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Autore: Malvagiuo    17/07/2013    4 recensioni
Il mondo è divenuto un luogo desolato e pericoloso, dove gli ultimi sopravvissuti - riuniti in un'organizzazione conosciuta semplicemente come la Comunità - combattono con ogni mezzo per restare vivi. I rapporti personali sono severamente proibiti, ma questo non impedirà al capitano Alice e al suo subordinato Rob di intrattenere una relazione illecita. Ma i tempi in cui vivono Alice e Rob non consentiranno loro di scoprire la felicità.
Genere: Dark, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminavano nella boscaglia da più di un’ora. Alla fine, Jerry fece la domanda che Alice temeva più di ogni altra.
«L’hai fatto?»
Alice avrebbe voluto colpirlo, così forte da rompergli il naso e farlo sanguinare.
«Ho fatto quello che dovevo».
Alice non poteva vederli, ma sentiva che i suoi compagni si erano scambiati un’occhiata dubbiosa. Non credevano al loro capo. Aveva perso la loro fiducia. Forse avevano perfino capito come stavano le cose tra lei e Rob. Se davvero le cose stavano così, i giorni a venire sarebbero stati molto difficili.
 
La convocazione non colse Alice di sorpresa. Erano tornati alla Comunità da due giorni, aveva consegnato la pistola motivando il proiettile sparato come difesa necessaria, e aveva atteso. Infine, ecco la chiamata. Avrebbe dovuto rispondere delle sue azioni al Consiglio.
Il capannone del tribunale era un edificio di lamiera allestito per accogliere il maggior numero possibile di persone. Un tempo, tutta la popolazione della Comunità poteva trovare un posto all’interno. Ora, gli abitanti della zona sicura ne superavano la capacità massima. Il Consiglio riportava spesso quel dato di fatto come prova dell’efficacia della propria politica di sviluppo.
Era un luogo spoglio, a tratti lugubre, illuminato da una serie di lampade al neon sul soffitto che generavano un sinistro gioco di luci e ombre. I seggi rialzati del Consiglio erano disposti in fondo all’estremità sud dell’edificio, quella opposta rispetto all’ingresso. L’imputato doveva percorrere a piedi il capannone in tutta la sua lunghezza prima di sedersi e sottoporsi al giudizio della corte. L’ultima lampada al neon, quella che illuminava la sede del giudizio, era sistemata in modo tale da investire di luce l’interrogato e avvolgere i giudici in una penombra soffusa.
Erano quattro, tutti uomini. Alice non riusciva a distinguere con esattezza i loro lineamenti. Ognuno sembrava avere più di cinquant’anni.
«Esponi i fatti avvenuti nel corso dell’ultima spedizione dal tuo punto di vista» esordì un giudice.
Alice raccontò tutto con dovizia di particolari, finché non arrivò agli ultimi momenti trascorsi con Rob. Non sapeva mentire. Qualunque bugia avesse inventato, il Consiglio l’avrebbe smascherata. Tanto valeva ammettere la propria debolezza e subirne le conseguenze. E così fece.
«Hai commesso due gravi crimini» disse il giudice più a destra. «Due crimini strettamente legati. Un’ennesima dimostrazione della necessità di insistere sulla privazione del libero accoppiamento. Se il capitano Alice si fosse attenuto alla norma che vieta la scelta di un compagno non approvata dal Consiglio, il secondo crimine, di gravità ben  maggiore, non sarebbe stato commesso. La tua infatuazione per il soldato Rob ti ha impedito di fare quello che andava fatto, consentendo a un nuovo ritornante di camminare sulla nostra terra, rafforzando le fila dei nostri nemici. La colpa ricade su di te».
«Una colpa che deve essere espiata» proseguì il giudice al suo fianco. «Non possiamo tollerare simili mancanze. Prima di esser privata del rango di capitano, dovrai fare da esempio per gli altri capitani, onde evitare nuovi imperdonabili errori. Non hai ucciso il ritornante quando ne hai avuta l’occasione. Dovrai farlo ora. Sarai bandita fino al giorno in cui non ci porterai la testa del soldato Rob».
«Quanti a favore del provvedimento?»
Tutte e quattro le mani si alzarono all’unisono.
 
Rob aprì gli occhi.
Buio. Luce a sinistra.
Con fatica, si alzò a sedere. Girò la testa verso la luce. Sentì un richiamo irresistibile verso l’esterno. Si alzò. Con una certa fatica, avanzò e abbandonò il buio. Verde dappertutto. Verde piccolo sotto i piedi e verde grande di fronte a sé. Odori. Tanti odori. La sua mente, molto ridimensionata, non poteva più focalizzarsi su tutti e attribuirli a elementi distinti. Era però in grado di concentrarsi su uno di essi e seguirlo finché non trovava qualcosa di più interessante.
Una traccia colpì subito la sua attenzione. Lo circondava, ne aveva addosso molta. Proseguiva sul verde piccolo e si inoltrava nel verde grande. Ansimò e inspirò forte, concentrandosi.
Poi iniziò a correre.
 
Alice sapeva che il gelo che sentiva era dovuto solo in parte alla notte fredda. La foresta era cupa e tenebrosa, ma l’angoscia che la divorava aveva poco a che vedere con questo. Fissò la lama affusolata che teneva tra le mani. Gelida e lucida, era l’unica arma che le era stato concesso portare con sé al momento della partenza. Non le avrebbero mai restituito la pistola: date le scarse probabilità di successo, non avrebbero permesso che privasse la Comunità di una preziosa arma da fuoco.
Doveva dare la caccia a Rob. Per darsi forza, rievocava con ossessione un pensiero: ciò a cui dava la caccia non era più Rob, non era più un umano, ma qualcosa di completamente diverso. Cacciava un ritornante, un essere aberrante e incomprensibile, privo di anima e pericoloso più di qualsiasi altra creatura nel mondo. Non c’era spazio per la compassione. Tuttavia, Alice non era pentita per non aver spezzato il collo di Rob quando se ne era presentata l’opportunità: quando gli aveva stretto la testa fra le mani, appoggiandosela sulle gambe, era ancora accanto a Rob, lo stesso Rob che lei amava e da cui era amata. Era felice di non aver obbedito al protocollo e di non essersi sporcata del suo sangue.
Ma adesso era diverso, ed Alice ne era convinta.
Non l’avrebbe più nemmeno chiamato Rob. L’essere che cercava era un mostro. E i mostri, dagli albori della storia, si eliminano.
 
Era vicina. La traccia era a poche centinaia di metri.
C’erano tantissime altre scie che tentavano di catturare la sua attenzione, ma solo una era così inebriante da rendere impossibile distaccarsene. Rob inspirò a pieni polmoni. Quell’odore lo ossessionava, non poteva pensare ad altro. Se fosse stato ancora in grado di descriverlo, avrebbe utilizzato una sola parola: rosso. Quando lo percepiva, il rosso gli riempiva gli occhi, immaginava volute di fumo rosso che lo circondavano e lo conducevano verso una fonte indistinta. Qualsiasi cosa fosse, voleva possederla, inglobarla, farne parte permanente di sé.
Solo pochi metri lo separavano dal suo desiderio.
 
Era vicino. In lontananza, Alice avvertiva i suoi passi sulla radura ricoperta di foglie. Movimenti barcollanti ma ostinati, che lasciavano pochi dubbi sulla natura dell’essere che si stava avvicinando. Se fosse Rob o qualcun altro, Alice non poteva saperlo, ma l’avrebbe appurato presto. Se anche non fosse stato Rob, avrebbe squarciato la gola di chiunque le si fosse parato innanzi, e l’avrebbe pugnalato al cranio ancora, e ancora, e ancora. Anche tutta la notte, se necessario. E avrebbe fatto lo stesso con ogni individuo che avesse incontrato sulla propria strada, vivo o ritornante. Gliel’avevano portato via, era stata colpa di entrambi. E per questo li avrebbe fatti soffrire.
Odiava i vivi, odiava i ritornanti, odiava Rob e, più di ogni altro, odiava se stessa.
Immersa nei suoi pensieri di collera, Alice si era distratta per pochi secondi. Erano stati sufficienti. I rumori erano scomparsi.
Si maledisse per la propria stupidità e aguzzò lo sguardo. Era nascosta tra le fronde di un noce, in modo da poter calare sulla preda dall’alto. Era una buona strategia, ma la visibilità era limitata. Senza contare il fatto che bisognava avere la fortuna che la vittima passasse proprio sotto quella postazione. Quest’ultimo inconveniente, tuttavia, poteva essere rimediato in diversi modi. Con un’esca, per esempio.
Era il momento di cacciare. Alice estrasse il pugnale e appoggiò la lama sul palmo della mano sinistra. Un movimento fluido e un rivolo di sangue colò dalla mano fino in terra.
Non avrebbe potuto aspettarsi una reazione più immediata. Non appena il sangue era entrato in contatto con l’aria, una belva dalle fattezze umane si era aggrovigliata al tronco dell’albero, graffiandolo e mordendolo con una ferocia inconcepibile per una persona normale. Le unghie e i denti affondavano e si spezzavano contro la superficie ruvida del noce, nel disperato e convulso tentativo di scalarlo e raggiungere Alice. I gorgoglii dell’essere facevano accapponare la pelle, ma la cosa più terribile erano gli occhi. Vuoti, bianchi, selvaggi. Nessuna anima, nessuna volontà. Puro istinto di uccidere.
Una sola cosa era più spaventosa di quegli occhi: la consapevolezza che appartenevano a Rob.
Lo schianto contro l’albero era stato così improvviso e inaspettato che nemmeno i nervi d’acciaio di Alice erano bastati a evitare di farla sobbalzare. Nel sussulto di spavento, la presa si era allentata e il coltello era scivolato a terra.
In quel momento, Alice capì che la sua vita sarebbe finita quel giorno. Forse, non c’era stata speranza fin dall’inizio. Ma, come accade sempre quando non c’è via d’uscita, Alice intuì cosa doveva fare. Non appena quel pensiero le si delineò chiaro nella mente, ogni cosa divenne più facile.
Era finita, tutto qui. Niente più odio, niente più lotta, niente più dolore. Solo una nuova strada di fronte a sé, un nuovo inizio. In un momento simile, non avrebbe mai pensato di poter sorridere. Comprese subito perché stava sorridendo: la sua vita sarebbe finita con quella di Rob, ma, dopo, sarebbero stati di nuovo insieme. La morte diventava vita. Perché aspettare?
Il suo corpo crollò addosso a Rob, un peso sufficiente per farli stramazzare entrambi al suolo. Rob si dimenava sotto di lei. La sua mano frugò fulminea in mezzo alle foglie. Sentì la sua carne che veniva dilaniata dalle fauci dell’uomo che aveva amato. Un pezzo alla volta, morso dopo morso. Finalmente, le sue dita sfiorarono un oggetto duro e liscio. Lo strinse in una morsa e lo sollevò per quanto glielo consentivano le ferite. Quando si abbassò e penetrò a fondo nella sua orbita destra, il suo cuore fu travolto da un sentimento complesso. Era libera, ma dannata. Felice, e al tempo stesso affranta. Innamorata, eppure furibonda.
Rob sussultò un’ultima volta. Poi fu immobile.
Era rimasta solo lei.
E il pugnale ancora conficcato nell’occhio di Rob.
Non avrebbe mai trovato la forza di pugnalarsi da sola, inutile anche solo tentare. Non aveva a disposizione nessun metodo efficace per uccidersi in maniera definitiva. A quanto pareva, la attendeva una vita intermedia prima di potersi ricongiungere a Rob. Chissà quanto tempo ci sarebbe voluto, prima che qualcuno la liberasse per sempre delle sue spoglie terrene.
Chissà...
   
 
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