtà, se ne accorge solo perché i tacchi fanno un rumore fastidioso sull’asfalto, qualcosa che fa voltare tutti, alle undici di sera. E chi può essere ancora in giro in un giorno di scuola alle undici di sera e voltarsi verso di lei?

Lydia ancora stenta a crederci eppure, per tutti i suoi diciassette anni, è stata un’attrice perfetta con quel suo sorriso e la popolarità cucita addosso, strappata via insieme a tutto il resto.

Ma quello che indossa adesso è un vestito azzurro, leggermente più ampio sotto la vita, un azzurro splendente, come in una lontana sera d’estate, insieme a due bracciali argentati, una frontiera firmata, un profumo Chanel.

Lydia si è guardata in quel piccolo specchio e si è sentita bella per davvero, forse per la prima volta.

L’altro giorno ha pensato a Jackson. L’amore di lui era un palloncino ad elio, si è gonfiato, è volato il cielo, Lydia pensava che sarebbe arrivato sul sole, e poi ha cominciato a sgonfiarsi. E allora Lydia si è accorta che  tutti portano dei pesi sulle spalle, e il sorriso che mette sul viso ogni mattina insieme all’ombretto, al mascara, al lucidalabbra, è il suo.

Anche Stiles ha un peso: una famiglia spezzata, sua madre che non c’è più. Lydia è andata a casa sua.

Sulla scrivania c’erano tutte quelle cose da donna e lui le ha confidato che erano tutte per il suo compleanno e non sapeva che scegliere. E poi le ha detto che senza di lei impazzirebbe, se lei morisse impazzirebbe. E Lydia sa quanto fa male vivere ed essere considerati malati e far finta che vada tutto bene. Appena tornata a casa è andata in garage e ha aperto quell’enorme pacco dalla carta rosa e a fiori, pieno di tante altre scatole. Il suo regalo.

Vestiti su vestiti, tantissimi vestiti, un ricordo, e la voce di Stiles impressa su un biglietto appiccicato a uno specchietto.

Questo non l’ho comprato perché ho finito i soldi di tutte le paghette che ho avuto in vita mia. Lo specchio è per guardarti, ma hai un quoziente intellettivo altissimo e so che l’hai capito da sola. Gli scontrini sono nelle scatole, se qualcosa ti fa schifo la puoi cambiare nel modo più tranquillamente possibile. Sei bellissima sempre, quando sorridi, quando piangi, quando ridi, quando fai la faccia da snob, quando mi ignori, quando mi parli, quando mi guardi, quando vai via, con qualunque cosa indossi e sono sicuro che lo sei anche senza niente, sempre. E sono un disastro, scusa.

Stiles

Lydia bussa alla porta, poi suona il campanello.

«Signor Stilinski?»

«LYDIA?!»

La porta si apre. Sembra che lui sia sempre stato lì ad aspettarla, ma Lydia non riesce a fermare la sua mente e allora lo immagina: Stiles che lascia la sua stanza e corre a tutta velocità solo perché ha riconosciuto, e forse pensa ancora di sognare, la sua voce.

«Ciao.» Lydia abbassa la testa, le mani lungo i fianchi a stringere la borsetta di Prada. Quando alza di nuovo il viso, lui è appoggiato allo stipite della porta, la bocca semi aperta e così simile a quando era ancora bambino...

«C-ciao. Uo,uo… Sei bellissima.» Occhi spalancati, piccolo rivolo di saliva all’angolo destro della bocca, se la toglie via voltando la testa, si porta la manica della felpa vicino al viso. «Sei… sei un sogno.» Un sogno. «Uo, uo… MIO PADRE…» Tossisce, «… non c’è ma ehm… mi dispiace ma… vuoi entrare? »

È magro, Stiles, ma ha le spalle forti, Lydia lo sente sotto le mani; anche lui gioca a Lacrosse e l’ultima volta oh se non è stato bravo. Lo guarda negli occhi: le iridi marrone chiaro con un piccola sfumatura verde, o forse dorata come il whisky nella sua credenza, e il neo vicino alla bocca, poco più sopra le labbra seguendo una diagonale immaginaria, ma non  troppo lontana.

«Stiles.» Lydia lo spinge in casa con una spinta.

«Chi, io? » Si indica come si indicherebbe un cartellone stradale, ancora con gli occhi sbarrati, la maglietta sul porpora che fa risaltare le guance arrossate e le labbra rosee.

Lydia scuote la testa. «Tu, Stiles.» Si avvicina un po’ di più a lui, Stiles indietreggia, va a sbattere contro un mobiletto, le sue braccia si muovono all’improvviso, dei fogli cadono a terra. «Ti ricordi che cosa mi hai detto al ballo? »

Stiles torna a guardarla, il respiro pesante come se avesse corso, poi stira le labbra, si gratta la testa. «”Vado a prenderti un po’ di punch?”»

«No, la cosa più importante che mi hai detto, Stiles.»

Stiles aggrotta la fronte, il respiro sembra tornare normale, le braccia gli cadono lungo i fianchi. «Lydia, ti amo dalla terza elementare. E so che da qualche parte dietro quella ruvida corteccia senza vita c’è un’anima umana. E penso di essere l’unico a sapere che tu sei molto intelligente e che quando smetterai di fingerti un’oca, probabilmente scriverai un geniale teorema matematico e vincerai la medaglia Fields.» La sua voce trema.

«In realtà hai detto “premio Nobel” invece di medaglia Fields. »

«E tu mi hai detto che il premio per la matematica non è quello. Ti giuro che non me lo scorderò mai. »

Lydia si trattiene dal mordersi le labbra, è come se stesse per piangere, si sente lo stomaco rivoltarsi da ogni parte ma stranamente sembra… piacevole.

«E ti ricordi ho cosa ho fatto dopo che me l’hai detto? »

 Stiles sorride, e lo fa in un modo che sembra cantare anche se resta in silenzio. Come se fosse solo mentre si riempie di un piccolo istante di gioia. «Hai ballato con me.»

«E ti immagini ora che cosa posso fare?» Lydia fa un altro passo, altri due passi, e lui non si scosta.

Stiles ha la stessa espressione di quando il professor Harris lo ha interrogato su un capitolo che non aveva assegnato.

«Non ne ho la più pallida idea.»

Lydia gli si avvicina ancora di più. La stoffa liscia del vestito sfiora le ginocchia di lui, lei avvicina le mani al suo viso, gli tocca appena le labbra, la guancia, ferma le mani sulla sua nuca. Poi chiude gli occhi e si alza sulle punte, Stiles profuma di aghi di pino e caramelle gommose. Lydia lascia che il buio la guidi verso le sue labbra e lì si ferma, al suono del respiro di lui che sembra essere stato risucchiato via. Scende a toccarlo sulla schiena e trova le sue mani, se le posa sulle spalle e lo bacia ancora. Lo bacia. Lo stomaco continua a rivoltarsi, fa capriole, salti, e lei lo bacia, e lui la bacia e Lydia può sentirlo tremare. Si stacca da lui per prendere fiato, fronte contro fronte, lui chino su di lei perché più alto, anche se lei ha i tacchi. In fondo Lydia ha sempre intuito che sarebbe stata più bassa rispetto al resto delle ragazze.

Stiles ha le palpebre socchiuse. «Sei un sogno, Lydia.»

Lydia lo abbraccia e non sa per quanto tempo resta così, lui è teso come se fosse un palo ma va bene, è Stiles, è sempre lui. E poi Lydia gli dà un bacio, e poi un altro, e poi lei apre gli occhi e vede che Stiles è rosso anche sulle labbra, e sulle guance, ed è bello, Stiles. Con quegli occhi dello stesso colore del whisky e il sorriso di chi non capisce niente ma capisce lei e legge lei e ama lei. La sua stanza è vicina. Lydia apre la porta, lo spinge sul letto, si toglie le scarpe, torna a baciarlo. Lo bacia sulle labbra, sulla guancia, sul collo, con le mani cerca la sua pelle sotto la maglietta.

«OH LYDIA, TI AMO. TI AMO SUL SERIO E OH MIO DIO. Aspettavo questo momento da troppo, troppo tempo, oddio, Lydia, non che aspettassi solo questo… » Stiles abbassa gli occhi e si morde le labbra, come se non trovasse le parole. «Mi dispiace, avrei voluto prepararmi, essere pronto… ma non è che deve per forza succedere, non è che deve per forza…»

«Non vuoi che succeda, Stiles?» Lydia si toglie la frontiera e la butta sul pavimento.

«Oh… oddio, sì che voglio, è solo che io non… io non…»Lydia increspa le labbra, si sbottona il corpetto. «… Io volevo studiare per tutte quelle cose che servono, tipo dove si trova il punto G o roba del genere ma non ho avuto per niente il tempo fra Scott che cercava di uccidermi e poi qualcun altro che cercava di uccidermi…»

«… trovare il punto G?»

A Lydia era arrivata voce che gli interessi di Stiles fossero fuori dal comune, cose come la circoncisione maschile e le varie fasi lunari e la migrazione dei lupi in California ma… questo, no, non aveva minimamente sfiorato la sua mente.

Stiles annuisce.

Lydia si sdraia accanto a lui e sta tremando. Sta ridendo come non ha mai riso in vita sua.

 «Stiles…»

«Scott non lo sa… voglio dire, è un segreto.»

Stiles è così serio.

Non ci credo.

«Lydia?»

«… un segreto?» Lydia apre le braccia ad accarezzarsi i capelli. «È questo il tuo segreto?»

Stiles si mordicchia il labbro, si passa una mano fra i capelli che Lydia ha scoperto essere morbidi, i suoi occhi sembrano lucidi come se avesse bevuto un po’. «C’è chi ha il segreto di essere un licantropo…» La sua voce cala di colpo, come se si vergognasse.

«Stiles.» Lydia si mette seduta. «Sai qual è il mio segreto? » Lydia gli stringe una mano nella sua e lui sembra prendere colore tutto in una volta solo perché lei l’ha toccato.

«Se vuoi dirmelo…»

Lydia abbassa leggermente il viso, lascia che i capelli le cadano tutti dalla parte sinistra, gli accarezza la spalla. «Soffro il solletico.»

«Il solletico?» Stiles sorride in un modo che sembra abbracciarla.

«Sì, sui fianchi.»

Stiles continua a sorridere, arrossisce. «Qua?» La tocca sulla gonna, proprio dove si trovano i fianchi.

Lydia sente un brivido anche se sembra fare caldo.

Non ci credo.

«No, sulla pelle.» Guida la mano di Stiles sotto la gonna e la ferma sul fianco, quando alza gli occhi lo vede: gli occhi lucidi, le guance rosse sulla pelle chiara, le labbra umide e piene. «Qui.»

Stiles sorride, gli suda la fronte. Lydia non l’ha mai visto così nervoso.

«Quindi… così?» Stiles batte le dita una, due volte, Lydia trattiene un gridolino e Stiles continua anche dall’altro lato.

«Smettila!»

«Pensavo che…»

«Non pensavi niente.»

«Io…»

«No, davvero, Stiles. Sta’ zitto.»

«No, davvero, Lydia, puoi stare qui e raccontarmi qualunque tipo di segreto. Possiamo stare qui a parlare TUUUUUTTA la notte, no problem, ci chiudiamo a chiave e mio padre tornerà solo domattina quindi… »

«Stiles! ZITTO! Non parlare! »

«Non vuoi parlare? Vuoi ecco… tu vuoi… Scusa, scusa… Non volevo essere invadente… vuoi andare a casa? Ah no… non ti sto cacciando, non pensare che io ti stia cacciando…»

«Non ci credo…»

«A cosa non credi?»

«Che mi sono innamorata di te e ti amo, ora, da non so quando e tu sei un deficiente, Stiles… Mi hai salutato ogni volta che eri nelle vicinanze con quella voce simile alla sirena dell’auto di tuo padre anche se ti ho sempre ignorato. Hai passato giorni a dormire in ospedale quando ero ricoverata. Ogni volta che urlo e vedo cose che non esistono tu mi abbracci e non mi lasci mai sola. Non so proprio come tu faccia ad essere così deficiente e a parlare troppo ma io ti amo, Stiles, e mi fa strano ripeterlo. Quindi basta.»

Un secondo di silenzio.

Non ci credo.

Sorride.

Due secondi di silenzio.

Non ci credo.

Sorride ancora di più.

Tre secondi di silenzio.

 Non ci credo.

«ODDIO, WOW, EVVAI, CIOE’, ODDIO. »

«Ok.» Lydia fa un respiro profondo, lascia che un altro bottone venga fuori dalla cucitura. « Puoi fare l’amore con me, poi portarmi sulla ruota panoramica del lunapark che verrà montato domani e indicarmi la panchina su cui ero seduta quando ho notato per la prima volta che esistessi perché, Stiles, non dimenticherò mai il sapore dolce di quella sera. Poi puoi portarmi a fare il bagno in una piscina possibilmente senza cadaveri intorno e dire a tutti che stiamo insieme perché era destino.» Lydia torna a respirare. Inclina la testa. «Da che cosa vuoi cominciare?»

Stiles prende un respiro profondo, si avvicina sempre di più a lei. Scuote la testa. «Io vorrei tanto baciarti, Lydia.»

Si dice che gli artefici della nostra felicità siamo noi stessi. Nasciamo come costruttori e mettiamo insieme i tasselli per costruire una muraglia alta e resistente. Ma c’è chi è troppo debole per erigere una muraglia troppo alta, chi è troppo maldestro e la farebbe crollare con qualche mossa sbagliata. C’è chi non sa come si fa il cemento e  chi ha dimenticato di occuparsi delle fondamenta. C’è chi, nonostante sbagli tutto, può essere felice e può essere aiutato ad esserlo. Ci sono dei pezzi di felicità che, sì, sono completamente nostri, ma provengono dal cuore di qualcun altro.

Lydia lo tira per la maglietta.

Stiles rotola su di lei, Lydia rotola su di lui e cadono l’uno sull’altro. Le fa male la testa mentre accarezza la schiena di Stiles e gli toglie la maglietta, e lui ci mette due ore a togliere e a maledire quel corpetto che ha comprato proprio lui. Lydia inarca la schiena, sorride e si rende conto, più con sorpresa che con altro, che il sorriso che aleggia sulle sue labbra non pesa più.

Questa volta è Stiles a baciarla, e lo fa in un modo intenso e dolce che sembra stordirla un po’. Ed è proprio lui, Stiles, una volta bambino dagli occhi del colore del whisky, ora ragazzo con gli stessi, splendidi occhi, ad essere il pezzo di felicità che da quel giorno ha fatto parte di lei. Lydia sente una lacrima che le cade dagli occhi, ma non ha paura di non essere bella mentre piange, perché nello stesso momento sta anche sorridendo. Sorride mentre si accorge, gli occhi chiusi e le sue mani e il suo sorriso, che i baci di Stiles sanno di zucchero filato.

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Ciao a tutti! <3 Ringrazio tanto nes_sie per aver betato questa storia, dando dei consigli che mi sono stati molto utili e Noemi (Postergirl) <3 per aver indetto questo contest "La fiera degli OTP". Ho adorato scriverla, ho adorato Stiles (di cui sono tremendamente innamorata), Lydia e... loro due insieme. Sono sicura che Lydia capirà che lo ama e magari succederà una cosa del genere, e lei si accorgerà che i baci di Stiles sanno di zucchero filato. *Fangirlamento mode on*

Grazie mille per aver letto, spero davvero che vi sia piaciuta :)

Un bacio

Ania <3

   
 
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