Vuoto. Nient’altro aveva
provato Watson da quel fatidico
giorno, da quando, sconvolto, aveva assistito alla caduta di Sherlock
da quell’edificio.
Non aveva sentito il suo battito quando, con la folle speranza di
trovare
ancora un briciolo di vita in lui, aveva appoggiato
l’orecchio sul suo petto.
Nemmeno un respiro.
Le sue giornate erano tornate monotone e insignificanti, passava il suo
tempo a
sperare nel suo ritorno.
Solo un pazzo poteva aspettare di veder ricomparire
all’improvviso una persona
morta. Che avesse perso il senno? Ma dopotutto era proprio da Sherlock
fare
quel genere di scherzi, fingersi morto e ripresentarsi come se nulla
fosse.
Stupido idiota. Aveva voglia di prendere a pugni quel suo bel visetto
che mai
aveva osato sfiorare.
La sua psicologa gli aveva consigliato di tornare
all’appartamento che un tempo
condivideva con lui, solo così, secondo il suo punto di
vista e la sua
dannatissima e inutilissima laurea in psicologia, avrebbe potuto
voltare
pagina e mettere la parola “fine” a quel periodo
pieno di emozioni che mai si
sarebbe ripetuto.
Ma ora che si trovava davanti alla porta del 221 B, John, era
stato assalito
da una gran voglia di di darsela a gambe, il più lontano
possibile, non si
sentiva in grado di sopportare quel senso di mancanza che
l’avrebbe colto una
volta superato quell’ostacolo che lo divideva
dall’abitazione.
Il suono melodioso e piuttosto scocciante del violino.
Gli spari contro il muro.
Quell’evidente odore di fumo e Sherlock che negava di aver anche solo sfiorato una sigaretta.
Quella noia che spesso e volentieri si impossessava del detective.
I casi improvvisi.
Sherlock…
Watson posò la mano sulla
maniglia e, dopo aver preso un
respiro profondo, la aprì e chiuse immediatamente gli occhi.
Doveva farlo per forza? Davvero doveva rendersi conto che non avrebbe
più avuto
a che fare con lui? Che ora Sherlock si trovava sotto il freddo marmo?
“John, hai una mente limitata.”, mormorò
immaginando che fosse l’amico a
pronunciare queste parole.
Chissà se lo stava vedendo e se si era reso conto della
grande sofferenza che
gli stava provocando l’esito di quella sfida a cui non aveva
voluto rinunciare…
No, lui sapeva che il motivo che
l’aveva spinto a suicidarsi
andava oltre il semplice gioco in cui l’aveva sfidato
Moriarty e di certo non l’aveva
fatto perché tutti avevano smesso di credere in lui.
Non tutti. John sapeva che Sherlock non aveva finto una sola volta di
essere
quel che era, nessuno ne sarebbe stato in grado.
Pian piano riaprì le palpebre e mosse un passo
all’interno dell’appartamento.
Nulla era cambiato, tutto era come l’avevano lasciato durante
la fuga, a parte
la polvere che non faceva che rendere quel posto più
malinconico.
“Fa che sia qui…”, sussurrò
tra sé scrutando l’abitazione in ogni suo
particolare, “Fa che sia vivo!”
Il silenzio regnava sovrano all’interno dell’abitazione e ormai John ne era consapevole: non c’era una sola traccia che rivelasse il passaggio o la presenza di quel detective che fino a qualche tempo prima aveva riempito le sue giornate.
Calde lacrime iniziarono a rigare il suo viso segnato dal dolore degli ultimi tempi.
Nulla sarebbe stato lo stesso. Non
gli rimaneva che dare
vita a un nuovo John Watson, uno che non aveva avuto a che fare con
Sherlock e
che mai l’avrebbe visto.
Era impossibile e lo sapeva. Non sarebbe stato in grado di dimenticarsi
di lui,
quel vuoto non si sarebbe più riempito e, consapevole di
questo, avrebbe dovuto
continuare a vivere la sua esistenza senza di lui.
Chiudendo nuovamente gli occhi, John, diede le spalle a quello
scenario.
Ricordi belli, divertenti, tristi, dolorosi… La mente e il
cuore del dottore
erano invasi da emozioni che avrebbe voluto cacciare. Un automa, ecco
cosa avrebbe
voluto essere.
Un passo dopo l’altro si affrettò ad uscire
dall’appartamento, sostenuto da
quel bastone che ormai gli era diventato indispensabile. Sbattendo la
porta
iniziò a respirare pesantemente e si portò una
mano sul petto nel tentativo di
calmarsi.
Non era in grado di mettere la tanto agognata parola
“fine” a quel periodo. No,
non era ancora arrivato il momento, doveva dargli il tempo di tornare.
“Sciocco.”
Ormai si considerava un folle, forse era stata proprio la vicinanza del
detective a renderlo in quel modo. Ma chi altro poteva restare al suo
fianco se
non un pazzo?
Un lieve sorriso si dipinse sul suo volto.
Ne era convinto, un giorno avrebbe rivisto quello sconsiderato e, dopo
averlo
picchiato, gli avrebbe impedito di muovere un solo passo lontano da lui.
Non era ancora finita.