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Autore: Alley    17/07/2013    0 recensioni
Nabi era uno scrigno pieno di tesori accuratamente sigillato. Eirene aveva dovuto faticare per schiuderlo e alla fine era riuscita a dare soltanto una fugace occhiata al suo interno, ma la luce che aveva scorto era stata tanto intensa da abbagliarla.
["E l'eco rispose"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Ma, a rischio di sembrare incontentabile, mi prendo la libertà di chiederle due cose (...). La prima è di seppellirmi nel cimitero di Ashuqan-Arefan, qui a Kabul. Dall'entrata principale si diriga verso l'estremità nord: se si guarda attorno per un momento, troverà la tomba di Suleiman Wahdati. Mi trovi un posto vicino a lui e là mi seppellisca.
Questo è tutto ciò che chiedo per me stesso"


Il cimitero di Ashuqan-Arefan è grigio e spento, persino i colori dei fiori sembrano sbiaditi. A Kabul tutto è più lugubre e disperato, anche la morte pare più nera e penosa.
- Da questa parte -
Markos avanza e svolta verso l’estremità nord della necropoli. Eirene fissa la sua schiena per un istante, un istante in cui il silenzio e l’angoscia di cui l’aria è pregna la immobilizzano, poi si scuote e si obbliga a seguirlo. Le lapidi scivolano davanti ai suoi occhi come un panorama in movimento, un fiume di nomi, date ed iscrizioni celanti storie sconosciute e diverse, sì, ma con un denominatore comune: il dolore.
- Eccola -
Markos si ferma di botto e Eirene quasi gli sbatte contro.
La tomba è austera e spoglia, le ricorda incredibilmente l’uomo che Nabi è stato. La scruta, l’accarezza con lo sguardo e le sue dita si stringono attorno agli steli dei girasoli che ha acquistato. Non è stato facile trovarli, s’è dovuta inoltrare fino al cuore della città. Markos non voleva che lo facesse. Nelle ultime settimane gli attentati contro volontari ed attivisti sono raddoppiati e non è saggio allontanarsi dal quartiere. In realtà nemmeno uscire di casa lo è, ma se se ne stessero chiusi tra le quattro mura di villa Wahdati non sarebbero d’alcun aiuto.
Markos si china e sfiora piano la lapide. Conosceva Nabi da molti più anni di lei e gli voleva bene come fosse un fratello. Anche lui gliene voleva, malgrado non lo desse a vedere. Nabi era uno scrigno pieno di tesori accuratamente sigillato. Eirene aveva dovuto faticare per schiuderlo e alla fine era riuscita a dare soltanto una fugace occhiata al suo interno, ma la luce che aveva scorto era stata tanto intensa da abbagliarla.
È quando Markos si solleva ed arretra che Eirene lo nota.
- Markos? –
L’uomo si volta mentre Eirene aggrotta la fronte. Potrebbe trattarsi di un dettaglio casuale, non sa nemmeno perché se ne sia accorta e per quale motivo la cosa la incuriosisca a tal punto.
- Tra tutte le tombe c’è una distanza regolare… -
Uno spazio ampio, una disgiunzione, un vuoto. Tra le due che le stanno dinnanzi, invece, c’è soltanto una sottile striscia di terra e Eirene ha la sensazione, immotivata e irrazionale, che non le divida, ma le distanzi soltanto. Sembra che tendano l’una verso l’altra, quasi aspirassero a ricongiungersi.
- …perché la lapide di Nabi è così vicina a quella di… -
Le parole le muoiono in gola e sente gli occhi gonfiarsi di lacrime, mentre i girasoli sfuggono dalle sue dita e scivolano sul terriccio.


***


- Benvenuta, Eirene -
Gli occhi di Markos Varvaris sono cristallini come le acque dell’Egeo. Il suo Greco pare quello di uno straniero, macchiato dalle miriadi di cadenze acquisite durante gli infiniti viaggi e le lunghe permanenze nei paesi più disparati, ma la sua accoglienza e la sua stretta di mano sanno comunque di casa.
- Finalmente avrò qualcuno con cui parlare la mia lingua -
Eirene sorride e varca la soglia di casa Wahdati.

- Eirene, ti presento Nabi -
Nabi è un uomo piccolo e fragile, col viso sottile e il capo stempiato. Quando allunga il braccio per porgerle la mano, pare sul punto di spezzarsi. I suoi occhi, tanto scuri quanto quelli di Markos sono chiari, brillano di una luce garbata ma diffidente e la sua stretta è cordiale ma guardinga, scevra del calore di cui quella di Markos era colma.
- Piacere di conoscerti, Nabi jan – gli dice, rispolverando il farsi che ormai non parla più da anni, ma sa che utilizzare la sua lingua non basterà ad abbattere le barriere.
- Piacere mio –
Il tono è educato e distaccato e Eirene vi coglie una malcelata nota di soggezione, ma non di biasimo. Non c’è quella fredda e implicita accusa che gli Afgani sono soliti rivolgere alle donne straniere, alle donne che indossano il burka soltanto per essere accettate nel loro paese, che camminano a testa alta e guardano gli uomini negli occhi, senza pudore e senza sudditanza, come fossero loro pari.  
- Grazie per avermi accolta in casa tua -
Nabi annuisce e sorride, un sorriso scarno e tirato. Si volta e si allontana senza aggiungere altro. Non parlerà più con Eirene per tanto, tanto tempo. Fino a quella sera.

Eirene soffre d’insonnia.
Da quando è arrivata a Kabul ha passato metà delle notti a leggere e l’altra metà a pensare. Pensa ad Atene e si chiede, con un pizzico di rimorso, se le manchi. Da quanti anni è lontana dalla sua terra? Quattro, cinque? Forse di più. Sarebbe naturale sentirne la mancanza, sarebbe giusto. Non è sicura che parlare di giusto o sbagliato sia appropriato, quando si tratta di sentimenti, ma sa che se rivelasse a qualcuno che non nutre affatto il desiderio di tornare a casa sarebbe giudicata male, insensibile e senza cuore. Atene non le manca, questa è la verità, ed è scomoda e amara come soltanto la verità sa essere.
Non le manca ciò che Atene è diventata, ma quel che è stata un tempo sì. Nell’ammasso di caos, sfiducia e miseria raccontato da televisioni e giornali non riconosce la città in cui è nata e vissuta. Quando, pochi mesi prima, i suoi genitori hanno lasciato la Grecia, Eirene ha sentito che il legame con la sua terra era spezzato per sempre. Uno strappo netto.
Quella sera tocca alla lettura.
L’Atene del passato le è sempre mancata, anche prima della crisi che la sta trascinando verso una rovina lenta ma inesorabile. L’Atene dell’arte e della cultura, l’Atene splendente e rigogliosa di Pericle e Temistocle, l’Atene degli dei e dei sofisti. Da ragazza, ha cercato di colmare questa mancanza dedicandosi a tutto ciò che costituiva un legame con quei gloriosi trascorsi. Così ha finito per innamorarsi delle tragedie di Euripide e della prosa platonica e quando ha lasciato la città, anche se allora non sapeva che fosse per sempre, si è portata dietro le tracce di un passato che ama molto più di quello che ha vissuto in prima persona. A volte lo ama addirittura più del presente.
Un rumore di passi, leggero come un soffio di vento, interrompe il flusso dei suoi pensieri e Eirene stacca gli occhi dalle pagine.
- Nabi jan -
Lei e Nabi vivono nella stessa dimora da mesi, ma sono due estranei. Dal giorno in cui si sono presentati, Nabi non le ha più rivolto la parola. Quando Eirene gli pone una domanda, si limita a scuotere il capo o ad annuire, al massimo emette qualche suono indistinto. Markos le ha detto che, all’inizio, si è comportato allo stesso modo anche con Amra e tutt’oggi è schivo e sfuggente anche con lei e con tutte le altre volontarie che passino per villa Wahdati.
- Cosa ci fai in piedi a quest’ora? -
Nabi la fissa in silenzio per qualche secondo, poi distoglie lo sguardo. Eirene ne segue la traiettoria e scopre che sta guardando il libro che tiene in grembo.
- La notte è fatta per dormire -
Il suo tono non è deplorante né ironico, ma piatto, stanco, e per un lungo attimo la donna resta muta, senza sapere cosa dire. Nel frattempo, Nabi avanza e assottiglia lo sguardo per focalizzare il titolo sulla copertina.
- Sono i caratteri della mia lingua - gli dice e Nabi annuisce appena.
- Li ho visti sui libri di Markos –
Eirene non è tanto sprovveduta da credere che possa prender posto sul sofà accanto a lei, ma spera almeno che si accomodi su una delle sedie che accerchiano il tavolino. In realtà, dubita che voglia restare lì, con lei, e non soltanto per una questione di decoro. È sicura di essere, per il padrone di casa, un fantasma del tutto privo di interesse.
- Che cosa leggi? -
La domanda la coglie a tal punto di sorpresa che Eirene ha bisogno di diversi secondi per riuscire ad articolare la risposta.
- Il Simposio. È un dialogo di Platone -
Dubita che Nabi lo conosca e la sua espressione perplessa conferma i suoi sospetti.
- È un filosofo. È vissuto ad Atene nel quinto secolo avanti Cristo -
Nabi resta in piedi e continua a contemplare la copertina. Pare interessato e Eirene decide di sfruttare l’occasione. Mal che vada, l’uomo girerà i tacchi e continuerà ad ignorarla per il resto della sua permanenza.
- L’argomento di cui tratta è l’amore, eros. Ciascuno dei personaggi lo celebra attraverso un encomio. Sono tutti discorsi molto belli. Il mio preferito è quello pronunciato da Aristofane, il mito degli Androgini -
Nabi annuisce alla sua solita maniera, piegando il capo in maniera tanto impercettibile che è difficile stabilire se si tratti di un gesto d’assenso o di un movimento casuale.
- Ti andrebbe di raccontarmelo, Eirene? -
La donna non sa se a stupirla maggiormente sia stata la richiesta o l’esser chiamata per nome.
Nel giro di un minuto, Nabi l’ha lasciata a bocca aperta per ben tre volte. Forse non è così brava come vorrebbe credere a capire le persone. O forse quell’uomo è più imprevedibile di quanto pensasse.
- Certo -
Eirene prende a raccontare. Parla delle creature che abitavano la terra in origine, formati da due degli essere umani attuali, muniti quindi di due paia di braccia, di gambe, di occhi. Parla della loro tracotanza e della punizione inflittagli da Zeus, della pietà provata dal padre degli dei per la loro sofferenza e della possibilità offerta loro di accoppiarsi, per evitare l’estinzione della razza umana.
L’espressione di Nabi è indecifrabile e Eirene si chiede cosa ne pensi. La biasima per aver avergli riferito una leggenda pagana? Trova blasfemo quello sta ascoltando?
- Continua pure -
Eirene s’accorge soltanto davanti a quell’esortazione d’essersi fermata. La voce del vecchio è flebile e accomodante, e sincera. Vuole davvero che prosegua. La giovane cessa di porsi domande e riprende.
- Per Aristofane, amore è aspirazione all’intero, è desiderio di ricongiungimento. È riunirsi alla propria metà dopo che ci è stata strappata -
Eirene tace ed è sicura, assolutamente sicura, d’aver visto Nabi trasalire. Ha tremato come una foglia secca travolta da un’improvvisa folata ed è parso di nuovo sul punto di spezzarsi, come il giorno in cui è arrivata a villa Wahdati e le ha porto la mano. Eirene ha la sensazione che la fragilità dell’uomo abbia molto più a vedere con la sua anima che con il suo corpo.   
Non sa per quale motivo quelle parole l’abbiano scosso, ma il sussurro tremolante e agitato con cui si congeda prova che non s’è trattato solo di una sua impressione.
- Grazie, Eirene – mormora, tanto piano che Eirene riesce a sentirlo a malapena - Grazie per avermi narrato questa storia -
Si volta e lascia il salotto senza aggiungere altro.

Da quel giorno, Nabi e Eirene cessano di essere due estranei.
La mattina successiva, quando lei, prima di uscire, gli domanda se abbia bisogno di qualcosa, Nabi accantona gli stringati monosillabi utilizzati fino a quel momento e le elenca quello di cui la dispensa è carente. Quando Eirene rincasa, la aiuta a sistemare la spesa malgrado le sue proteste.
Il mattino seguente, vanno a fare compere assieme. Eirene, ancora una volta, prova ad opporsi, ma inutilmente. Nabi insiste, lo fa senza arroganza ma con ostinazione, e alla fine la donna è costretta a cedere. Come ogni giorno, Eirene fa per imboccare la scorciatoia che si dipana dal retro della villa, ma Nabi le chiede di percorrere la strada principale, quella più lunga. La donna gli domanda se se la senta di camminare tanto e Nabi annuisce, risoluto, e compie i primi passi. È chiuso in casa da troppo tempo, dice, e passeggiare gli manca tanto. Un tempo, prima che Markos e gli altri volontari arrivassero, lo faceva ogni mattina. Usciva di casa all’alba e camminava, cammina, senza mai stancarsi. La note di malinconia che vibra nella sua voce porta Eirene ad ammutolire.
Lei e Nabi camminano uno accanto all’altro, in silenzio, fino al mercato. Il vecchio ha il capo chino e le spalle curve, come se su di lui gravasse un peso insostenibile. I pensieri sono i più pesanti dei macigni.

Nabi e Eirene si occupano assieme di villa Wahdati. Eirene ha perso il conto delle volte in cui gli ha proposto di lasciare a lei tutto il lavoro, ma Nabi non vuole sentire ragioni. Quella casa è stata tutta la sua vita, niente e nessuno gli impediranno di continuare a riverirla. È un suo dovere e un suo diritto.
Malgrado Eirene viva lì da quasi un anno, comincia a notare soltanto adesso il modo in cui Nabi se ne prende cura. L’ha sempre visto occuparsene, naturalmente, ma non come lo faceva, e ancora una volta si rende conto di non essere l’infallibile osservatrice che s’è sempre ritenuta. Nabi maneggia ogni oggetto con la premura e la delicatezza che si riservano alle reliquie, accarezza le piante del giardino come fossero bambini, sistema ogni cosa al suo posto con precisione quasi maniacale, e Eirene si sente piccola e inadeguata ogni volta che riordinano, spolverano o cucinano assieme. Il suo impegno sbiadisce davanti all’amore e alla totale devozione che riempiono ogni gesto di Nabi. L’energia che sprigiona quando si dedica alla villa è incontenibile e stupefacente, per un uomo della sua età.
Eirene racconta a Nabi degli anni trascorsi in Venezuela, poi in India e in Pakistan e in tutti gli altri paesi in cui ha cercato, nel suo piccolo, di rimediare a guerre e devastazioni. Gli parla della sua terra, della morte lenta ed atroce di cui sta morendo, ed è sicura che Nabi possa capire meglio di chiunque altro. Lui, invece, le racconta poco, e Eirene ha l’impressione che ometta volontariamente la parte più significativa del suo passato. Le parla del piccolo villaggio in cui è cresciuto, delle sue sorelle, dell’arrivo a  Ashuqan-Arefan, poi interrompe il racconto e l’ombra scura che ammanta i suoi occhi fa desistere Eirene dal chiedergli di proseguire.
- Hai un bellissimo nome – le dice un giorno, mentre potano l’erba in giardino – Pace è tutto quello che desidero, per me stesso e per il mio paese -

Alla fine, Nabi deve arrendersi. Le passeggiate diventano una fatica che non è più in grado di sostenere, villa Wahdati un onere troppo grande per continuare ad assumerlo. Farsi da parte non è una scelta, ma una necessità, ed è nel momento in cui è costretto a farlo che Nabi comincia a morire.
Trascorre le sue giornate a letto, mangia di rado e si chiude in un mutismo cocciuto. Di tanto in tanto scambia quattro chiacchiere con Markos e Eirene, ma le sue sono parole stanche e rassegnate. Eirene si ferma spesso fuori la porta della sua stanza e trova Nabi a tal punto assorto nei suoi pensieri da non accorgersi della sua presenza. Non sa da cosa provenga quella convinzione, ma è certa che il vecchio si perda nel passato che non ha mai avuto il coraggio di raccontarle.

Quella sera tocca alla lettura.
Eirene afferra il Fedone e si dirige nel salotto, avanzando con discrezione per non far rumore. Svolta nel corridoio e nota con stupore una striscia di luce filtrare dalla fessura della porta socchiusa della camera di Nabi. Raggiunge la stanza in fondo all’andito e sbircia attraverso la fenditura. Nabi è seduto sul bordo del letto, il capo chino su un mucchio di fogli ingialliti sparsi disordinatamente sul materasso. Ne afferra uno e ne lambisce l’estremità con l’indice, poi trascina il dito al centro del foglio e lo sposta piano, probabilmente calcando il contorno di quel che vi è disegnato. Eirene si sente improvvisamente a disagio. Percepisce in quella scena un’intimità tanto densa da imbarazzarla. È come se stesse leggendo le pagine di un diario senza il consenso del proprietario.
Presa dal senso di colpa, si stacca dalla porta e fa per allontanarsi, ma la voce di Nabi, dolce e serena, la richiama prima che ne abbia il tempo.
- La notte è fatta per dormire -
Eirene ricorda la prima volta che le ha rivolto quelle parole e sorride, mentre spalanca delicatamente la porta.
- Potrei dirti la stessa cosa, Nabi jan -
Resta impalata sulla soglia, esitante. Nabi la invita ad entrare con un gesto garbato.
- Perdonami, non volevo essere indiscreta -
Il vecchio scuote il capo per rassicurarla e, quando gli occhi di Eirene scivolano sui fogli sparsi sul letto, lei è di nuovo è presa dalla vergogna. Non è la vergogna vacua di chi sbircia dallo spioncino, ma quella forte e bruciante di chi ruba un segreto. S’appresta a distogliere lo sguardo, ma Nabi prende la parola.
- Puoi guardarli, se vuoi -
Eirene solleva il capo di scatto e schiude appena le labbra. Molti anni dopo, ripenserà a Nabi come all’uomo che, più di tutti, è riuscito a sorprenderla nel corso della sua esistenza.
- Siediti - le dice, indicando il materasso, ed è un’offerta che rivela la fiducia e la stima che l’uomo nutre nei suoi confronti. Eirene è orgogliosa d’esser riuscita a guadagnarsele.
I grandi fogli sdruciti ritraggono un uomo. Il tempo ha sbiadito il carboncino, ma non la bellezza delle opere. I tratti sono morbidi e definiti, straordinariamente vividi, e Eirene si ritrova a pensare che l’artista li abbia tracciati con la stessa cura con cui Nabi si è occupato di villa Wahdati. L’amore è una traccia indelebile e, malgrado in quell’anno abbia scoperto di essere un’osservatrice meno acuta di quanto pensasse, Eirene la coglie immediatamente, in quei ritratti.
Il soggetto è sempre lo stesso, Eirene ne è certa. È rappresentato di spalle, mentre è seduto al volante, in piedi davanti ai fornelli, mentre cucina, disteso sul letto, addormentato. Sono tantissimi e la giovane impiega molto tempo a guardarli tutti. Sposta la nutrita pila di disegni poggiata sul cuscino e afferra l’ultimo foglio. Ritrae l’uomo in un giardino, intento a potare l’erba. Eirene aggrotta la fronte e mette e fuoco l’immagine. C’è qualcosa di incredibilmente familiare nel suo viso, nella sua postura, nella posizione delle mani…
- Nabi -
Il vecchio annuisce e l’ombra di un sorriso aleggia sul suo volto.
- Sono molto cambiato, da allora. Non pensavo fosse possibile riconoscermi -
Il tono è leggero e gioviale, ma Eirene sente tutta la tristezza che nasconde.
- Sono bellissimi -
- Suleiman era molto bravo a disegnare. Era bravissimo –
Lui non aggiunge altro e Eirene non chiede chi fosse. Se Nabi avesse voluto svelarglielo l’avrebbe fatto molto tempo fa e qualcosa le dice che quei ritratti, in fondo, sono tutto ciò che c’è da sapere.
- Grazie per quello che fai per la mia gente, Eirene. Sei una persona buona -
Eirene poggia il disegno sul letto, assieme agli altri, e solleva lo sguardo. Nabi non le è mai parso così stanco e, quando incrocia i suoi occhi, un nodo le stringe la gola.
- Anche tu lo sei, Nabi jan -
Il vecchio raccoglie i disegni e li ammassa sul bordo del materasso.
- No, non lo sono. Ho vissuto all’insegna dell’egoismo, fin da giovane. Sono stato egoista e vigliacco, molto più di quanto tu possa credere -
Eirene vorrebbe contraddirlo, ma le parole le muoiono in gola. Sa che nulla di ciò che potrebbe dire servirebbe a cancellare quella condanna. Nabi è un uomo onesto e, se quello è il giudizio che dà di se stesso, deve esserci un fondo di verità, anche se lei non riesce a capacitarsene. Individualismo e vigliaccheria sono la negazione del Nabi che ha conosciuto. Ma chi è lei per smentirlo? Lui ha vissuto con se stesso per tutta la vita, lui conosce i suoi fantasmi ed è lui che li affronta quotidianamente.
- Mi piacerebbe leggere il libro di cui mi hai parlato quella sera -
Eirene abbandona i propri pensieri e si sforza di sorridere.
- Chiederò a Markos di procurartelo -
Un mese più tardi, dopo una lunga ricerca, Markos porta a villa Wahdati una copia inglese del Simposio. Nabi non la leggerà mai.


***


- Eirene, va tutto bene? -
La donna annuisce e si china a raccogliere i girasoli, ispirando forte per ricacciare indietro le lacrime.
- Era il proprietario? -
- Nabi ha ereditata da lui la villa -
Eirene sente il sole cocente filtrare oltre la stoffa del burka e bruciarle la schiena. Quando si solleva, vede lo sguardo di Markos saettare dalla lapide di Nabi a quella di Suleiman.
- Prima di morire, mi ha chiesto di essere seppellito accanto a lui. Era il suo unico desiderio -
Non aggiunge altro ed Eirene non pone domande. Era tutti nei disegni, non c’è nient’altro da sapere.
Avanza, supera Markos e si inginocchia tra le due tombe. Adagia due girasoli ai piedi della lapide di Nabi e due davanti a quella di Suleiman.
Sente che è giusto così.















Note
corre a nascondersi
Mettere le mani su questo libro mi sa quasi di blasfemia. Non mi azzardo nemmeno a dire che si tratta di un omaggio ad Hosseini e all'ultimo dei suoi (capo)lavori, perchè non mi sento assolutamente in grado di omaggiare un autore straordinario come lui nè un testo magnifico come "E l'eco rispose". Si tratta semplicemente di una cosa che sentivo l'esigenza di scrivere, dopo aver divorato il libro ed essermi innamorata dei suoi personaggi e delle loro vicende.
Eirene è una mia invenzione. Ammetto candidamente che d'averla creata e utilizzata per narrare la storia dal mio punto di vista. La storia di Nabi è quella che più mi ha colpito e desideravo raccontarla con parole mia. Ho cercato di attenermi a quanto è scritto nel libro, ma è probabile che ne abbia fornito un'interpretazione leggermente faziosa. Non faccio menzione a Nila e mi rendo conto che questa potrebbe essere ritenuta una mancanza, ma è il rapporto con Suleiman quello che mi ha toccata e mi ha indotta a riflettere e, pertanto, è su quello che mi sono concentrata. Non ho inserito l'avvertimento slash perchè non mi sembra opportuna una classificazione così netta, per un rapporto di quel tipo. Anche in virtù di com'è stato raccontato da Hosseini, preferisco di gran lunga dar spazio alla libera interpretazione, mia e di tutti coloro che abbiano letto il libro.
Un paio di precisazioni:
- Il titolo della storia, nonchè nome dell'OC da me creato, significa "pace". La scelta di scriverlo in Greco è un duplice omaggio: alla mia ex insegnante di Latino e Greco, la cui nipotina portava questo nome (è grazie a lei che ne ho scoperto l'etimologia) e ad una lingua che mi ha dato moltissimo a livello culturale ed umano. Non so per quale oscuro motivo non ci sia lo spirito, ma purtroppo non sono in grado di aggiungerlo. Chiedo venia a tutti i conoscitori e gli amanti della lingua.
- Il "Simposio" e il "Fedone" sono due dialoghi di Platone. Ho riflettuto a lungo su quanto potesse essere opportuno inserirli in questo contesto ed ho temuto che stonassero, ma alla fina ho deciso di citarli. Spero che la scelta risulti condivisibile.
  
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